Giovanni Antonio Farina

Giovanni Antonio Farina

(1803-1888)

Beatificazione:

- 04 novembre 2001

- Papa  Giovanni Paolo II

Canonizzazione:

- 23 novembre 2014

- Papa  Francesco

- Piazza San Pietro

Ricorrenza:

- 4 marzo

Vescovo di Vicenza, in vari modi si adoperò nell’azione pastorale e fondò l’Istituto delle Suore Maestre di Santa Dorotea Figlie dei Sacri Cuori per provvedere all’educazione delle ragazze povere e a tutti gli afflitti e gli emarginati.

“L’uomo della carità”; “Vescovo dei poveri”

  • Biografia
  • Omelia
  • omelia di beatificazione
  • Lettera Apostolica
"La vera scienza sta nell’educazione del cuore, cioè nel pratico timore di Dio"

 

 

VITA  E  OPERE

 

 

1. Giovinezza e formazione

Il Beato Giovanni Antonio Farina nacque a Gambellara (Vicenza) l’11 gennaio 1803 in una famiglia benestante di proprietari terrieri, ricca dei valori umani e religiosi caratteristici dell’ambiente agricolo veneto del primo Ottocento. Non essendovi scuole pub­bliche nel paese, i suoi genitori, animati da profondo spirito di fede e lungimiranza, vollero dare al figlio, fin dall’infanzia, una solida formazione religiosa e culturale. Per questo all’età di tre anni lo affidarono allo zio paterno, cappellano nella parrocchia di Locara (Vicenza): un sacerdote veramente di Dio, versato nella filosofia e nella teologia e buon oratore, amato dai fedeli che lo chiamavano “padre dei poveri”. Egli fu il precettore che diede al giovane nipote l’istruzione elementare, ginnasiale e i primi rudimenti della lingua latina; fu anche la guida, il maestro di spirito che maggiormente influì sulla formazione della sua personalità. L’educazione ricevuta dallo zio lasciò un’impronta incancellabile nell’animo del giovane che lo ebbe come modello di santità sacerdotale e di dedizione illimitata verso ogni tipo di povertà spirituale e materiale.

Non ancora quindicenne, nel 1817 entrò nel seminario vesco­vile di Vicenza, dove frequentò tutti i corsi degli studi umanistici, filosofici e teologici, come pure i corsi opzionali di retorica, giurisprudenza e sacra eloquenza. A 21 anni, quando iniziava il secondo anno di teologia, venne destinato all’insegnamento delle classi minori del seminario, rivelando le doti di maestro e di educatore che tanto lo caratterizzeranno in futuro.

Fu ordinato sacerdote il 14 gennaio 1827, all’inizio del quarto anno di teologia, in base a una norma governativa che permetteva l’ordinazione prima del compimento degli studi ai chierici parti­colarmente meritevoli. Terminato il quarto anno di teologia conseguì il diploma di catechetica e metodica che lo abilitava all’inse­gnamento nelle scuole elementari.

 

2. Sacerdote educatore

Durante i ventidue anni di ministero sacerdotale il Beato ebbe numerosi incarichi diocesani e civili; per diciotto fu docente in seminario, quindi fu nominato vice direttore della facoltà teologica. In questo ruolo egli condivise la riforma degli studi, privilegiando l’indirizzo spirituale e pastorale, in opposizione a quello prevalente­mente classico-umanistico in vigore da lunga tradizione.

Appena ordinato sacerdote, venne nominato cappellano nella parrocchia di S. Pietro in Vicenza, la più vasta e tra le più povere della città, e si dedicò al ministero «con singolare sollecitudine e zelo indefesso, confessando, predicando la Divina parola, e disimpe­gnando tutti gli altri doveri parrocchiali per lo spazio di circa dieci anni, con molto vantaggio di quelle anime» come scrisse il suo vescovo.

Il Beato fece parte di un movimento di sacerdoti che promos­sero la riforma spirituale del clero, si dedicarono alla predicazione delle missioni al popolo e al sostegno vicendevole dei confratelli più bisognosi. Egli prese parte attiva alla fondazione della Congrega­zione addetta al ministero gratuito degli Esercizi Spirituali e fu vice presidente della Congregazione di mutua carità di sacerdoti, in soccorso a quelli poveri e infermi. La sua attività apostolica non gli impediva di coltivare l’amore allo studio delle scienze sacre e umanistiche, partecipando come membro di varie istituzioni culturali cittadine.

Contemporaneamente ricoprì mansioni nell’ambito civile. L’imperatore Ferdinando I d’Austria gli affidò l’incarico di direttore del Regio Liceo di Vicenza, poi della Scuola Elementare Femminile della città, quindi di censore della stampa nella Provincia di Vicenza.

Nel 1841 il vescovo Giuseppe Cappellari lo nominò canonico della cattedrale; l’anno successivo lo propose al Governo austriaco e alla S. Sede per la nomina a vescovo di Feltre e Belluno, reputandolo meritevole per «la probità, la dottrina, l’esperienza e la prudenza». Don Farina era il più giovane di tutti i candidati, ma il suo vescovo lo riteneva «per senno e virtù» degno di uno dei più importanti ministeri nella Chiesa. Non venne scelto a causa dell’età.

 

3. Fondatore di un Istituto religioso

Appena il giovane sacerdote giunse nella parrocchia di S. Pietro nel 1827, il parroco gli affidò la direzione della Pia Opera di S. Dorotea, una istituzione che offriva educazione cristiana e assistenza morale alle ragazze, introdotta in Diocesi dal predicatore bergamasco il Beato Luca Passi. L’anno seguente nella stessa parrocchia veniva istituita, per iniziativa del parroco e del conte milanese Baldassare Porta, una Scuola di Carità con lo scopo di dare alle giovanette povere l’educazione e la preparazione ai lavori femminili.

