Kuriakose Elias Chavara della Sacra Famiglia

Kuriakose Elias Chavara della Sacra Famiglia

(1805-1871)

Beatificazione:

- 08 febbraio 1986

- Papa  Giovanni Paolo II

Canonizzazione:

- 23 novembre 2014

- Papa  Francesco

- Piazza San Pietro

Ricorrenza:

- 3 gennaio

Sacerdote, co-fondatore della Congregazione dei Frati Carmelitani di Maria Immacolata; “Pioniere” della società e della Chiesa Siromalabarese

  • Biografia
  • Omelia
  • omelia di beatificazione
  • Lettera Apostolica
“Santificazione di sé e salvezza degli altri”

 

 

VITA  E  OPERE

 

 

Kuriakose (Ciriaco) Elias Chavara è un figlio della Chiesa Siro-Malabarese di St. Thomas in Kerala, India. La sua vita potrebbe essere riassunta nella parola “pioniere”, poiché contribuì a costruire la storia e guidò il destino della società e della Chiesa nel suo paese.

Padre Kuriakose nacque il 10 febbraio 1805 da Kuriakose e Mariamm, genitori cattolici pii e devoti, nel piccolo villaggio di Kainakary, sulla costa occidentale del Kerala. Durante la cerimonia del battesimo, avvenuta il 18 febbraio 1805 nella chiesa parrocchiale di Chennamkary, gli fu dato il nome di Kuriakose (da “Kyriake”, cioè “di Dio”). L’8 settembre 1805 il bambino venne offerto alla Beata Vergine Maria presso il Santuario mariano di Vechoor.

Lo studio diligente, insieme alla vita esemplare dei suoi geni­tori, lo influenzarono fin dalla primissima infanzia e naturalmente facilitarono la sua crescita nella pietà e nella devozione a Dio, e in particolare alla Sacra Famiglia. All’età di cinque anni, iniziò l’iter educativo preliminare nella scuola del suo villaggio e lì continuò fino all’età di dieci anni.

Padre Thomas Palackal, riconoscendo la predisposizione spirituale del bambino, la sua devozione e i segni della vocazione sacerdotale, lo invitò nel seminario a Pallipuram. Tuttavia, poiché era ancora troppo giovane, Kuriakose trascorse circa due anni nella canonica della parrocchia sotto la cura del parroco. Nel 1818, all’età di tredici anni, entrò nel seminario di Pallipuram sotto la guida di Padre Thomas Palackal. Seminarista modello, fu notato dai com­pagni e dai superiori per la sua pietà e per i brillanti risultati nello studio. Non molto tempo dopo, una epidemia colpì il villaggio natale, ed egli perse entrambi i genitori e l’unico fratello. Nella famiglia restava dunque Kuriakose come unico erede, e i suoi zii e parenti lo costrinsero a interrompere la vita del seminario per tornare a casa, affinché la famiglia non restasse senza discendenza.

Tuttavia, la risposta di Chavara e la sua presa di posizione fu simile a quella assunta da Gesù adolescente nei confronti dei suoi genitori mentre si trovava al tempio: “Perché mi cercavate? Non sa­pevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” (Lc 2,49). Kuriakose aveva riconosciuto la chiamata di Dio ed era determinato a seguirla. Alla fine del percorso di formazione sacerdotale, il 29 novembre 1829, all’età di 24 anni, il Vescovo Maurelius Stabilini, Vicario Apostolico di Verapoly, lo ordinò sacerdote.

Subito dopo l’ordinazione, raggiunse Padre Thomas Palackal (Malpan, cioè maestro) e Padre Thomas Porukara (anch’egli Malpan) che avevano in mente di iniziare la vita religiosa di comunità. Dopo aver ottenuto il permesso, l’11 maggio 1831 a Mannanam fu posta la prima pietra per una casa religiosa che venne dedicata a San Giusep­pe. Questo fu il primo istituto religioso locale per uomini della Chiesa indiana, ora conosciuti come i Carmelitani di Maria Imma­colata (CMI).

Padre Chavara insieme a Padre Leopold Boccaro, OCD, ebbe un ruolo determinante nella fondazione del primo convento di suore a Koonammavu il 13 febbraio 1866, che allora prese il nome di Terzo Ordine delle Carmelitane Scalze. Scopo di questa istituzione era prendersi cura dell’educazione delle ragazze e dell’elevazione spirituale delle donne. Successivamente tale fondazione si sviluppò in due distinte Congregazioni, una di rito latino e l’altra di rito siro-malabarese.

L’8 dicembre 1855, Padre Chavara emise la sua consacrazione a Dio con la professione religiosa dei consigli evangelici di castità, obbedienza e povertà e prese il nome di Kuriakose Elias della Sacra Famiglia. Assunse la carica di primo superiore (priore) della comunità religiosa, ruolo che ricoprì fino alla morte.

Il Beato diede avviò al primo seminario a Mannanam e ad altri seminari in altri monasteri. In seguito, queste diverse case religiose vennero istituite in altre regioni del Kerala. Padre Chavara, attraver­so la nuova Congregazione, poté fare grandi passi nel rinnovamento spirituale della Chiesa in Kerala. Seminari per la formazione del clero, introduzione di ritiri annuali per sacerdoti e laici, una casa editrice per la diffusione della dottrina cattolica e l’informazione sociale, la costruzione della casa per gli abbandonati e i moribondi, nuovi catecumeni, vari altri movimenti per il bene della Chiesa e dei fedeli sono alcune delle attività che vennero avviate sotto la dina­mica leadership di Chavara. Così egli preparò i religiosi, i sacerdoti e i laici per la riforma spirituale della Chiesa e della società.

