Elena Aiello

Elena Aiello

(1895-1961)

Beatificazione:

- 14 settembre 2011

- Papa  Benedetto XVI

Ricorrenza:

- 19 giugno

Religiosa e mistica italiana, fondatrice della Congregazione delle Suore Minime della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo; il suo carisma illuminava la sua vita personale e la sua missione nella Chiesa

  • Biografia
  • la fama di santità
  • udienza generale
“Come la Croce è stata la misura dell’amore di Gesù per noi, così essa è la misura del nostro amore per Lui”

 

Nata a Montalto Uffugo, nel Cosentino, il 10 aprile 1895, Elena Emilia Aiello, cresce in un ambiente familiare esemplarmente cristiano.

Rimase presto orfana di madre. Durante una malattia consacrò la propria vita al Signore con i voti di povertà, castità e obbedienza. Dopo la prima Guerra mondiale e la grande epidemia detta “spagnola”, la Venerabile Serva di Dio entrò fra le Suore della Carità del Preziosissimo Sangue di Nocera dei Pagani nell’agosto del 1920.

Una banale patologia mal curata le recò danni fisici che determinarono il suo allontanamento dal convento.

Tornata a casa, invocò l’intercessione di Santa Rita e ottenne la guarigione. Nel novembre del 1921 comparvero i fenomeni mistici che l’accompagneranno sino alla morte. Alcuni di essi, come il sudore di sangue e le stimmate si manifestavano in maniera particolare i venerdì di quaresima e il Venerdì santo. Forgiata da questa esperienza della Passione di Cristo, iniziò il 17 gennaio 1928, con una prima compagna, Luigina Mazza, un’opera a servizio degli ultimi, soprattutto delle bimbe abbandonate.

Affidò i suoi primi passi a San Francesco di Paola, patrono della Calabria e a Santa Teresa di Gesù Bambino e, ispirandosi a queste figure, diede vita alla Congregazione delle Suore Minime della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo. Gradualmente l’Istituto si strutturò e il 2 gennaio 1948 ottenne l’approvazione Pontificia.

La partecipazione al dolore di Cristo e l’amore per gli ultimi, rafforzati dalla continua preghiera e dalla fervente devozione a Gesù Sacramentato, furono i due punti di forza sia della Fondatrice sia della nascente Congregazione, che ben presto si espanse dalla Calabria in tutta Italia e in alcuni paesi esteri al seguito degli emigrati nelle zone povere dell’America Latina. Incontrando il Papa Pio XII durante il Giubileo del 1950, la Serva di Dio chiese conferma se questa opera fosse secondo il cuore della Chiesa.

Il Sommo pontefice ebbe a dirle: “La sua opera non finirà perché è fondata sulla Provvidenza”. Amò profondamente il Santo Padre e la Chiesa e ripeteva spesso alle sue suore che loro dovere era “sentire cum ecclesia”. Anima eminentemente eucaristica, soleva dire: “L’Eucarestia è l’alimento essenziale della mia vita, il respiro profondo della mia anima, il Sacramento che dà senso alla mia vita, a tutte le azioni della giornata”Il suo carisma si trova sintetizzato nella frase che Ella ripeteva quasi in maniera litanica: “non c’è amore senza sofferenza”.

Suor Elena Aiello morì a Roma il 19 giugno 1961 dopo aver vissuto santamente a servizio dei poveri e degli ultimi, tanto che in vita ed in morte veniva chiamata dal popolo la “monaca santa”.

Aumentando la fama di santità, l’arcivescovo di Cosenza iniziò il Processo Cognizionale sulla vita e le virtù nel 1972 e lo terminò nel 1987. Preparata la Positio, si procedette ai consueti esami: i Consultori Teologi, radunati nel Congresso peculiare del 5 dicembre 1989 si espressero positivamente circa l’eroicità delle virtù della Venerabile Serva di Dio.

Così giudicarono i Padri Cardinali e Vescovi, nella Sessione Ordinaria dell’8 maggio 1990. Il Beato Giovanni Paolo II emise il Decreto sull’eroicità delle virtù il 22 gennaio 1991. In vista della sua Beatificazione, la Postulazione della Causa ha sottoposto al giudizio della Congregazione delle Cause dei Santi la presunta guarigione miracolosa della giovane Francesca Bozzarello da trauma cranico e lesioni encefaliche diffuse con coma grave, associato a trauma toracico e frattura tibiale intra-articolare avvenuta il 23 aprile 2002. Assolto quanto stabilito dal diritto, la Consulta Medica del 1 febbraio 2007 giudicò scientificamente inspiegabile tale guarigione.

