Giovanni Nepomuceno

Giovanni Nepomuceno

(1330-1393)

Beatificazione:

- 31 maggio 1721

- Papa  Innocenzo XIII

Canonizzazione:

- 19 marzo 1729

- Papa  Benedetto XIII

- Basilica Vaticana

Ricorrenza:

- 20 marzo

Sacerdote e martire che a Praga, in Boemia, nel difendere la Chiesa patì molte ingiurie da parte del re Venceslao IV e, sottoposto a torture e supplizi, fu infine gettato ancora vivo nel fiume Moldava

  • Biografia
  • LETTERA DI GIOVANNI PAOLO II
Martire del Sacramento

 

Due storie per un solo Santo e un finale che non cambia in nessuno dei due casi, il martirio. O forse la seconda storia, ben poco nobile e crudele, è lo sfondo della prima, quella istituzionale e comunque efferata. Qualsiasi sia il grado di attendibilità storica di entrambe, da entrambe le facce della medaglia brilla la figura di un giovane sacerdote. Di quelli che quasi non si vedono – perché hanno scelto di servire Dio senza farsi pubblicità – ma che sanno sfoderare una spina dorsale solidissima quando in gioco ci sono la difesa della Chiesa e dei Sacramenti.

Il giovane sacerdote si chiama Giovanni (Jan Nepomucký), un boemo di Nepomuk, località in cui nasce nel 1330 (altre fonti dicono verso il 1345) e che gli conserverà nei secoli l’appellativo di “Nepomuceno”. Giovanni, racconta la storia principale, è un uomo di intelletto – si è laureato in Diritto canonico a Padova nel 1387 – ma anche una persona che non usa la vocazione per fare carriera.

Fa il parroco, svolge vari incarichi ecclesiastici, viene nominato canonico della cattedrale di San Vito ma senza i benefici che ne derivano. Tuttavia una stella brilla soprattutto al buio e così nel 1393 l’arcivescovo di Praga vuole quel sacerdote come suo vicario generale. Giovanni suo malgrado arriva alla ribalta e poiché tra i suoi pregi c’è anche quello di essere un brillante predicatore, come tale viene chiamato a corte da re Venceslao IV. Sembra tutto perfetto, ma non lo è.

Come tutti i re anche Venceslao ha le sue mire. Quando nel 1393 il monastero di Kladruby resta vacante per la morte dell’abate, il monarca ordina di trasformarlo in una sede vescovile per piazzarvi una persona di suo gradimento. Giovanni insorge. Esperto di codici, sa che sottostare a quella decisione equivarrebbe a una grave violazione della libertà ecclesiale e quindi si adopera per l’elezione di un nuovo abate confermandola canonicamente. Il re non ci sta a farsi mettere all’angolo e fa arrestare Giovanni con altre tre personalità della Chiesa. Le torture fanno cedere gli altri, Giovanni resiste ma Venceslao ne ordina l’esecuzione.

La notte del 20 marzo 1393, il sacerdote viene portato in catene fino al fiume Moldava, issato sul parapetto e buttato giù. L’idea era di farlo sparire di nascosto ma il giorno dopo il cadavere di Giovanni viene ritrovato lungo la sponda circondato da una luce straordinaria. E il sospetto su chi ne abbia ordinato l’assassinio corre di bocca in bocca in un lampo.

L’altra storia, quella meno istituzionale, viene a galla da alcuni annali 60 anni dopo. Racconta della moglie di Venceslao, la regina Giovanna di Baviera, che ha trovato in Giovanni, uomo di grande profondità spirituale, il suo confessore. Anche la regina ha una fede trasparente, passa ore in preghiera e soprattutto sopporta con dignità i continui tradimenti del marito, che si divide tra alcol e cortigiane.

Eppure, tragico paradosso, è Venceslao a dubitare della fedeltà della moglie. Prima sospetta di una relazione con Giovanni, poi dell’esistenza di un qualche amante di cui il confessore non può non sapere. Un giorno il re ordina al sacerdote di rivelargli le confidenze della regina ma Giovanni si oppone, non violerà il segreto della confessione. Seguono nuove richieste e intimidazioni che non cambiano l’atteggiamento del sacerdote. Vera o meno, anche questa storia finisce come la prima, con Giovanni brutalmente gettato nella corrente della Moldava. Ancora oggi una croce tra il sesto e il settimo pilone sul fiume ricorda il sacrificio di un prete umile e coraggioso, celebrato come il martire del sigillo sacramentale.