La sua vita fu dedicata al servizio della Chiesa siro-malabarese. Uno scisma minacciava la Chiesa del Kerala nel 1861, determinando una situazione molto critica. Padre Chavara, quale neo Vicario Generale della Chiesa siro-malabarese, viene ricordato con gratitu­dine per la sua lotta strenua, la sua posizione forte e la sua efficace leadership nel contrastare l’intrusione del Vescovo Thomas Rocco, salvando la Chiesa del Kerala dallo scisma. A questo riguardo, il Beato Papa Pio IX espresse il suo grande apprezzamento per l’ope­rato di Padre Chavara in una lettera personale.

Tra le varie e molteplici attività, Padre Chavara trovò anche il tempo e l’entusiasmo per scrivere diverse opere di carattere liturgico, poetico e spirituale.

Sia come Superiore Generale dell’istituto religioso che come Vicario Generale della diocesi, il Beato Kuriakose fu un uomo molto attivo, di eccezionali qualità e grande zelo per la Chiesa. Il suo motto era: “Santificazione di sé e salvezza degli altri”. La preghiera, il silenzio, la solitudine e l’austerità alimentati dalla Parola di Dio e dall’Eucaristia lo resero un vero contemplativo, e poiché egli era un uomo di preghiera, non poteva chiudere gli occhi dinanzi alle necessità e alle sofferenze dei suoi simili. Egli dunque si impegnò al massimo per il benessere generale del popolo, specialmente dei poveri, degli analfabeti, degli emarginati e degli oppressi. Fu un grande pioniere nel campo dell’istruzione e dell’informazione tramite la stampa.

Trascorse i suoi ultimi giorni nel monastero di Koonammavu. Nel mese di ottobre del 1870 si ammalò gravemente e rimase completamente cieco per circa tre mesi. Il 2 gennaio 1871, sapendo che la sua ora era giunta, disse ai suoi confratelli: “È giunto il mio tempo. Avendo sempre avuto la protezione della Sacra Famiglia, non ho mai perso la grazia ricevuta nel battesimo. Dedico la nostra piccola congregazione e ciascuno di voi alla Sacra Famiglia. Possa essa regnare nei vostri cuori.” Dopo queste parole, chiese il sacra­mento dell’Unzione. Il 3 gennaio 1871 alle 7.30 del mattino si addor­mentò nelle braccia del Signore e fu sepolto a Koonammavu. Le sue spoglie mortali furono successivamente traslate alla Casa Madre di Mannanam nel 1889, nella chiesa del monastero di San Giuseppe.

 

 

"ITER" DELLA CAUSA

 

 

a) In vista della beatificazione

 

Spinti dalla permanente fama sanctitatis et signorum di Kuria­kose Elias Chavara, si iniziò a promuovere la Causa della sua beatificazione da parte della Congregazione dei Carmelitani di Maria Immacolata, già nel 1936.

La Sacra Congregazione dei Riti ha concesso nel 1955 il permesso di iniziare ufficialmente il processo ordinario informativo per la sua beatificazione, nell’eparchia di Changanacherry.

Siccome la Causa era iniziata nel 1955 dopo circa 80 anni della morte (1871) del Servo di Dio, veniva considerata come “causa storica” secondo il Motu proprio, “già da qualche tempo” di Papa Pio XI. Quindi il Vescovo Mar Mathew Kavukatt costituì nel 1957 una commissione storica per raccogliere e studiare gli scritti e documenti del Servo di Dio.   

Il lavoro della commissione storica e del tribunale fu comple­tato nel 1970 e nello stesso anno gli atti della Causa ed i documenti, insieme con gli scritti del Servo di Dio, furono inviati a Roma.

Il 12 ottobre 1973 fu promulgato il decreto sugli scritti del Servo di Dio.

Dopo la discussione nel Congresso Ordinario della Congre­gazione per le Cause dei Santi, che si tenne il 15 marzo 1980, venne emesso il decreto sull’introduzione della Causa.

Il Decretum super Virtutibus fu promulgato il 7 aprile 1984.

Il processo sulla presunta guarigione miracolosa dei piedi deformati (Talipes equinovarus) di un bambino fu istruito nell’epar­chia di Changanacherry. La valutazione favorevole della Consulta Medica è dell’8 novembre 1984.

Il decreto sul miracolo è stato promulgato dalla Congregazione il 9 Maggio 1985.

Il Beato Papa Giovanni Paolo II, durante la visita a Kottayam, Kerala, lo ha dichiarato “Beato”, insieme a Sr. Alfonsa dell’Imma­colata Concezione, l’8 febbraio 1986.

 

 

b) In vista della canonizzazione

 

In vista della canonizzazione del Beato, fu presentato al Vescovo dell’Eparchia di Palai, il supplice libello per l’inizio di una Inchiesta su un presunto miracolo. 

