José Sanchez del Río

José Sanchez del Río

(1913-1928)

Beatificazione:

- 20 novembre 2005

- Papa  Benedetto XVI

Canonizzazione:

- 16 ottobre 2016

- Papa  Francesco

- Piazza San Pietro

Ricorrenza:

- 20 novembre

Laico, martire, fu torturato e costretto ad assistere all’impiccagione di un altro ragazzo. Ad ogni ferita infertagli gridava: “Viva Cristo Re! Viva la Madonna di Guadalupe!”

  • Biografia
  • Omelia
  • Lettera Apostolica
  • omelia di beatificazione
Aveva scritto alla madre: “Affidati alla volontà di Dio. Io muoio contento perché sto morendo a fianco di Nostro Signore”

 

 

VITA  E  MARTIRIO

 

 

1. Contesto storico

 

    Il martirio di José Sánchez del Río si inquadra nella storia della persecuzione anticattolica avvenuta in Messico nei primi quaranta anni del XX secolo.

    Una serie di conflitti politici e sociali, mai risolti, costituivano il male cronico del Messico fin dai tempi dell’indipendenza. Tutta questa serie di mali si ravvivarono ancora di più a partire dal 1911 con la cosiddetta Rivoluzione e con un carattere più radicalmente anticattolico. La situazione di malessere sboccò in una persecuzione contro la Chiesa e i cattolici, negando loro il diritto fondamentale della libertà religiosa. La persecuzione era promossa soprattutto dalla massoneria. Esisteva nel Messico di quegli anni un movimento cattolico che aveva una profonda incidenza sociale. Il nuovo regime politico, nato dalla rivoluzione violenta e sancito da una Costituzione laicista (1917), avviò una cruenta persecuzione che perdurerà fino alla fine degli anni ’30 del XX secolo. Quella legislazione resterà ancora in vigore nelle decadi successive, anche se di solito non verrà applicata.

    I sacerdoti si videro costretti alla clandestinità, a partire dal 31 luglio 1926, quando il ministero sacerdotale venne proibito e l’esercizio del culto sottomesso ad uno stretto controllo dello Stato. A partire da quel momento lo Stato diede la caccia ai sacerdoti per imprigionarli e spesso assassinarli. La persecuzione contrastava fortemente con la realtà sociologica del Messico, dove la maggioranza della popolazione si professava cattolica. Lo Stato laicista e massonico di allora pretese di imporre con la forza una nuova “Costituzione civile del clero” e una “Chiesa Nazionale indipendente da Roma”. Si additava la Chiesa e il suo clero come responsabili di tutte le disgrazie del paese e per questo si voleva cancellare la comunità cristiana. Nonostante numerosi tentativi legali da parte dei cattolici di cambiare le leggi discriminatorie, la persecuzione continuava ancora con più violenza. In questo clima culturale e politico a nulla servirono le proteste e le manifestazioni pacifiche della Chiesa e dei fedeli, molti dei quali scelsero la strada del martirio professando esplicitamente la loro fede.

    Di fronte a questa drammatica situazione e alle uccisioni sempre più numerose, i Vescovi messicani presero la decisione di “chiudere il culto pubblico” piuttosto che sottomettersi alla creazione di una Chiesa nazionale controllata dallo Stato e sotto le condizioni che quello Stato pretendeva imporre per l’esercizio del culto, il riconoscimento limitato dei sacerdoti e le modalità del loro esercizio ministeriale. A nulla servirono i diversi interventi sia dei Vescovi sia del Santo Padre Pio XI, che in quegli anni scrisse cinque documenti tra Lettere Apostoliche ed Encicliche. Non servirono neanche le continue proteste pacifiche dei cattolici in difesa della libertà religiosa.

    In un tale contesto, e dopo un doloroso discernimento, molti cattolici ricorsero ad un movimento di protesta che coinvolse quasi tutto il paese, anche in forma armata: il governo li chiamò rispettivamente “Cristeros” e il loro movimento “Cristiada”, con esplicito riferimento a Cristo. A metà del 1929 quel movimento controllava buona parte del paese. La maggior parte di quelle persone erano gente umile che trascinavano dietro numerosi altri in una lotta fondamentalmente per la libertà religiosa. La loro bandiera e il grido di molti nel momento della loro fucilazione lo dimostra: “¡Viva Cristo Rey y Santa María de Guadalupe!”.

    Lo Stato rispose con una recrudescenza di feroce repressione contro i cattolici, soprattutto contro i sacerdoti. Si assistette al confronto di due mondi contrapposti: il soggetto popolare cattolico e i più genuini rappresentanti del giacobinismo radicale anticattolico.

    I Vescovi messicani e buona parte dei sacerdoti si videro costretti all’esilio o alla clandestinità. Essi speravano pazientemente che la situazione evolvesse fino a poter giungere almeno ad un tacito riconoscimento della libertà religiosa e a un modus vivendi che riconoscesse ai fedeli il diritto di professare il loro credo anche pubblicamente, senza pretendere alcun privilegio. Perciò lo Stato si vide costretto dalle circostanze avverse a permettere verbalmente nel 1929 degli accordi che concedevano tacitamente una certa tolleranza, anche se subito lo stesso Stato li calpestava con una più dura repressione. Lo stesso Sommo Pontefice Pio XI protesterà per un tale sopruso con due sue encicliche: Acerba animi (1932) e Firmissimam constantiam (1937).

    In questo quadro drammatico si svolge la vicenda martiriale del ragazzo José Sánchez del Río.