Nel Congresso Peculiare del 23 ottobre 2010, i Consultori teologi la ritennero un miracolo. Anche i Padri Cardinali e Vescovi riuniti in Sessione Ordinaria il 18 gennaio 2011 giudicarono vero miracolo tale guarigione. Noi stessi abbiamo quindi autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il Decreto sul miracolo in data 2 aprile 2011 e abbiamo stabilito che il rito della beatificazione si svolgesse a Cosenza il 14 settembre 2011, festa dell’Esaltazione della Croce.

BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 14 settembre 2011

 

"Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?", Salmo 22 (21)

Cari fratelli e sorelle,

nella catechesi di oggi vorrei affrontare un Salmo dalle forti implicazioni cristologiche, che continuamente affiora nei racconti della passione di Gesù, con la sua duplice dimensione di umiliazione e di gloria, di morte e di vita. È il Salmo 22, secondo la tradizione ebraica, 21 secondo la tradizione greco-latina, una preghiera accorata e toccante, di una densità umana e una ricchezza teologica che ne fanno uno tra i Salmi più pregati e studiati di tutto il Salterio. Si tratta di una lunga composizione poetica, e noi ci soffermeremo in particolare sulla sua prima parte, incentrata sul lamento, per approfondire alcune dimensioni significative della preghiera di supplica a Dio.

Questo Salmo presenta la figura di un innocente perseguitato e circondato da avversari che ne vogliono la morte; ed egli ricorre a Dio in un lamento doloroso che, nella certezza della fede, si apre misteriosamente alla lode. Nella sua preghiera, la realtà angosciante del presente e la memoria consolante del passato si alternano, in una sofferta presa di coscienza della propria situazione disperata che però non vuole rinunciare alla speranza. Il suo grido iniziale è un appello rivolto a un Dio che appare lontano, che non risponde e sembra averlo abbandonato:

«Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
Lontane dalla mia salvezza le parole del mio grido.
Mio Dio, grido di giorno e non rispondi;
di notte, e non c’è tregua per me» (vv. 2-3).

Dio tace, e questo silenzio lacera l’animo dell’orante, che incessantemente chiama, ma senza trovare risposta. I giorni e le notti si succedono, in una ricerca instancabile di una parola, di un aiuto che non viene; Dio sembra così distante, così dimentico, così assente. La preghiera chiede ascolto e risposta, sollecita un contatto, cerca una relazione che possa donare conforto e salvezza. Ma se Dio non risponde, il grido di aiuto si perde nel vuoto e la solitudine diventa insostenibile. Eppure, l’orante del nostro Salmo per ben tre volte, nel suo grido, chiama il Signore “mio” Dio, in un estremo atto di fiducia e di fede. Nonostante ogni apparenza, il Salmista non può credere che il legame con il Signore si sia interrotto totalmente; e mentre chiede il perché di un presunto abbandono incomprensibile, afferma che il “suo” Dio non lo può abbandonare.

Come è noto, il grido iniziale del Salmo, «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?», è riportato dai Vangeli di Matteo e di Marco come il grido lanciato da Gesù morente sulla croce (cfr Mt 27,46; Mc 15,34). Esso esprime tutta la desolazione del Messia, Figlio di Dio, che sta affrontando il dramma della morte, una realtà totalmente contrapposta al Signore della vita. Abbandonato da quasi tutti i suoi, tradito e rinnegato da discepoli, attorniato da chi lo insulta, Gesù è sotto il peso schiacciante di una missione che deve passare per l’umiliazione e l’annichilimento. Perciò grida al Padre, e la sua sofferenza assume le parole dolenti del Salmo. Ma il suo non è un grido disperato, come non lo era quello del Salmista, che nella sua supplica percorre un cammino tormentato sfociando però infine in una prospettiva di lode, nella fiducia della vittoria divina. E poiché nell’uso ebraico citare l’inizio di un Salmo implicava un riferimento all’intero poema, la preghiera straziante di Gesù, pur mantenendo la sua carica di indicibile sofferenza, si apre alla certezza della gloria. «Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?», dirà il Risorto ai discepoli di Emmaus (Lc 24,26). Nella sua passione, in obbedienza al Padre, il Signore Gesù attraversa l’abbandono e la morte per giungere alla vita e donarla a tutti i credenti.

