Elisabetta della Santissima Trinità

Elisabetta della Santissima Trinità

(1880-1906)

Beatificazione:

- 25 novembre 1984

- Papa  Giovanni Paolo II

Canonizzazione:

- 16 ottobre 2016

- Papa  Francesco

- Piazza San Pietro

Ricorrenza:

- 9 novembre

Vergine, monaca professa dell’Ordine delle Carmelitane Scalze, sin dalla fanciullezza cercò e contemplò nel profondo del cuore il mistero della Trinità e, ancora giovane, tra molte tribolazioni, giunse, come aveva desiderato, all’amore, alla luce, alla vita, morì tra atroci dolori per il morbo di Addison, a soli 26 anni

  • Biografia
  • Omelia
  • Lettera Apostolica
  • omelia di beatificazione
"Tutto passa! Alla sera della vita resta solo l’amore. Bisogna fare tutto per amore"

 

 

VITA  E  OPERE

 

 

    Elisabetta Catez nacque il 18 luglio 1880 nel campo militare di Avord, nei pressi di Bourges (Francia), e fu battezzata il 22 luglio nella cappella del campo. I suoi genitori, il capitano Joseph Catez e Marie Rolland, erano dei cristiani convinti. Dopo diciotto mesi, la famiglia si stabilì a Digione, dove nascerà l’altra figlia, Margherita. Elisabetta aveva solo sette anni quando il papà morì improvvi­samente tra le sue braccia. La madre, donna energica e di spic­cata sensibilità, supplirà all’educazione delle figlie.

    Era una bambina intelligente, affettuosa, socievole e vivace, ma anche collerica. Presto Dio entrò nella sua vita come la Grande Realtà che la affascinava e la seduceva. Più tardi affermò che, fin dall’età di otto anni, il suo amore per Dio e per la preghiera erano tali che non poteva concepire il suo futuro, se non consacrandosi interamente a Lui: risoluzione che rinnovò a dieci anni in occasione della prima Comunione e sigillò definitivamente a quattordici anni con il voto perpetuo di verginità (1894).

    Giovanissima, Elisabetta fu iscritta al Conservatorio musicale di Digione dove manifestò subito un eccezionale talento pianistico. Il suo musicista preferito fu e restò sempre Chopin. Nonostante il “primo premio” di pianoforte ottenuto al Conservatorio, desiderava vivere, quanto prima, la sua consacrazione religiosa nel Carmelo teresiano. L’opposizione inamovibile della mamma – che la Beata amava teneramente – sarà per Elisabetta una vera grazia per il conso­lidamento della sua esperienza spirituale. Infatti, fino alla maggiore età di ventun anni, vivrà il suo ideale contemplativo da giovane laica, impegnata socialmente e che amava viaggiare per tutta la Francia: da pianista applaudita, da giovane richiesta in matrimonio e molto attenta ai bisogni del prossimo, da apostola attiva nella sua parroc­chia di Saint-Michel a Digione. Dai diciassette anni, Elisabetta manifestò un’adesione incondizionata alla volontà concreta di Dio e, fino all’entrata al Carmelo, ricercò una unione continua con Gesù, presente nella “cella del suo cuore”, “il Cielo della sua anima”.

    Mistica della presenza trinitaria nell’anima, Elisabetta è un’autentica figlia dello spirito più genuino che anima il Carmelo. Scrisse nel suo diario: “Mi sembra di aver trovato il mio cielo sulla terra, perché il cielo è Dio e Dio è nella mia anima. Il giorno in cui ho capito questo, tutto si è illuminato in me e vorrei sussurrare questo segreto a coloro che amo”.

    Il 2 agosto 1901, a ventun anni, fedele al suo proposito, Elisabetta entrò nel Carmelo di Digione con il nome di suor Elisabetta della Santissima Trinità; ricevette l’abito monastico l’8 dicembre 1901 ed emise la professione l’11 gennaio 1903. Religiosa profondamente fedele e felice – anche se purificata dalla sofferenza – e molto amata dalle consorelle, Elisabetta visse con forza e perseve­ranza il suo ideale, che esprimerà un giorno nella preghiera: “O mio Dio Trinità che adoro” la quale, subito dopo la sua morte, farà il giro del mondo e sarà ampiamente citata nel Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 260). Colpita dalla malattia di Addison, allora incu­rabile e molto dolorosa, Elisabetta declinò lentamente. Dopo grandi sofferenze fisiche, morì il 9 novembre 1906, all’età di 26 anni.