 

2. Profilo biografico del Beato

 

    Il Beato José Sánchez del Río nasce a Sahuayo, diocesi di Zamora (Michoacán, México), il 28 marzo 1913. Joselito, come viene chiamato familiarmente, riceve la Prima Comunione all’età di 9 o 10 anni. Quando scoppia il movimento dei “Cristeros”, due dei suoi fratelli più grandi, già membri della Azione Cattolica della Gioventù Messicana (A.C.J.M.), vi aderiscono. Mentre per un breve periodo la sua famiglia si trova a Guadalajara, Joselito visita la tomba del giovane avvocato Anacleto González Flores, crudelmente martirizzato il 1 aprile 1927, che sarà proclamato beato nel 2005 assieme ad altri otto giovani laici (fra i quali anche José Sánchez del Río). In quella circostanza il ragazzo chiede a Dio di poter morire come Anacleto in difesa della fede. Raggiungerà una tale grazia quasi un anno dopo, il 10 febbraio 1928, in piena persecuzione, quando, dopo essersi appena unito per motivi di coscienza ai “Cristeros” servendo come portabandiera degli stessi e senza partecipare direttamente ai conflitti armati, cade prigioniero delle truppe governative. Liberamente cede il suo cavallo ad uno dei “Cristeros” perché possa fuggire, pienamente consapevole che ciò avrebbe significato la sua cattura e una morte atroce.

    I testimoni del suo Processo super martyrio lo ricordano come un ragazzo normale, sano e di carattere gioviale, e assicurano che frequentava il catechismo e si distingueva per il suo impegno nelle difficili attività parrocchiali, in gran parte non permesse in quei tempi di persecuzione; si avvicinava ai sacramenti, quando poteva, anche perché il culto pubblico era proibito, mettendo a repentaglio la sua vita; pregava ogni giorno il rosario assieme alla sua famiglia, profondamente cristiana.

    Anche se era ancora adolescente, Joselito sapeva molto bene ciò che si stava vivendo nel Messico in quel periodo. L’esperienza del martirio di Anacleto González Flores l’aveva confermato ancora di più nel suo desiderio di dare la propria vita per Cristo in difesa della fede. Come si afferma in una delle testimonianze al suo Processo: «Da dove prese quella forza questo ragazzo innocente come Tarcisio e intrepido come Sebastiano? La risoluzione di unirsi ai “Cristeros” sorse durante quella visita-pellegrinaggio alla tomba di Anacleto González Flores. Gli chiese essere martire come lui».

    A Sahuayo il cattolicesimo era molto vivo e per questo il movimento dei “Cristeros” era molto radicato. Le famiglie cattoliche l’appoggiavano in mille modi; i sacerdoti vivevano da clandestini, passando di nascondiglio in nascondiglio per evitare la cattura e la fucilazione. Essi rimasero così a Sahuayo durante tutta la persecuzione, non abbandonando mai il loro gregge, celebrando l’Eucarestia di nascosto e amministrando i sacramenti, ai quali il ragazzo José partecipava. In quegli anni spesso si parlava fra di loro dei primi martiri cristiani e molti giovani erano desiderosi di seguire le loro orme.

    La Chiesa ha riconosciuto come autentico martirio con la canonizzazione la morte di un folto gruppo di sacerdoti e con la beatificazione quella di un altro gruppo (una quarantina), fra i quali in maggioranza giovani laici. Il crudele martirio di molti di loro, di cui Joselito aveva conoscenza, rafforzò ancora di più il fermo desiderio in lui di donare la propria vita a Cristo in difesa della libertà religiosa e della fede cattolica, che i suoi genitori avevano seminato in lui. A partire da quel momento la sua risoluzione diventò sempre più forte e con grande insistenza chiedeva ai suoi genitori il permesso per unirsi ai “Cristeros”. Essi, nonostante la loro iniziale comprensibile prudenza, alla fine gli diedero il consenso.

    Poco meno di un anno prima della sua morte, dunque, il ragazzo si unì ai “Cristeros” che operavano in quella regione del Michoacán. Fra non poche peripezie e molta insistenza fu ammesso fra di loro in una regione non lontana da Sahuayo. La sua occupazione principale era quella di servire in semplici compiti, che non comportavano la partecipazione alla lotta attiva, ma di essere il portastendardo del movimento.

    In uno scontro con le truppe governative, il 6 febbraio 1928, Joselito cedette il suo cavallo a uno dei responsabili “Cristeros” per salvargli la vita. Cadde prigioniero assieme ad un altro suo giovane amico indigeno, chiamato Lazaro. Imprigionati nella cittadina di Cotija, lo stesso giorno poté mandare una lettera alla mamma, dove scrisse: «Rassegnati alla volontà di Dio; io muoio molto felice, perché muoio nel fianco di Nostro Signore». Portarono i due ragazzi il 7 febbraio a Sahuayo e li rinchiusero nella chiesa parrocchiale di San Giacomo, trasformata in prigione e in stalla delle truppe governative. I soldati, fra altri eccessi, avevano trasformato il presbiterio e il tabernacolo in un pollaio di “galli da combattimento”, proprietà del capo politico di quella regione. Di fronte a quella profanazione, Joselito reagì con forza, senza paura delle minacce di morte: «La casa di Dio è per pregare, non una stalla di animali… Sono disposto a tutto. Puoi fucilarmi, così sarò ben presto alla presenza di Nostro Signore e potrò chiedergli che ti confonda». Uno dei soldati lo percosse violentemente sulla bocca, rompendogli i denti. Come vendetta immediata, e in presenza di Joselito, il suo compagno Lazaro venne impiccato nella piazza davanti alla chiesa; credendolo morto, fu abbandonato e salvato dal becchino. I persecutori invitarono ripetutamente Joselito a passare dalla loro parte e quel capo politico gli offrì diverse proposte molto lusinghiere, tra cui quella di fuggire, ma il ragazzo rifiutò con fermezza. Quel capo politico chiese anche alla sua famiglia un riscatto di 5000 pesos oro, che il papà di Joselito poté radunare e consegnò e che il persecutore trattenne nonostante avesse mandato a morte il giovane. Joselito aveva ripetutamente chiesto ai suoi genitori di non pagare quel riscatto, in quanto già aveva offerto la sua vita a Dio e la sua fede non era in vendita.