Il Vescovo costituì il 10 luglio 2010 un tribunale per l’indagine su una presunta guarigione da strabismo degli occhi (esotropia alterna convergente) avvenuta a favore di una bambina il 16 ottobre 2007 senza nessuna terapia o qualsiasi medicamento o l’uso degli occhiali, ma attribuita esclusivamente all’intercessione del Beato Kuriakose Elias Chavara.

L’Inchiesta diocesana si è tenuta dal 16 luglio al 16 agosto 2011.

Nella Consulta Medica del 26 settembre 2013, i periti medici, all’unanimità, hanno giudicato la guarigione “rapida, completa, dura­tura e non scientificamente spiegabile”.

Il 10 dicembre 2013 si è tenuto il Congresso dei Consultori Teologi che all’unanimità hanno valutato la guarigione della bam­bina un miracolo compiuto per l’intercessione del Beato.

La Sessione Ordinaria dei Cardinali e Vescovi del 18 marzo 2014 ha giudicato la guarigione come un vero miracolo attribuito all’intercessione del Beato Kuriakose Elias Chavara.

Il 3 aprile successivo, il Sommo Pontefice Francesco ha auto­rizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il Decretum super Miraculo.

CERIMONIA DI CANONIZZAZIONE DEI BEATI:
 - GIOVANNI ANTONIO FARINA 
- KURIAKOSE ELIAS CHAVARA DELLA SACRA FAMIGLIA 
- LUDOVICO DA CASORIA 
- NICOLA DA LONGOBARDI 
- EUFRASIA ELUVATHINGAL DEL SACRO CUORE
- AMATO RONCONI

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo, Re dell'Universo
Piazza San Pietro 
Domenica, 23 novembre 2014

 

La liturgia oggi ci invita a fissare lo sguardo su Gesù come Re dell’Universo. La bella preghiera del Prefazio ci ricorda che il suo regno è «regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace». Le Letture che abbiamo ascoltato ci mostrano come Gesù ha realizzato il suo regno; come lo realizza nel divenire della storia; e che cosa chiede a noi.

Anzitutto, come Gesù ha realizzato il regno: lo ha fatto con la vicinanza e la tenerezza verso di noi. Egli è il Pastore, di cui ci ha parlato il profeta Ezechiele nella prima Lettura (cfr 34,11-12.15-17). Tutto questo brano è intessuto di verbi che indicano la premura e l’amore del Pastore verso il suo gregge: cercare, passare in rassegna, radunare dalla dispersione, condurre al pascolo, far riposare, cercare la pecora perduta, ricondurre quella smarrita, fasciare la ferita, curare la malata, avere cura, pascere. Tutti questi atteggiamenti sono diventati realtà in Gesù Cristo: Lui è davvero il “Pastore grande delle pecore e custode delle nostre anime” (cfr Eb 13,20; 1Pt 2,25).

E quanti nella Chiesa siamo chiamati ad essere pastori, non possiamo discostarci da questo modello, se non vogliamo diventare dei mercenari. A questo riguardo, il popolo di Dio possiede un fiuto infallibile nel riconoscere i buoni pastori e distinguerli dai mercenari.

Dopo la sua vittoria, cioè dopo la sua Risurrezione, come Gesù porta avanti il suo regno? L’apostolo Paolo, nella Prima Lettera ai Corinzi, dice: «E’ necessario che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi» (15,25). E’ il Padre che a poco a poco sottomette tutto al Figlio, e al tempo stesso il Figlio sottomette tutto al Padre. Gesù non è un re alla maniera di questo mondo: per Lui regnare non è comandare, ma obbedire al Padre, consegnarsi a Lui, perché si compia il suo disegno d’amore e di salvezza. Così c’è piena reciprocità tra il Padre e il Figlio. Dunque il tempo del regno di Cristo è il lungo tempo della sottomissione di tutto al Figlio e della consegna di tutto al Padre. «L’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte» (1 Cor 15,26). E alla fine, quando tutto sarà stato posto sotto la regalità di Gesù, e tutto, anche Gesù stesso, sarà stato sottomesso al Padre, Dio sarà tutto in tutti (cfr 1 Cor 15, 28).

Il Vangelo ci dice che cosa il regno di Gesù chiede a noi: ci ricorda che la vicinanza e la tenerezza sono la regola di vita anche per noi, e su questo saremo giudicati. E’ la grande parabola del giudizio finale di Matteo 25. Il Re dice: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (25,34-36). I giusti domanderanno: quando mai abbiamo fatto tutto questo? Ed Egli risponderà: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).

La salvezza non comincia dalla confessione della regalità di Cristo, ma dall’imitazione delle opere di misericordia mediante le quali Lui ha realizzato il Regno. Chi le compie dimostra di avere accolto la regalità di Gesù, perché ha fatto spazio nel suo cuore alla carità di Dio. Alla sera della vita saremo giudicati sull’amore, sulla prossimità e sulla tenerezza verso i fratelli. Da questo dipenderà il nostro ingresso o meno nel regno di Dio, la nostra collocazione dall’una o dall’altra parte. Gesù, con la sua vittoria, ci ha aperto il suo regno, ma sta a ciascuno di noi entrarvi, già a partire da questa vita, facendoci concretamente prossimo al fratello che chiede pane, vestito, accoglienza, solidarietà. E se veramente ameremo quel fratello o quella sorella, saremo spinti a condividere con lui o con lei ciò che abbiamo di più prezioso, cioè Gesù stesso e il suo Vangelo!

