Giuseppe Allamano

Giuseppe Allamano

(1851 - 1926)

Venerabilità:

- 13 maggio 1989

- Papa  Giovanni Paolo II

Beatificazione:

- 07 ottobre 1990

- Papa  Giovanni Paolo II

Canonizzazione:

- 20 ottobre 2024

- Papa  Francesco

-

Ricorrenza:

- 16 febbraio

Sacerdote Fondatore dell’Istituto delle Missioni della Consolata; consapevole che alla Chiesa torinese mancasse un Istituto che si occupasse specificatamente delle missioni ad gentes, fondò l’Istituto Missioni Consolata.  Su esplicita richiesta del Papa San Pio X, costituì pure un ramo femminile fondando l’Istituto delle Suore Missionarie della Consolata

  • Biografia
  • Omelia
  • BEATIFICAZIONE
«Ogni sacerdote è missionario di natura sua; la vocazione ecclesiastica e quella missionaria non si distinguono essenzialmente; non si richiede che un grande amore per Dio, e zelo per le anime»

 

VITA  E  OPERE

 

Giuseppe Allamano nasce il 21 gennaio a Castelnuovo don Bosco (Italia). Viene educato, nei primi anni, dall’esempio e dalla parola della mamma, Maria Anna Cafasso, sorella minore di San Giuseppe Cafasso. A sei anni, incontra per la prima e unica volta il santo zio, che proporrà come modello di vita ai giovani sacerdoti e ai suoi futuri missionari.

Terminate le scuole elementari nel paese natale, entra all’Ora­torio salesiano di Valdocco (Torino) per completare gli studi ginnasiali; in quattro anni porta a termine gli studi e ha come direttore spirituale, per tutto il periodo, San Giovanni Bosco.

Ordinato sacerdote il 20 settembre 1873 dall’Arcivescovo di Torino, Lorenzo Gastaldi, dopo alcuni mesi di lavoro pastorale a Passerano d’Asti, parrocchia retta da un suo zio sacerdote, passa al seminario diocesano prima come Assistente e poi, a soli 25 anni, come Direttore Spirituale dei chierici.

Nel 1880, l’Arcivescovo di Torino cerca un Rettore per il Santuario della Consolata, ma nessuno vuole accettare tale incarico a causa di una situazione molto difficile: l’antica costruzione è in rovina e il Convitto per la preparazione dei giovani sacerdoti è chiuso a motivo delle tante polemiche sull’insegnamento della morale. Questo compito così delicato viene affidato all’Allamano, il quale accetta per obbedienza, anche se gli costa moltissimo, e vi rimarrà per il resto della sua vita: 46 anni!

Il giovane Rettore, che si adopera con tutti i mezzi perché il Santuario diventi nuovamente un centro spirituale per la città, pone mano a moltissime iniziative: messe, comunioni, confessioni, novene, sabati mariani, pellegrinaggi, liturgia curata, restauri e ampliamenti innovativi. Nel frattempo, si interessa ai problemi sociali degli operai; è un pioniere della stampa cattolica; migliora e incrementa l’Opera degli Esercizi spirituali per il clero e per i laici presso il Santuario di Sant’Ignazio (Lanzo, TO). Si è scelto come collaboratore il teologo Giacomo Camisassa – fedele, attento e silenzioso – che gli rimarrà accanto per tutta la vita.

Fin da ragazzo, il Beato guardava alle missioni con passione e interesse. Comprende, con sempre maggior chiarezza, che ogni sacerdote è missionario e che la missione è la massima realizzazione della stessa vocazione sacerdotale. Sa bene che a Torino e in tutto il Piemonte ci sono tanti sacerdoti e così gli nasce l’idea di radunarli insieme. Pensa, per anni, a questo progetto finché, appianate tutte le difficoltà e gli ostacoli, con l’approvazione del suo Arcivescovo, Mons. Agostino Richelmy e della Conferenza Episcopale Subalpina, il 29 gennaio 1901, fonda l’Istituto dei Missionari della Consolata.

Nel 1902, parte il primo gruppetto di pionieri per il Kenya, presto seguito da molti altri. Ma Giuseppe Allamano subito sente l’urgenza della presenza di donne, consacrate a tempo pieno per l’evan­gelizzazione. Dapprima ottiene la collaborazione preziosa delle Suore del Cottolengo di Torino, finché Papa Pio X, durante un’udienza privata, l’aiuta a capire la volontà di Dio nel bisogno concreto di missionarie che si sta manifestando in Africa. Così, il 29 gennaio 1910, fonda un secondo Istituto, quello delle Suore Missionarie della Consolata.