    Il pomeriggio del 10 febbraio Joselito fu trasferito in una locanda vicina, diventata caserma delle truppe. Quella stessa sera scrisse una lettera ad una zia, comunicandole la probabile prossima esecuzione, e riuscì a chiedere ad un’altra zia di portargli la Comunione come viatico. Quindi i carnefici lo torturarono crudelmente per indurlo ad apostatare, gli scorticarono i piedi e lo fecero camminare a piedi nudi e sanguinanti fino al cimitero. Arrivati qui il capo ordinò ai soldati di pugnalarlo per evitare che si sentissero gli spari nel paese. Appena prima di morire, il capo dei soldati gli chiese cinicamente se volesse mandare qualche messaggio a suo padre. Al che il giovane martire rispose con un filo di voce: «Che ci vedremo in paradiso. Viva Cristo Re! Viva Santa Maria di Guadalupe!». Allora il capo militare con la sua pistola gli sparò in testa.

    Il corpo del giovane fu buttato in un piccolo fosso e ricoperto con poca terra. Erano le 11.30 della notte del venerdì 10 febbraio 1928. Dopo, a notte inoltrata, alcuni uomini di nascosto lo diseppellirono, l’avvolsero in un lenzuolo e ritornarono a seppellirlo nello stesso luogo. Successivamente i resti del martire sono stati inumati e trasferiti nella parrocchia di San Giacomo Apostolo di Sahuayo, ad un lato del battistero, dove era stato battezzato e dove era stato imprigionato fino al suo martirio.

 

 

"ITER" DELLA CAUSA

 

 

a) In vista della Beatificazione

 

    Dal momento dell’uccisione del Beato José Sánchez del Río, il popolo di Dio iniziò a considerarlo “martire”, data la fermezza della sua fede e la grande fortezza con la quale seppe affrontare le terribili torture e la morte. Questa fama di martirio si è trasmessa per generazioni e si è mantenuta viva nel popolo che ricorre alla sua intercessione nei momenti di bisogno e afflizione, convertendo il luogo del suo martirio e dove attualmente si trovano i suoi resti mortali in meta di pellegrinaggi.

    Nel settembre del 1995 l’Episcopato Messicano diede parere favorevole per l’introduzione della sua Causa di Canonizzazione. Il Vescovo di Zamora costituì una Commissione di Periti Storici e di Archivistica per portare a termine la dovuta ricerca storica e pubblicò il decreto di apertura dell’Inchiesta diocesana, mentre si procedette ad una nuova esumazione e trattamento dei resti mortali del Servo di Dio. La fase diocesana della Causa fu chiusa il 25 ottobre 1996. La Congregazione delle Cause dei Santi ne riconobbe la validità con decreto del 29 novembre 2002, nominando un Relatore della stessa nel febbraio 2003.

    In seguito però, per motivi pratici, il Vescovo di Zamora chiese alla Congregazione delle Cause dei Santi che la Causa fosse unita a quella dei martiri Anacleto González Flores e VII compagni. La Congregazione delle Cause dei Santi, con decreto del 22 ottobre 2003, autorizzò l’unione di entrambe le cause. Tanto Anacleto González Flores e i suoi VII compagni martiri quanto José Sánchez del Río furono beatificati il 20 novembre 2005 nella città di Guadalajara, Jalisco, Messico.

 

b) In vista della Canonizzazione

 

    Il 10 luglio 2013 la Causa del Beato José Sánchez del Río venne separata da quella degli altri martiri che erano stati beatificati con lui, perché solo a lui veniva attribuita una presunta guarigione miracolosa. Il 4 settembre 2013 fu costituito a Zamora il Tribunale diocesano per l’Inchiesta canonica sulla presunta guarigione miracolosa di una bambina da “tubercolosi polmonare con secondarie localizzazioni infartuali intracerebrali bilaterali, epilettogene (stato di male epilettico refrattario)”. Conclusa l’Inchiesta il 30 gennaio 2015, la Congregazione delle Cause dei Santi riconobbe la sua validità giuridica il 16 ottobre dello stesso anno.

    Il 21 dicembre 2015 la Consulta Medica all’unanimità ravvisò l’inspiegabilità scientifica della guarigione.

    Il Congresso peculiare dei Consultori teologi ha avuto luogo con esito positivo il 12 gennaio 2016. I Padri Cardinali e Vescovi, riuniti in Sessione Ordinaria il 19 dello stesso mese, hanno ritenuto la guarigione come un vero miracolo da attribuirsi all’intercessione del Beato.

    Il Santo Padre Francesco il 21 gennaio 2016 ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il decreto sul miracolo.

