Francesca Romana

Francesca Romana

(1384-1440)

Canonizzazione:

- 29 maggio 1608

- Papa  Paolo V

- Basilica Vaticana

Ricorrenza:

- 9 marzo

Religiosa, che, sposata in giovane età e vissuta per quarant’anni nel matrimonio, fu moglie e madre di specchiata virtù, ammirevole per pietà, umiltà e pazienza. In tempi di difficoltà, distribuì i suoi beni ai poveri, servì i malati e, alla morte del marito, si ritirò tra le oblate che ella stessa aveva riunito a Roma sotto la regola di san Benedetto

  • Biografia
  • Omelia
  • Discorso Benedetto XVI
La Santa di Roma

 

C’è una tunica di panno grezzo, color verde scuro, che gira tra i vicoli di una Roma orfana della sua antica maestà. Che passa svelta tra pezzi di muri semidiroccati che spuntano qua e là come denti marci, lungo strade dove una volta svettava la gloria di chiese e palazzi e adesso, agli inizi del Quattrocento, annida la miseria più fetida. Eppure la veste povera stona con il portamento di chi la indossa, una donna sui trent’anni, bella senza essere vistosa, elegante ma senza freddezza. Perché di questo si tratta, di una nobile romana, moglie di Lorenzo, giovanotto di un prestigioso casato.

La donna si chiama Francesca Bussa in Ponziani e il suo “originale” atteggiamento suscita ormai lo scherno dei signori, il pettegolezzo feroce delle loro matrone, bollata come traditrice del proprio rango.

Già perché, incurante delle dicerie, e con quella disarmante grazia che conquista tutti, Francesca non solo ha trasformato il palazzo di Trastevere dove vive in una “centrale” di soccorso per i poveri – anche lo straccione più reietto sa che a casa Ponziani troverà un pezzo di pane e un bicchiere di vino, un abito più decente, qualche soldo – ma è arrivata a tendere di persona la mano all’uscita dalle chiese o a bussare alle porte dei nobili suoi pari per chiedere l’elemosina al posto di chi si vergogna di farlo.

A questa sua energia anticonvenzionale si arrendono anche i familiari. Quando per esempio il suocero, esasperato dai continui “prelievi” a favore dei mendicanti, le toglie le chiavi delle dispense e svuota il granaio di famiglia, qualche giorno dopo lì dov’era rimasta solo la pula ci sono di nuovo quintali di ottimo frumento. E nessuno lo aveva ricomprato.

Una donna diversamente ricca, diversamente nobile Francesca. Ricca, anzi traboccante di pietà, che si ricorda di chiunque sia dimenticato, che tratta uomini e donne della servitù come fossero suoi fratelli e sorelle – lo testimonieranno loro stessi. E nobile senza che una seta o un gioiello ne rimarchino lo status (lei anzi li ha venduti tutti per sfamare e curare).

La sua è una gioia che non tintinna in un forziere nascosto, visibile a pochi, ma sta in un cuore totalmente aperto a tutti, giorno e notte, come il portone di casa, perché non si rimanda indietro a mani vuote Gesù che viene a chiedere nei panni di un povero.

Francesca, divenuta moglie e madre giovanissima, è molto affettuosa con il marito e con i tre figli, due dei quali perde troppo presto. Da ragazzina sognava di consacrarsi ma anche se il matrimonio è frutto di uno di quei classici accordi dell’epoca tra famiglie altolocate, ha trovato il modo di vivere il suo ruolo senza soffocare la spinta al servizio, che le viene da una fede innervata dalla preghiera e irrobustita, come usava a quel tempo, con una serie di penitenze fisiche. Sono documentati assalti demoniaci contro la sua persona, fatti di violenze e percosse, e anche molti segni e guarigioni straordinari al pari della carità di “Ceccolella”, come viene chiamata in giro.