    In soli cinque anni di vita al Carmelo, Elisabetta consumò il suo folgorante itinerario spirituale, testimoniato anche da scritti e lettere, e che fa di questa giovane carmelitana una straordinaria risposta della fede cristiana alla secolarizzazione e alle molte facce dell’ateismo contemporaneo. Elisabetta, infatti, volle vivere come “lode di gloria” alla Trinità presente nell’anima, trovando nel mistero dell’inabi­tazione divina il suo “cielo sulla terra”, la sua grazia e la sua missione ecclesiale. È singolare, nell’esperienza di Elisabetta della Trinità, che ella abbia saputo diffondere nella sua famiglia la radicalità della sua adesione a Cristo. Infatti, con una sapienza pedagogica eccezionale, riuscirà a coinvolgere anche la sorella Guite (1883-1954) che, sposata felicemente e madre di nove figli, camminerà anch’ella sulla scia spirituale di Elisabetta trasmettendo al marito e ai suoi figli lo stesso spirito della Beata. In altre parole, non si potrà mai dire che quanto Elisabetta della Ss.ma Trinità ha vissuto riguardi solo i sacerdoti o i religiosi. La sua stessa sorella e la famiglia testimoniano il contrario. Dunque, è proprio nel mondo, nella quotidianità segnata dagli alti e bassi della vita, nella semplicità della vita domestica, che anche Guite realizzò ciò che sua sorella ha scoperto e vissuto dietro le grate del Carmelo. In una lettera indirizzata al canonico Angles, Elisabetta scrive con grande realismo: “In questo periodo siamo state tutte prese da una quantità di cose, poi ecco che ricominciano le riunioni… Mi sembra che nulla possa distrarre da Lui quando non si agisce che per Lui, sempre alla sua santa presenza, sotto quello sguardo divino che penetra nel più intimo dell’anima; anche in mezzo al mondo si può ascoltarlo, nel silenzio di un cuore che non vuole essere che suo”.

    San Giovanni Paolo II la definì “una testimone luminosa della gioia d’essere radicati e fondati nell’amore”, concludendo così l’omelia della Beatificazione: “Osiamo oggi presentarla al mondo. Con la Beata Elisabetta, una nuova luce brilla per noi, una nuova guida certa e sicura si presenta, nel nostro mondo così pieno di incertezze e di oscurità, per indicarci, nel nome del mistero trinitario, la via della salvezza e i mezzi per raggiungerla”.

 

 

"ITER" DELLA CAUSA

 

 

a) In vista della Beatificazione

 

    La Causa di Beatificazione e Canonizzazione di Elisabetta della Trinità iniziò a Digione nel 1931 con l’istruzione dei Processi Ordinari, che si conclusero nell’anno 1941. Il 28 gennaio 1944 fu promulgato il Decreto sugli Scritti. Dal 1948 al 1950 venne istruito un Processo Suppletivo, in seguito al quale il 25 ottobre 1961 fu promulgato il Decreto di Introduzione della Causa. Tra il 1963 e il 1965 fu istruito il Processo Apostolico sulle Virtù in specie a Digione, Parigi e Tolosa.

    Il 12 luglio 1982 il Papa San Giovanni Paolo II promulgò il Decreto sull’eroicità delle virtù.

    Negli anni 1964-1965 fu istruito a Digione il Processo sull’as­serito miracolo riguardante la guarigione di un sacerdote da “tubercolosi genito-urinaria con idropionefrosi tbc renale destra, nefrectomia destra, in soggetto con progresso morbo di Pott”. Il caso venne esaminato e ottenne esito positivo: il 10 giugno 1983 dalla  Consulta Medica, il 29 novembre dai Consultori Teologi, il 24 gennaio 1984 dalla Sessione Ordinaria dei Padri Cardinali e Vescovi.

    Il 17 febbraio 1984 fu promulgato il Decreto sul miracolo.

    Il 25 novembre 1984, il Papa San Giovanni Paolo II la proclamò Beata durante una solenne cerimonia nella Basilica di San Pietro in Vaticano.

 

b) In vista della Canonizzazione

 

    In vista della Canonizzazione, la Postulazione ha presentato alla Congregazione delle Cause dei Santi un’Inchiesta diocesana istruita a Digione (Francia) nel 2012 sul caso della presunta guarigione miracolosa di una signora affetta dalla “Sindrome di Sjøgren”, con secchezza salivare (xerostomia), che le impediva di mangiare cibi solidi, vescica neurogena che le impediva una normale minzione, impacci motori.

    Durante un pellegrinaggio svolto nel luglio dell’anno 2002 a Flavignerot, dove da alcuni decenni si sono trasferite le monache del monastero carmelitano scalzo di Digione in cui visse la Beata Elisabetta, di cui la sanata è molto devota, improvvisamente si sentì liberare dalla sua malattia e poté istantaneamente riprendere le normali funzioni vitali che oramai le erano impedite.

    La Consulta Medica ha esaminato il caso il 29 ottobre 2015 ritenendo unanimemente il fatto scientificamente inspiegabile.

    Il Congresso Peculiare dei Consultori Teologi, svoltosi il 15 dicembre 2015, ha espresso all’unanimità parere positivo.

    Nella Sessione Ordinaria del 9 febbraio 2016 i Padri Cardinali e Vescovi hanno ritenuto l’evento un miracolo attribuito alla interces­sione della Beata Elisabetta della Trinità.

    Il Santo Padre Francesco, il 3 marzo 2016, ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il Decreto sul miracolo.