SANTA MESSA E CANONIZZAZIONE DEI BEATI

Salomone Leclercq, Giuseppe Sánchez del Río, Manuel González García, Lodovico Pavoni, Alfonso Maria Fusco, 
Giuseppe Gabriele del Rosario Brochero, Elisabetta della Santissima Trinità Catez

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Piazza San Pietro
Domenica, 16 ottobre 2016

 

All’inizio dell’odierna celebrazione abbiamo rivolto al Signore questa preghiera: «Crea in noi un cuore generoso e fedele, perché possiamo sempre servirti con lealtà e purezza di spirito» (Orazione Colletta).

Noi, da soli, non siamo in grado di formarci un cuore così, solo Dio può farlo, e perciò lo chiediamo nella preghiera, lo invochiamo da Lui come dono, come sua “creazione”. In questo modo siamo introdotti nel tema della preghiera, che è al centro delle Letture bibliche di questa domenica e che interpella anche noi, qui radunati per la canonizzazione di alcuni nuovi Santi e Sante. Essi hanno raggiunto la meta, hanno avuto un cuore generoso e fedele, grazie alla preghiera: hanno pregato con tutte le forze, hanno lottato, e hanno vinto.

Pregare, dunque. Come Mosè, il quale è stato soprattutto uomo di Dio, uomo di preghiera. Lo vediamo oggi nell’episodio della battaglia contro Amalek, in piedi sul colle con le braccia alzate; ma ogni tanto, per il peso, le braccia gli cadevano, e in quei momenti il popolo aveva la peggio; allora Aronne e Cur fecero sedere Mosè su una pietra e sostenevano le sue braccia alzate, fino alla vittoria finale.

Questo è lo stile di vita spirituale che ci chiede la Chiesa: non per vincere la guerra, ma per vincere la pace!

Nell’episodio di Mosè c’è un messaggio importante: l’impegno della preghiera richiede di sostenerci l’un l’altro. La stanchezza è inevitabile, a volte non ce la facciamo più, ma con il sostegno dei fratelli la nostra preghiera può andare avanti, finché il Signore porti a termine la sua opera.

San Paolo, scrivendo al suo discepolo e collaboratore Timoteo, gli raccomanda di rimanere saldo in quello che ha imparato e in cui crede fermamente (cfr 2 Tm 3,14). Tuttavia anche Timoteo non poteva farcela da solo: non si vince la “battaglia” della perseveranza senza la preghiera. Ma non una preghiera sporadica, altalenante, bensì fatta come Gesù insegna nel Vangelo di oggi: «pregare sempre, senza stancarsi mai» (Lc 18,1). Questo è il modo di agire cristiano: essere saldi nella preghiera per rimanere saldi nella fede e nella testimonianza. Ed ecco di nuovo una voce dentro di noi: “Ma Signore, com’è possibile non stancarsi? Siamo esseri umani… anche Mosè si è stancato!...”. E’ vero, ognuno di noi si stanca. Ma non siamo soli, facciamo parte di un Corpo! Siamo membra del Corpo di Cristo, la Chiesa, le cui braccia sono alzate giorno e notte al Cielo grazie alla presenza di Cristo Risorto e del suo Santo Spirito. E solo nella Chiesa e grazie alla preghiera della Chiesa noi possiamo rimanere saldi nella fede e nella testimonianza.

Abbiamo ascoltato la promessa di Gesù nel Vangelo: Dio farà giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui (cfr Lc 18,7). Ecco il mistero della preghiera: gridare, non stancarsi, e, se ti stanchi, chiedere aiuto per tenere le mani alzate. Questa è la preghiera che Gesù ci ha rivelato e ci ha donato nello Spirito Santo. Pregare non è rifugiarsi in un mondo ideale, non è evadere in una falsa quiete egoistica. Al contrario, pregare è lottare, e lasciare che anche lo Spirito Santo preghi in noi. E’ lo Spirito Santo che ci insegna a pregare, che ci guida nella preghiera, che ci fa pregare come figli.

I santi sono uomini e donne che entrano fino in fondo nel mistero della preghiera. Uomini e donne che lottano con la preghiera, lasciando pregare e lottare in loro lo Spirito Santo; lottano fino alla fine, con tutte le loro forze, e vincono, ma non da soli: il Signore vince in loro e con loro. Anche questi sette testimoni che oggi sono stati canonizzati, hanno combattuto la buona battaglia della fede e dell’amore con la preghiera. Per questo sono rimasti saldi nella fede, con il cuore generoso e fedele. Per il loro esempio e la loro intercessione, Dio conceda anche a noi di essere uomini e donne di preghiera; di gridare giorno e notte a Dio, senza stancarci; di lasciare che lo Spirito Santo preghi in noi, e di pregare sostenendoci a vicenda per rimanere con le braccia alzate, finché vinca la Divina Misericordia.

 

LITTERAE APOSTOLICAE

de peracta Beatificatione

 

BENEDICTUS  XVI

ad perpetuam rei memoriam

 

 

    «Nihil mihi proderunt mundi fines neque huius saeculi regna. Praestat mihi in Christo Iesu mori, quam finibus terrae imperare. Illum quaero, qui pro nobis mortuus est; Illum volo, qui propter nos resurrexit» (S. Ignatius Antiochenus, Epistula ad Romanos, 6, 1).