Pur continuando incessantemente il suo ministero di Rettore del Santuario della Consolata, l’Allamano segue da vicino il cammino dei due Istituti: ne accoglie personalmente i candidati e si incontra settimanalmente con loro; sollecita aiuti, trasforma il bollettino del Santuario in un organo di collegamento vivo e diretto con le missioni. Mantiene una fitta corrispondenza con i missionari e le missionarie già in Africa e, da loro, sollecita lettere, relazioni, diari... tutto e sempre per poter meglio annunciare il Vangelo.

Continua nella sua multiforme attività anche in vecchiaia. Nel 1925, ha la grande consolazione di assistere, a Roma, alla beatifi­cazione dello zio materno, Giuseppe Cafasso, definito da Papa Pio XI “la perla del clero italiano”.

Ma la sua malferma salute si aggrava. Muore serenamente, presso il Santuario della Consolata, il 16 febbraio 1926, lasciando dietro di sé un rimpianto nella Chiesa locale, di cui era sempre stato presbitero, e nelle sue due famiglie missionarie.

Il Servo di Dio, Anastasio Ballestrero, Arcivescovo di Torino, così descriveva il Can. Allamano:

«Un membro esemplare del clero diocesano torinese che servì questa chiesa con amore, inserito nel vivo delle vicende difficili che essa attraversava, portando tutte quelle responsabilità pastorali, anche molto onerose, che la Provvidenza gli richiedeva attraverso l’obbe­dienza al vescovo. La fecondità missionaria dell’Allamano si presenta così come un frutto, maturato naturalmente dalle radici di una spiritualità sacerdotale autentica. L’ansia apostolica richiesta ad ogni sacerdote per la salvezza delle anime, egli sentì di non poterla limitare ai confini della sua diocesi, ma di doverla commisurare sulle dimensioni illimitate della missione di salvezza dell’Unico, Sommo ed Eterno Sacerdote. Questa configurazione al sacerdozio universale di Cristo fu vissuta da lui, pur nella trama di una vita sacerdotale ordinaria, con intensità così straordinaria che lo rese Padre di due Congregazioni di apostoli per tutte le genti» (Card. Anastasio Ballestrero, Lettera ai Missionari e Suore Missionarie della Consolata, 27 dicembre 1984).

 

Spiritualità e carisma

L’intuizione fontale per l’Allamano è la chiamata a collaborare con Dio nell’attuare il suo progetto di salvezza, che è universale e si concretizza in tre dimensioni caratteristiche: ad gentes – ad pauperes – ad vitam.

1. La Missione ad gentes è il fine che caratterizza e qualifica la spiritualità e il carisma dell’Allamano. Affermava con chiarezza: «Perché siete qui? Tutti rispondete: per essere missionari. Se qualcuno avesse altro scopo sbaglierebbe, perché qui l’aria è buona solo per chi vuole essere missionario. Chi, dunque, fosse venuto nell’Istituto con fine diverso da quello di farsi Missionario o Missionaria della Consolata, se ne allontani per amor di Dio! In coscienza non può restarvi» (G. Allamano, Così vi voglio, n. 31). Questa scelta fu per lui frutto di attento discernimento, tanto da non accettare campi di lavoro se non esplicitamente diretti ai “pagani”. Questa sua convinzione nasce da un solido e chiaro principio: la configurazione a Cristo, inviato del Padre. Prima che un’opera da compiere, la missione è, perciò, comunione di vita con il “missionario” per eccellenza, che è Gesù Cristo.

2. La Santissima Vergine “Consolata”, titolare dei due Istituti missionari, ispira il modo di attuare il carisma e caratterizza la vita consacrata ad pauperes. Nella tradizione derivante dal Fondatore, infatti, portare il lieto annunzio del Vangelo è mirare al benessere e alla felicita delle persone, condividere la vita dei poveri, lavorando per la giustizia e la pace. Con Maria Consolata e come Lei, si porta al mondo la vera consolazione, Cristo Signore.

3. L’Allamano vede realizzato l’ideale missionario nella comunione fraterna, in una “famiglia” in cui tutti si accolgono, vivono in unità di intenti, fanno proprie le gioie, sofferenze e speranze degli altri. Un suo pensiero significativo: «Ricordate che l’Istituto non è un collegio, neppure un seminario, ma una famiglia. Siete tutti fratelli; dovete vivere assieme, prepararvi assieme, per poi lavorare assieme per tutta la vita. Nell’Istituto dobbiamo formare una cosa sola fino a dare la vita gli uni per gli altri» (G. Allamano, Così vi voglio, n. 134).

