Filippo Smaldone

Filippo Smaldone

(1848-1923)

Beatificazione:

- 12 maggio 1996

- Papa  Giovanni Paolo II

Canonizzazione:

- 15 ottobre 2006

- Papa  Benedetto XVI

- Piazza San Pietro

Ricorrenza:

- 4 giugno

Sacerdote diocesano, fondatore della Congregazione delle Suore Salesiane dei Sacri Cuori, si dedicò con ardente impegno alla cura dei sordi e dei ciechi bisognosi e alla loro formazione umana e cristiana

  • Biografia
  • Omelia
  • omelia di beatificazione
“Come ci si prostra davanti al Santissimo Sacramento, così bisogna inginocchiarsi dinanzi ad un sordomuto”

 

L’arco di vita di Filippo Smaldone, che si stende dal 1848 al 1923, fu contrassegnato da decenni particolarmente densi di tensioni e contrasti nei vari campi e settori della vita della società italiana, specialmente nella sua patria d’origine, e della stessa Chiesa.

Nacque a Napoli il 27 luglio del 1848, l’anno dei famosi «moti di Napoli ». Quando egli era ragazzo di dodici anni, la monarchia borbonica, alla quale era fortemente attaccata la sua famiglia, conobbe il suo rovesciamento politico, e la Chiesa, con la conquista di Garibaldi, conobbe momenti drammatici con l’esilio del suo Cardinale Arcivescovo Sisto Riario Sforza.

Non erano tempi certamente favorevoli e ben promettenti per il futuro, specialmente per la gioventù, che subiva il forte travaglio del nuovo corso socio-politico-religioso. Ebbene, fu in quella fase di crisi istituzionale e sociale che Filippo prese la decisione irrevocabile di ascendere al sacerdozio e di legarsi per sempre al servizio della Chiesa, che vedeva osteggiata e perseguitata.

E, mentre era ancora studente di filosofia e di teologia, volle già dare un’impronta di servizio caritatevole alla sua carriera ecclesiastica dedicandosi all’assistenza di una categoria di soggetti emarginati, che erano particolarmente numerosi e fin troppo abbandonati in quei tempi a Napoli: i sordi.

In questa sua intensa attività benefica si applicò e si distinse molto più che negli studi, per cui ebbe scarso successo in alcuni esami premessi alla ricezione degli ordini Minori; ciò provocò il suo assaggio dalla arcidiocesi di Napoli a quella di Rossano Calabro, il cui Arcivescovo Mons. Pietro Cilento lo accolse generosamente in considerazione della sua bontà e del suo ottimo spirito ecclesiastico.

Nonostante il cambio canonico di diocesi, — che peraltro durò solo pochi anni, perché in seguito, nel 1876, fu reincardinato a Napoli — con licenza del suo nuovo Arcivescovo, restò a Napoli, dove proseguì gli studi ecclesiastici sotto la guida di uno dei Maestri del celebre Almo Collegio dei Teologi, mentre proseguiva con immutata dedizione la sua opera di assistenza ai sordi. Mons. Pietro Cilento, che lo stimava, volle ordinarlo personalmente a Napoli suddiacono il 31 luglio 1870. Il 27 marzo 1871 fu ordinato diacono e finalmente, il 23 settembre 1871, con dispensa di alcuni mesi dall’età canonica dei 24 anni richiesti, fu ordinato sacerdote a Napoli con indicibile gaudio del suo animo buono e mite.

Appena sacerdote, iniziò un fervido ministero sacerdotale come assiduo catechista nelle cappelle serotine, che da fanciullo aveva frequentato con profitto, come collaboratore zelante in varie parrocchie, specialmente in quella di Santa Caterina in Foro Magno, come visitatore assiduo e ricercato di ammalati in cliniche, in ospedali e in case private. La sua carità raggiunse l’acme della generosità e dell’eroismo in occasione di una forte pestilenza a Napoli, dalla quale restò anche lui colpito e portato in fin di vita, e dalla quale fu guarito dalla Madonna di Pompei, che divenne la sua devozione prediletta per tutta la vita.

Ma la cura pastorale privilegiata di Don Filippo Smaldone era quella per i poveri sordi, ai quali avrebbe voluto dedicare le sue energie con criteri più idonei e convenienti, diversi da quelli che vedeva applicati dagli addetti a quel settore educativo. Gli causava, infatti, grande pena che, per quanti sforzi e tentativi si facessero, l’educazione e la formazione umano-cristiana di quegli sventurati, equiparati ai pagani, di fatto, rimanevano per lo più frustrate.