Affidata prevalentemente a personale laico, la Scuola andò presto declinando e dopo due anni fu sul punto di chiudere. Venne offerta la direzione al giovane sacerdote Farina che, malgrado i suoi vari impegni, riconobbe in tale proposta una nuova chiamata del Signore e l’accolse con prontezza. Egli progettò un piano completo di riforma, che comprendeva un regolamento per i direttori, i collaboratori, le fanciulle e le preghiere quotidiane. La Scuola del Farina iniziò il 1° ottobre 1831, con la collaborazione di alcuni amici laici e religiosi e un maestro per l’insegnamento dei programmi scolastici. Egli chiese subito alle autorità imperiali il riconoscimento della Scuola, ottenendone l’approvazione nel 1834. Così la sua istituzione si trovò ad essere la prima scuola popolare femminile della Provincia di Vicenza.

Alcune difficoltà createsi ripetutamente con le maestre della scuola, maturarono in don Giovanni Antonio l’urgenza di cambiare il personale addetto all’educazione delle fanciulle. Egli comprese che i docenti laici non potevano realizzare con continuità quell’ideale di dedizione totale e disinteressata che richiedeva l’opera educativa da lui iniziata. Per questo l’11 novembre 1836 fondò le Suore Maestre di S. Dorotea Figlie dei Sacri Cuori, un istituto religioso che assi­curava «maestre di provata vocazione, consacrate al Signore e dedite interamente all’educazione delle fanciulle povere».

A quest’opera il Beato dedicò le sue migliori energie nella for­mazione delle suore e nell’assistenza apostolica e finanziaria. Volle che le sue religiose si dedicassero, oltre che alle fanciulle povere, anche a quelle di buona famiglia, alle sordomute e alle cieche. Ab­bracciò forme di carità rispondenti alle concrete necessità del tem­po, inviando le sue suore all’assistenza degli ammalati e degli anziani negli ospedali, nei ricoveri e a domicilio. Curò la prepara­zione pro­fes­sionale delle religiose educatrici e infermiere, raccoman­dando loro soprattutto lo spirito di carità evangelica fino all’eroismo, nell’assi­stenza dei malati e nel delicato compito educativo della gioventù.

Il 1° marzo 1839 ottenne da papa Gregorio XVI il decreto di lode per l’Istituto. Nonostante le leggi eversive italiane del 1866 riuscì a salvarlo dalla soppressione delle corporazioni religiose. Alla sua morte 330 suore erano presenti in 48 case filiali, con opere educative e assistenziali diffuse in varie province del Veneto. Le regole da lui elaborate rimasero in vigore fino al 1905, quando l’Istituto ottenne l’approvazione pontificia da papa Pio X, che era stato ordinato sacerdote dal vescovo Farina.

 

4. Vescovo di Treviso e di Vicenza

I frutti evidenti dell’opera educativa, pastorale e sociale del sacerdote Farina lo posero in luce, tanto da essere definito «vir caritatis» nella proposta di nomina vescovile inviata all’Imperatore Francesco Giuseppe e alla Segreteria di Stato vaticana. Nel 1850 fu eletto vescovo di Treviso e ricevette la consacrazione episcopale il 19 gennaio 1851.

Giunto nella sede vescovile, iniziò la sua opera svolgendo una multiforme attività apostolica, curando la formazione dottrinale e culturale del clero e dei fedeli. Compì subito la visita pastorale in tutta la diocesi; istituì nelle parrocchie varie associazioni di carattere caritativo, organizzando in maniera capillare l’aiuto materiale e spirituale ai bisognosi, tanto che il popolo lo chiamava «il vescovo dei poveri». Il decennio di episcopato a Treviso fu turbato da alcune questioni giurisdizionali secolari con il Capitolo della cattedrale. Tali controversie gli crearono una profonda sofferenza e condizionarono la realizzazione dell’intero suo programma pastorale, che prevedeva la celebrazione del sinodo diocesano, la riforma del seminario e delle parrocchie, la formazione del clero e una rete di beneficenza per tutti i bisognosi. La vertenza, affidata alla Congregazione del Concilio, si concluse a favore dei diritti episcopali, ma nel frattempo aveva compromesso il futuro lavoro pastorale del Beato che chiese e ottenne dal Papa il suo trasferimento.

Nel 1860 venne nominato alla sede vescovile di Vicenza dove fece il suo ingresso in forma privata, donando ai poveri quanto gli sarebbe servito per la cerimonia solenne. Nella sua nuova diocesi mise in atto un vasto programma di rinnovamento e svolse fino alla morte una imponente opera pastorale e culturale. Indisse il sinodo diocesano che non veniva celebrato dal 1718; compì la visita pasto­rale percorrendo talvolta vari chilometri a piedi o con la mula, per raggiungere anche i paesini di montagna che non avevano mai visto un vescovo. Svolse un’ampia e capillare attività pastorale orien­tata alla formazione culturale e spirituale del clero e dei fedeli, all’istru­zione della gioventù, all’insegnamento catechistico dei fanciulli, alla riforma degli studi e della disciplina in seminario. Istituì numerose confraternite con scopi spirituali e assistenziali, per il soccorso ai poveri e ai sacerdoti anziani e per la predicazione degli esercizi spirituali al popolo; incrementò una profonda devozione al Sacro Cuore di Gesù, alla Vergine Maria e all’Eucarestia, raccoman­dando la Comunione quotidiana ai fedeli e alle suore. Tra il dicembre 1869 e il giugno 1870 partecipò al Concilio Vaticano I, ove fu tra i soste­nitori della definizione dell’infallibilità pontificia, sottoscriven­do il postulato definizionista e la richiesta di anticipare la discussione del dogma.

Gli ultimi anni della sua vita furono contrassegnati da pubblici riconoscimenti per la sua intensa attività apostolica e la sua grande carità, ma anche da profonde sofferenze e da ingiuste accuse di fronte alle quali egli reagì con il silenzio, la tranquillità interiore e il perdono, con fedeltà alla propria coscienza e con perseveranza nel fare il bene, fedele alla regola suprema della «salute delle anime».