Nel 1436, rimasta vedova, Francesca si ritira nel monastero dove vivono le “Oblate della Santissima Vergine” da lei fondate. E quando il 9 marzo 1440 muore, per tre giorni la gente si mette in fila per salutare commossa colei che tutti già chiamano la “Santa di Roma”.

SANTA MESSA NELLA BASILICA DI SANTA MARIA NOVA A ROMA

OMELIA DEL CARDINALE ANGELO SODANO

II Domenica di Quaresima, 5 marzo 2006

 

Cari Concelebranti,
Fratelli e sorelle nel Signore!

La festa di santa Francesca Romana cade in Quaresima e la liturgia di questo tempo ci richiama alla necessità della purificazione interiore, attraverso la preghiera, il digiuno e le opere di misericordia. Ma questo può senz'altro essere anche il messaggio che ci viene dalla nostra Santa, tutta dedita ad una vita di orazione e di carità, che suscitava ammirazione fra i romani del suo tempo.

1. Una donna eccezionale

Cinque secoli e mezzo ci separano da quel lontano 9 marzo del 1440, giorno in cui Francesca spirava nella sua casa di Tor de' Specchi, all'età di appena 56 anni. Però, la sua fame di santità perdura intatta fino ai giorni nostri.

Leggendo la sua vita, sembra di imbatterci in una di quelle donne forti, di cui sono pieni i Libri Sacri e le pagine della storia della Chiesa. Esempio di donna forte, prima nella vita familiare, poi in quella monastica. Esempio di donna generosa, votata interamente alle opere di carità, in una Roma che all'inizio del 1400, era provata da carestie e pestilenze.

Devota frequentatrice di questa nostra chiesa di S. Maria Nova, quante volte la nostra Santa avrà qui sentito risuonare le parole di Gesù che oggi l'Evangelo ci ha riproposto: 

"Convertitevi e credete al Vangelo!" (Mc 1, 15). Sotto la guida sapiente dei Padri Olivetani che da più di un secolo erano già presenti in questa chiesa, Francesca si formò nella via della perfezione evangelica. Rimasta vedova, si consacrò ad una più intensa vita religiosa nella famiglia delle Oblate Benedettine. Era la festa dell'Assunta, il 15 agosto del 1425, allorquando, all'età di 41 anni, in questa stessa chiesa essa pronunciava la sua solenne formula di offerta al Signore nelle mani del Delegato dell'Abate di Monte Oliveto Maggiore, impegnandosi a servire ancor più generosamente il Signore ed i fratelli, in una vita intensa di carità.

2. La fiamma dell'amore

Roma, alla fine del 1300 ed all'inizio del 1400, era veramente in uno stato pietoso. La città entro le Mura Aureliane era ridotta a circa 25.000 abitanti, secondo alcuni storici, decimata com'era stata da guerre, carestie e pestilenze.

Pur appartenendo all'antica famiglia aristocratica dei Ponziani, la nobildonna Francesca non disdegnò di chinarsi al servizio dei più umili nei quartieri di Trastevere, di Campo Marzio, del Rione Parione o del Palatino. Francesca poteva così realizzare quell'apostolato sociale, che rimane anche oggi insostituibile, in ogni tipo di società. Il fuoco interiore che l'animava era il monito di Cristo: "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri" (Gv 13, 35). E la carità fraterna divenne la regola ispiratrice della sua vita.

3. Il suo mondo interiore

Donna d'azione, Francesca però attingeva da una intensa vita di preghiera la forza necessaria per il suo apostolato sociale. Il Signore le concesse anche delle grazie straordinarie, così come aveva fatto a due altre grandi mistiche del tempo, s. Caterina da Siena e s. Brigida di Svezia.

Tipica rimane anche la sua familiarità con l'Angelo Custode, di cui era devotissima. Egli le appariva sul suo cammino, difendendola dai pericoli e rischiarandole la strada durante la notte. E fu appunto per questo che il Papa Pio XI nel 1925 volle proclamare s. Francesca Romana Patrona degli automobilisti, perché dal cielo, insieme agli Angeli Custodi, ottenesse protezione per chi percorre le strade delle nostre città.