 

SANTA MESSA E CANONIZZAZIONE DEI BEATI

Salomone Leclercq, Giuseppe Sánchez del Río, Manuel González García, Lodovico Pavoni, Alfonso Maria Fusco, 
Giuseppe Gabriele del Rosario Brochero, Elisabetta della Santissima Trinità Catez

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Piazza San Pietro
Domenica, 16 ottobre 2016

 

    All’inizio dell’odierna celebrazione abbiamo rivolto al Signore questa preghiera: «Crea in noi un cuore generoso e fedele, perché possiamo sempre servirti con lealtà e purezza di spirito» (Orazione Colletta).

    Noi, da soli, non siamo in grado di formarci un cuore così, solo Dio può farlo, e perciò lo chiediamo nella preghiera, lo invochiamo da Lui come dono, come sua “creazione”. In questo modo siamo introdotti nel tema della preghiera, che è al centro delle Letture bibliche di questa domenica e che interpella anche noi, qui radunati per la canonizzazione di alcuni nuovi Santi e Sante. Essi hanno raggiunto la meta, hanno avuto un cuore generoso e fedele, grazie alla preghiera: hanno pregato con tutte le forze, hanno lottato, e hanno vinto.

    Pregare, dunque. Come Mosè, il quale è stato soprattutto uomo di Dio, uomo di preghiera. Lo vediamo oggi nell’episodio della battaglia contro Amalek, in piedi sul colle con le braccia alzate; ma ogni tanto, per il peso, le braccia gli cadevano, e in quei momenti il popolo aveva la peggio; allora Aronne e Cur fecero sedere Mosè su una pietra e sostenevano le sue braccia alzate, fino alla vittoria finale.

    Questo è lo stile di vita spirituale che ci chiede la Chiesa: non per vincere la guerra, ma per vincere la pace!

    Nell’episodio di Mosè c’è un messaggio importante: l’impegno della preghiera richiede di sostenerci l’un l’altro. La stanchezza è inevitabile, a volte non ce la facciamo più, ma con il sostegno dei fratelli la nostra preghiera può andare avanti, finché il Signore porti a termine la sua opera.

    San Paolo, scrivendo al suo discepolo e collaboratore Timoteo, gli raccomanda di rimanere saldo in quello che ha imparato e in cui crede fermamente (cfr 2 Tm 3,14). Tuttavia anche Timoteo non poteva farcela da solo: non si vince la “battaglia” della perseveranza senza la preghiera. Ma non una preghiera sporadica, altalenante, bensì fatta come Gesù insegna nel Vangelo di oggi: «pregare sempre, senza stancarsi mai» (Lc 18,1). Questo è il modo di agire cristiano: essere saldi nella preghiera per rimanere saldi nella fede e nella testimonianza. Ed ecco di nuovo una voce dentro di noi: “Ma Signore, com’è possibile non stancarsi? Siamo esseri umani… anche Mosè si è stancato!...”. E’ vero, ognuno di noi si stanca. Ma non siamo soli, facciamo parte di un Corpo! Siamo membra del Corpo di Cristo, la Chiesa, le cui braccia sono alzate giorno e notte al Cielo grazie alla presenza di Cristo Risorto e del suo Santo Spirito. E solo nella Chiesa e grazie alla preghiera della Chiesa noi possiamo rimanere saldi nella fede e nella testimonianza.

    Abbiamo ascoltato la promessa di Gesù nel Vangelo: Dio farà giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui (cfr Lc 18,7). Ecco il mistero della preghiera: gridare, non stancarsi, e, se ti stanchi, chiedere aiuto per tenere le mani alzate. Questa è la preghiera che Gesù ci ha rivelato e ci ha donato nello Spirito Santo. Pregare non è rifugiarsi in un mondo ideale, non è evadere in una falsa quiete egoistica. Al contrario, pregare è lottare, e lasciare che anche lo Spirito Santo preghi in noi. E’ lo Spirito Santo che ci insegna a pregare, che ci guida nella preghiera, che ci fa pregare come figli.

    I santi sono uomini e donne che entrano fino in fondo nel mistero della preghiera. Uomini e donne che lottano con la preghiera, lasciando pregare e lottare in loro lo Spirito Santo; lottano fino alla fine, con tutte le loro forze, e vincono, ma non da soli: il Signore vince in loro e con loro. Anche questi sette testimoni che oggi sono stati canonizzati, hanno combattuto la buona battaglia della fede e dell’amore con la preghiera. Per questo sono rimasti saldi nella fede, con il cuore generoso e fedele. Per il loro esempio e la loro intercessione, Dio conceda anche a noi di essere uomini e donne di preghiera; di gridare giorno e notte a Dio, senza stancarci; di lasciare che lo Spirito Santo preghi in noi, e di pregare sostenendoci a vicenda per rimanere con le braccia alzate, finché vinca la Divina Misericordia.