Oggi la Chiesa ci pone dinanzi come modelli i nuovi Santi che, proprio mediante le opere di una generosa dedizione a Dio e ai fratelli, hanno servito, ognuno nel proprio ambito, il regno di Dio e ne sono diventati eredi. Ciascuno di essi ha risposto con straordinaria creatività al comandamento dell’amore di Dio e del prossimo. Si sono dedicati senza risparmio al servizio degli ultimi, assistendo indigenti, ammalati, anziani, pellegrini. La loro predilezione per i piccoli e i poveri era il riflesso e la misura dell’amore incondizionato a Dio. Infatti, hanno cercato e scoperto la carità nella relazione forte e personale con Dio, dalla quale si sprigiona il vero amore per il prossimo. Perciò, nell’ora del giudizio, hanno udito questo dolce invito: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo» (Mt 25,34).

Con il rito di canonizzazione, ancora una volta abbiamo confessato il mistero del regno di Dio e onorato Cristo Re, Pastore pieno d’amore per il suo gregge. Che i nuovi Santi, col loro esempio e la loro intercessione, facciano crescere in noi la gioia di camminare nella via del Vangelo, la decisione di assumerlo come la bussola della nostra vita. Seguiamo le loro orme, imitiamo la loro fede e la loro carità, perché anche la nostra speranza si rivesta di immortalità. Non lasciamoci distrarre da altri interessi terreni e passeggeri. E ci guidi nel cammino verso il regno dei Cieli la Madre, Maria, Regina di tutti i Santi. Amen.

La liturgia oggi ci invita a fissare lo sguardo su Gesù come Re dell’Universo. La bella preghiera del Prefazio ci ricorda che il suo regno è «regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace». Le Letture che abbiamo ascoltato ci mostrano come Gesù ha realizzato il suo regno; come lo realizza nel divenire della storia; e che cosa chiede a noi.

Anzitutto, come Gesù ha realizzato il regno: lo ha fatto con la vicinanza e la tenerezza verso di noi. Egli è il Pastore, di cui ci ha parlato il profeta Ezechiele nella prima Lettura (cfr 34,11-12.15-17). Tutto questo brano è intessuto di verbi che indicano la premura e l’amore del Pastore verso il suo gregge: cercare, passare in rassegna, radunare dalla dispersione, condurre al pascolo, far riposare, cercare la pecora perduta, ricondurre quella smarrita, fasciare la ferita, curare la malata, avere cura, pascere. Tutti questi atteggiamenti sono diventati realtà in Gesù Cristo: Lui è davvero il “Pastore grande delle pecore e custode delle nostre anime” (cfr Eb 13,20; 1Pt 2,25).

E quanti nella Chiesa siamo chiamati ad essere pastori, non possiamo discostarci da questo modello, se non vogliamo diventare dei mercenari. A questo riguardo, il popolo di Dio possiede un fiuto infallibile nel riconoscere i buoni pastori e distinguerli dai mercenari.

Dopo la sua vittoria, cioè dopo la sua Risurrezione, come Gesù porta avanti il suo regno? L’apostolo Paolo, nella Prima Lettera ai Corinzi, dice: «E’ necessario che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi» (15,25). E’ il Padre che a poco a poco sottomette tutto al Figlio, e contemporaneamente il Figlio sottomette tutto al Padre, e alla fine anche sé stesso. Gesù non è un re alla maniera di questo mondo: per Lui regnare non è comandare, ma obbedire al Padre, consegnarsi a Lui, perché si compia il suo disegno d’amore e di salvezza. Così c’è piena reciprocità tra il Padre e il Figlio. Dunque il tempo del regno di Cristo è il lungo tempo della sottomissione di tutto al Figlio e della consegna di tutto al Padre. «L’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte» (1 Cor 15,26). E alla fine, quando tutto sarà stato posto sotto la regalità di Gesù, e tutto, anche Gesù stesso, sarà stato sottomesso al Padre, Dio sarà tutto in tutti (cfr 1 Cor 15, 28).

Il Vangelo ci dice che cosa il regno di Gesù chiede a noi: ci ricorda che la vicinanza e la tenerezza sono la regola di vita anche per noi, e su questo saremo giudicati. Questo sarà il protocollo del nostro giudizio. E’ la grande parabola del giudizio finale di Matteo 25. Il Re dice: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (25,34-36). I giusti domanderanno: quando mai abbiamo fatto tutto questo? Ed Egli risponderà: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).

La salvezza non comincia dalla confessione della regalità di Cristo, ma dall’imitazione delle opere di misericordia mediante le quali Lui ha realizzato il Regno. Chi le compie dimostra di avere accolto la regalità di Gesù, perché ha fatto spazio nel suo cuore alla carità di Dio. Alla sera della vita saremo giudicati sull’amore, sulla prossimità e sulla tenerezza verso i fratelli. Da questo dipenderà il nostro ingresso o meno nel regno di Dio, la nostra collocazione dall’una o dall’altra parte. Gesù, con la sua vittoria, ci ha aperto il suo regno, ma sta a ciascuno di noi entrarvi, già a partire da questa vita – il Regno incomincia adesso – facendoci concretamente prossimo al fratello che chiede pane, vestito, accoglienza, solidarietà, catechesi. E se veramente ameremo quel fratello o quella sorella, saremo spinti a condividere con lui o con lei ciò che abbiamo di più prezioso, cioè Gesù stesso e il suo Vangelo!