 

    Similiter ac sanctus Episcopus Ignatius Antiochenus plurimique alii martyres, qui per saeculorum cursum sanguinem suum pro Christo effuderunt, Venerabiles Servi Dei Anacletus González Flores et octo Socii pro nihilo aestimaverunt saeculi illecebras atque humana imperia, solliciti solummodo ut firmum servarent fidelitatis vinculum cum Domino et cum Ecclesia Catholica. Tempore quidem revolutionis, quae Mexici est orta in primis decenniis vicesimi saeculi, ipsi intrepido animo proclamaverunt suam fidem in Divinum Redemptorem atque etiam inter vexationes Eum tamquam unicum universorum Regem invocare perrexerunt. Interfecti sunt variis in adiunctis temporum et locorum, at communis iis fuit animi serenitas, qua, bona aeterna affectantes, mortem pro Christo obierunt. Ipsi sunt:

          1. Anacletus González Flores, natus est die xiii mensis Iulii anno MdcccLxxxviii in loco Tepatitlán, provinciae Jalisco, Mexici. Consecutus est lauream in iure, ac deinde ordinem temporalem strenue promovit iuxta Christi spiritum: orator fuit et catechista, varios scripsit libros et articulos. Anno McMxxii iniit matrimonium et generavit duos filios, quos sapienter in viis Domini conduxit. Ex oratione et cotidiana communione eucharistica vim ipse hausit ad fidem suam testificandam etiam inter persecutiones adversus Eccle­siam variasque tribulationes. Die i mensis Aprilis anno McMxxvii comprehensus est et cruciatus. Necatus est una cum Dei Servis Aloisio Padilla Gómez, Georgio Vargas González et Raimundo Vargas González. Ante mortem occisoribus suis ignovit eorumque ductori promisit se apud Deum pro eo deprecaturum.

          2. Aloisius Padilla Gómez natus est die ix mensis Decembris anno Mdcccxcix Guadalaiarae, Mexicanae provinciae Jalisco. Expletis studiis, gratuitas lectiones egenos iuvenes docere coepit. Socius conditor et sodalis Consociationis Catholicae Iuventutis Mexi­canae, fecundum evolvit apostolatum socialem. Venerationem habuit erga Beatissimam Virginem Mariam. Saeviente persecutione, pacificis mediis defendit Dei et Ecclesiae iura. Apprehensus, ante mortem socios martyrii ad perseverantiam est hortatus atque occisoribus suis dimisit.

          3. Georgius Vargas González natus est die xxviii mensis Septembris anno Mdcccxcix in loco Ahualulco de Mercado, Mexi­canae provinciae Jalisco. Adhuc puer, una cum familia transmigravit ad Guadalaiaram. Operam praestabat apud societatem hydroë­lectricam. Contra Ecclesiam furente insectatione, familia eius multos catholicos in periculo versantes hospitio recepit, quos inter etiam Venerabilem Dei Servum Anacletum González Flores. Hoc miseri­cordiae opus causa fuit interfectionis huius Servi Dei eiusque fratris Raimundi.

 

          4. Raimundus Vargas González natus est die xxii mensis Ianuarii anno McMv in loco Ahualulco de Mercado, Mexicanae provinciae Jalisco. Nomen suum dedit facultati medicinae. Aestimationem sibi acquisivit propter affabilitatem sinceramque fidei testificationem. Sese victimam obtulit in locum maioris fratris sui Florentini. Antequam moreretur signo crucis se signavit.

          5. Ezechiel Huerta Gutiérrez, natus est mense Ianuario anno mdccclxxvi Magdalenae, Mexicanae provinciae Jalisco. Musicus et cantor fuit probatus. Assidue officia explevit mariti et patris. Singu­lari devotione excoluit Eucharistiam. Sollicitum se praebuit de indigentioribus. Inter tormenta Christum laudare minime cessavit. Interfectus est una cum fratre Salvatore diluculo diei iii mensis Aprilis anno mcmxxvii, suis ignoscens necatoribus.

          6. Salvator Huerta Gutiérrez, natus est die xviii mensis Martii anno mdccclxxx Magdalenae, Mexicanae provinciae Jalisco. Mechanica arte eminuit. Sponsus et pater exstitit exemplaris. Devo­tione eucharistica excelluit. Incarceratus est et vexatus. Una cum fratre martyrium passus est die iii mensis Aprilis anno mcmxxvii. Ante mortem Christum Regem et Beatissimam Virginem Guada­lupensem invocavit.

          7. Aloisius Magaña Servín, natus est die xxiv mensis Augusti anno mcmii in loco Arandas, Mexicanae provinciae Jalisco. Sodalis Consociationis Catholicae Iuventutis Mexicanae atque Archicon­fraternitatis Adorationis nocturnae Sanctissimi Sacramenti assidue laboravit. Uxorem duxit et duos habuit filios. Tradidit se militibus, ut vitam fratris sui salvaret qui suo loco apprehensus erat. Manuballista est interfectus die ix mensis Februarii anno mcmxxviii. Ante mortem suis ignovit interfectoribus hymnosque pie cecinit Christo Regi et Virgini Guadalupensi.

          8. Michaël Gómez Loza, natus est die xi mensis Augusti anno mdccclxxxviii in loco Paredones, hodie dicto El Refugio, provinciae Jalisco, Mexici. Doctrinam socialem Ecclesiae indefesse promovit atque inter fundatores recensetur Consociationis Catholicae Iuventutis Mexicanae. Forensia exercens officia, debiliores et catholicos iniuste in discrimen allatos defendit. Matrimonium iniit, ex quo tres filiae sunt natae. In carcerem coniectus, post acerbas vexationes necatus est die xxi mensis Martii anno mcmxxviii.