 

LITTERAE APOSTOLICAE

de peracta Beatificatione

 

IOANNES PAULUS PP. II

ad perpetuam rei memoriam

 

    «O anima inter omnes creaturas pulcherrima, quae tantum cognoscere optas locum ubi est Dilectus tuus, ut eum invenias et te cum eo coniungas! Iam tibi dictum est te ipsam esse locum ubi is habitat et recessum in quo se abdit. Licet tibi vehementer laetari, cum scias totum bonum tuum totamque spem tuam tam tibi subesse, ut in te incolat, vel potius, ut tu sine eo esse non possis: Ecce enim – dicit Sponsus – regnum Dei intra vos est (Lc 17, 21); et eius servus, Paulus Apostolus, addit: Vos estis templum Dei vivi (2 Cor 6, 16)” (S. Ioannes a Cruce, Canticum spirituale, 1, 7). Anima enim, quae consors est divinae naturae (cf. 2 Pt 1, 4) et vivit in amore et oboedientia erga Christum, locus sanctus et excelsus est, in quo Altissimus habitat et cantus laudis resonat sine fine et contriti et humilis spiritus holocaustum immolatur (cf. Is 57, 35; 66, 2); templum est a divinis Personis electum, ut in eo mansionem facient (cf. Io 14, 23) et tabernaculum, in quo gloriam suam ostendant (cf. Nm 14, 10) et inenarrabilia verba pronuntient.

    Hanc arcanam rem magna et profunda laetitia contemplata est Venerabilis Serva Dei Elisabetha a Trinitate, quae, cum actioni Spiritus Sancti totam se permisisset, vas pretiosum fuit, plenum boni odoris Christi; domus fuit, in quam Pater caelestis benignitatem suam lumenque suum copiose effudit. Ea, suaviter divina imbuta praesentia, scripsit: “In terra caelum inveni, quia caelum Deus est, et Deus est in anima mea; “Ii Tres habitant in me». Ex hac certa fide, quam clara conscientia et evangelica simplicitate est experta et cum Dei Matre coniuncta exercitavit, orta est eius vocatio ad sacrum silentium, ad continuam adorationem, ad laudem Amati, ad oblationem sui, ut consimilis fieret Iesu crucifixi et ad dilatationem regni Dei in mundo conferret. Gaudens adimplere in carne sua quae desunt passionum Christi pro corpore eius, quod est Ecclesia (cf. Col 1, 24), ne in acerbissimis quidem doloribus colloquium amoris cum Hospite divino intermisit, nec animo concidit in cruce portanda cum Magistro suo; affirmare solebat: “Mea felicitas crescit pro cruciatu meo”. Tam altis et sanctis sensibus informata, brevi facta est mira imago Sponsi sui et fulgida lux quae, cum in angustis monasterii muris abdita manere non posset, velociter in totam Ecclesiam se fudit. Hinc ad eam quoque verba apta esse videntur, quae Decessor Noster Alexander IV dixit de S. Clara Assisiensi: “Lucerna tam accensa, tam lucens, abscondi non poterat, quin splenderet, et clarum in domo Domini daret lumen. Nec recondi poterat vas tot aromatum, quin fragraret, et suavi odori dominicam respergeret mansionem” (Bulla Canonizationis S. Clarae Clara claris praeclara, in Bullarium Romanum, III, 621).

    Haec fidelis Christi discipula nata est die XVII mensis Iulii anno MDCCCLXXX in campo militari loci Avor prope Biturigum, a Iosepho Francisco Catez et Maria Aemilia Rolland. Die XXII eiusdem mensis, per sacramentum baptismatis, sigillum accepit SS. Trinitatis et nomina Mariam, Iosepham, Elisabetham. Mox Dominus ei vocem suam insusurravit eamque ad se traxit ut sibi sponsaret eam in misericordia et miserationibus (cf. Os 2, 21); namque prima peccatorum confessio et magis etiam prima Communio vehementem sanctitatis appetitionem iniecerunt ei, mutationem magni momenti facientes: exinde per omnia obsequens facta est actioni gratiae et gaudium invenit obliviscendi se pro Iesu et pro ceteris; didicit etiam secedere in parvum animae caelum ut Dei viventis “habitatione” ebria fieret et pervenit ad continendam indolem suam, natura vivacem et impulsivam. S. Teresiam a Iesu secuta fortius in dies impulsa est ad vivendum coniuncte cum Eo, qui in ea habitabat, et ad pacem gaudiumque suum quaerendum in eius familiaritate. Quattuordecim annos nata, iam Carmelum appetens, Domino se consecravit voto virginitatis perpetuae, sciens se nonnisi eum amare posse; ideo affirmabat: “Amoris tui stimulis agitor, mi Iesu. Solum exspecto dum tua sponsa sim. Tecum pati volo, te invenire et postea mori”. Sed non parum ei opperiendum fuit, donec optatum suum consequeretur; namque mater, quam tenere amabat, aliena erat ab assentiendo. Minus firma voluntas fortasse destitisset, sed id non accidit, quod ad Venerabilem Servam Dei attinebat. Matris repugnatio in eius vocationem, itinera, ludicra, circuli, nitor in vestitu, musica – quibus rebus libenter se carere passa esset – nedum eam a proposito abducerent, ignem amoris excitabant, qui in eius spiritu flagrabat: “Aquae multae non potuerunt exstinguere caritatem, nec flumina obruent illam” (Ct 8, 7).