Oggi la Chiesa ci pone dinanzi come modelli i nuovi Santi che, proprio mediante le opere di una generosa dedizione a Dio e ai fratelli, hanno servito, ognuno nel proprio ambito, il regno di Dio e ne sono diventati eredi. Ciascuno di essi ha risposto con straordinaria creatività al comandamento dell’amore di Dio e del prossimo. Si sono dedicati senza risparmio al servizio degli ultimi, assistendo indigenti, ammalati, anziani, pellegrini. La loro predilezione per i piccoli e i poveri era il riflesso e la misura dell’amore incondizionato a Dio. Infatti, hanno cercato e scoperto la carità nella relazione forte e personale con Dio, dalla quale si sprigiona il vero amore per il prossimo. Perciò, nell’ora del giudizio, hanno udito questo dolce invito: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo» (Mt 25,34).

Con il rito di canonizzazione, ancora una volta abbiamo confessato il mistero del regno di Dio e onorato Cristo Re, Pastore pieno d’amore per il suo gregge. Che i nuovi Santi, col loro esempio e la loro intercessione, facciano crescere in noi la gioia di camminare nella via del Vangelo, la decisione di assumerlo come la bussola della nostra vita. Seguiamo le loro orme, imitiamo la loro fede e la loro carità, perché anche la nostra speranza si rivesta di immortalità. Non lasciamoci distrarre da altri interessi terreni e passeggeri. E ci guidi nel cammino verso il regno dei Cieli la Madre, Maria, Regina di tutti i Santi.

BEATIFICAZIONE DI PADRE KURIAKOSE ELIAS CHAVARA E DI SUOR
ALFONSA MUTTATHUPANDATHU NELLO STADIO NAHRU DI KOTTAYAM

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Sabato, 8 febbraio 1986

 

“Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra” (Mt 11, 25).  

Cari fratelli e sorelle.

1. Queste sono le parole di Gesù di Nazaret, ed egli si rallegrava nello Spirito Santo quando le pronunciò. Quanto sono piene di significato per noi oggi! “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli”. (Mt 11, 25)

Quali cose ha tenuto nascoste il Signore? Quali misteri ha rivelato? Davvero i più profondi, della sua vita divina, quelli noti qui sulla terra solo a lui, solo a Cristo stesso. Dice egli infatti: “Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” (Mt 11, 27).

E osservate, il Figlio rivela effettivamente queste cose. Allo stesso tempo egli rivela il Padre. Il Padre è rivelato attraverso il Figlio. E a chi rivela il Figlio queste cose? Le rivela a coloro che sceglie: “Perché così è piaciuto a te”, dice Gesù al Padre. Egli rivela queste cose ai piccoli.

2. Oggi, in questa sacra liturgia, desideriamo unirci in modo particolare a Cristo Signore. Insieme a lui desideriamo benedire il Padre per il particolare amore che ha dimostrato a un figlio e a una figlia della Chiesa in India. Rendiamo lode a Dio per le sue innumerevoli benedizioni nel corso della bimillenaria esistenza della Chiesa sul suolo indiano. Con Cristo glorifichiamo il Padre per l’amore che ha dimostrato ai piccoli del Kerala e di tutta l’India.

La Chiesa in tutto il mondo si rallegra con la Chiesa in India nel momento in cui padre Kuriakose Elias Chavara e suor Alfonsa dell’Immacolata Concezione vengono innalzati al rango di beati nella grande comunione dei santi. Quest’uomo e questa donna, entrambi membri della Chiesa siro-malabarese qui nel Kerala, hanno raggiunto grandi vette di santità attraverso la loro generosa cooperazione con la grazia di Dio. Ciascuno di essi possedeva un ardente amore di Dio, e tuttavia ciascuno ha seguito un cammino spirituale diverso.

3. Padre Kuriakose Elias Chavara nacque qui nel Kerala, e per quasi tutti i 65 anni della sua vita terrena operò generosamente per il rinnovamento e l’arricchimento della vita cristiana. Il suo profondo amore per Cristo lo colmò di zelo apostolico e lo rese particolarmente attento a promuovere l’unità della Chiesa. Con grande generosità collaborò con altri, in particolare fratelli sacerdoti e religiosi, nell’opera di salvezza.

Le numerose e fertili iniziative apostoliche in cooperazione coi padri Thomas Palackal e Thomas Porukara, padre Kuriakose fondò una Congregazione religiosa indiana maschile, ora nota col nome di Carmelitani di Maria Immacolata. Successivamente, con l’aiuto di un missionario italiano, padre Leopoldo Beccaro, fondò una Congregazione religiosa indiana femminile, la Congregazione della Madre del Carmelo. Queste Congregazioni crebbero e fiorirono, e le vocazioni religiose vennero meglio capite e apprezzate. Grazie agli sforzi comuni dei membri di nuove famiglie religiose, le sue speranze e opere vennero moltiplicate molte e molte volte.