Le 120 lettere pastorali e le 456 circolari, che il Beato scrisse nei 38 anni di episcopato tra Treviso e Vicenza, rivelano quanto importanza avesse per lui questo mezzo di comunicazione e di formazione spirituale del clero e dei fedeli. Un mese prima della morte, nell’ultima sua pastorale, egli raccomandava l’insegnamento della dottrina cristiana ai fanciulli e il catechismo agli adulti, e insisteva sull’idea di coinvolgere nell’opera della catechesi anche i laici, anticipando quanto la Chiesa ha maturato in tempi più recenti.

 

 

5. Morte e fama di santità

Dopo una prima grave malattia nel 1886, le sue forze fisiche si indebolirono gradualmente, fino all’attacco di apoplessia che lo portò alla morte. Si spense santamente il 4 marzo 1888, lasciando attorno a sé una evidente fama di santità che si diffuse e andò crescendo non solo tra le sue suore, ma anche negli ambienti ecclesiastici e civili italiani e di vari Paesi del mondo. Chi parlava di lui lo chiamava padre dei poveri, sacerdote esemplare, pastore santo, instancabile nel ministero episcopale, generoso nelle fatiche.

Nel 1987 un convegno internazionale di studi storici su Il vescovo Giovanni Antonio Farina e il suo Istituto nell’Ottocento veneto liberò la sua figura dai pregiudizi creati da certa storiografia, mettendone in luce la vera immagine. Emerse così la dimensione pastorale e caritativa del Beato, che venne definito da eminenti studiosi, come lo storico Gabriele De Rosa, «uno dei più grandi protagonisti della storia della pietà veneta dell’Ottocento».

 

 

 

"ITER" DELLA CAUSA

 

 

a) In vista della beatificazione

 

La Causa di beatificazione e canonizzazione iniziò nel 1981 con la nomina della Commissione Storica da parte del vescovo di Vicenza. Dal 1990 al 1992 venne istruita l’Inchiesta diocesana sulla vita, le virtù e la fama di santità del Servo di Dio.

La Positio super vita et virtutibus venne sottoposta allo studio dei Consultori Storici e ottenne unanime parere positivo il 29 febbraio 2000; uguale parere ottenne il 12 dicembre 2000 dal Congresso dei Consultori Teologi, e il 20 febbraio 2001 dalla Sessione Ordinaria dei Padri Cardinali e Vescovi.

Il 24 aprile 2001 Papa Giovanni Paolo II promulgò il Decreto sull’eroicità delle virtù.

Dal 1985 al 1987 nella Diocesi di Treviso si era svolta l’Inchiesta diocesana su un presunto miracolo, avvenuto per interces­sione del Servo di Dio: una suora ecuadoriana era stata guarita da un grave tumore con metastasi. Il caso venne esaminato e ottenne esito positivo all’unanimità: il 25 gennaio 2001 dalla Consul­ta Medica, il 29 maggio 2001 dai Consultori Teologi, il 3 luglio 2001 dalla Congregazione Ordinaria dei Padri Cardinali e Vescovi.

Il 7 luglio 2001 fu promulgato il Decreto sul miracolo.

Il 4 novembre 2001, in Piazza San Pietro a Roma, il Santo Padre Giovanni Paolo II lo proclamò Beato.

 

b) In vista della canonizzazione

 

In vista della canonizzazione, la Postulazione ha presentato alla Congregazione delle Cause dei Santi un’Inchiesta diocesana su un asserito parto miracoloso avvenuto in Andhra Pradesh, Sud India, lo stesso anno della beatificazione.

Si tratta di una puerpera affetta da epatite B, con marcata iper­bilirubinemia, anemia e piastrinopenia, ad alto rischio emorragico e con rischio di danno neurologico per il feto nato pretermine. Nonostante la diagnosi molto riservata “quoad vitam” e “quoad valetudinem” per la madre e per il feto, in seguito all’invocazione del Beato Giovanni Antonio Farina, il parto si risolse con esito inspiegabilmente positivo, in disagiate condizioni ambientali, senza che si verificassero complicazioni emorragiche per la madre e senza danni neurologici per la neonata.

La Consulta Medica ha esaminato il caso il 14 aprile 2005, ritenendo unanimemente il fatto scientificamente inspiegabile.

Il Congresso Peculiare dei Consultori Teologi, svoltosi il 28 novembre 2013, ha espresso parere positivo all’unanimità.

Nella Congregazione Ordinaria del 18 marzo 2014 i Padri Cardinali e Vescovi hanno ritenuto l’evento un miracolo attribuito alla intercessione del Beato Giovanni Antonio Farina.

Il Santo Padre Francesco ha autorizzato la pubblicazione del decreto sul miracolo. 

CERIMONIA DI CANONIZZAZIONE DEI BEATI:
 - GIOVANNI ANTONIO FARINA 
- KURIAKOSE ELIAS CHAVARA DELLA SACRA FAMIGLIA 
- LUDOVICO DA CASORIA 
- NICOLA DA LONGOBARDI 
- EUFRASIA ELUVATHINGAL DEL SACRO CUORE
- AMATO RONCONI

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo, Re dell'Universo
Piazza San Pietro 
Domenica, 23 novembre 2014

 

La liturgia oggi ci invita a fissare lo sguardo su Gesù come Re dell’Universo. La bella preghiera del Prefazio ci ricorda che il suo regno è «regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace». Le Letture che abbiamo ascoltato ci mostrano come Gesù ha realizzato il suo regno; come lo realizza nel divenire della storia; e che cosa chiede a noi.