    Dum patienter horam suam exspectabat, citato gradu magnos progressus faciebat in via perfectionis et avide in precationem continuam et in contemplationem Amati sui mergebatur; item crebris incommodis et castigationibus voluntariis iungebat fervidam curam de animarum salute; quam ob rem, uti optime poterat, se apostolatui dedebat, catechesim tradendo, pauperes adiuvando, deprecando et patiendo pro peccatorum conver­sione. Tandem anxia exspectatio finem habuit et ipsa, die II mensis Augusti anno MCMI, ingressa est Carmelum S. Ioseph Divione, ubi tamquam flamma transiit et tamquam tus ardens in igne. Die VIII insequentis mensis Decembris habitum religiosum induit et novitiatum iniit sapienter et prudenter moderante coenobii magistra, Matre Germana a Iesu (MDCCCLXX-MCMXXX). Die XI Ianuarii anno MCMIII professionem religiosam fecit. Erga Deum grata, quod eam duxerat in solitudinem (cf. Os 2, 16), animo exsultabat et efferebatur miris rebus spiritalibus, quas ei Dilectus detegebat: “Quam bene est in Monte Carmeli! – exclamabat – Omnia reliqui, ut illum conscenderem, sed Iesus occurrit mihi; me sinu suo et complexu recepit, ut sicut infantem me portaret et me in oblivionem adduceret eorum omnium, quae pro Eo reliqueram”. Annos egit vitae consecratae mersa increbrescente et mutante experienti amoris Domini et humili atque fidenti consensu in eius verbum, quod virga fuit et faculus, unde roborata est in arduo perfectionis itinere (cf. Ps 23, 4) et in patefactione latitudinis et longitudinis et sublimitatis et profundi caritatis Christi (cf. Eph 3, 18).

    Si ei datum est ut staret in monte coram Domino, et sibilum aurae tenuis audiret, de quo loquitur Elias propheta (cf. 1 Reg 19, 11-13), etiam gratia est ei data, ut ex eiusmodi dono viveret magna cordis patefactione, mensura quam cosmicam possumus definire. Rerum naturae blandimento ad caelum rapiebatur, austera silvarum solitudine, montibus asperis, arboribus vetustis; sed plus etiam alliciebatur pulchritudine earum animarum quae, quasi crystalla, divinam lucem replicabant; cum insuper plena esset caritatis in proximum, exoptabat omnes universali vocationi ad sanctitatem responderent. Omnem angu­lum terrae voluisset apisci ut nuntiaret bonitatem, quam Deus vult effundere in animas; et revera totum mundum attigit non corpore quidem, sed spiritu, precando, patiendo, gemendo ut gratias impetraret Ecclesiae, sacerdotibus, utque fidei propagationem et peccatorum conversionem obtineret. Id egregie fecit viva, id hodie pergit exemplis, scriptis, quae nobis prodidit: quin nobis videtur eius munus nullo modo finem habuisse; ipsa promisit: “Mei muneris erit animas inducere, eas adiuvando ut ex se exeant, quo Deo assentiantur modo ultroneo et amoris pleno, easdemque tenere in magno illo interiore silentio, quod sinit Deus insidat eis easque mutet in se”. Silentium, contemplatio, studium apostolicum, quod sereno et constanti ardore coluit, eam a vita communi et ab officiis propriis status non averterunt; attentius et fidelius quam quavis alia sodalis Soror ex toto Regulas et vota religiosa observabat, parata et alacris in labore, in servitio, in exsecutione munium susceptorum, in promptu erga amatissimas Antistitas et comites, fervida in Eucharistiae et Officii divini celebratione. Quoniam “via crucis via est quam Deus servat dilectis: quo magis eos amat, eo magis cumulat molestiis” (S. Teresia a Iesu, Via perfectionis 18, 1), Venerabilis Serva Dei anima et corpore mysterio paschali vixit, ostendens se ardenter sitire Sponsi sui cruci adfixi consimilem se fieri ut redemptioni interesset. Quandoquidem sanguinis testimonium dare non poterat, uti cupiebat, testimonium dedit gaudii veri et diffusorii in acerbissimis infirmitatibus quae, ab aestate anni MCMIII, eius sociae fuerunt inseparabiles, acceptae et exoptatae. Ne tum quidem eius humanissima mollitudo erga omnes defecit, non obscuratus est eius solitus risus, nec lenitas nec amabilitas; tantam pacem et tranquillitatem demonstrabat, ut in dubium veniret num pateretur. In valetudinario ultimos octo menses degit; a viribus corporis deficiebatur, sed vires animae maxime crescebant: contenta erat quod igne divini amoris consumebatur, ut plene fieret laus gloriae et hostia laudis. Pie exstinta est primo diluculo die IX mensis Novembris anno MCMVI. Quotquot eam cognoverant dixerunt illam per mundum transisse veluti lilium virgineum halans odorem, numquam minima infecta macula; exemplo fuisse Communitati fervore vitae religiosae, oblatione sui, alta meditatione, deprecatione continua, adoratione amoris plena. Vere usque ad finem dierum suorum imitata erat Virginem Mariam, egregium exemplar adorationis Doni Dei, societatis Passionum Filii, cooperationis in opere redemptionis. Fama sanctitatis, quam viva sibi comparaverat, post eius mortem crevit sine intermissione; quam ob rem annis MCMXXXI-MCMXXXXI apud Curiam episcopalem Divionensem actus est Processus Ordinarius Informativus, simulque quattuor Processus Rogatoriales, dein duo Processus additicii. Die XXVII mensis Ianuarii anno MCMXXXXIV editum est Decretum super scriptis; postea Summus Pontifex Ioannes XXIII, facta antea consueta disceptatione, concessit ut Causa introduceretur apud Sanctam Sedem, die XXV Octobris anno MCMLXI. Instructis dein Processibus Apostolicis Divionensi (annis MCMLXIII-MCMLXV), Parisiensi (annis MCMLXIII-MCMLXIV), Tolosano (anno MCMLXIV), quorum auctoritas agnita die V Iulii anno MCMLXIX et die XVI Martii anno MCMLXX, consultum est, feliciter, de virtutibus, primum in Congressu Peculiari diei XXIV Novembris anno MCMLXXXI et deinde in Congregatione Ordinaria Patrum Cardinalium et Episcoporum, Ponente Causae Cardinali Mario Aloisio Ciappi, die VI Aprilis anno MCMLXXXII; Decretum ad haec pertinens proditum est coram Nobis die XII Iulii eodem anno. Denique, post instructum Processum canonicum et praescriptas medicorum, theologorum et Patrum Cardinalium disceptationes pertinentes ad miram sanationem sacerdotis Ioannis Mariae Chanut, Ordinis Cisterciensium Strictioris Observantiae, a tubercolosi renali, precibus Servae Dei Elisabethae a SS. Trinitate tributas, Nos die XVII Februarii anno MCMLXXXIV, ediximus eandem sanationem miraculo effectam esse. Post haec omnia est statuta dies ad sollemnem Beatificationem celebrandam. Hodie igitur, in Basilica Vaticana Sancti Petri, hanc sumus inter sacra formulam elocuti: “Nos, vota fratrum nostrorum Narcisi Jubany Arnau, Archiepiscopi Barcinonensis, Ioannis Mariae Lustiger, Archiepiscopi Parisiensis, Ioannis Balland, Episcopi Divionensis, necnon plurimorum aliorum Fratrum in Episcopatu, multorumque christifidelium explentes, de Sacrae Congregationis pro Causis Sanctorum consulto, Auctoritate Nostra Apostolica facultatem facimus, ut Venerabiles Servi Dei Iosephus Manyanet, Daniel Brottier et Elisabetha a SS. Trinitate, Beatorum nomine in posterum appel­lentur, eorumque festum die ipsorum natali: Iosephi Manyanet die decima septima Decembris, Danielis Brottier die vicesima tertia Februarii, Elisabethae a SS. Trinitate die nona Novembris in locis et modis iure statutis quotannis celebrari possit. In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti”.