Vita fraterna sugellata nella professione perpetua dei consigli evangelici (ad vitam) che, per l’Allamano è un ideale tanto grande da essere assunto con radicalità e totalità, orientando tutto a esso: esistenza, spiritualità, scelte e attività.

 

Una missione più ampia

Il Beato Allamano si sentì chiamato ad essere sacerdote e lo fu per tutta la vita. La sua passione consisteva nel meditare sul sacerdozio di Cristo, di cui era stato fatto partecipe e di cui scopriva ogni giorno di più le prerogative. Ed ebbe del sacerdozio un concetto dinamico, di servizio, perché il sacerdote è tale non per sé, ma per gli altri. Impedito a partire per le missioni, restò per tutta la vita sacerdote diocesano, senza rimpianti. La vasta attività a servizio della Chiesa, anziché limitarne gli orizzonti, glieli aprì alle dimensioni del mondo.

Per lui, infatti, «ogni sacerdote è missionario di natura sua; la vocazione ecclesiastica e quella missionaria non si distinguono essenzialmente; non si richiede che un grande amore per Dio, e zelo per le anime. Non tutti potranno realizzare il desiderio di recarsi in missione, ma tale desiderio dovrebbe essere di tutti i sacerdoti. L’apostolato tra gli infedeli è, sotto questo aspetto, il grado superlativo del sacerdozio» (G. Allamano, Così vi voglio, n. 25).

E questa dimensione missionaria del sacerdozio non è che un potenziamento dell’essere cristiano. La vita cristiana è sforzo di attuare, in unione a Cristo, il comandamento nuovo: “Amatevi come io vi ho amato” (Gv 15, 13). Carità che non esclude nessuno e che, se ha delle preferenze, queste sono per i poveri, primi destinatari del Vangelo.

 

"ITER" DELLA CAUSA

 

In vista della Beatificazione

La fama di santità goduta dal Beato Giuseppe Allamano in vita e dopo la morte, arricchita da tante grazie ricevute tramite la sua intercessione, indusse i due Istituti Missionari a muovere i passi per apri­re la Causa di beatificazione e canonizzazione del loro Fondatore.

Il Processo Informativo incominciò presso la Curia Arcive­scovile di Torino nel 1944 e si concluse nel 1951. La sua validità giuridica fu riconosciuta il 5 ottobre 1984. Nel 1985, inoltre, fu svolta sempre a Torino un’indagine suppletiva.

Ultimata nel 1986 la Positio super virtutibus, si procedette ai consueti esami sulla vita e sulle virtù. Il 18 ottobre 1988 si tenne il Congresso Peculiare dei Consultori Teologi e il successivo 4 aprile 1989 la Sessione Ordinaria dei Cardinali e Vescovi, con esito positivo.

Il 13 maggio 1989 veniva promulgato il Decreto sulle virtù eroiche.

In vista della beatificazione di Giuseppe Allamano, la Postulazione ha presentato la presunta guarigione, ottenuta per sua intercessione, di una missionaria laica affetta da “epatite virale acuta a decorso fulminante”. Su questa guarigione fu istruito, nel 1975, presso la Curia Diocesana di Nyeri nel Kenya, un Processo Cognizionale. La Consulta Medica, nella seduta del 25 ottobre 1989, ritenne la guarigione scientificamente inspiegabile.

Il 2 febbraio 1990, si tenne il Congresso Peculiare dei Consultori Teologi, mentre il 22 maggio dello stesso anno ebbe luogo la Sessione Ordinaria dei Cardinali e dei Vescovi che riconobbero la guarigione come un vero miracolo attribuito all’intercessione di Giuseppe Allamano.

Il 10 luglio 1990 fu promulgato il Decreto sul miracolo e, il 7 ottobre 1990, San Giovanni Paolo II, in Piazza San Pietro, procedette alla beatificazione di Giuseppe Allamano.

 

In vista della Canonizzazione

La Postulazione della Causa ha sottoposto alla valutazione del Dicastero delle Cause dei Santi la presunta guarigione miracolosa di un indigeno brasiliano della foresta amazzonica che, assalito da un giaguaro, non solo è scampato alla morte, ma è tornato alla sua vita e attività normale nella foresta, senza alcuna sequela dell’inci­dente.

L’Inchiesta Diocesana si è svolta nel 2021 presso la Curia Diocesana di Roraima (Brasile) e la validità giuridica di tale Inchiesta è stata riconosciuta il 23 giugno 2021.

La Consulta Medica, riunitasi il 14 settembre 2023, ha dato riscontro positivo circa la guarigione dichiarandola scienti­ficamente inspiegabile.

Il 5 marzo 2024 i Consultori Teologi si sono pronunciati favore­volmente circa il miracolo e la sua attribuzione all’interces­sione del Beato Giuseppe Allamano.