E questa è la ragione per la quale ogni anno, nella festa di s. Francesca, l'Automobile Club di Roma invita i suoi soci ad affidarsi alla protezione della Santa. Ed anch'io, dopo questa Santa Messa, mi recherò sugli spalti di Via dei Fori Imperiali per invocare l'intercessione della nostra Santa sugli automobilisti di Roma.

4. Il suo amore per i poveri

Miei fratelli, prima di terminare questa rievocazione di s. Francesca Romana, vorrei ancora invitarvi ad accogliere il suo messaggio di amore per i poveri. È un messaggio che ci rivolgono i Santi di tutti i tempi, da s. Lorenzo, il diacono di Roma che morì servendo i sofferenti del suo tempo, fino a Madre Teresa di Calcutta, celebre in tutto il mondo per le sue opere di carità. Io stesso ebbi la grazia di rappresentare il compianto Santo Padre Giovanni Paolo II ai suoi funerali il 13 settembre 1997 a Calcutta.

In quell'occasione ammirai un'immensa folla di diseredati che l'acclamava come la Santa della carità. In un immenso stadio di quella città celebrai la Santa Messa e, nell'omelia, ricordai il suo programma di vita, che non era altro che il programma di vita insegnatoci da Gesù: "Qualsiasi cosa farete al più piccolo dei miei fratelli, l'avrete fatto a me" (Mt 25, 40). Citai poi nella stessa omelia una frase tipica di quella grande Santa: "Mentre voi continuate a discutere sulle cause ed i motivi della povertà, io mi inginocchierò vicino ai più poveri fra i poveri e mi preoccuperò dei loro bisogni".

A quest'impegno di carità ci ha pure recentemente richiamato il Papa Benedetto XVI con la sua Enciclica Deus caritas est, commentando appunto le parole ispirate di s. Giovanni nella sua prima lettera:  "Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui" (1 Gv 4, 16).

A questo programma di vita, si ispirò s. Francesca in una Roma sconvolta da profonde calamità. L'Urbe era davvero quella città "dagli atri muscosi e dai fori cadenti" descrittaci dal Manzoni. Le mura e gli archi erano davvero "senza gloria e senza lauro" come annotava Leopardi. Ma il programma di questa donna eccezionale, quale fu s. Francesca Romana, fu quello di tutti i giganti della santità: "Non lamento, ma azione". È questo messaggio che la nostra Santa lascia in eredità anche a noi, a distanza di sei secoli dalla sua dipartita per la Casa del Padre.

La carità fraterna divenga anche per noi una regola di vita!

VISITA AL MONASTERO DI SANTA FRANCESCA ROMANA
A TOR DE' SPECCHI

DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Monastero di Santa Francesca Romana a Tor de' Specchi
Lunedì, 9 marzo 2009

 

Care Sorelle Oblate!

Con grande gioia, dopo la visita al vicino Campidoglio, vengo ad incontrarvi in questo storico monastero di santa Francesca Romana, mentre ancora è in corso il quarto centenario della sua canonizzazione avvenuta il 29 maggio del 1608. Proprio oggi, poi, cade la festa di questa grande Santa, nel ricordo della data della sua nascita al cielo. Sono dunque particolarmente grato al Signore di poter rendere questo omaggio alla “più romana delle Sante”, in felice successione con l’incontro che ho avuto con gli Amministratori nella sede del governo cittadino. Nel rivolgere il mio saluto cordiale alla vostra comunità, e in particolare alla Presidente, Madre Maria Camilla Rea – che ringrazio per le cortesi parole con cui ha interpretato i comuni sentimenti – lo estendo al Vescovo Ausiliare Mons. Ernesto Mandara, alle studentesse ospiti e a tutti i presenti.