A questo grido iniziale di supplica, nel nostro Salmo 22, fa seguito, in doloroso contrasto, il ricordo del passato:

«In te confidarono i nostri padri,
confidarono e tu li liberasti;
a te gridarono e furono salvati,
in te confidarono e non rimasero delusi» (vv. 5-6).

Quel Dio che oggi al Salmista appare così lontano, è però il Signore misericordioso che Israele ha sempre sperimentato nella sua storia. Il popolo a cui l’orante appartiene è stato oggetto dell’amore di Dio e può testimoniarne la sua fedeltà. A cominciare dai Patriarchi, e poi in Egitto e nel lungo peregrinare nel deserto, nella permanenza nella terra promessa a contatto con popolazioni aggressive e nemiche, fino al buio dell’esilio, tutta la storia biblica è stata una storia di grida di aiuto da parte del popolo e di risposte salvifiche da parte di Dio. E il Salmista fa riferimento all’incrollabile fede dei suoi padri, che “confidarono” - per tre volte questa parola viene ripetuta - senza mai rimanere delusi. Ora tuttavia, sembra che questa catena di invocazioni fiduciose e risposte divine si sia interrotta; la situazione del Salmista sembra smentire tutta la storia della salvezza, rendendo ancor più dolorosa la realtà presente.

Ma Dio non può smentirsi, ed ecco allora che la preghiera torna a descrivere la situazione penosa dell’orante, per indurre il Signore ad avere pietà e intervenire, come aveva sempre fatto in passato. Il Salmista si definisce «verme e non un uomo, rifiuto degli uomini, disprezzato dalla gente» (v. 7), viene schernito, dileggiato (cfr v. 8) e ferito proprio nella fede: «Si rivolga al Signore; lui lo liberi, lo porti in salvo, se davvero lo ama» (v. 9), dicono. Sotto i colpi beffardi dell’ironia e dello spregio, sembra quasi che il perseguitato perda i propri connotati umani, come il Servo sofferente tratteggiato nel Libro di Isaia (cfr Is 52,14; 53,2b-3). E come il giusto oppresso del Libro della Sapienza (cfr 2,12-20), come Gesù sul Calvario (cfr Mt 27,39-43), il Salmista vede messo in questione il suo rapporto con il suo Signore, nella sottolineatura crudele e sarcastica di ciò che lo sta facendo soffrire: il silenzio di Dio, la sua apparente assenza. Eppure Dio è stato presente nell’esistenza dell’orante con una vicinanza e una tenerezza incontestabili. Il Salmista lo ricorda al Signore: «Sei proprio tu che mi hai tratto dal grembo, mi hai affidato al seno di mia madre. Al mio nascere, a te fui consegnato» (vv. 10-11a). Il Signore è il Dio della vita, che fa nascere e accoglie il neonato e se ne prende cura con affetto di padre. E se prima si era fatta memoria della fedeltà di Dio nella storia del popolo, ora l’orante rievoca la propria storia personale di rapporto con il Signore, risalendo al momento particolarmente significativo dell’inizio della sua vita. E lì, nonostante la desolazione del presente, il Salmista riconosce una vicinanza e un amore divini così radicali da poter ora esclamare, in una confessione piena di fede e generatrice di speranza: «dal grembo di mia madre sei tu il mio Dio» (v. 11b).

Il lamento diventa ora supplica accorata: «Non stare lontano da me, perché l’angoscia è vicina e non c’è chi mi aiuti» (v. 12). L’unica vicinanza che il Salmista percepisce e che lo spaventa è quella dei nemici. E’ dunque necessario che Dio si faccia vicino e soccorra, perché i nemici circondano l’orante, lo accerchiano, e sono come tori poderosi, come leoni che spalancano le fauci per ruggire e sbranare (cfr vv. 13-14). L’angoscia altera la percezione del pericolo, ingrandendolo. Gli avversari appaiono invincibili, sono diventati animali feroci e pericolosissimi, mentre il Salmista è come un piccolo verme, impotente, senza difesa alcuna. Ma queste immagini usate nel Salmo servono anche a dire che quando l’uomo diventa brutale e aggredisce il fratello, qualcosa di animalesco prende il sopravvento in lui, sembra perdere ogni sembianza umana; la violenza ha sempre in sé qualcosa di bestiale e solo l’intervento salvifico di Dio può restituire l’uomo alla sua umanità. Ora, per il Salmista, oggetto di tanta feroce aggressione, sembra non esserci più scampo, e la morte inizia ad impossessarsi di lui: «Io sono come acqua versata, sono slogate tutte le mie ossa […] arido come un coccio è il mio vigore, la mia lingua si è incollata al palato […] si dividono le mie vesti, sulla mia tunica gettano la sorte» (vv. 15.16.19). Con immagini drammatiche, che ritroviamo nei racconti della passione di Cristo, si descrive il disfacimento del corpo del condannato, l’arsura insopportabile che tormenta il morente e che trova eco nella richiesta di Gesù «Ho sete» (cfr Gv 19,28), per giungere al gesto definitivo degli aguzzini che, come i soldati sotto la croce, si spartiscono le vesti della vittima, considerata già morta (cfr Mt 27,35; Mc 15,24; Lc 23,34; Gv 19,23-24).