Ad un certo punto, forse per dare una espressione più diretta e concreta al suo sacerdozio, pensò di partire missionario nelle missioni estere. Ma il suo confessore, che l’aveva guidato costantemente fin dall’infanzia, gli fece conoscere che la sua «missione » era fra i sordomuti di Napoli. Da allora si tuffò interamente in questo tipo di apostolato. Lasciò la casa paterna e andò a vivere stabilmente con un gruppo di sacerdoti e laici, che intendevano istituire una Congregazione di Preti Salesiani senza peraltro venirne mai a capo. Col tempo acquistò una grande competenza pedagogica nel settore e gradatamente andò progettando di realizzare lui stesso, se così al Signore fosse piaciuto, una istituzione stabile e idonea per la cura, l’istruzione e l’assistenza umana e cristiana dei sordi.

Il 25 marzo 1885 partì per Lecce per aprire, insieme con Don Lorenzo Apicella, un istituto per sordi. Vi condusse alcune « suore », che egli era andato formando in precedenza, e gettò così le basi della Congregazione delle Suore Salesiane dei Sacri Cuori, che, benedetta e largamente sostenuta dai Vescovi di Lecce, Mons. Salvatore Luigi dei Conti di Zola e Mons. Gennaro Trama, ebbe una rapida e solida espansione.

All’istituto di Lecce, con sezioni femminile e maschile, che ebbe sedi sempre più ampie per il crescente numero degli assistiti fino all’acquisto del celebre ex-convento delle Scalze, che divenne la sede definitiva e Casa Madre, fece seguito nel 1897 quello di Bari.

Poiché il cuore compassionevole del sacerdote Smaldone non sapeva dire di no alle richieste di tante famiglie povere, ad un certo punto cominciò ad ospitare, oltre le sorde, anche le fanciulle cieche e le bambine orfane ed abbandonate. Né dimenticava i bisogni umani e morali della gioventù in genere. Aprì, infatti, diverse case con annesse scuole materne, con laboratori femminili, con  pensioni per studentesse, tra le quali una anche in Roma.

Durante la sua vita, l’Opera e la Congregazione, nonostante le dure prove, cui andò soggetta sia dall’esterno sia dall’interno medesimo, conobbero un discreto allargamento e consolidamento. A Lecce dovette sostenere una furibonda lotta da parte di una Amministrazione Comunale laica e avversa alla Chiesa. All’interno poi conobbe l’amarezza di una delicata e complessa vicenda di secessione da parte della prima Superiora Generale, che provocò una lunga Visita Apostolica. Fu soprattutto in questi due gravi frangenti che rifulsero le virtù esimie dello Smaldone, ed apparve che la sua fondazione era voluta da Dio, il quale purifica con la sofferenza i suoi figli migliori e le opere nate nel suo nome.

Per circa un quarantennio Don Filippo Smaldone fu sempre sulla breccia senza tirarsi mai indietro, prodigandosi in tutti i modi per sostenere materialmente ed educare moralmente i suoi cari sordi, verso i quali aveva affetto e cure di padre, e per formare alla vita religiosa perfetta le sue Suore Salesiane dei Sacri Cuori.

A Lecce, oltre alla universale benemerenza come direttore dell’Istituto e fondatore delle Suore Salesiane, ebbe anche quella di un intenso, molteplice ministero sacerdotale. Fu assiduo e stimato confessore di sacerdoti e seminaristi, confessore e direttore spirituale di diverse comunità religiose, fu fondatore della Lega Eucaristica dei Sacerdoti Adoratori e delle Dame Adoratrici, fu Superiore della Congregazione dei Missionari di San Francesco di Sales per le missioni popolari. Non per nulla fu decorato della Croce pro Ecclesia et Pontifice, annoverato tra i canonici della cattedrale di Lecce, decorato da una Commenda dalle Autorità civili.

Finì i suoi giorni a Lecce, sopportando con ammirata serenità, una diuturna malattia diabetica complicata da disturbi cardiocircolatori e da generale sclerosi. Si spense santamente alle ore ventuno del 4 giugno 1923, dopo aver ricevuto tutti i conforti religiosi e la benedizione dell’Arcivescovo Trama, attorniato da diversi sacerdoti, dalle sue Suore e dai sordi, all’età di 75 anni.