Alla medesima conclusione è giunta il 21 maggio 2024 la Sessione Ordinaria dei Cardinali e Vescovi.

Il Santo Padre Francesco ha infine autorizzato il Dicastero delle Cause dei Santi a promulgare il Decreto super miraculo.

 

Cappella Papale con il Rito di Canonizzazione dei Beati:

 

Manuel Ruiz López e Sette Compagni;

Francesco, Abdel Mooti e Raffaele Massabki;

Giuseppe Allamano;

Marie-Léonie Paradis;

Elena Guerra.

 

Alle ore 10.30 di questa mattina, XXIX Domenica del Tempo Ordinario, sul Sagrato della Basilica di San Pietro, il Santo Padre Francesco ha presieduto la Celebrazione Eucaristica e il Rito della Canonizzazione dei Beati: Manuel Ruiz López e Sette Compagni; Francesco, Abdel Mooti e Raffaele Massabki; Giuseppe Allamano; Marie-Léonie Paradis; Elena Guerra.

Alla Santa Messa erano presenti le seguenti Delegazioni ufficiali: Il Presidente della Repubblica Italiana, S.E. il Sig. Sergio Mattarella, e Seguito; Sua Altezza Em. il Principe e Gran Maestro Fra’ John Dunlap, e Seguito; Il Ministro della Presidenza di Spagna, S.E. il Sig. Félix Bolaños García, e Seguito; Il Vice Governatore della Regione del Tirolo - Austria, Josef Geisler con la Consorte, e Seguito; Il Deputato Federale di Sherbrooke - Canada, On. Élisabeth Brière con il Consorte, e Seguito.

Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa ha pronunciato dopo la proclamazione al Vangelo:

 

OMELIA DEL SANTO PADRE

 

AR  - ES  - FR  - IT  - PL  - PT ]

 

A Giacomo e Giovanni, Gesù chiede: «Cosa volete che io faccia per voi?» (Mc 10,36). E subito dopo li incalza: «Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?» (Mc 10,38). Gesù pone domande e, proprio così, ci aiuta a fare discernimento, perché le domande ci fanno scoprire ciò che è dentro di noi, illuminano quello che portiamo nel cuore e che a volte noi non sappiamo.

Lasciamoci interrogare dalla Parola del Signore. Immaginiamo che chieda a noi, a ciascuno di noi: «Che cosa vuoi che io faccia per te?»; e la seconda domanda: «puoi bere il mio stesso calice?»

Attraverso queste domande, Gesù fa emergere il legame e le attese che i discepoli hanno verso di lui, con le luci e le ombre tipiche di ogni relazione. Infatti, Giacomo e Giovanni, sono legati a Gesù ma hanno delle pretese. Essi esprimono il desiderio di stare vicino a Lui, ma solo per occupare un posto d'onore, per rivestire un ruolo importante, per «sedere, nella sua gloria, alla destra e alla sinistra» (Mc 10,37). Evidentemente pensano a Gesù come Messia, un Messia vittorioso, glorioso e da Lui si aspettano che condivida la sua gloria con loro. Vedono in Gesù il Messia, ma lo immaginano secondo la logica del potere.

Gesù non si ferma alle parole dei discepoli, ma scende in profondità, ascolta e legge il cuore di ognuno di loro e anche di ognuno di noi. E, nel dialogo, attraverso due domande, cerca di fare emergere il desiderio che c’è dentro a quelle richieste.

Dapprima chiede: «Cosa volete che io faccia per voi?»; e questa domanda svela i pensieri del loro cuore, mette in luce le attese nascoste e i sogni di gloria che i discepoli coltivano segretamente. É come se Gesù chiedesse: “Chi vuoi che io sia per te?” e, così, smaschera quello che essi desiderano davvero: un Messia potente, un Messia vittorioso che dia loro un posto di onore. E a volte nella Chiesa viene questo pensiero: l’onore, il potere…

Poi, con la seconda domanda, Gesù smentisce questa immagine di Messia e in questo modo li aiuta a cambiare sguardo, cioè a convertirsi: «Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». In questo modo, svela a loro che Egli non è il Messia che essi pensano; è il Dio dell’amore, che si abbassa per raggiungere chi è in basso; che si fa debole per rialzare i deboli, che opera per la pace e non per la guerra, che è venuto per servire e non per essere servito. Il calice che il Signore berrà è l’offerta della sua vita, è la sua vita donata a noi per amore, fino alla morte e alla morte di croce.