Anzitutto, come Gesù ha realizzato il regno: lo ha fatto con la vicinanza e la tenerezza verso di noi. Egli è il Pastore, di cui ci ha parlato il profeta Ezechiele nella prima Lettura (cfr 34,11-12.15-17). Tutto questo brano è intessuto di verbi che indicano la premura e l’amore del Pastore verso il suo gregge: cercare, passare in rassegna, radunare dalla dispersione, condurre al pascolo, far riposare, cercare la pecora perduta, ricondurre quella smarrita, fasciare la ferita, curare la malata, avere cura, pascere. Tutti questi atteggiamenti sono diventati realtà in Gesù Cristo: Lui è davvero il “Pastore grande delle pecore e custode delle nostre anime” (cfr Eb 13,20; 1Pt 2,25).

E quanti nella Chiesa siamo chiamati ad essere pastori, non possiamo discostarci da questo modello, se non vogliamo diventare dei mercenari. A questo riguardo, il popolo di Dio possiede un fiuto infallibile nel riconoscere i buoni pastori e distinguerli dai mercenari.

Dopo la sua vittoria, cioè dopo la sua Risurrezione, come Gesù porta avanti il suo regno? L’apostolo Paolo, nella Prima Lettera ai Corinzi, dice: «E’ necessario che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi» (15,25). E’ il Padre che a poco a poco sottomette tutto al Figlio, e al tempo stesso il Figlio sottomette tutto al Padre. Gesù non è un re alla maniera di questo mondo: per Lui regnare non è comandare, ma obbedire al Padre, consegnarsi a Lui, perché si compia il suo disegno d’amore e di salvezza. Così c’è piena reciprocità tra il Padre e il Figlio. Dunque il tempo del regno di Cristo è il lungo tempo della sottomissione di tutto al Figlio e della consegna di tutto al Padre. «L’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte» (1 Cor 15,26). E alla fine, quando tutto sarà stato posto sotto la regalità di Gesù, e tutto, anche Gesù stesso, sarà stato sottomesso al Padre, Dio sarà tutto in tutti (cfr 1 Cor 15, 28).

Il Vangelo ci dice che cosa il regno di Gesù chiede a noi: ci ricorda che la vicinanza e la tenerezza sono la regola di vita anche per noi, e su questo saremo giudicati. E’ la grande parabola del giudizio finale di Matteo 25. Il Re dice: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (25,34-36). I giusti domanderanno: quando mai abbiamo fatto tutto questo? Ed Egli risponderà: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).

La salvezza non comincia dalla confessione della regalità di Cristo, ma dall’imitazione delle opere di misericordia mediante le quali Lui ha realizzato il Regno. Chi le compie dimostra di avere accolto la regalità di Gesù, perché ha fatto spazio nel suo cuore alla carità di Dio. Alla sera della vita saremo giudicati sull’amore, sulla prossimità e sulla tenerezza verso i fratelli. Da questo dipenderà il nostro ingresso o meno nel regno di Dio, la nostra collocazione dall’una o dall’altra parte. Gesù, con la sua vittoria, ci ha aperto il suo regno, ma sta a ciascuno di noi entrarvi, già a partire da questa vita, facendoci concretamente prossimo al fratello che chiede pane, vestito, accoglienza, solidarietà. E se veramente ameremo quel fratello o quella sorella, saremo spinti a condividere con lui o con lei ciò che abbiamo di più prezioso, cioè Gesù stesso e il suo Vangelo!

Oggi la Chiesa ci pone dinanzi come modelli i nuovi Santi che, proprio mediante le opere di una generosa dedizione a Dio e ai fratelli, hanno servito, ognuno nel proprio ambito, il regno di Dio e ne sono diventati eredi. Ciascuno di essi ha risposto con straordinaria creatività al comandamento dell’amore di Dio e del prossimo. Si sono dedicati senza risparmio al servizio degli ultimi, assistendo indigenti, ammalati, anziani, pellegrini. La loro predilezione per i piccoli e i poveri era il riflesso e la misura dell’amore incondizionato a Dio. Infatti, hanno cercato e scoperto la carità nella relazione forte e personale con Dio, dalla quale si sprigiona il vero amore per il prossimo. Perciò, nell’ora del giudizio, hanno udito questo dolce invito: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo» (Mt 25,34).

Con il rito di canonizzazione, ancora una volta abbiamo confessato il mistero del regno di Dio e onorato Cristo Re, Pastore pieno d’amore per il suo gregge. Che i nuovi Santi, col loro esempio e la loro intercessione, facciano crescere in noi la gioia di camminare nella via del Vangelo, la decisione di assumerlo come la bussola della nostra vita. Seguiamo le loro orme, imitiamo la loro fede e la loro carità, perché anche la nostra speranza si rivesta di immortalità. Non lasciamoci distrarre da altri interessi terreni e passeggeri. E ci guidi nel cammino verso il regno dei Cieli la Madre, Maria, Regina di tutti i Santi. Amen.

La liturgia oggi ci invita a fissare lo sguardo su Gesù come Re dell’Universo. La bella preghiera del Prefazio ci ricorda che il suo regno è «regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace». Le Letture che abbiamo ascoltato ci mostrano come Gesù ha realizzato il suo regno; come lo realizza nel divenire della storia; e che cosa chiede a noi.

Anzitutto, come Gesù ha realizzato il regno: lo ha fatto con la vicinanza e la tenerezza verso di noi. Egli è il Pastore, di cui ci ha parlato il profeta Ezechiele nella prima Lettura (cfr 34,11-12.15-17). Tutto questo brano è intessuto di verbi che indicano la premura e l’amore del Pastore verso il suo gregge: cercare, passare in rassegna, radunare dalla dispersione, condurre al pascolo, far riposare, cercare la pecora perduta, ricondurre quella smarrita, fasciare la ferita, curare la malata, avere cura, pascere. Tutti questi atteggiamenti sono diventati realtà in Gesù Cristo: Lui è davvero il “Pastore grande delle pecore e custode delle nostre anime” (cfr Eb 13,20; 1Pt 2,25).