È stato beatificato da Giovanni Paolo II il 12 maggio 1996.

CAPPELLA PAPALE PER LA CANONIZZAZIONE DI 4 BEATI

 RAFAEL GUÍZAR VALENCIA (1878 – 1938)
FILIPPO SMALDONE (1848 – 1923) 
ROSA VENERINI (1656 – 1728) 
THÉODORE GUÉRIN (1798 – 1856)

 

OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI

Piazza San Pietro
Domenica, 15 ottobre 2006

 

Cari fratelli e sorelle!

Quattro nuovi Santi vengono oggi proposti alla venerazione della Chiesa universale: Rafael Guízar y ValenciaFilippo SmaldoneRosa Venerini e Théodore Guérin. I loro nomi saranno ricordati per sempre. Per contrasto, viene subito da pensare al "giovane ricco", di cui parla il Vangelo appena proclamato. Questo giovane è rimasto anonimo; se avesse risposto positivamente all'invito di Gesù, sarebbe diventato suo discepolo e probabilmente gli Evangelisti avrebbero registrato il suo nome. Da questo fatto si intravede subito il tema della Liturgia della Parola di questa domenica: se l'uomo ripone la sua sicurezza nelle ricchezze di questo mondo non raggiunge il senso pieno della vita e la vera gioia; se invece, fidandosi della parola di Dio, rinuncia a se stesso e ai suoi beni per il Regno dei cieli, apparentemente perde molto, in realtà guadagna tutto. Il Santo è proprio quell'uomo, quella donna che, rispondendo con gioia e generosità alla chiamata di Cristo, lascia ogni cosa per seguirlo. Come Pietro e gli altri Apostoli, come Santa Teresa di Gesù che oggi ricordiamo, e innumerevoli altri amici di Dio, anche i nuovi Santi hanno percorso questo esigente, ma appagante itinerario evangelico ed hanno ricevuto "il centuplo" già nella vita terrena insieme con prove e persecuzioni, e poi la vita eterna.

Gesù, dunque, può veramente garantire un'esistenza felice e la vita eterna, ma per una via diversa da quella che immaginava il giovane ricco: non cioè mediante un'opera buona, una prestazione legale, bensì nella scelta del Regno di Dio quale "perla preziosa" per la quale vale la pena di vendere tutto ciò che si possiede (cfr Mt 13, 45-46). Il giovane ricco non riesce a fare questo passo. Malgrado sia stato raggiunto dallo sguardo pieno d'amore di Gesù (cfr Mc 10, 21), il suo cuore non è riuscito a distaccarsi dai molti beni che possedeva. Ecco allora l'insegnamento per i discepoli: "Quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio!" (Mc 10, 23). Le ricchezze terrene occupano e preoccupano la mente e il cuore. Gesù non dice che sono cattive, ma che allontanano da Dio se non vengono, per così dire, "investite" per il Regno dei cieli, spese cioè per venire in aiuto di chi è nella povertà.

Comprendere questo è frutto di quella sapienza di cui parla la prima Lettura. Essa - ci è stato detto - è più preziosa dell'argento e dell'oro, anzi della bellezza, della salute e della stessa luce, "perché non tramonta lo splendore che ne promana" (Sap 7, 10). Ovviamente, questa sapienza non è riducibile alla sola dimensione intellettuale. È molto di più; è "la Sapienza del cuore", come la chiama il Salmo 89. È un dono che viene dall'alto (cfr Gc 3, 17), da Dio, e si ottiene con la preghiera (cfr Sap 7, 7). Essa infatti non è rimasta lontana dall'uomo, si è fatta vicina al suo cuore (cfr Dt 30, 14), prendendo forma nella legge della Prima Alleanza stretta tra Dio e Israele mediante Mosè. Nel Decalogo è contenuta la Sapienza di Dio. Per questo Gesù afferma nel Vangelo che per "entrare nella vita" è necessario osservare i comandamenti (cfr Mc 10, 19). È necessario, ma non sufficiente! Infatti, come dice San Paolo, la salvezza non viene dalla legge, ma dalla Grazia. E San Giovanni ricorda che la legge l'ha data Mosè, mentre la Grazia e la Verità sono venute per mezzo di Gesù Cristo (cfr Gv 1, 17). Per giungere alla salvezza bisogna dunque aprirsi nella fede alla grazia di Cristo, il quale però a chi gli si rivolge pone una condizione esigente: "Vieni e seguimi" (Mc 10, 21). I Santi hanno avuto l'umiltà e il coraggio di rispondergli "sì", e hanno rinunciato a tutto per essere suoi amici. Così hanno fatto i quattro nuovi Santi, che oggi particolarmente veneriamo. In essi ritroviamo attualizzata l'esperienza di Pietro: "Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito" (Mc 10, 28). Il loro unico tesoro è in cielo: è Dio.