          9. Iosephus Sánchez Del Río, natus est die xxviii mensis Martii anno mcmxiii in loco Sahuayo, Mexicanae provinciae Michoacán. Puer Guadalaiaram transmigravit. Nondum XIV annos natus, exem­plum fratrum sequi cupiens, pro fidei catholicorumque persecutione oppressorum defensione certavit. Die x mensis Februarii anno mcmxxviii, dum ad locum passionis conduceretur, recusavit se Deum blasphemare. Ante mortem Christo Regi et Virgini Guadalu­pensi hymnos cantavit.

    Populus Dei statim eos tamquam veros fidei martyres existi­mavit. Quapropter Archiepiscopus Guadalaiarensis anno MCMXCIV incohavit Causam beatificationis seu declarationis martyrii per dioecesanam Inquisitionem, respicientem Venerabiles Servos Dei Anacletum González Flores et septem Socios. Causa autem beatificationis Venerabilis Servi Dei Iosephi Sánchez Del Río incohata est anno mcmxcvi ab Episcopo Zamorensi. Ambae Causae coniunctae sunt anno mmiii. Rite peractis omnibus iure statutis, die xxii mensis Iunii anno mmiv coram Summo Pontifice Ioanne Paulo II, Decessore Nostro venerandae memoriae, promulgatum est Decretum de martyrio horum Venerabilium Servorum Dei. Deinde Nos Ipsi decrevimus ut ritus beatificationis Guadalaiarensi in urbe die xx mensis Novembris anno mmv, in sollemnitate Domini nostri Iesu Christi universorum Regis, celebraretur.

    Hodie igitur de mandato Nostro Iosephus S.R.E. Cardinalis Saraiva Martins, Congregationis de Causis Sanctorum Praefectus, textum Litterarum Apostolicarum legit, quibus Nos in Beatorum numerum Venerabiles Servos Dei Anacletum González Flores et octo Socios adscribimus.

    Nos, vota Fratrum Nostrorum Ioannis Cardinalis Sandoval íñiguez, Archiepiscopi Guadalaiarensis, Iosephi Guadalupe Martín Rábago, Episcopi Leonensis et Aloisii Gabrielis Cuara Méndez, Epi­scopi Verae Crucis, necnon plurimorum aliorum Fratrum in Episco­patu multorumque christifidelium explentes, de Congregationis de Causis Sanctorum consulto, Auctoritate Nostra Apostolica facul­tatem facimus ut Venerabiles Servi Dei Anacletus González Flores et octo Socii, Iosephus a Trinitate Rangel Montaño, Andreas Solá Molist, Leonardus Pérez Larios et Darius Acosta Zurita Beatorum nomine in posterum appellentur, eorumque festum die vicesima Novembris in locis et modis iure statutis quotannis celebrari possit. In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti.

    His autem nostris temporibus potissimum necessaria habemus huiusmodi testimonia quibus excelleant christiani laici, fide morali­busque principiis suis usque ad mortem fideles atque spirita­lem fortitudinem inspirationemque ex fontibus Salvatoris Iesu Christi haurientes per cotidianam Eucharisticam communionem sinceramque devotionem erga Sanctissimum Sacramentum et Beatissimam Virginem Mariam.

    Magna igitur cum devotione et admiratione Nosmet Ipsi primi intrepidos hos beatos Martyres veneramur, persuasi eorum exemplum multum prodesse catholicis viris ad novum excitandum ardorem pro fide in Iesum Christum maxime colenda, moribus et verbo testificanda et in adversis quoque firmiter profitenda.

    Haec vero quae hic statuimus firma in posterum esse volumus, contrariis quibuslibet rebus minime obstantibus.

    Datum Romae, apud Sanctum Petrum, sub anulo Piscatoris, die xv mensis Novembris, anno MMv, Pontificatus Nostri primo.

 

 

De mandato Summi Pontificis

Angelus Card. Sodano

 

Secretarius  Status

 

Loco Sigilli

In Secret. Status tab., n. 34.023

SANTA MISA DE BEATIFICACIÓN DE 13 MÁRTIRES MEXICANOS

HOMILÍA DEL CARD. JOSÉ SARAIVA MARTINS

Estadio Jalisco de Guadalajara
Domingo 20 de noviembre de 2005
Solemnidad de Cristo Rey

 

1. Saludo, especialmente, a los eminentísimos señores cardenales, a los excelentísimos señores obispos, a las respetables autoridades, a los sacerdotes y fieles que son de las diócesis en donde estos mártires nacieron o derramaron su sangre. Además, dirijo mi saludo también a los familiares de estos nuevos beatos, y me uno a su acción de gracias.

"El Señor es mi pastor, nada me faltará" (Sal 22, 1). La Iglesia en este día proclama a Jesucristo como Rey del Universo. La imagen de rey-pastor que recoge el profeta Ezequiel, se identifica plenamente con Jesucristo, el buen Pastor que da la vida por sus ovejas (Jn 10, 11), quien consumada su misión, entregará el Reino a su Padre para que Dios sea todo en todas las cosas (cf. 1 Cor 15, 24-28). Él es el Pastor y Rey de la humanidad que conduce a su rebaño hacia fuentes tranquilas, mostrando especial solicitud por aquellas ovejas heridas y extraviadas.

Además, Cristo es Rey, pues Él es el "primogénito de toda la creación, porque en Él fueron creadas todas las cosas... Él es el principio... pues Dios tuvo a bien hacer residir en Él toda la plenitud y reconciliar por Él y para Él todas las cosas" (Col 1, 15.17-20), tal como lo afirma el apóstol San Pablo.