E quanti nella Chiesa siamo chiamati ad essere pastori, non possiamo discostarci da questo modello, se non vogliamo diventare dei mercenari. A questo riguardo, il popolo di Dio possiede un fiuto infallibile nel riconoscere i buoni pastori e distinguerli dai mercenari.

Dopo la sua vittoria, cioè dopo la sua Risurrezione, come Gesù porta avanti il suo regno? L’apostolo Paolo, nella Prima Lettera ai Corinzi, dice: «E’ necessario che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi» (15,25). E’ il Padre che a poco a poco sottomette tutto al Figlio, e contemporaneamente il Figlio sottomette tutto al Padre, e alla fine anche sé stesso. Gesù non è un re alla maniera di questo mondo: per Lui regnare non è comandare, ma obbedire al Padre, consegnarsi a Lui, perché si compia il suo disegno d’amore e di salvezza. Così c’è piena reciprocità tra il Padre e il Figlio. Dunque il tempo del regno di Cristo è il lungo tempo della sottomissione di tutto al Figlio e della consegna di tutto al Padre. «L’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte» (1 Cor 15,26). E alla fine, quando tutto sarà stato posto sotto la regalità di Gesù, e tutto, anche Gesù stesso, sarà stato sottomesso al Padre, Dio sarà tutto in tutti (cfr 1 Cor 15, 28).

Il Vangelo ci dice che cosa il regno di Gesù chiede a noi: ci ricorda che la vicinanza e la tenerezza sono la regola di vita anche per noi, e su questo saremo giudicati. Questo sarà il protocollo del nostro giudizio. E’ la grande parabola del giudizio finale di Matteo 25. Il Re dice: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (25,34-36). I giusti domanderanno: quando mai abbiamo fatto tutto questo? Ed Egli risponderà: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).

La salvezza non comincia dalla confessione della regalità di Cristo, ma dall’imitazione delle opere di misericordia mediante le quali Lui ha realizzato il Regno. Chi le compie dimostra di avere accolto la regalità di Gesù, perché ha fatto spazio nel suo cuore alla carità di Dio. Alla sera della vita saremo giudicati sull’amore, sulla prossimità e sulla tenerezza verso i fratelli. Da questo dipenderà il nostro ingresso o meno nel regno di Dio, la nostra collocazione dall’una o dall’altra parte. Gesù, con la sua vittoria, ci ha aperto il suo regno, ma sta a ciascuno di noi entrarvi, già a partire da questa vita – il Regno incomincia adesso – facendoci concretamente prossimo al fratello che chiede pane, vestito, accoglienza, solidarietà, catechesi. E se veramente ameremo quel fratello o quella sorella, saremo spinti a condividere con lui o con lei ciò che abbiamo di più prezioso, cioè Gesù stesso e il suo Vangelo!

Oggi la Chiesa ci pone dinanzi come modelli i nuovi Santi che, proprio mediante le opere di una generosa dedizione a Dio e ai fratelli, hanno servito, ognuno nel proprio ambito, il regno di Dio e ne sono diventati eredi. Ciascuno di essi ha risposto con straordinaria creatività al comandamento dell’amore di Dio e del prossimo. Si sono dedicati senza risparmio al servizio degli ultimi, assistendo indigenti, ammalati, anziani, pellegrini. La loro predilezione per i piccoli e i poveri era il riflesso e la misura dell’amore incondizionato a Dio. Infatti, hanno cercato e scoperto la carità nella relazione forte e personale con Dio, dalla quale si sprigiona il vero amore per il prossimo. Perciò, nell’ora del giudizio, hanno udito questo dolce invito: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo» (Mt 25,34).

Con il rito di canonizzazione, ancora una volta abbiamo confessato il mistero del regno di Dio e onorato Cristo Re, Pastore pieno d’amore per il suo gregge. Che i nuovi Santi, col loro esempio e la loro intercessione, facciano crescere in noi la gioia di camminare nella via del Vangelo, la decisione di assumerlo come la bussola della nostra vita. Seguiamo le loro orme, imitiamo la loro fede e la loro carità, perché anche la nostra speranza si rivesta di immortalità. Non lasciamoci distrarre da altri interessi terreni e passeggeri. E ci guidi nel cammino verso il regno dei Cieli la Madre, Maria, Regina di tutti i Santi.

CAPPELLA PAPALE PER LA BEATIFICAZIONE DI 8 SERVI DI DIO

OMELIA DEL SANTO PADRE

Domenica, 4 novembre 2001

 

1. "Tutte le cose ... son tue, Signore, amante della vita" (Sap 11, 26). Le parole del Libro della Sapienza invitano a riflettere sul grande messaggio di santità che ci viene proposto da questa solenne Celebrazione Eucaristica, nella quale sono stati proclamati otto nuovi Beati: Pavol Peter Gojdič, Metod Dominik Trčka, Giovanni Antonio Farina, Bartolomeu Fernandes dos Mártires, Luigi Tezza, Paolo Manna, Gaetana Sterni, María Pilar Izquierdo Albero.

Con la loro esistenza totalmente spesa per la gloria di Dio e per il bene dei fratelli, essi continuano ad essere nella Chiesa e per il mondo segno eloquente dell'amore di Dio, sorgente prima e fine ultimo di tutti i viventi.

2. "Syn človeka prišiel hada a zachráni, čo sa stratilo" (Lk 19, 10): spasiteské poslanie, zvestované Kristom v dnešnom čítaní z evanjelia poda Lukáša, hlboko poznačilo dnes blahorečených, biskupa Pavla Petra Gojdiča a  redemptoristu Metoda Dominika Trčku. Obaja, v obetavej a  hrdinskej slube gréckokatolíckej cirkvi na Slovensku, prešli tými istými trápeniami v dôsledku svojej vernosti evanjeliu a Petrovmu námestníkovi, a teraz im spoluprináleí koruna slávy.