Il Vangelo che abbiamo ascoltato ci aiuta a comprendere la figura di San Rafael Guízar y Valencia, Vescovo di Veracruz nell'amata nazione messicana, come un esempio di colui che ha lasciato tutto per "seguire Gesù". Questo Santo fu fedele alla parola divina, "viva ed efficace", che penetra nel più profondo dello spirito (cfr Eb 4, 12). Imitando Cristo povero rinunciò ai suoi beni e non accettò mai i doni dei potenti, oppure li ridonava subito. Per questo ricevette "cento volte tanto" e poté così aiutare i poveri, anche nelle "persecuzioni" senza tregua (cfr Mc 10, 30). La sua carità vissuta in grado eroico fece sì che lo chiamassero il "Vescovo dei poveri". Nel suo ministero sacerdotale e poi episcopale, fu un instancabile predicatore di missioni popolari, il modo più adeguato a quel tempo per evangelizzare le genti, usando il suo Catechismo della dottrina cristiana. Essendo la formazione dei sacerdoti una delle sue priorità, riaprì il seminario, che considerava "la pupilla dei suoi occhi" e per questo era solito dire: "A un Vescovo possono mancare la mitra, il pastorale e persino la cattedrale, ma non può mancargli il seminario, poiché dal seminario dipende il futuro della sua Diocesi". Con questo profondo senso di paternità sacerdotale affrontò nuove persecuzioni ed esilî, ma garantendo sempre la preparazione degli studenti. Che l'esempio di San Rafael Guízar y Valencia sia una chiamata per i fratelli Vescovi e sacerdoti a considerare come fondamentale nei programmi pastorali, oltre allo spirito di povertà e dell'evangelizzazione, la promozione delle vocazioni sacerdotali e religiose, e la loro formazione secondo il cuore di Gesù!

San Filippo Smaldone, figlio del Meridione d'Italia, seppe trasfondere nella sua vita le migliori virtù proprie della sua terra. Sacerdote dal cuore grande, nutrito di costante preghiera e di adorazione eucaristica, fu soprattutto testimone e servo della carità, che manifestava in modo eminente nel servizio ai poveri, in particolare ai sordomuti, ai quali dedicò tutto se stesso. L'opera che egli iniziò prosegue grazie alla Congregazione delle Suore Salesiane dei Sacri Cuori da lui fondata, e che è diffusa in diverse parti d'Italia e del mondo. Nei sordomuti San Filippo Smaldone vedeva riflessa l'immagine di Gesù, ed era solito ripetere che, come ci si prostra davanti al Santissimo Sacramento, così bisogna inginocchiarsi dinanzi ad un sordomuto. Raccogliamo dal suo esempio l'invito a considerare sempre indissolubili l'amore per l'Eucaristia e l'amore per il prossimo. Anzi, la vera capacità di amare i fratelli ci può venire solo dall'incontro col Signore nel sacramento dell'Eucaristia.

Santa Rosa Venerini è un altro esempio di fedele discepola di Cristo, pronta ad abbandonare tutto per compiere la volontà di Dio. Amava ripetere: "Io mi trovo tanto inchiodata nella divina volontà, che non m'importa né morte, né vita: voglio vivere quanto egli vuole, e voglio servirlo quanto a lui piace e niente più" (Biografia Andreucci, p. 515). Da qui, dal suo abbandono in Dio, scaturiva la lungimirante attività che svolgeva con coraggio a favore dell'elevazione spirituale e dell'autentica emancipazione delle giovani donne del suo tempo. Santa Rosa non si accontentava di fornire alle ragazze un'adeguata istruzione, ma si preoccupava di assicurare loro una formazione completa, con saldi riferimenti all'insegnamento dottrinale della Chiesa. Il suo stesso stile apostolico continua a caratterizzare ancor oggi la vita della Congregazione delle Maestre Pie Venerini, da lei fondata. E quanto attuale ed importante è anche per l'odierna società il servizio che esse svolgono nel campo della scuola e specialmente della formazione della donna!