 

    Quae vero per has Litteras statuimus, ea firma sint in perpetuum, contrariis quibuslibet non obstantibus.

    Datum Romae, apud S. Petrum, sub anulo Piscatoris, die XXV mensis Novembris, anno MCMLXXXIV, Pontificatus Nostri septimo.

 

De mandato Summi Pontificis

Augustinus Card. Casaroli

a publicis Ecclesiae negotiis

Loco Sigilli

In Secret. Status tab., n. 179.437

CERIMONIA DI BEATIFICAZIONE DI JOSÉ MANYANET Y VIVES,
DANIEL BROTTIER ED ELISABETTA DELLA TRINITÀ

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Basilica Vaticana - Domenica, 25 novembre 1984

 

1. “Quelli che sono di Cristo” (1 Cor 15, 23).

Oggi, solennità di Cristo Re, la Chiesa mediante questa cerimonia di beatificazione pone davanti a noi tre grandi figure.

Abbiamo ascoltato i loro nomi. I vescovi, come pastori delle Chiese locali, hanno esposto la testimonianza circa la loro vita eroica:

José Manyanet y Vives, sacerdote, fondatore della Congregazione dei figli della Sacra Famiglia e dell’Istituto delle figlie missionarie della Sacra Famiglia di Nazaret;

Daniel Brottier, sacerdote della Congregazione dello Spirito Santo e del Cuore immacolato di Maria;

Suor Elisabetta della Santissima Trinità, religiosa dell’Ordine delle Carmelitane scalze.

Ecco “quelli che sono di Cristo”.

Nell’ultima domenica dell’anno liturgico, la Chiesa desidera venerare Cristo come “re dei secoli”, accogliendo con gioia la testimonianza dei suoi figli e delle sue figlie, nei quali il segno di appartenenza a Cristo è stato messo particolarmente in evidenza.

Il Vangelo dell’odierna solennità ci permette di comprendere meglio in che modo ogni uomo è chiamato a dare testimonianza alla sua appartenenza a Cristo; in che modo egli deve diventare partecipe del suo regno.

Ecco, dinanzi all’assemblea di tutte le nazioni, alla fine del mondo, Cristo re e pastore pronunzia questo giudizio:

Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo.

Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi (Mt 25, 34-36).

I giusti chiedono: quando?. . . quando e dove abbiamo fatto tutto questo?

Cristo pastore e re risponde: “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25, 40).

Ecco in quale modo il segno dell’appartenenza a Cristo appare nell’uomo. Ecco in che modo l’uomo si prepara ad entrare nel regno di Cristo. Per ricevere “in eredità il regno preparato . . . fin dalla fondazione del mondo” (Mt 25, 34). Il regno preparato dal Padre, il regno preparato in Gesù Cristo, crocifisso e risorto: in Gesù Cristo pastore delle anime e re dei secoli.

2. La prima figura che la Chiesa ci pone dinanzi questa mattina, per offrircela come esempio e modello di chi lavora per il regno di Dio in Cristo, è quella del beato José Manyanet y Vives, figlio illustre delle terre di Catalogna in Spagna.

Il motivo dell’esaltazione di questo sacerdote, fondatore di due congregazioni religiose, non è altro che la sua consegna eroica all’amore di Dio e alla causa di Cristo nel servizio al prossimo. Questo lo portò a impegnare tutte le sue forze - nonostante le limitazioni della malattia - per procurare, innanzitutto, “l’onore della Sacra Famiglia e il bene delle famiglie e dei bambini”. Questo è il carisma particolare che penetra tutta la sua vita, immersa nel mistero della vocazione evangelica appresa dagli esempi di Gesù, Maria e Giuseppe nel silenzio di Nazaret.

In un difficile momento storico, nel quale certe ideologie cercavano di penetrare nella società attraverso l’erosione della famiglia, il nuovo beato guarda con chiaroveggenza agli esempi di santità nazarena che la Sacra Famiglia presenta. Di qui nasce il suo impegno apostolico per cercare di portare questo messaggio al mondo e fare di ogni focolare una Nazaret. Come si darà da fare, poi, per invitare ogni famiglia - il gioiello più prezioso, come egli la chiamerà - a guardare a Nazaret e costruire un modello di vita secondo il piano di Dio, basato, nello stesso tempo, sugli autentici valori umani!

In questa stessa linea, egli si dedica con entusiasmo ad offrire ai bambini e ai giovani la pedagogia del Vangelo di Nazaret, con grande amore e rispetto per la vocazione di ciascuno e in vista di un’educazione armonica. Quanto può insegnare il nuovo beato alla nostra attuale società!

3. E ora una parola in lingua catalana per i concittadini del nuovo beato: cercate di essere fedeli all’esempio di vita e al messaggio del vostro concittadino. Portate il modello della Sacra Famiglia alle vostre famiglie. Fate di ogni famiglia una Nazaret, secondo l’anelito apostolico del beato José Manyanet.

4. Tra “coloro che sono in Cristo”, distinguiamo Daniel Brottier. Egli ha abbracciato la congregazione dei Padri dello Spirito Santo per rispondere nel modo più ardente alla vocazione missionaria. Recatosi in Africa, si è dedicato generosamente al servizio della comunità cristiana di Saint-Louis del Senegal, particolarmente dei giovani. ll suo zelo apostolico lo porta a prendere senza posa nuove iniziative perché la Chiesa sia viva e perché la buona novella sia ascoltata. Anche quando sarà lontano da questo campo d’azione, egli continuerà a contribuire alla costruzione della Chiesa in Senegal.

Discepolo di Cristo, lo è anche per la prova della sofferenza: il dolore fisico non lo abbandona. Volontario sul fronte, egli si prende cura dei feriti e li conforta con la sua presenza coraggiosa. Ai soldati morenti, porta il soccorso di Dio. A guerra conclusa, si adopera per dar seguito a quella fraternità nata tra questi uomini nella privazione e nel dono eroico di sé.

Quando riceve l’incarico di assistere gli orfani di Auteuil, è al loro servizio che dispiega con forza l’attività più febbrile, che lo farà conoscere ben oltre Parigi. Niente arresta la sua carità, quando si tratta di accogliere, nutrire, vestire dei bambini abbandonati e straziati dalla vita. Innumerevoli sono coloro che si uniscono a lui in quest’opera profondamente evangelica. Poiché bisogna trovare un alloggio a questi giovani e introdurli in un clima di calore umano, aiutarli a imparare un mestiere e a costruire il loro avvenire, padre Brottier moltiplica gli appelli e costituisce una catena sempre viva di solidarietà attiva.

Sacerdoti, religiosi, la sua grande attività “deriva dal suo grande amore verso Dio”, come ha detto un testimone. Umile e nello stesso tempo vero, attivo fino ai limiti del possibile, servitore disinteressato, Daniel Brottier andava avanti con audacia e semplicità perché lavorava “come se tutto dipendesse da lui, ma anche sapendo che tutto dipende da Dio”. Aveva affidato i bambini d’Auteuil a santa Teresa del Bambin Gesù che egli chiamava familiarmente in aiuto, certo del suo sostegno efficace a tutti coloro per i quali ella aveva offerto la sua vita.