Posilnený asketickým spôsobom ivota v Ráde svätého Bazila Vekého, Pavol Peter Gojdič, spočiatku ako biskup prešovskej eparchie, a neskôr, ako apoštolský administrátor Mukačeva, usiloval sa neúnavne o  realizáciu pastoračného programu, ktorý si vytýčil: "s pomocou Boou chcem by otcom sirôt, oporou chudobných a utešiteom trpiacich". uďmi všeobecne povaovaný za človeka "zlatého srdca", predstaviteom vtedajšej vlády sa stal skutočným "tom v oku". Po tom, čo komunistický reim postavil gréckokatolícku cirkev mimo zákona, bol zatknutý a uväznený. Tak začalo preho obdobie kalvárie, utrpenia, zlého zaobchádzania a poniovania, a po smr vo viere Kristovi a v láske k cirkvi a pápeovi.

Aj Metod Dominik Trčka vloil celý svoj ivot do sluby evanjeliu a spáse blínych, a po obetu vlastného ivota. Ako predstavený Komunity redemptoristov v Stropkove, na Východnom Slovensku, vyvíjal horlivú misionársku činnos v eparchiách prešovskej, uhorodskej a krievci. S nástupom komunizmu, spolu s ostatnými spolubratmi redemptoristami, bol odvezený do koncentračného tábora. Tam, posilnený modlitbou, s odhodlanosou a silou znášal tresty a poniovania pre evanjelium. Jeho trápenie skončilo vo väznici v Leopoldove kde, po tom čo odpustil svojim väzenským stránikom, podahol vyčerpaniu a chorobám.

 

["Il Figlio dell'uomo, infatti, è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto" (Lc 19, 10): la missione salvifica, proclamata da Cristo nell'odierno brano evangelico di Luca, è stata profondamente condivisa dal Vescovo Pavol Peter Gojdič e dal redentoristaMetod Dominik Trčka, oggi proclamati Beati. Uniti nel generoso e coraggioso servizio alla Chiesa greco-cattolica in Slovacchia, sono passati attraverso le stesse sofferenze a causa della fedeltà al Vangelo ed al Successore di Pietro e condividono ora la medesima corona di gloria. Corroborato dall'esperienza ascetica nell'Ordine di San Basilio Magno, Pavol Peter Gojdič, dapprima come Vescovo nell'Eparchia di Prešov e, in seguito, come Amministratore apostolico di Mukačev, cercò costantemente di realizzare il programma pastorale che si era proposto: "Con l'aiuto di Dio voglio diventare un padre degli orfani, aiuto dei poveri e consolatore degli afflitti". Noto alla gente come "uomo dal cuore d'oro", per i rappresentanti del governo del tempo egli era diventato una vera e propria "spina nel fianco". Dopo che il regime comunista ebbe messo fuori legge la Chiesa greco-cattolica, egli fu arrestato e internato. Cominciò così per lui un lungo calvario di sofferenze, maltrattamenti e umiliazioni, che lo portò alla morte per la sua fedeltà a Cristo e per il suo amore verso la Chiesa e verso il Papa.

Anche Metod Dominik Trčka pose tutta la sua esistenza a servizio della causa del Vangelo e della salvezza dei fratelli, giungendo fino al supremo sacrificio della vita. Come Superiore della Comunità redentorista di Stropkov, nella Slovacchia orientale, svolse una fervente attività missionaria nelle tre Eparchie di Prešov, Uhorod e Krievci. Con l'avvento del regime comunista, egli, come gli altri confratelli redentoristi, fu portato in campo di concentramento. Qui, sempre sostenuto dalla preghiera, affrontò con forza e determinazione le pene e le umiliazioni impostegli a causa del Vangelo. Il suo calvario terminò nella prigione di Leopoldov, dove, a motivo degli stenti e delle malattie, si spense dopo aver perdonato i propri aguzzini.]

3. La luminosa immagine di Pastore del Popolo di Dio, modellata sull'esempio di Cristo, ci viene oggi proposta anche dal Vescovo Giovanni Antonio Farina, il cui lungo ministero pastorale, prima nella Comunità cristiana di Treviso e poi in quella di Vicenza, fu caratterizzato da una vasta attività apostolica, costantemente orientata alla formazione dottrinale e spirituale del clero e dei fedeli. Guardando alla sua opera, dedicata alla ricerca della gloria di Dio, alla formazione della gioventù, alla testimonianza di carità verso i più poveri ed abbandonati, ritornano alla mente le parole dell'apostolo Paolo, ascoltate nella seconda Lettura: tutto deve essere compiuto affinché sia "glorificato il nome del Signore nostro Gesù" (2Ts 1, 12). La testimonianza del nuovo Beato continua ancora oggi a produrre abbondanti frutti, in particolare attraverso la Famiglia religiosa da lui fondata, le Suore Maestre di Santa Dorotea Figlie dei Sacri Cuori, tra le quali brilla la santità di Maria Bertilla Boscardin, canonizzata dal mio venerato Predecessore Papa Giovanni XXIII.

Anche nel Padre Paolo Manna, noi scorgiamo uno speciale riflesso della gloria di Dio. Egli spese l'intera esistenza per la causa missionaria. In tutte le pagine dei suoi scritti emerge viva la persona di Gesù, centro della vita e ragion d'essere della missione. In una delle sue Lettere ai missionari egli afferma: "Il missionario di fatto non è niente se non impersona Gesù Cristo... Solo il missionario che copia fedelmente Gesù Cristo in se stesso... può riprodurne l'immagine nelle anime degli altri" (Lettera 6). In realtà, non c'è missione senza santità, come ho ribadito nell'Enciclica Redemptoris missio: "La spiritualità missionaria della Chiesa è un cammino verso la santità. Occorre suscitare un nuovo ardore di santità fra i missionari e in tutta la comunità cristiana" (n. 90).