2. Esta Solemnidad de Cristo Rey tiene un significado muy especial para el pueblo mexicano. El Papa Pío XI, al finalizar el Año santo de 1925, proclamó esta fiesta para la Iglesia Universal. Pocos meses después, iniciaría en estas tierras la persecución contra la fe católica, y bajo el grito de ¡Viva Cristo Rey! morirían muchos hijos de la Iglesia, reconocidos como mártires, de los cuales 13 hoy han sido beatificados.

Los mártires son los testigos privilegiados de la realeza de Cristo. En ellos había una conciencia clara de que el reinado de amor de Cristo debía ser instaurado, aun a costa de su propia vida. Igualmente, la fe de los mártires es una fe probada, como atestigua la sangre que por ella han derramado (San Agustín, Sermón 329). Ellos, junto con todos los santos, son los benditos que han de tomar posesión del Reino preparado para ellos, desde la creación del mundo (cf. Mt 25, 34), como escuchamos en el Evangelio apenas proclamado.

3. Además, esta fiesta adquiere en este día un significado particular. Hoy la Iglesia de México contempla, con singular alegría, la fe y la fortaleza de estos 13 varones, quienes en el reconocimiento del reinado de Cristo ofrecieron sus vidas de una manera heroica entre los años de 1927 y 1928. En situaciones adversas y en diferentes Iglesias particulares, estos hijos fieles de la Iglesia dieron un testimonio loable de los compromisos adquiridos el día de su bautismo, logrando ser capaces de derramar su sangre por amor a Cristo y a su Iglesia, que era injustamente perseguida.

De entre estos trece nuevos beatos, es significativo que diez fueron laicos, originarios de los estados de Jalisco, Michoacán y Guanajuato. La mayor parte de estos laicos eran casados y formaron familias cristianas; los demás, si bien no fueron casados, eran miembros de familias cristianas piadosas y de recias costumbres.

Asimismo, este nuevo grupo de mártires cuenta con tres sacerdotes, que murieron por desempeñar heroicamente su ministerio sacerdotal y misional, como fue el caso del misionero claretiano español, Andrés Solá Molist, c.m.f., quien murió, después de una larga y penosa agonía, junto con el padre José Trinidad Rangel y el laico Leonardo Pérez Larios, en las tierras del Estado de Guanajuato. De igual manera y en circunstancias similares, el sacerdote veracruzano, Ángel Darío Acosta, quien no escatimó sus mejores esfuerzos para ejercer su ministerio sacerdotal en un clima adverso y de persecución, y recibió el martirio. A ejemplo de Jesucristo, el Buen Pastor, estos sacerdotes, junto con los 22 sacerdotes mexicanos diocesanos canonizados en Roma durante el Gran Jubileo de la Encarnación del Año 2000, por el Papa Juan Pablo II, son un modelo y ejemplo de caridad y celo pastoral heroicos, principalmente para todos los sacerdotes mexicanos.

4. La lista de estos beatos está encabezada por Anacleto González Flores, quien derramó su sangre junto con los hermanos Jorge y Ramón Vargas González, al igual con Luis Padilla Gómez, en esta ciudad. Bajo el grito "Yo muero, pero Dios no muere". ¡Viva Cristo Rey!". Anacleto González Flores entregaba su vida al Creador después de una vida de intensa piedad y de un fecundo y audaz apostolado. Durante su vida, después de recibir una sólida formación humana y cristiana, se dedicó a luchar por los derechos de los más desprotegidos. Conocedor fiel de la Doctrina Social de la Iglesia buscó, a la luz del Evangelio, defender los derechos elementales de los cristianos, en una época de persecución.

Dentro de los derechos que más defendió Anacleto González y sus compañeros mártires, se encontraba el de la libertad religiosa; derecho que se desprende de la misma dignidad humana.
Como señala el Concilio Vaticano II, "esta libertad consiste en que todos los hombres han de estar inmunes de coacción, tanto por parte de individuos como de grupos sociales y de cualquier potestad humana, y esto de tal manera que, en materia religiosa, ni se obligue a nadie a obrar contra su conciencia, ni se le impida que actúe conforme a ella en privado y en público, solo o asociado con otros, dentro de los límites debidos" (Dignitatis humanae, 2).

Movidos por un profundo amor a Jesucristo y al prójimo, estos nuevos beatos defendieron pacíficamente este derecho, aun con su propia sangre. Ellos, lejos de avivar los enfrentamientos sangrientos, buscaron la vía pacífica y conciliadora que les reconociera este y otros derechos fundamentales, que habían sido negados a los católicos mexicanos. Por el contrario, Anacleto González y compañeros mártires, buscaron ser, en la medida de sus posibilidades, agentes de perdón y factores de unidad en una época en que el pueblo se encontraba dividido.

5. Convencidos de que "la vida es Cristo, y la muerte una ganancia" (Flp 1, 21) nuestros mártires alimentaron ese deseo por la frecuente participación y adoración de la Sagrada Eucaristía. Efectivamente, la profunda devoción eucarística es uno de los rasgos comunes de estos 13 mártires.
Todos ellos, sacerdotes y laicos, mostraron un singular amor a Jesucristo en la Eucaristía. Es de especial mención que tres de los nuevos beatos, los hermanos Ezequiel y Salvador Huerta Gutiérrez, al igual que Luis Magaña Servín, fueron miembros de la Asociación Nocturna del Santísimo Sacramento; Asociación de larga tradición en el pueblo mexicano. De la oración frecuente y ferviente delante del Santísimo Sacramento, estos hermanos nuestros obtuvieron la fortaleza sobrenatural de soportar cristianamente el martirio, llegando, incluso, a perdonar a sus mismos verdugos.