Ecco allora, impellente, di nuovo la richiesta di soccorso: «Ma tu, Signore, non stare lontano, mia forza, vieni presto in mio aiuto […] Salvami» (vv. 20.22a). È questo un grido che dischiude i cieli, perché proclama una fede, una certezza che va al di là di ogni dubbio, di ogni buio e di ogni desolazione. E il lamento si trasforma, lascia il posto alla lode nell’accoglienza della salvezza: «Tu mi hai risposto. Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all’assemblea» (vv. 22c-23). Così, il Salmo si apre al rendimento di grazie, al grande inno finale che coinvolge tutto il popolo, i fedeli del Signore, l’assemblea liturgica, le generazioni future (cfr vv. 24-32). Il Signore è accorso in aiuto, ha salvato il povero e gli ha mostrato il suo volto di misericordia. Morte e vita si sono incrociate in un mistero inseparabile, e la vita ha trionfato, il Dio della salvezza si è mostrato Signore incontrastato, che tutti i confini della terra celebreranno e davanti al quale tutte le famiglie dei popoli si prostreranno. È la vittoria della fede, che può trasformare la morte in dono della vita, l’abisso del dolore in fonte di speranza.

Fratelli e sorelle carissimi, questo Salmo ci ha portati sul Golgota, ai piedi della croce di Gesù, per rivivere la sua passione e condividere la gioia feconda della risurrezione. Lasciamoci dunque invadere dalla luce del mistero pasquale anche nell'apparente assenza di Dio, anche nel silenzio di Dio, e, come i discepoli di Emmaus, impariamo a discernere la vera realtà al di là delle apparenze, riconoscendo il cammino dell’esaltazione proprio nell’umiliazione, e il pieno manifestarsi della vita nella morte, nella croce. Così, riponendo tutta la nostra fiducia e la nostra speranza in Dio Padre, in ogni angoscia Lo potremo pregare anche noi con fede, e il nostro grido di aiuto si trasformerà in canto di lode. Grazie.

Saluti:

Je salue cordialement les pèlerins francophones, particulièrement les groupes de Dijon, de Saint-Pazanne, et de Corte-Ajaccio, et les pèlerins venus de Belgique. Quand nous traversons l’épreuve, n’oublions pas de nous confier à Jésus qui a connu l’angoisse et la souffrance. Appuyons-nous sur la foi des autres et sur la foi de l’Eglise qui témoignent de la fidélité de Dieu ! Je vous bénis de grand cœur.

I am pleased to welcome the English-speaking visitors and pilgrims present at today’s Audience, including the groups from Great Britain, Scandinavia, Asia and North America. I extend a special greeting to the delegates of the International Catholic Charismatic Renewal Services and to the Patrons of the Arts in the Vatican Museums. Upon all of you, and upon your families and loved ones, I invoke God’s abundant blessings.

Ganz herzlich grüße ich die deutschsprachigen Pilger und Besucher. Gott verläßt uns nicht. Deshalb ist es wichtig, daß wir nicht aufhören, im Gebet bei ihm anzuklopfen, ja zu ihm hin zu schreien, wie der Herr es getan hat. Er wird auch in uns das Licht der Auferstehung anzünden. Gott begleite Euch alle! Herzlichen Dank.

Saludo a los peregrinos de lengua española, en particular a los oficiales de la Policía Nacional, de Colombia, al grupo de la Academia de Carabineros, de Chile, a los alumnos y profesores del Bachillerato Humanista Moderno de Salta, Argentina, así como a los demás fieles venidos de España, México, Venezuela y otros países latinoamericanos. Dejémonos invadir por la luz del misterio pascual y, como los discípulos de Emaús, aprendamos a discernir la realidad más allá de las apariencias, reconociendo en la cruz la manifestación plena de la vida. Muchas gracias.