4. "Il nostro Dio vi renda degni della sua chiamata e porti a compimento, con la sua potenza, ogni vostra volontà di bene e l'opera della vostra fede" (2Ts 1,11).

Questa riflessione dell'apostolo Paolo sulla fede, che chiede di tradursi in propositi ed opere di bene, ci aiuta a meglio comprendere il ritratto spirituale del beato Luigi Tezza, fulgido esempio di un'esistenza interamente votata all'esercizio della carità e della misericordia verso quanti soffrono nel corpo e nello spirito. Per essi fondò l'Istituto delle Figlie di San Camillo, alle quali insegnò a praticare un'assoluta fiducia nel Signore. "La volontà di Dio! Ecco l'unica mia guida, egli esclamava, l'unico scopo dei miei sospiri, a cui tutto voglio sacrificare". In questo abbandono fiducioso alla volontà di Dio, ebbe a modello la Vergine Maria, teneramente amata e contemplata particolarmente nel momento del "fiat" e nella presenza silenziosa ai piedi della Croce.

Anche la beata Gaetana Sterni, avendo capito che la volontà di Dio è sempre amore, si dedicò con infaticabile carità agli esclusi e ai sofferenti. Trattò questi suoi fratelli sempre con la dolcezza e l'amore di chi, nei poveri, serve il Signore stesso. Al medesimo ideale esortava le sue Figlie spirituali, le Suore della Divina Volontà, invitandole, come scriveva nelle Regole, ad "essere disposte e contente di sostenere privazioni, fatiche e qualunque sacrificio pur di giovare al prossimo bisognoso in tutto ciò che il Signore potesse volere da loro". La testimonianza di carità evangelica offerta dalla Beata Sterni richiama ciascun credente alla ricerca della volontà di Dio, nell'abbandono fiducioso in Lui e nel generoso servizio ai fratelli.

5. Il beato Bartolomeu dos Mártires, Arcivescovo di Braga, si dedicò, con somma vigilanza e zelo apostolico, alla salvaguardia e al rinnovamento della Chiesa nelle sue pietre vive, senza disprezzare le strutture provvisorie che sono le pietre morte. Di quelle pietre vive privilegiò quelle che avevano poco o nulla per vivere. Tolse a sé per dare ai poveri. Criticato per la povera figura che faceva con quel poco che gli restava, rispose:  "Non mi vedrete mai tanto dissennato da spendere, con gli oziosi, quello con cui posso far vivere molti poveri". Essendo l'ignoranza religiosa la più grande delle povertà, l'Arcivescovo fece tutto il possibile per porle rimedio, a cominciare con la riforma morale e l'elevazione culturale del clero, "perché è evidente - scriveva - che, se il vostro zelo corrispondesse all'ufficio, il gregge di Cristo non andrebbe tanto fuori dal cammino del Cielo". Con il suo sapere, il suo esempio e la sua audacia apostolica, commosse e fece ardere gli animi dei Padri Conciliari di Trento di modo che si procedesse alla necessaria riforma della Chiesa, che poi si impegnò a realizzare con coraggio perseverante e invitto.

6. "O Dio, mio re, voglio esaltarti" (Sal 144, 1). Questa esclamazione del Salmo responsoriale riflette tutta l'esistenza di Madre María Pilar Izquierdo, fondatrice dell'Opera Missionaria di Gesù e Maria:  Lodare Dio e compiere in tutto la sua volontà. La sua breve vita, di soli 39 anni, si può riassumere affermando che volle lodare Dio, offrendogli il suo amore e il suo sacrificio. La sua vita fu segnata da una continua sofferenza, e non solo fisicamente, e fece tutto per amore di Colui che ci amò per primo e soffrì per la salvezza di tutti. L'amore verso Dio, la croce di Gesù e il prossimo bisognoso di aiuto materiale, fu la grande preoccupazione della nuova Beata. Fu consapevole della necessità di catechizzare con il Vangelo nei suburbi e di dare da mangiare agli affamati, per configurarsi a Cristo mediante le opere di misericordia. La sua ispirazione principale continua ad essere viva ancora oggi laddove è presente l'Opera Missionaria di Gesù e Maria, che svolge il proprio lavoro conformemente al suo spirito. Che il suo esempio di vita abnegata e generosa aiuti a impegnarsi sempre più nel servizio ai bisognosi affinché il mondo attuale sia testimone della forza rinnovatrice del Vangelo di Cristo!

7. All'inizio di questa Eucaristia abbiamo riascoltato dal Libro della Sapienza il grande messaggio dell'eterno e incondizionato amore di Dio verso ogni creatura: "Tu ami tutte le cose esistenti e nulla disprezzi di quanto hai creato" (Sap 11, 24). Di questo fondamentale amore di Dio sono segno eloquente i nuovi Beati. Con il loro esempio e la loro potente intercessione proclamano, infatti, l'annuncio della salvezza offerta da Dio a tutti gli uomini in Cristo. Raccogliamone la testimonianza, servendo a nostra volta Dio "in modo lodevole e degno", così da camminare senza ostacoli verso i beni promessi (cfr Colletta). Amen!

 

LITTERAE APOSTOLICAE

de peracta beatificatione

 

IOANNES  PAULUS  pp. II

ad perpetuam rei memoriam

 

«Venite filii, audite me: timorem Domini docebo vos» (Ps 34, 12).