E, allora, alla sua destra e alla sua sinistra staranno due ladroni, appesi come Lui alla croce e non accomodati nei posti di potere; due ladroni inchiodati con Cristo nel dolore e non seduti nella gloria. Il re crocifisso, il giusto condannato si fa schiavo di tutti: costui è davvero il Figlio di Dio! (cf. Mc 15,39). Vince non chi domina, ma chi serve per amore. Ripetiamo: vince non chi domina, ma chi serve per amore. Ce lo ha ricordato anche la Lettera agli Ebrei: «Non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi» (Eb 4,15).

A questo punto, Gesù può aiutare i discepoli a convertirsi, a cambiare mentalità: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono» (Mc 10,42). Ma non deve essere così, per chi segue un Dio che si è fatto servo per raggiungere tutti col Suo amore. Chi segue Cristo, se vuole essere grande deve servire, imparando da Lui.

Fratelli e sorelle, Gesù svela pensieri, svela desideri e proiezioni del nostro cuore, smascherando talvolta le nostre attese di gloria, di dominio, di potere, di vanità. Egli ci aiuta a pensare non più secondo i criteri del mondo, ma secondo lo stile di Dio, che si fa ultimo perché gli ultimi vengano rialzati e diventino i primi. E queste domande di Gesù, con il suo insegnamento sul servizio, spesso sono incomprensibili, incomprensibili per noi come lo erano per i discepoli. Ma seguendo Lui, camminando alla Sua sequela e accogliendo il dono del Suo amore che trasforma il nostro modo di pensare, possiamo anche noi imparare lo stile di Dio: lo stile di Dio, il servizio. Non dimentichiamo le tre parole che fanno vedere lo stile di Dio per servire: vicinanza, compassione e tenerezza. Dio si fa vicino per servire; si fa compassionevole per servire; si fa tenero per servire. Vicinanza, compassione e tenerezza…

A questo dobbiamo anelare: non al potere, ma al servizio. Il servizio è lo stile di vita cristiano. Non riguarda un elenco di cose da fare, quasi che, una volta fatte, possiamo ritenere finito il nostro turno; chi serve con amore non dice: “adesso toccherà qualcun altro”. Questo è un pensiero da impiegati, non da testimoni. Il servizio nasce dall’amore e l’amore non conosce confini, non fa calcoli, si spende e si dona. L’amore non si limita a produrre per portare risultati, non è una prestazione occasionale, ma è qualcosa che nasce dal cuore, un cuore rinnovato dall’amore e nell’amore.

Quando impariamo a servire, ogni nostro gesto di attenzione e di cura, ogni espressione di tenerezza, ogni opera di misericordia diventano un riflesso dell’amore di Dio. E così tutti noi - e ognuno di noi - continuiamo l’opera di Gesù nel mondo.

In questa luce possiamo ricordare i discepoli del Vangelo, che oggi vengono canonizzati. Lungo la storia tormentata dell’umanità, essi sono stati servi fedeli, uomini e donne che hanno servito nel martirio e nella gioia, come fra Manuel Ruiz Lopez e i suoi compagni. Sono sacerdoti e consacrate ferventi, e ferventi di passione missionaria, come don Giuseppe Allamano, suor Paradis Marie Leonie e suor Elena Guerra. Questi nuovi santi hanno vissuto lo stile di Gesù: il servizio. La fede e l’apostolato che hanno portato avanti non ha alimentato in loro desideri mondani e smanie di potere ma, al contrario, essi si sono fatti servi dei fratelli, creativi nel fare il bene, saldi nelle difficoltà, generosi fino alla fine.

Chiediamo fiduciosi la loro intercessione, perché anche noi possiamo seguire il Cristo, seguirlo nel servizio e diventare testimoni di speranza per il mondo.

OMELIA NELLA BEATIFICAZIONE DI GIUSEPPE ALLAMANO E ANNIBALE MARIA DI FRANCIA

Piazza San Pietro - Domenica, 7 ottobre 1990

 

“Perché andiate e portiate frutto” (Gv 15, 16).

1. Nella liturgia dell’odierna domenica ritorna l’immagine della vigna. Il Vangelo di Matteo riprende infatti il canto della vigna di Isaia, il canto dell’amore di Dio verso la sua vigna, cioè: il popolo eletto. È il canto dell’amore, non ricambiato, però, come dovuto. L’evangelista constata che gli operai della vigna si sono appropriati del diritto su di essa, e quando viene il figlio del padrone, non lo accolgono come erede, ma lo uccidono. Quest’immagine della vigna è particolarmente eloquente e non può non stimolare una riflessione.

Penetranti sono anche le parole del Salmo: “Dio degli eserciti, volgiti, / guarda dal cielo e vedi / e visita questa vigna, / proteggi il ceppo che la tua destra ha piantato, / il germoglio che ti sei coltivato” (Sal 79, 15-16).