La vita di padre Kuriakose, così come le vite di questi nuovi religiosi, furono dedicate al servizio della Chiesa siro-malabarese. Sotto la sua guida o ispirazione, vennero intraprese numerose iniziative apostoliche: istituzione di seminari per l’educazione e la formazione del clero, introduzione di ritiri annuali, una casa editrice di opere cattoliche, una casa di ricovero per gli indigenti e gli incurabili, scuole di istruzione generale e programmi per la formazione dei catecumeni. Egli diede un contributo alla liturgia siro-malabarese e diffuse la devozione alla santa Eucaristia e alla sacra Famiglia. In particolare, si dedicò all’incoraggiamento e al sostegno delle famiglie cristiane, convinto com’era del ruolo fondamentale della famiglia nella vita della società e della Chiesa.

Ma nessuna causa apostolica era più cara al cuore di questo grande uomo di fede che quella dell’unità e armonia in seno alla Chiesa. Era come se avesse sempre a mente la preghiera di Gesù, la sera prima del sacrificio sulla croce: “Perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola” (Gv 17, 21). Oggi la Chiesa ricorda solennemente con amore e gratitudine tutti i suoi sforzi per resistere alle minacce di disunione e per incoraggiare clero e fedeli a mantenere l’unità con la Sede di Pietro e la Chiesa universale. La sua riuscita in questo, come in tutte le sue molte iniziative, era indubbiamente dovuta all’intensa carità e preghiera che caratterizzarono la sua vita quotidiana, alla sua intima comunione con Cristo e al suo amore per la Chiesa quale corpo visibile di Cristo sulla terra.

4. Suor Alfonsa dell’Immacolata Concezione, nata un secolo dopo padre Elias Kuriakose, avrebbe servito con gioia il Signore con progetti apostolici simili. Ed effettivamente aveva una devozione personale per padre Kuriakose sin dagli inizi della sua vita religiosa. Ma per suor Alfonsa il cammino della santità fu chiaramente diverso. Fu la via della croce, la via della malattia e della sofferenza. Già in giovanissima età, suor Alfonsa desiderò servire il Signore come religiosa, ma non fu senza dure prove che riuscì alla fine a perseguire questo obiettivo. Quando ciò divenne possibile, si unì alla Congregazione delle Clarisse francescane. Per tutta la sua breve vita, di soli 36 anni, rese continuamente grazie a Dio per la gioia e il privilegio della propria vocazione religiosa, per la grazia dei voti di castità, povertà e obbedienza.

Sin dagli inizi della propria vita, suor Alfonsa conobbe grandi sofferenze. Col passare degli anni, il Padre celeste le diede una ancor più piena partecipazione alla passione del suo amato Figlio. Ricordiamo come essa provò non solo dolore fisico di grande intensità ma anche la sofferenza spirituale dell’essere incompresa ed erroneamente giudicata dagli altri. Tuttavia accettò costantemente tutte le sue sofferenze con serenità e fiducia in Dio, fermamente convinta che esse avrebbero purificato i suoi intenti, la avrebbero aiutata a vincere ogni egoismo, e l’avrebbero unita più intimamente al suo diletto sposo divino. Al suo direttore spirituale scriveva: “Caro padre, poiché il mio buon Signore Gesù mi ama tanto, desidero sinceramente rimanere su questo letto di malattia e soffrire non solo questo, ma anche qualsiasi altra cosa, anche sino alla fine del mondo. Capisco ora che Dio ha voluto che la mia vita fosse un’oblazione, un sacrificio di sofferenza” (20 novembre 1944). Giunse ad amare la sofferenza perché amava il Cristo sofferente. Imparò ad amare la croce attraverso il proprio amore per il Signore crocifisso.

5. Suor Alfonsa sapeva che attraverso le sue sofferenze partecipava all’apostolato della Chiesa; trovò gioia in esse offrendole tutte a Cristo. In questo modo, sembrò aver fatte proprie le parole di san Paolo: “Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1, 24).

Era stata dotata da Dio di un carattere affettuoso e allegro, con una capacità di gioire delle cose comuni e semplici. Il fardello della sofferenza umana, nemmeno l’incomprensione o l’altrui gelosia, non potevano estinguere la gioia del Signore che le colmava il cuore. In una lettera scritta poco prima di morire, in un momento d’intensa sofferenza fisica e mentale, diceva: “Mi sono data completamente a Gesù. Si compiaccia egli di curarsi di me. Il mio solo desiderio in questo mondo è di soffrire per amore di Dio e di rallegrarmi nel farlo” (febbraio 1946).

Sia padre Kuriakose che suor Alfonsa danno testimonianza della bellezza e della grandezza della vocazione religiosa. E vorrei cogliere quest’occasione per rivolgere in particolare i miei pensieri ai religiosi e alle religiose che sono qui presenti, nonché a tutti i religiosi dell’India.

Ognuno di coloro che sono stati battezzati in Cristo ha scoperto una “perla di grande valore” e un “tesoro” che vale tutti gli averi che si hanno (cf. Mt 13, 44-45). Poiché tutti i battezzati partecipano alla vita stessa della santissima Trinità e sono chiamati ad essere la “luce” e il “sale” del mondo (cf. Mt 5, 13-16). Tuttavia all’interno della grande famiglia della Chiesa, Dio nostro Padre chiama alcuni di voi a seguire Cristo più da vicino e a dedicare le vostre vite con una speciale consacrazione mediante la professione di castità, povertà e obbedienza. Voi, religiosi della Chiesa, date pubblica testimonianza del Vangelo e del primato dell’amore di Dio. Attraverso l’impegno permanente e la fedeltà perpetua ai vostri voti, cercate di crescere in unione con Cristo e di contribuire in modo peculiare alla vita e alla missione della Chiesa. E quale contributo vitale è il vostro!