LETTERA DI GIOVANNI PAOLO II
ALL'ARCIVESCOVO DI PRAGA
PER IL 250° CENTENARIO DELLA CANONIZZAZIONE
DI GIOVANNI NEPOMUCENO

 

Al Venerabile Fratello Francesco Cardinale Tomášek
Arcivescovo di Praga.

Venerabile e diletto Fratello, il 19 marzo prossimo cadrà il 250° anniversario della canonizzazione di San Giovanni Nepomuceno; pertanto celebreremo anche il 16 maggio la sua festa liturgica in un modo più solenne degli altri anni. Se di questi avvenimenti ti rallegri tu, Arcivescovo della stessa città che il glorioso Martire illustrò con la sua costanza e rese più illustre con il suo martirio; e se tutto il Popolo di Dio gode con te al ricordo di un sacerdote così venerabile, non meno mi rallegro io, che sempre ho amato con profonda pietà questo eroe della fede, e che ho sentito crescere la mia venerazione verso di lui da quando Dio, nel suo misterioso consiglio, mi ha scelto ad essere Vescovo di Roma e Pastore della Chiesa universale.

In questa eterna città, infatti, il Santo venne come pellegrino nel giubileo del 1390. Qui, nella Basilica Lateranense, fu dichiarato Santo dal mio predecessore Benedetto XIII nel 1729. Qui un cinquantennio fa venne fondato in suo onore il Pontificio Collegio Nepomuceno. Qui, infine, immagini e statue testimoniano amore, culto e venerazione tributatigli sia da parte dei Sommi Pontefici, che del semplice popolo fedele.

Tutto ciò apre il mio cuore alla lode, all’ammirazione e alla preghiera per ottenere la sua intercessione sul suo popolo e sulla Chiesa intera. Infatti il culto del Vostro Patrono si è diffuso oltre le frontiere della Boemia e specialmente fra le nazioni vicine. In Polonia dalla quale provengo, e in particolare nell’arcidiocesi di Cracovia, incontriamo spesso le sue immagini e soprattutto le statue collocate di solito vicino ai ponti o ai fiumi per ricordarne il martirio.

Se ora vogliamo considerare brevemente la nobile figura del Santo, la storia ce lo presenta prima come dedito allo studio e alla preparazione al sacerdozio: consapevole com’era che, secondo l’espressione di San Paolo, sarebbe stato trasformato in altro Cristo, egli trasformò l’anima in tempio casto dello spirito. Con uguale pietà fu parroco di San Gallo, nella città di Praga; poi canonico; poi Vicario Generale. In questo ufficio, che lo rendeva in qualche modo corresponsabile del governo della sua chiesa, egli trovò il suo martirio e insieme la sua gloria. E poiché egli, più che altri, difese i diritti e la legittima libertà della Chiesa di fronte ai voleri del Re Venceslao IV, più degli altri si attirò l’ira del monarca. Questi partecipò personalmente alla sua tortura, che ne causò la morte; poi lo fece gettare dal ponte nel fiume Moldava. Così le sue acque furono santificate dal corpo e sangue del Martire e divennero il suo primo sepolcro. Ciò avvenne la notte del 20 marzo 1393. La luce di quella notte si diffuse in tutto il mondo, e dura ancora, vivissima. Qualche decennio dopo la morte dell’uomo di Dio, si diffuse la voce che il Re l’avesse fatto uccidere per non aver voluto violare il segreto della confessione. E così il martire della libertà ecclesiastica fu venerato anche come testimone del sigillo sacramentale.

A ragione, mio venerabile e diletto Fratello, il tuo predecessore, Arcivescovo di Praga di allora, il popolo e poi la Chiesa lo acclamarono Santo. Del resto, l’esame delle sue reliquie fatto da una Commissione di Dotti negli anni 1971-1973 ha confermato le torture subite da Giovanni Nepomuceno, i cui vestigi restano ancora come sigillo nelle sue ossa, custodite a Praga come cosa santa e venerabile.

A questo punto, venerabile e diletto Fratello, non posso fare a meno di esortare me stesso, te, i tuoi sacerdoti, il tuo popolo a considerare con profonda umiltà di cuore le eccelse virtù del vostro Santo Patrono, sia per ammirarle, sia per imitarle.

E prima di tutto la sua fede, viva come fiamma ardente. Essa è non solo principio e radice di ogni giustificazione, ma sviluppa in noi tali certezze, da renderci impavidi nella confessione e nella pratica della nostra religione. Additandoci i beni eterni, oggetto della nostra speranza, e vedendo le cose “sub specie aeternitatis”, essa rende più facile un equo giudizio sui beni di questo mondo e sul loro uso.