2. Il Figlio - la pietra angolare -, benché scartato dai costruttori (cf. 1 Pt 2, 6-7), assunse tuttavia pienamente l’eredità della vigna di Dio. L’assunse in maniera definitiva con il sacrificio della croce e con la potenza della risurrezione. Nel contesto di questa realtà Cristo dice agli apostoli: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto” (Gv 15, 16).

Sono parole, queste, che testimoniano la rigenerazione della vigna di Dio; testimoniano la redenzione. Anche gli apostoli sono mandati dal Figlio-Redentore, perché, mediante il loro ministero, la vigna sia costantemente rigenerata. Sono mandati a portare frutto, a riconfermare l’eredità di Dio. Il loro servizio, come nuovi operai della vigna, trarrà frutti dall’abbondanza del dono che proviene da Dio: da Dio stesso!

3. Dopo di essi, dopo gli apostoli, seguiranno altri, e si metteranno in cammino lungo la storia, da una generazione all’altra, per riconfermare l’eredità di Dio e portare frutto, come i due nuovi beati, per i quali la Chiesa oggi è in festa.

L’apostolo Paolo, nella seconda lettura di questa domenica, dopo aver dato alcune raccomandazioni presenta ai cristiani di Filippi il suo esempio come programma di vita. “Ciò che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, è quello che dovete fare”. Può invitare i fedeli a essere suoi “imitatori”, poiché egli, per primo, è imitatore di Cristo (Fil 4, 9; 3, 17).

Dio in ogni periodo della storia suscita nella Chiesa determinate persone, perché siano come modelli del popolo di Dio. A tale schiera appartengono i presbiteri oggi proclamati beati: Giuseppe Allamano e Annibale Maria Di Francia.

4. Il beato Giuseppe Allamano, succedendo al suo zio, san Giuseppe Cafasso, nella direzione del Convitto ecclesiastico della Consolata, ne emulò l’amore verso i sacerdoti e la sollecitudine per la loro formazione spirituale, intellettuale e pastorale, aggiornandola secondo le esigenze dei tempi. Nulla risparmiò perché innumerevoli schiere di sacerdoti fossero pienamente compresi del dono della loro vocazione e all’altezza del loro compito. Egli stesso diede l’esempio, coniugando l’impegno di santità con l’attenzione alle necessità spirituali e sociali del suo tempo. Era radicata in lui la profonda convinzione che “il sacerdote è anzitutto l’uomo della carità”, “destinato a fare il maggior bene possibile”, a santificare gli altri “con l’esempio e la parola”, con la santità e la scienza. La carità pastorale - affermava - esige che il presbitero “arda di zelo per la salvezza dei fratelli, senza porre riserve o indugi nella dedizione di sé”.

5. Il canonico Allamano sentì come rivolte direttamente a sé le parole di Cristo: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura” (Mc 16, 15). E per contribuire a imprimere alla comunità cristiana un tale slancio, pur rimanendo sempre attivo come sacerdote diocesano, fondò prima l’Istituto dei Missionari, e poi quello delle Missionarie della Consolata, perché la Chiesa diventasse sempre più “madre feconda di figli”, “vigna” che dà frutti di salvezza.

Nel momento in cui viene annoverato tra i beati, Giuseppe Allamano ci ricorda che per restare fedeli alla nostra vocazione cristiana occorre saper condividere i doni ricevuti da Dio con i fratelli di ogni razza e di ogni cultura; occorre annunciare con coraggio e con coerenza il Cristo a ogni persona che incontriamo, specialmente a coloro che ancora non lo conoscono.

6. Lo stesso fuoco d’amore per il Signore e per gli uomini segnò tutta la vita e l’opera del beato Annibale Maria Di Francia. Colpito sin dall’adolescenza dall’espressione evangelica: “La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe, perché mandi operai nella sua messe” (Mt 9, 38; Lc 10, 2), egli spese tutte le sue energie per questa nobilissima causa.

La moltitudine di persone non ancora raggiunte dal Vangelo e il numero insufficiente degli evangelizzatori sono stati il tormento del suo cuore di apostolo e di sacerdote. Fondò a tal fine due Famiglie religiose: i Rogazionisti e le Suore Figlie del Divino Zelo, e promosse numerose iniziative per diffondere fra i fedeli la coscienza della necessità di pregare intensamente per le vocazioni.