In una ricca varietà di forme, vivete appieno la vostra consacrazione evangelica. Alcuni di voi hanno ascoltato la chiamata personale del Signore alla vita contemplativa, nella quale, benché nascosti agli occhi del mondo, offrite le vostre vite e preghiere, per il bene di tutta l’umanità. Altri sono stati chiamati a una vita apostolica attiva, nella quale servite nell’insegnamento, nel campo della salute, nel lavoro parrocchiale, nei ritiri, nelle opere di carità e in molte forme di attività pastorale.

In qualunque modo servite, cari fratelli e sorelle in Cristo, non dubitate mai del valore della vostra vita consacrata. Che il vostro servizio assomigli alle grandi iniziative apostoliche di padre Kuriakose, o che assuma la forma di sofferenza segreta come per suor Alfonsa, qualunque esso sia, è importante nella vita della Chiesa. Ricordate le parole di san Paolo, nella seconda lettura di oggi: “Noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio” (Rm 8, 28). Anche quando vi sentite scoraggiati o prostrati da mancanze o peccati personali, abbiate ancor più fiducia nell’amore di Dio per voi. Rivolgetevi a lui per averne misericordia, perdono e amore. Poiché, come dice san Paolo nella stessa lettera, “lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza” (Rm 8, 26). È in lui che troviamo la nostra forza, il nostro coraggio e la nostra gioia.

Senza il vitale contributo dei religiosi e delle religiose, la carità della Chiesa sarebbe sminuita, il suo dar frutti sarebbe di minore portata.

Così, prego perché la beatificazione di questi due religiosi esemplari dell’India vi dia rinnovato zelo nella vostra preziosa vocazione. Nel vostro amore per Cristo possiate essere ispirati dal loro fervore. E come loro possiate mantenere la semplicità dei “piccoli” del Vangelo. Siate puri di cuore e colmi di compassione. Siate sempre desiderosi di piacere al Signore. Poiché è ai piccoli che i misteri di Dio sono rivelati (cf. Mt 11, 25).

6. E ora, desidero salutare tutti coloro che sono venuti a Kottayam per questa celebrazione. Con rispetto e stima ringrazio tutti gli altri cristiani oltre che i nostri fratelli indù e musulmani e i seguaci delle altre religioni che oggi mi onorano con l’essere qui. Sono grato della presenza delle autorità civili e invoco su tutti benedizioni di gioia e di pace. Davvero straordinaria è questa giornata nella storia della Chiesa e della cristianità in terra indiana. Essa è anche importante nella storia del ministero pastorale del Vescovo di Roma, il successore di san Pietro. È la prima volta che egli ha avuto la gioia di innalzare alla gloria degli altari un figlio e una figlia della Chiesa in India, nella loro terra natia.

Pertanto cantiamo insieme al salmista nella liturgia di oggi.

Insieme rendiamo grazie: “È bello dar lode al Signore / e cantare al tuo nome, o Altissimo. / Poiché mi rallegri, Signore, con le tue meraviglie, / esulto per l’opera delle tue mani. / Come sono grandi le tue opere, Signore!” (Sal 92 [91], 2-6 a).

Davvero grandi sono le opere di Dio! E l’opera più grande di Dio sulla terra è l’uomo. La gloria di Dio è l’uomo pienamente vivo nella vita di Dio. La gloria di Dio è la santità di ciascuna persona e dell’intera Chiesa. La santità è opera della grazia divina. Quando la proclamiamo solennemente in mezzo al popolo di Dio in questa terra, rendiamo gloria all’Altissimo. Con le parole di sant’Agostino rendiamo lode a Dio dicendo: “Coronando i meriti, coroni i tuoi doni”.

7. Davvero straordinario questo giorno! Dice il profeta Isaia: “Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri” (Is 55, 9).

Oggi ci è dato penetrare ancor più a fondo in questi pensieri divini. Ci è dato conoscere meglio le vie del Signore. E osservate, quali vie! Quali vie! Scrive l’Apostolo: “Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli poi che ha predestinati li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati, quelli che ha giustificati li ha anche glorificati” (Rm 8, 29-30).

Sono questi i pensieri divini. Sono queste le vie del Signore. Oggi ci è dato vedere come questi pensieri si adempiono nel beato Elias Kuriakose e nella beata suor Alfonsa. Oggi vediamo come queste vie di Dio conducono attraverso i loro cuori, attraverso il loro pellegrinaggio terreno alla gloria degli altari.

8. “Sì, o Padre”, dice Gesù, “perché così è piaciuto a te” (Mt 11, 26). E prosegue: “Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero” (Mt 11, 28-30).

Così parla Gesù. E parla a ciascuno. Siamo chiamati alla santità. Siamo chiamati alla comunione con lui; col suo cuore, con la sua croce, con la sua gloria. Così parla Gesù. E insieme a Gesù il beato Kuriakose e la beata Alfonsa. I loro cuori sono uniti al Cuore del Divino Redentore e sono colmi d’amore per tutti i figli e le figlie della vostra terra benedetta. Amen.