La fede, inoltre, rendendoci presente Dio, è anche fonte di perfezione morale. Il cristiano sa per fede che l’attività d’ogni giorno è ostia gradita al Signore, quando sia accompagnata dalla purezza delle intenzioni, dalla carità, dalla donazione di sé.

La viva fede, quindi, ci indurrà sempre più servire ai nostri fratelli, così come dice il Signore Gesù nella descrizione del Giudizio universale (Mt 25,31ss.). In tal modo sarà dimostrato che la fede non soltanto nutre le virtù nel cuore dell’individuo, ma contribuisce anche notevolmente all’edificazione della società, ispirando i credenti all’onestà, fedeltà, sincerità, lealtà, amore per la famiglia e al senso della giustizia.

La figura grandiosa di San Giovanni, venerabile Fratello, ha esempi e doni per tutti. Ma poiché egli fu sacerdote, parroco e Vicario Generale, sembra naturale che per primi i sacerdoti debbano bere alla sua fontana. È vero, il modello dei modelli è Gesù, a cui la voce del Padre rimanda, ma anche i Santi sono nostri modelli, avendo amato Dio sopra ogni cosa. Ebbene, San Giovanni incarna in sé sia l’ideale del conoscitore dei Misteri di Dio, teso come fu alla perfezione delle virtù, allo studio, alla disciplina; sia del parroco, che santifica i suoi fedeli con l’esempio della sua vita e con lo zelo delle anime; sia del Vicario Generale, scrupoloso esecutore dei suoi doveri in armonia con la volontà del suo Arcivescovo nello spirito dell’ubbidienza ecclesiale.

La lezione che ne scaturisce, venerabile e diletto Fratello, è che anche noi tutti, e cioè i sacerdoti, dobbiamo rivestirci delle sue virtù, ed essere degli eccellenti pastori. Il buon pastore conosce le sue pecore, le loro esigenze, le loro necessità. Le aiuta a districarsi dal peccato, a vincere gli ostacoli e le difficoltà che incontrano. A differenza del mercenario, egli va in cerca di esse, le aiuta a portare il loro peso e sa sempre incoraggiarle. Medica le loro ferite e le cura con la grazia, soprattutto attraverso il sacramento della riconciliazione. Le nutre con la parola di Dio, preparando accuratamente le sue omelie; le forma alla pietà e al rispetto per la verità; insegna loro a evitare ogni ipocrisia e ogni menzogna. Sa incoraggiarle con il suo esempio personale, con la sua forza d’animo e con la sua saggezza. Non pensa a se stesso ma solo alla salvezza delle anime, sapendo che anche le più belle parole sono inefficaci se non sono fondate sulla testimonianza della vita (cf. Lumen Gentium, 29).

Infatti, il Papa, il Vescovo e il Sacerdote non vivono per se stessi ma per i fedeli, così come i genitori vivono per i figli e come Cristo si diede al servizio dei suoi Apostoli: “Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti” (Mt 20,28).

Tali sacerdoti, fedeli alla consegna del loro Signore, il quale venne “per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi” (Gv 11,52), sono anche costruttori di una vera comunione che diventa terreno fertile per le vocazioni spirituali. Queste devono essere oggetto della sollecitudine di noi tutti, diletto Fratello, e noi tutti ne siamo responsabili (cf. Presbyterorum Ordinis, 11).

Le vocazioni maturano poi nei seminari. Qui si insegna la sacra Dottrina; qui i futuri messaggeri della Buona Novella l’assimilano; qui si accende la fiamma della loro devozione, si fortifica il loro carattere e si tempra la loro indole. Dai seminari devono uscire uomini di Dio dei quali il nostro tempo ha bisogno, apostoli di Cristo il quale venne per rendere testimonianza alla verità e alla carità. Il seminario è il cuore della diocesi e la speranza della Chiesa. Voglia San Giovanni Nepomuceno essere sempre modello e protettore dei seminaristi della sua patria terrena!

Ed ora, mio venerabile Fratello, nella gioia che proviene dalla comune fede e grazia, con effusissimo cuore invio a te, ai tuoi sacerdoti e seminaristi, ai religiosi e alle religiose, a tutti i fedeli e all’intera Cecoslovacchia la Benedizione Apostolica, pregando umilmente il Padre dei cieli che per intercessione di San Giovanni Nepomuceno apra i cuori alla preziosa eredità che egli ha lasciato e vi ricolmi di ogni bene.

Dal Vaticano, 2 marzo dell’anno del Signore 1979.