Amò egli stesso profondamente il suo sacerdozio; lo visse con coerenza, ne esaltò la grandezza nel popolo di Dio. Ripeteva spesso che la Chiesa, per svolgere la sua missione, ha bisogno di sacerdoti “numerosi e santi”, “secondo il cuore di Dio”. Sentiva che questo è un problema di essenziale importanza e insisteva perché la preghiera e la formazione spirituale fossero al primo posto nella preparazione dei presbiteri; in caso contrario - scriveva - “tutte le fatiche dei vescovi e dei rettori dei seminari si riducono a una coltura artificiale di preti . . .” (Scritti, vol. 50, p. 9). Per lui ogni autentica vocazione è frutto della grazia e della preghiera ancor prima delle pur necessarie mediazioni culturali e organizzative.

7. Alla preghiera per le vocazioni congiunse un’attenzione concreta ai bisogni spirituali e materiali dei sacerdoti e dei seminaristi. Dovunque vi erano necessità, a cui bisognava venire incontro: piccoli senza famiglia, fanciulle in gravi pericoli, monasteri di contemplative in difficoltà materiali, fu presente con tempestività e amore. Di tutti fu padre e benefattore; pronto sempre a pagare di persona, aiutato e sostenuto dalla grazia.

Il messaggio che egli ci ha trasmesso è attuale e urgente. L’eredità lasciata ai suoi figli e figlie spirituali è impegnativa. Possa l’opera da lui iniziata continuare a dare frutti generosi a beneficio dell’intera comunità cristiana e per sua intercessione accordi il Signore alla Chiesa santi sacerdoti, secondo il cuore di Dio.

8. Rifulgano i nuovi beati quali modelli di santità sacerdotale! Li addita come tali la Chiesa, mentre è in pieno svolgimento l’VIII Assemblea generale del Sinodo dei vescovi, chiamata a esaminare l’importante questione della formazione dei sacerdoti nel nostro tempo.

Come non sottolineare questa provvidenziale circostanza? Mentre, infatti, i padri sinodali ricercano le soluzioni più opportune per un problema così vitale, i nostri beati indicano con chiarezza la direzione verso cui procedere. La loro esistenza, le loro esemplari esperienze apostoliche offrono luce alla ricerca sinodale. Essi ripetono che il mondo, adesso come allora, ha bisogno di sacerdoti santi, capaci di parlare al cuore dell’uomo moderno, perché si apra al mistero di Dio vivente. Ha bisogno di apostoli generosi, pronti a lavorare con gioia nella vigna del Signore.

9. “Perché andiate e portiate frutto”! Ritorna nella liturgia il richiamo agli operai nella vigna divina, a coloro cioè che sono stati mandati dal Figlio-Redentore, come gli apostoli. A quanti Cristo continua a chiamare e a mandare in ogni tempo e in ogni luogo, come ha chiamato e mandato questi due sacerdoti che oggi la Chiesa ha innalzato agli onori degli altari: il beato Giuseppe Allamano, il beato Annibale Maria Di Francia. Straordinaria missione è stata la loro. Missione che ha richiesto però una profonda maturità di spirito

Ai santi e ai beati non manca questa maturità, grazie proprio allo Spirito di verità lasciato da Cristo alla sua Chiesa. Grazie allo Spirito di verità si fa cosciente la certezza che il mondo è di Dio; grazie a lui si comprende che la terra è una vigna della quale l’uomo non si può appropriare; la terra gli è stata affidata con il compito di coltivarla e di perfezionarla. È dallo Spirito di verità che provengono questa coscienza e questa certezza: coscienza e certezza piene di amore verso il Creatore e il creato, verso Dio e verso l’uomo.

Rendiamo grazie per tutti coloro che Cristo, il Figlio-Redentore, continua a scegliere perché vadano e portino frutto. E che questo frutto “rinnovi la faccia della terra” (Sal 104, 30)! Amen!

 

GIOVANNI PAOLO II

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LITTERAE APOSTOLICAE

de peracta Beatificatione

 

IOANNES  PAULUS  PP.  II

ad perpetuam rei memoriam

 

«Ego elegi vos et posui vos, ut vos eatis et fructum afferatis» (Io 15, 16). Haec Evangelii verba, quae ad ministerium quidem sacerdotale Venerabilis retulit Servus Dei Iosephus Allamano, eum ipsum adduxerunt ad serviendum Regno Dei operose vigilanter assidue.