"Andate e vendete tutto ciò che avete e offrite il ricavato ai poveri... poi venite, seguitemi". Nel corso della storia della Chiesa queste parole hanno ispirato innumerevoli cristiani a seguire Cristo in una vita di povertà radicale, confidando nella Divina Misericordia. Fra questi generosi discepoli di Cristo c'è stata una donna francese che senza riserve ha risposto alla chiamata del divino Maestro. Madre Théodore Guérin entrò nella Congregazione delle Suore della Provvidenza nel 1823 e si dedicò all'opera di insegnamento nelle scuole. Poi, nel 1839, i suoi Superiori le chiesero di recarsi negli Stati Uniti per dirigere una comunità nell'Indiana. Dopo un lungo viaggio per terra e per mare, le sei suore arrivarono a St. Mary-of-the-Woods. In mezzo alla foresta trovarono un'umile cappella di legno. Si inginocchiarono di fronte al Santissimo Sacramento e resero grazie, chiedendo a Dio di guidarle nella nuova fondazione. Con grande fiducia nella Divina Provvidenza, Madre Théodore superò molte sfide e perseverò nell'opera che il Signore l'aveva chiamata a compiere. Quando morì, nel 1856, le suore gestivano scuole e orfanotrofi in tutto lo Stato dell'Indiana. Come ella stessa affermò: "Quanto bene è stato fatto dalle Suore di Saint Mary-of-the-Wood! Quanto bene ulteriore potranno fare se resteranno fedeli alla loro santa vocazione!".

Madre Théodore Guérin è una bella figura spirituale e un modello di vita cristiana. Fu sempre disponibile per le missioni che la Chiesa le affidava, e trovava la forza e l'audacia per metterle in pratica nell'Eucaristia, nella preghiera e in un'infinita fiducia nella Divina Provvidenza. La sua forza interiore la portava a rivolgere un'attenzione particolare ai poveri, e soprattutto ai bambini.

Cari fratelli e sorelle, rendiamo grazie al Signore per il dono della santità, che quest'oggi rifulge nella Chiesa con singolare bellezza. Gesù invita anche noi, come questi Santi, a seguirlo per avere in eredità la vita eterna. La loro esemplare testimonianza illumini e incoraggi specialmente i giovani, perché si lascino conquistare da Cristo, dal suo sguardo pieno d'amore. Maria, Regina dei Santi, susciti nel popolo cristiano uomini e donne come San Rafael Guízar y Valencia, San Filippo Smaldone, Santa Rosa Venerini e Santa Théodore Guérin, pronti ad abbandonare tutto per il Regno di Dio; disposti a far propria la logica del dono e del servizio, l'unica che salva il mondo. Amen!

 CAPPELLA PAPALE PER LA BEATIFICAZIONE DI SEI SERVI DI DIO

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Sagrato della Basilica Vaticana - Domenica, 12 maggio 1996

 

"Se mi amate osserverete i miei comandamenti" (cf. Gv 14, 15).

1. Quest’oggi, sesta domenica del tempo di Pasqua, la Chiesa ci invita a lodare Dio, confermando con la solenne liturgia di Beatificazione la venerazione verso i Servi di Dio Alfredo Ildefonso Schuster, Filippo Smaldone, Gennaro Maria Sarnelli, Maria Raffaella Cimatti, Cándida María de Jesús Cipitria y Barriola, María Antonia Bandrés y Elósegui.

È ad essi che si riferiscono le parole dell’odierno Vangelo: "Se mi amate osserverete i miei comandamenti". I nuovi Beati hanno osservato la Parola di Cristo e in questo modo Gli hanno dimostrato il loro amore (cf. Gv 14, 15 . 21 ).Si è compiuto in loro quanto il Signore aveva promesso ai discepoli: "Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui" ( Gv 14, 23 ).Questi Servi di Dio furono tempio vivente della Santissima Trinità; adesso si trovano nella sua dimora per l’eternità: "In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi" ( Gv 14,20 ).Hanno adorato Cristo nei loro cuori, come insegna san Pietro, "pronti sempre a rispondere" a chiunque domandasse ragione della speranza che "era in loro". Con dolcezza, rispetto e retta coscienza si sono dimostrati pronti - se questa era la volontà di Dio - a "soffrire operando il bene", piuttosto che fare il male (cf. 1 Pt 3, 15-17 ).Quanto annuncia la liturgia pasquale si è in loro pienamente attuato, secondo la specifica vocazione di ciascuno.