La intensa vida eucarística de estos beatos debe ser para nosotros un ejemplo y aliento para acrecentar, cada vez más nuestra propia vida eucarística. A pocos días de haber concluido el Año de la Eucaristía, y a un año de la gozosa celebración del XLVIII Congreso Eucarístico Internacional, llevado a cabo en esta querida ciudad de Guadalajara, pedimos la intercesión de estos fieles hijos de la Iglesia para que nos ayuden a acrecentar el respeto, la activa participación y la digna recepción de Jesucristo presente en la Eucaristía. A ellos les pedimos, además, la gracia de ser humildes adoradores del Santísimo Sacramento, tal ellos lo fueron. Que el ejemplo de su vida de entrega hasta el martirio, sea para nosotros un modelo privilegiado de auténtica espiritualidad y de profunda vida eucarística.

6. Por su valentía y corta edad, merece una especial mención el adolescente José Sánchez del Río, originario de Sahuayo, Michoacán, quien a la edad de 14 años, supo dar un testimonio valeroso de Jesucristo. Fue un ejemplar hijo de familia, que se distinguió por su obediencia, piedad y espíritu de servicio. Desde los comienzos de la persecución en él se despertó el deseo de ser mártir de Cristo.
Era tal su convicción de querer derramar su sangre por Cristo, que admiraba a quienes lo conocían. Pudo recibir la palma del martirio, después de ser torturado y de dirigir a sus padres estas últimas palabras:  "nos veremos en el cielo. ¡Viva Cristo Rey! ¡Viva la Virgen de Guadalupe!".

El joven beato José Sánchez del Río nos debe animar a todos, principalmente a ustedes jóvenes, para ser capaces de dar testimonio de Cristo en nuestra vida diaria. Queridos jóvenes, probablemente Cristo no les pida el derramamiento de su sangre, pero sí les pide, desde ahora, dar testimonio de la verdad en sus vidas (cf. Jn 18, 37); en medio de un ambiente de indiferencia a los valores trascendentales y de un materialismo y hedonismo que busca sofocar las conciencias. Cristo espera, además, su apertura para poder recibir y acoger un proyecto vocacional por Él preparado. Sólo Él tiene, para cada uno de ustedes, las respuestas a los interrogantes de sus vidas; y los invita a seguirlo en la vida matrimonial, sacerdotal o religiosa.

7. "Vengan benditos de mi Padre, tomen posesión del Reino preparado para ustedes desde la creación del mundo" (Mt 25, 34).

Nuestros mártires deben ser también para nosotros un modelo de amor incondicional a Dios y al prójimo. El ejemplo de su vida e intercesión deben ayudarnos a vivir generosamente nuestra vida, de cara a los demás, recordándonos siempre de las palabras de Jesús:  "Cuando lo hicieron con el más insignificante de mis hermanos, conmigo lo hicieron" (Mt 25, 50).

La caridad que estamos llamados a vivir, el mandamiento nuevo (Jn 13, 34), supera todo límite impuesto por una lógica humana y egoísta. Se trata de una caridad que se traduce en unidad, respeto, servicio, ayuda eficaz y efectiva al necesitado; de una caridad vivida, muchas veces, de manera heroica, dentro de la misma familia y fuera de ella; de una caridad que, a ejemplo de Cristo y de sus mártires, está siempre dispuesta a perdonar.

Asimismo, nuestros nuevos beatos también merecen el reconocimiento de haber sido hijos fidelísimos de la Iglesia Católica y de la persona del Romano Pontífice. Les pedimos, también para nosotros, una fidelidad heroica a la Iglesia y a la persona y enseñanzas del Romano Pontífice, pues ellos son para nosotros una legítima expresión de la frase que tanto gustaba repetir al Papa Juan Pablo II:  México, siempre fiel!".

"Todos los tiempos son de martirio" —advierte San Agustín de Hipona (Sermón 6)— pues, "todos los que quieren vivir piadosamente en Cristo Jesús, padecerán persecución(2 Tim 3, 12). Queridos hermanos:  vivir plenamente nuestra entrega fiel y de todos los días a Cristo, y por amor Él a todos los hombres, implica muchos sacrificios y renuncias. No obstante, Cristo estará siempre dispuesto a darnos la fortaleza necesaria para poder servirlo y amarlo en nuestros hermanos, principalmente en los más desvalidos y necesitados de nuestro amor, comprensión y perdón.

7. Finalmente, estos 13 hijos fieles de la Iglesia, tenían otro rasgo en común. Además de su intensa vida eucarística, se distinguieron por su filial devoción a la Madre de Dios, en su advocación de Santa María de Guadalupe. La mayoría de ellos, como los otros santos mártires mexicanos ya canonizados, murieron con su nombre en los labios. A ella le pedimos su maternal protección, muy especialmente por todo el pueblo mexicano, al igual que por todo el continente, para que el entusiasmo se conserve y acreciente.

Junto con ella, la Madre de la Nueva Evangelización, damos gracias al Padre por estos nuevos beatos. De la misma manera, demos gracias por la Iglesia de México, que no deja de dar frutos de santidad. Que Cristo Rey, el buen Pastor, reine en cada uno y en todos nuestros corazones. ¡Viva Cristo Rey! ¡Viva Santa María de Guadalupe!

Amén.