Anno MDCCCLI natus die XXI mensis Ianuarii in oppido Castri Novi Hastensis, quod ad archidioecesim Taurinensem pertinet, ordinationem sacerdotalem die XX mensis Septembris suscepit anno MDCCCLXXIII. Tunc Ecclesiastico Consolatae Ephebeo Taurinensi destinatus, qui iuniores presbyteros institueret, omni studio ad ampliorem formationem eis suppeditandam necnon ad certam vere­que apostolicam sitim afferendam intendit, sancto Iosepho Cafasso eis ad imitandum proposito, cuius nepos is erat cuiusque etiam Canonizationis Causae suasor fuit. Cogitans insimul de operariis in vinea Domini iam ante laborantibus, non modo hortando monendo confirmando adiuvit eos, sed eorum etiam animis pietate reparandis domum apud templum Sancti Ignatii ad Lanzum diligenter curavit.

Cumque animadvertisset sibi Communitate dioecesana opus esse amplius patente, quae in mandato Domini «euntes in mundum universum praedicate Evangelium omni creaturae» (Mc 16, 15) magis magisque maneret, idcirco, Archiepiscopo Taurinensi et reliquis Pedemontanis Episcopis id probantibus, binas Consolatae Congrega­tiones, anno scilicet MCMI alteram Missionariorum et anno MCMX alteram Missionariarum, eo consilio condidit, ut eos ad Gentes subinde mitteret adhuc Evangelii ignaras. Consolatae Sanctuarium Taurinense, cui XLVI annos prius praeerat, ampliatum deinceps a Servo Dei structurisque restauratum omnino novis opportune in sedem Marialis cultus Christianaeque educationis conversum est. Animo ad illius temporis necessitates intento, coeptis pastoralibus favit, quae ad socialem Ecclesiae actionem adiuvandam et ad Catholica acta praelo edenda necnon ad opificum consociatio­nes excitandas usui essent; secum Christifideles potissimum traxit, ut ad opus Redemptionis una cum Deipara Virgine Maria prodessent. Nequaquam ambigens actionem pastoralem consentaneo vitae testimonio efficacem fieri ac validam, statuit summam sibi sanctita­tem quanticumque esse assequendam. Spiritalis enim vitae, quam degit tradiditque, tamquam fundamenta haec erant: perpetua exploratio voluntatis Dei uniusque gloriae eius, adhaesio ad Ecclesiam, praesentis Dei cultus, amor verbi Dei necnon liturgiae, adoratio Eucharistiae ac Marialis pietas, flagrans studium salutis animarum. Eiusmodi Servus Dei, qui pro sancto habebatur, die XVI mensis Februarii mortuus est, anno MCMXXVI.

Fama sanctitatis perdurante, Archiepiscopus Taurinensis Processum Ordinarium ingressus, qui annis MCMXLIV-MCMLI cele­bratus est, Canonizationis Causae initium fecit. Iisque pertractatis ad felicemque exitum adductis quaestionibus et recognitionibus, quibus canonicae cavent normae, anno MCMLXXXIX coram Nobis die XIII mensis Maii proditum est Decretum, Christianas confirmans virtutes heroum in modum a presbytero Iosepho Allamano theologales et cardinales eisque adnexas excultas esse. Interea, cum Episcopus Ecclesiae Nyeriensis de coniecta sanatione intra suae dioecesis fines divinitus patrata intercedente Servo Dei, anno MCMLXXV causam cognoscendam curavisset, re peritis ac theologis proposita favente­que item exprompta eorum sententia, hoc ipso anno Nobis adstanti­bus Decretum «super miro» editum est die X mensis Iulii.

Ipsi deinde statuimus ut hic Romae ritus Beatificationis tribus post mensibus, seu die VII mensis Octobris, celebraretur. Hodie igitur in Basilica Petriana hanc inter Sacra formulam elocuti sumus: «Nos vota Fratrum Nostrorum Ioannis Saldarini, Archiepiscopi Taurinensis, et Ignatii Cannavò, Archiepiscopi Messanensis-Liparensis-Sanctae Luciae, necnon plurimorum aliorum Fratrum in episcopatu multorumque Christifidelium explentes, de Congrega­tionis de Causis Sanctorum consulto, Auctoritate Nostra Apostolica facultatem facimus, ut Venerabiles Servi Dei Iosephus Allamano et Hannibal Maria Di Francia Beatorum nomine in posterum appellen­tur, eorumque festum die ipsorum natali: Iosephi Allamano die decima sexta Februarii et Hannibalis Mariae Di Francia die prima Iunii in locis et modis iure statutis quotannis celebrari possit.

In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti».

Sueta etiam oratione habita de vita ac virtutibus Beatorum, quos modo publice declaravimus, eos venerati sumus magnaque Ipsi cum religione primi invocavimus.

Datum Romae, apud Sanctum Petrum, sub anulo Piscatoris, die VII mensis Octobris, anno MCMXC, Pontificatus Nostri duodecimo.

 

Augustinus  Card. Casaroli

a publicis Ecclesiae negotiis