Il beato Daniel Brottier ha terminato la sua opera sulla terra con un “fiat” coraggioso. Oggi noi lo sappiamo caritatevole con i poveri che l’invocano, perché comunica con l’amore del Signore che ha animato tutto il suo servizio sacerdotale.

5. Quasi contemporanea di Teresa del Bambin Gesù, Elisabetta della Trinità fece una profonda esperienza della presenza di Dio, che ella maturò, in modo impressionante, negli anni di vita al Carmelo. Noi salutiamo in lei un essere ricco di doni naturali; ella era intelligente e sensibile, pianista perfetta, apprezzata dai suoi amici, delicata nell’affezione ai suoi. Ecco che ella s’illumina nel silenzio della contemplazione, raggio della felicità di un totale oblio di sé; senza riserva, accoglie il dono di Dio, la grazia del Battesimo e della Riconciliazione; riceve ammirevolmente la presenza eucaristica di Cristo. In grado eccezionale, ella prende coscienza della comunione offerta ad ogni creatura dal Signore.

Noi osiamo oggi presentare al mondo questa religiosa claustrale che condusse una “vita nascosta con Cristo in Dio” (Col 3, 3) perché è una testimone luminosa della gioia d’essere radicati e fondati nell’amore (cf. Ef 3, 17). Ella celebra lo splendore di Dio, perché si sa abitata nell’intimo dalla presenza del Padre, del Figlio e dello Spirito nella quale ella riconosce la realtà dell’amore infinitamente vivo.

Anche Elisabetta ha conosciuto la sofferenza fisica e morale. Unita a Cristo crocifisso, ella s’è totalmente offerta, compiendo nella sua carne la passione del Signore (cf. Col 1, 24), sempre certa d’essere amata e di poter amare. Ella compie nella pace il dono della sua vita beata.

Alla nostra umanità disorientata che non sa più trovare Dio o che lo sfigura, che cerca una parola sulla quale fondare la sua speranza, Elisabetta dà la testimonianza di una disponibilità perfetta alla parola di Dio che ella ha assimilato al punto da nutrire realmente di essa la sua riflessione e la sua preghiera, al punto da trovare in essa tutte le ragioni per vivere e consacrarsi alla lode della sua gloria.

Questa contemplativa, lungi dall’isolarsi, ha saputo comunicare alle sue sorelle e al suo prossimo la ricchezza della sua esperienza mistica. Il suo messaggio si diffonde oggi con una forza profetica. Noi la invochiamo: discepola di Teresa di Gesù e di Giovanni della Croce, che ella ispiri e sostenga tutta la famiglia del Carmelo; che aiuti molti uomini e donne, nella vita laicale o nella vita consacrata, a ricevere e ad essere partecipi dei “fiotti di carità infinita” che ella raccoglieva “alla fonte della vita”.

6. Rivolgendo il suo sguardo su queste tre alte figure, la Chiesa desidera oggi professare la fede apostolica nel regno di Cristo, desidera affermare di credere che egli regna realmente.

Car le Christ “est ressuscité d’entre les morts, pour être parmi les morts le premier ressuscité” (1 Cor. 15, 20).

Dans l’histoire des hommes vaincus par la mort, Il a, le premier, remporté la victoire sur la mort.

C’est une victoire pour lui - et, en même temps, c’est une victoire pour nous.

“C’est en Adam que meurent tous les hommes; c’est dans le Christ que tous revivront” (Ibid. 15, 22).

Tous ceux qui lui appartiennent par la grâce et l’amour ont en eux la Vie nouvelle: la Vie du Royaume que le Père a préparé “depuis la création du monde”.

Dans cette Vie nouvelle s’épanouira la victoire du Christ sur tout ce qui est contraire au règne de Dieu dans la création visible et invisible. “C’est lui, en effet, qui doit régner jusqu’au jour où "il aura mis sous ses pieds tous ses ennemis". Et le dernier ennemi qu’il détruira, c’est la mort” (Ibid. 15, 25-26).

7. El Padre eterno no solamente ha preparado desde la creación del mundo el Reino de gracia y amor, el Reino de vida nueva y de vida eterna.

A la vez el Padre celestial “ha asignado como tarea” este Reino a su Hijo Eterno, cuando se hizo hombre.

Todos los que de cualquier nación, generación, raza, siglo e Iglesia en la tierra, han aceptado participar en esta tarea salvífica y redentora, pertenecen a Cristo. Ellos esperan asimismo el testimonio definitivo, cuando Cristo, con su llegada al fin del mundo, “entregue a Dios Padre el Reino” (Ibid. 15, 24).

El Reino de Dios se completará más allá del término de la historia humana. Se realizará donde tuvo su inicio: en el amor del Padre correspondido hasta el final por el amor del Hijo.

“Cuando le queden sometidas todas las cosas, entonces el mismo Hijo se sujetará a quien a El todo se lo sometió, para que sea Dios en todas las cosas” (1 Cor. 15, 28).

Este es el sentido definitivo del Reino de Dios: Dios que es todo en todos. Los que han aceptado este sentido, abriendo al mismo sus corazones y sus obras, son bienaventurados.

“Venid, benditos de mi Padre, tomad posesión del Reino . . .”.