Come sapete, sono reduce con i miei collaboratori della Curia Romana dagli Esercizi spirituali, che coincidono con la prima settimana di Quaresima. In questi giorni ho sperimentato ancora una volta quanto siano indispensabili il silenzio e la preghiera. E ho pensato anche a santa Francesca Romana, alla sua totale dedizione a Dio e al prossimo, da cui è scaturita l’esperienza di vita comunitaria qui, a Tor de’ Specchi. Contemplazione e azione, preghiera e servizio di carità, ideale monastico e impegno sociale: tutto questo ha trovato qui un “laboratorio” ricco di frutti, in stretto legame con i monaci Olivetani di Santa Maria Nova. Il vero motore però di quanto qui si è compiuto nel corso del tempo è stato il cuore di Francesca, nel quale lo Spirito Santo riversò i suoi doni spirituali e al tempo stesso suscitò tante iniziative di bene.

Il vostro monastero si trova nel cuore della città. Come non vedere in questo quasi il simbolo della necessità di riportare al centro della convivenza civile la dimensione spirituale, per dare senso pieno alle molteplici attività dell’essere umano? Proprio in questa prospettiva, la vostra comunità, insieme con tutte le altre comunità di vita contemplativa, è chiamata ad essere una sorta di “polmone” spirituale della società, perché a tutto il fare, a tutto l’attivismo di una città non venga a mancare il “respiro” spirituale, il riferimento a Dio e al suo disegno di salvezza. È questo il servizio che rendono in particolare i monasteri, luoghi di silenzio e di meditazione della Parola divina, luoghi dove ci si preoccupa di tenere sempre la terra aperta verso il cielo. Il vostro monastero, poi, ha una sua peculiarità, che naturalmente riflette il carisma di santa Francesca Romana. Qui si vive un singolare equilibrio tra vita religiosa e vita laicale, tra vita nel mondo e fuori dal mondo. Un modello che non è nato sulla carta, ma nell’esperienza concreta di una giovane romana: scritto – si direbbe – da Dio stesso nell’esistenza straordinaria di Francesca, nella sua storia di bambina, di adolescente, di giovanissima sposa e madre, di donna matura, conquistata da Gesù Cristo, come direbbe san Paolo. Non per nulla le pareti di questi ambienti sono decorate da immagini della vita di lei, a dimostrare che il vero edificio che Dio ama costruire è la vita dei santi.

Anche ai nostri giorni, Roma ha bisogno di donne – e naturalmente anche di uomini, ma qui voglio sottolineare la dimensione femminile – donne, dicevo, tutte di Dio e tutte del prossimo; donne capaci di raccoglimento e di servizio generoso e discreto; donne che sanno obbedire ai Pastori, ma anche sostenerli e stimolarli con i loro suggerimenti, maturati nel colloquio con Cristo e nell’esperienza diretta sul campo della carità, dell’assistenza ai malati, agli emarginati, ai minori in difficoltà. E’ il dono di una maternità che fa tutt’uno con l’oblazione religiosa, sul modello di Maria Santissima. Pensiamo al mistero della Visitazione: Maria dopo aver concepito nel cuore e nella carne il Verbo di Dio, subito si mette in cammino per andare ad aiutare l’anziana parente Elisabetta. Il cuore di Maria è il chiostro dove la Parola continua a parlare nel silenzio, e al tempo stesso è la fornace di una carità che spinge a gesti coraggiosi, come pure a una condivisione perseverante e nascosta.

Care Sorelle! Grazie della preghiera con cui accompagnate sempre il ministero del Successore di Pietro, e grazie per la vostra presenza preziosa nel cuore di Roma. Vi auguro di sperimentare ogni giorno la gioia di non anteporre nulla all’amore di Cristo, un motto che abbiamo ereditato da san Benedetto, ma che ben rispecchia la spiritualità dell’apostolo Paolo, da voi venerato quale patrono della vostra Congregazione. A voi, ai monaci Olivetani e a tutti i presenti imparto di cuore una speciale Benedizione Apostolica.