Psalmistae verba, quae Venerabilis Servus Dei Ioannes Antonius Farina uti sententiam episcopalem sibi sumpsit, luculenter adimplentur in eius vita et actione, qui tres et viginti annos in presbyterali et octo et triginta in episcopali ministerio transegit apud dioeceses Tarvisinam et Vicentinam. Natus in Vicentino pago vulgo Gambellara die XI mensis Ianuarii anno MDCCCIII, Ioannes Antonius litterarum rudimenta didicit a coniuncto quodam, pio sacerdote. Quindecim annos natus episcopale Seminarium Vicentinum ingressus est, ubi ita pietate mentisque dotibus eminuit, ut unum et viginti annos agenti munus docendi sacrorum alumnos concrederetur. Die XIV mensis Ianuarii anno MDCCCXXVII sacerdotali ordinatione auctus est ac deinde magistri ludi diplomate est exornatus. In exordiis sui ministerii docere perrexit in Seminario, Vicentiae in ecclesia Sancto Petro dicata decem per annos alter a parocho exstitit, postea scholae publicae rector. Anno MDCCCXXXI eadem in urbe primam scholam popularem feminarum constituit, et anno MDCCCXXXVI condidit Institutum Sororum Magistrarum a Sancta Dorothea Filiarum a Sacris Cordibus, ad egenas, surdas mutasque et caecas puellas educandas, nec non ad infirmos senesque iuvandos. Anno MDCCCL Episcopus nominatus est Ecclesiae Tarvisinae, ubi decem permansit annos; die XVIII mensis Iunii anno MDCCCLX in Vicentinam translatus est dioecesim quam usque ad obitum rexit. In utraque dioecesi fructiferum explevit ministerium, culturalem et spiritalem institutionem clero et fidelibus tradidit, studiorum rationem et disciplinam seminarii renovavit, innumeras beneficentiae associationes instituit, cultum fovit Sacri Cordis Iesu et Mariae Virginis. Utramque dioecesim pastorali itinere perlustravit et Vicentiae Dioecesanam Synodum celebravit. Assidua ac paterna sedulitate Institutum suum est prosecutus, curam adhibens de spiritali et technica sororum formatione, ut proprio charismati heroum quoque in modum respondere possent. Iter spiritale Ioannis Antonii Farina misericordiae exstitit tractus, qui a timore Dei ad perfectionem caritatis duxit eum. Studiosus pastor solam habuit curam, id est gloriam Dei quaerere. Caritatis operibus iugiter intentus, propriam requiem minuebat, immo cibum sibi necessarium neglegebat, omnibus omnia factus sine intermissione. Dilexit Sacram Scripturam, frequentem communionem eucharisticam promovit; artam cum Deo consortionem vixit, qua actuositatem suam apostolicam perfudit. Episcopus semet ipsum libenter se obtulit ad infirmos valetudinarii corpore et spiritu curandos, suo exemplo attrahens sacerdotes sibi commissos. Caritas eius intellegens fuit et prophetica. Antesignanus evasit ad paedagogicas methodos creandas et ad iuventutem ducendam. Cogitavit educationem quae integram amplecteretur humanam formationem, prout ipse dicere solebat: “Vera scientia in sapientia cordis consistit” (cfr Ps 90, 12). Piissime obiit die IV mensis Martii anno MDCCCLXXXVIII, sanctitatis circumdatus fama, quae magis in dies increbruit. Causam beatificationis et canonizationis incepit Episcopus Vicentinus anno MCMLXXXI. Nosmet Ipsi, die XXIV mensis Aprilis anno MMI, declaravimus hunc illustrem Ecclesiae Pastorem virtutes theologales, cardinales eisque adnexas heroum in modum exercuisse. Deinde die VII mensis Iulii eiusdem anni Nobis coram Decretum prodiit super mira sanatione, Tarvisii patrata anno MCMLXXVIII et intercessioni eiusdem Servi Dei adscripta. Quapropter statuimus ut ritus beatificationis Romae perageretur die IV mensis Novembris anno MMI.

Hodie igitur in foro Basilicam Sancti Petri Apostoli Vaticanam prospiciente, inter sacra hanc ediximus formulam:

«Nos, vota Fratrum Nostrorum Ioannis Hirka, Episcopi Prešoviensis, Petri Iacobi Nonis, Episcopi Vicentini, Georgii Ferreira da Costa Ortiga, Archiepiscopi Bracarensis, Ioannis Aloisii Cardinalis Cipriani Thorne, Archiepiscopi Limani, Michaelis Cardinalis Giordano, Archiepiscopi Neapolitani, et Ioannis Mariae Uriarte Goiricelaya, Episcopi Sancti Sebastiani, necnon plurimorum aliorum Fratrum in episcopatu multorumque christifidelium explentes, de Congregationis de Causis Sanctorum consulto, Auctoritate Nostra Apostolica facultatem facimus ut Venerabiles Servi Dei Paulus Petrus Gojdič, Methodius Dominicus Trčka, Ioannes Antonius Farina, Bartholomaeus Fernandes dos Mártires, Aloisius Tezza, Paulus Manna, Caietana Sterni et Maria Pilar Izquierdo Albero Beatorum nomine in posterum appellentur eorumque festum: Pauli Petri Gojdič die decima septima Iulii; Methodii Dominici Trčka, die vicesima quinta Augusti; Ioannis Antonii Farina die decima quarta Ianuarii; Bartholomaei Fernandes dos Mártires die decima octava Iulii; Aloisii Tezza die vicesima sexta Septembris; Pauli Manna die decima sexta Ianuarii; Caietanae Sterni die vicesima sexta Novembris et Mariae Pilar Izquierdo Albero die vicesima septima Iulii in locis et modis iure statutis quotannis celebrari possit. In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti».

Quae autem decrevimus, volumus et nunc et in posterum tempus vim sortiri, contrariis rebus minime quibuslibet obstantibus.

Datum Romae, apud Sanctum Petrum, sub anulo Piscatoris, die IV mensis Novembris anno MMI, Pontificatus Nostri quarto et vicesimo.

 

 

De mandato Summi Pontificis

+ Angelus Card. Sodano

 

Loco + Sigilli

AAS  XCV (2003), pp. 171-173