2. "Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui Gv 14,23 ); (cf. Canto al Vangelo).L’amore per Cristo, espresso in un instancabile servizio alla Chiesa, costituisce il cuore della spiritualità e della attività apostolica di Alfredo Ildefonso Schuster, per lunghi anni infaticabile Pastore dell’Arcidiocesi di Milano. "Uomo di preghiera, di studio e d’azione - lo definì Mons. Giovanni Battista Montini nel discorso tenuto in occasione dell’ingresso nell’Arcidiocesi -, di non altro sollecito che della salvezza spirituale del suo popolo" ("Rivista diocesana Milanese", gennaio 1955, 9).Lo spirito di preghiera e di contemplazione, proprio della tradizione benedettina nella quale era stato formato, animò il suo ministero pastorale. La spiritualità monastica, sorretta dalla quotidiana meditazione della Sacra Scrittura, venne così come dilatata sia nell’attiva collaborazione con la Santa Sede sia nel generoso servizio alla Comunità Ambrosiana, "da lui sino alla fine edificata e confortata con la celebrazione assidua e devota dei Sacri Misteri e l’esempio di una vita limpida e coerente" ("Messale ambrosiano", Prefazio della memoria).Il Cardinale Schuster offrì al Clero milanese un luminoso esempio di come possano essere armonizzate la contemplazione e l’azione pastorale. Egli continua ancora oggi ad indicare ad ogni sacerdote e ad ogni persona chiamata a lavorare nella vigna del Signore, il supremo valore dell’amore verso Dio, fondamento della comunione fraterna e dell’apostolato. "Alla fine - egli scrisse - ciò che conta per la vera grandezza della Chiesa e dei suoi figli è l’amore" (Scritti, p. 27)

3. "Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui" ( Gv 14, 21 ). La carità verso Dio e verso il prossimo è stata intensamente vissuta ed incarnata anche dal sacerdote leccese Filippo Smaldone, la cui esistenza fu contrassegnata da costante attenzione verso i poveri e da straordinario slancio apostolico. Questo grande testimone della carità intuì di dover adempiere la propria missione nel Mezzogiorno d’Italia, rivolgendosi in modo particolare alla cura ed alla educazione dei non udenti per inserirli attivamente nella società.La sua intensa e solida spiritualità sacerdotale, nutrita di preghiera, di meditazione e di penitenza anche corporale, lo spinse ad un servizio sociale aperto a quelle intuizioni precorritrici che l’autentica carità pastorale sa suscitare.Questo generoso Sacerdote, perla del Clero meridionale, fondatore delle Suore Salesiane dei Sacri Cuori, impegnate in modo prioritario nell’educazione dei Sordomuti, viene oggi proposto alla venerazione della Chiesa universale, affinché tutti i fedeli, seguendone l’esempio, sappiano testimoniare il Vangelo della carità nel nostro tempo, in particolare mediante la sollecitudine verso i più bisognosi.

4. "Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori" ( 1 Pt 3, 15 ). Queste parole della Lettera di san Pietro ben pongono in luce l’intensa e feconda attività apostolica che Gennaro Maria Sarnelli, Redentorista, svolse sia attraverso la predicazione al popolo che con i numerosi scritti. L’intima comunione personale che egli intratteneva con Cristo fu la costante sorgente del suo instancabile zelo pastorale.La sua vicenda umana e religiosa, come quella di sant’Alfonso Maria de Liguori di cui fu amico e collaboratore, si espresse in modo particolare, in una spiccata sensibilità verso i poveri, avvicinati ed accolti nella luce della loro realtà di figli di Dio.La sua fu un’azione evangelizzatrice caratterizzata da grande dinamismo: egli seppe conciliare l’impegno missionario con l’attività di scrittore e col ministero, non meno impegnativo, di consigliere e guida spirituale. Pur procedendo secondo gli schemi culturali del tempo, il nuovo Beato non trascurò mai di cercare forme rinnovate di evangelizzazione per rispondere alle sfide emergenti. E per questo, pur essendo vissuto in un periodo storico sotto molti aspetti distante dal nostro, Gennaro Maria Sarnelli può essere indicato alla comunità cristiana di oggi, alle soglie del nuovo millennio, quale esempio di apostolo aperto ad accogliere ogni utile innovazione per un annuncio più incisivo del perenne messaggio della salvezza.