Dirijo a minha saudação amiga aos membros da União Missionária Franciscana, vindos de Portugal, aos brasileiros do Grupo Vocacional e a todos os demais peregrinos lusófonos aqui presentes. Neste dia da Exaltação da Santa Cruz, deixemo-nos invadir pela luz do mistério pascal, para reconhecermos o caminho da exaltação precisamente na humilhação, colocando toda a nossa esperança em Deus, e assim o nosso grito de ajuda transformar-se-á em cântico de louvor. E que a bênção de Deus desça sobre vós e vossas famílias!

Saluto in lingua polacca:

Serdecznie witam polskich pielgrzymów. W tych dniach obchodzi się w Polsce „Tydzień Wychowania”. Duchowo wspieram tę nową inicjatywę Kościoła w Polsce. Wychowanie, którego celem jest integralny rozwój człowieka, to zadanie wymagające współpracy rodziców, nauczycieli i duszpasterzy oraz odpowiednich władz państwowych i lokalnych. Oby ten Tydzień budził we wszystkich poczucie odpowiedzialności za dobre kształtowanie umysłów i serc młodych ludzi. Niech Bóg wam błogosławi!

Traduzione italiana:

Saluto cordialmente i pellegrini polacchi. In questi giorni si celebra in Polonia la “Settimana dell’educazione”. L’educazione, la cui meta è lo sviluppo integrale dell’uomo, è un compito che richiede la collaborazione dei genitori, degli insegnanti e dei pastori, nonché delle rispettive autorità statali e locali. Questa Settimana susciti in tutti il senso di responsabilità per una buona formazione delle menti e dei cuori dei giovani. Dio vi benedica.

Saluto in lingua slovacca:

S láskou pozdravujem slovenských pútnikov zo Šurian, Záhorskej Bystrice, Žiliny, Prešova a Starej Ľubovne; osobitne vítam skupinu zo Svitu so spevokolom Laudamus.
Bratia a sestry, zajtra Slovensko oslávi sviatok svojej Patrónky, Sedembolestnej Panny Márie. Ježiš ju dal za Matku každému z nás. Ona nech vám pomáha byť jeho vernými učeníkmi. Ochotne vás žehnám.
Pochválený buď Ježiš Kristus!

Traduzione italiana:

Saluto con affetto i pellegrini slovacchi provenienti da Šurany, Záhorská Bystrica, Žilina, Prešov a Stará Ľubovňa; in particolare do il benvenuto al gruppo proveniente da Svit con il coro Laudamus.
Fratelli e sorelle, domani la Slovacchia celebrerà la festa della sua Patrona, la Vergine Addolorata. Gesù l’ha data come Madre ad ognuno di noi. Ella vi aiuti ad essere fedeli discepoli del Cristo. Volentieri vi benedico.
Sia lodato Gesù Cristo

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto le Suore Serve dei Poveri, che partecipano al loro Capitolo Generale; i Religiosi salesiani, in partenza per la missione ad gentes; i rappresentanti della comunità Shalom di Palazzolo sull’Oglio. A tutti auguro di essere gioiosi strumenti dell’amore e della misericordia divina.

Il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Oggi, la liturgia ci fa meditare sul mistero della Croce del Signore, e domani sui dolori della sua Madre. La Croce di Cristo e l'esempio di Maria, Vergine Addolorata, illuminino la vostra esistenza, cari giovani; vi sostengano nelle prove quotidiane, cari malati; e siano di stimolo per voi, cari sposi novelli, ad un'esistenza familiare coraggiosa e coerente con i principi evangelici.

Oggi, a Cosenza, viene proclamata Beata suor Elena Aiello, fondatrice delle Suore Minime della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo. Subito dopo il Congresso Eucaristico Nazionale di Ancona, la Chiesa che è in Italia gioisce per l’elevazione alla gloria degli altari di un’anima eminentemente eucaristica. Illustre figlia della terra di Calabria, suor Elena Aiello soleva dire: “L’Eucarestia è l’alimento essenziale della mia vita, il respiro profondo della mia anima, il Sacramento che dà senso alla mia vita, a tutte le azioni della giornata”L’esempio e l’intercessione della nuova Beata accrescano in tutti l’amore per il mirabile Sacramento dell’altare.