5. "Sia benedetto Dio... non mi ha negato la sua misericordia" ( Sal 65, 20 ). La Misericordia divina è la chiave di lettura della spiritualità semplice e profonda di Maria Raffaella Cimatti, religiosa delle Suore Ospedaliere della Misericordia. Alla infinita misericordia di Dio, di cui parla il salmista, ella ispirò la sua azione, specialmente nel servizio ai poveri ed ai sofferenti. Questa donna, che oggi viene elevata agli onori degli altari, consumò se stessa nella totale consacrazione a Dio e nel silenzioso e diuturno servizio agli ammalati. Visse con spirito di sacrificio e con sempre pronta disponibilità sia le umili mansioni quotidiane, sia l’ascolto e l’accoglienza di quanti a lei ricorrevano in cerca di consiglio o di conforto, sia i compiti di responsabilità ai quali fu ripetutamente chiamata.Nel nostro tempo, segnato non di rado dall’indifferenza e dalla tentazione di chiudersi di fronte alle necessità del prossimo, questa umile religiosa costituisce un luminoso esempio di femminilità pienamente realizzata nel dono di sé. Essa annuncia e testimonia la speranza evangelica, manifestando a quanti soffrono nel corpo e nello spirito il volto di "Dio, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione" ( 2 Cor 1, 4 ).Quindi il Santo Padre ha continuato in lingua spagnola. Delle sue parole pubblichiamo qui di seguito una nostra traduzione italiana:

6. Osservare i comandamenti di Gesù è la prova suprema dell’Amore per Lui (cf. Gv 14, 21 ). Così lo intense Madre Cándida María de Jesús Cipitria y Barriola, che già in gioventù diceva: "sono solo per Dio" e al momento della sua morte affermava: "dei quarant’anni della mia vita religiosa non ricordo un solo momento che non sia stato dedicato a Dio". La sua profonda esperienza dell’amore di Dio per ognuna delle sue creature la portò a corrispondere con generosità e dedizione. Plasmò la sua carità verso il prossimo nella fondazione della Congregazione delle Figlie di Gesù, con il carisma dell’educazione cristiana dell’infanzia e della gioventù. Le attenzioni che prodigava alle sue religiose, ai benefattori delle sue opere, ai sacerdoti, alle allieve, ai bisognosi, fino a renderle universali, sono una manifestazione visibile del suo amore verso Dio, della sua radicale sequela di Gesù e della sua totale consacrazione alla causa del suo Regno.Madre Cándida disse un giorno a un’allieva del suo Collegio di Tolosa: "tu sarai Figlia di Gesù". La giovane era María Antonia Bandrés Elósegui, che oggi è elevata con la Fondatrice agli onori degli altari. Innamorata di Gesù, fece sì che anche gli altri lo amassero. Come catechista, formatrice di operaie, missionaria nel desiderio essendo già religiosa, consumò la sua breve esistenza condividendo, amando e servendo gli altri. Nella sua malattia, unita a Cristo, ci ha lasciato un esempio eloquente di partecipazione all’opera salvifica della croce.La testimonianza delle vite di queste due nuove Beate colma di gioia la Chiesa e deve portare la loro Congregazione, presente in tanti Paesi dell’Europa, dell’America e dell’Asia a seguire i loro ricchi insegnamenti, il modello del loro dono di sé e la perseveranza nella loro fedeltà al carisma ricevuto dallo Spirito.

7. "Acclamate a Dio da tutta la terra,
cantate alla gloria del suo nome,
date a lui splendida lode.
Dite a Dio: Stupende sono le tue opere" ( Sal 65, 1-3 ).Tra le meraviglie che Dio compie continuamente, riveste singolare importanza l’opera meravigliosa della santità, perché riguarda direttamente la persona umana.La santità è la pienezza della vita: Gloria Dei vivens homo. La gloria di Dio è l’uomo vivente. Vita autem hominis visio Dei: ma la vita dell’uomo è la visione di Dio (cf. S. Ireneo, Adv. haer., IV, 20, 7).Grandi sono le tue opere, o Signore! Nella vita e nella fede di Maria, Madre della Chiesa; nella vita e nella fede di questi nostri fratelli e sorelle, oggi proclamati Beati, contempliamo le meraviglie del tuo amore.Insieme con loro acclamiamo: Gloria e lode a te, o Cristo, Redentore del mondo. Amen!