 

LITTERAE APOSTOLICAE

de peracta beatificatione

 

IOANNES  PAULUS  pp. II

ad perpetuam rei memoriam

 

 

«Si quis diligit me, sermonem meum servabit et Pater meus diliget eum et ad eum veniemus et mansionem apud eum faciemus» (Io 14,23).

 

Quae Domini verba, si verba sunt in omni Christi discipulo gratia Dei praedito, in Venerabili Servo Dei Cyriaco (Kuriakose) Elia Chavara haec divina praesentia insignis fuit, ita ut Deus in eo inhabitans foris se manifestaret et homines in eo hominem Dei respicerent, seu hominem plenum Spiritus Sancti, immo et ita palam agnoscerent. Natus apud Kainakary intra fines praesentis archi­dioecesis Changanacherrensis die X mensis Februarii anno MDCCCV, Servus Dei baptizatus est die VIII post nativitatem in ecclesia sua paroeciali Chennankariensi, ac nomen accepit Cyriacum (Kuriakose). Educatione in schola loci peracta, seminarium apud Pallipuram, sub directione patris Thomae Palakal, ingressus est anno MDCCCXVIII. Studiis ecclesiasticis rite peractis, sacerdos ordinatus est die XXIX No­vembris anno MDCCCXXIX. Cooperatus est cum patribus Thoma Pala­kal et Thoma Porukara ad excitandam Congregationem religiosam for­mandis viris, cuius fundamentum iecit die XI Maii anno MDCCCXXXI. Approbante Vicario Apostolico vota religiosa nuncu­pa­vit die VIII Decembris anno MDCCCLV, et nomen suscepit in religione Cyriacum Eliam a Sacra Familia. Superior novae Congregationis constitutus, eam rexit usque ad mortem. Tota autem vita illius sacerdotalis et religiosa dedita fuit bono spirituali Ecclesiae localis, ut eam ad maturitatem Christi conduceret. Per seminaria formationi sa­cerdotum providit; usum exercitia spiritualia praedicandi in paroeciis pro fidelibus; et sacerdotibus introduxit et sic renovavit vitam spiritualem in toto Vicariatu; Vicarius Generalis Ecclesiae Syro-Malabarensis creatus, omnibus viribus contendit ut schisma, quod eo tempore in eo erat ut Ecclesiam Malabarensem divideret ab unitate ecclesiali, com­poneret; scholis adnexis ecclesiis paroecialibus insti­tutis, curavit educationem iuvenum; catechumenatus adnexos mona­steriis condidit procuravitque instructionem neophitarum; domo caritatis excitata destitutorum et moribundorum curam gessit; libros liturgicos ecclesiae Syro-Malabarensi reformando decus et ordinem in celebrationes liturgicas induxit; typographia et officina libraria confectis, curavit propagationem doctrinae catholicae. Denique, cooperante etiam Leopoldo Beccaro, piissimo viro eodemque missionario Carmelitano, Congregationem mulierum religiosarum, puellarum educandarum gratia, condidit anno MDCCCLXVI. Morbo letali, vertente anno MDCCCLXX, affectus, doloribus magna cum patientia, immo christiana cum laetitia toleratis, die III Ianuarii anno MDCCCLXXI obdormivit in Domino apud monasterium Koonam­mavense, et die proxima in ecclesia sanctae Philomenae, adnexa monasterio, prope sanctuarium sepultus est. Corpus, inde effossum, iterum conditum est in ecclesia sancti Ioseph apud Mannanam, anno MDCCCLXXXIX. Percurrenti vitam eius actuosam facile patet quam ardentissime Ecclesiam amaverit; quam fervide cupierit cum Deo coniungi meditatione et oratione; quam intime unitus fuerit cum Deo in omni sua industria apostolica; quomodo per totam vitam motus fuerit oculis fidei perspiciendo Deum et eius providentiam mirabilem; et qua fiducia moveretur ad illam coniunctionem permanentem cum Deo in caelo. Fama autem talis vitae iam dum viveret late diffusa apud populum est. Post mortem vero multi fideles ad eum confugerunt in suis necessi­tatibus et mirabilem habuerunt responsum. Opinione ergo sanctitatis sic crescente apud fideles, XC fere annos post mortem, Processus Ordinarius, approbante Sacra Congregatione Rituum, introductus fuit in Curia archiepiscopali Changanacherrensi, anno MCMLVIII; quo completo anno MCMLXX, acta Processus simul cum scriptis missa fuerunt ad S. Congregationem pro Causis Sanctorum ut interim cognominata erat. Edito super scriptis Decreto die XIII Octobris anno  MCMLXXIII, et facta disceptatione in coetu ordinario Congregationis pro Causis Sanctorum, die xv Martii anno MCMLXXX. Nostra appro­batione Sacra Congregatio decrevit causam Servi Dei introducendam esse in Curia Romana. Actio demum instituta est apud Congregatio­nem pro Causis Sanctorum super virtutibus Servi Dei rite; qua absoluta, «constare de virtutibus theologicis Fide, Spe et Caritate tum in Deum tum in proximum nec non de cardinalibus Prudentia, Iustitia, Temperantia et Fortitudine, earumque adnexis, in gradu heroico et ad effectum de quo agitur», ediximus. Postquam autem disceptatum est de mira sanatione Iosephi Pennaparampil pueri sexennis, qui pede utroque deformis natus est, intercessioni Servi Dei tributa, ac per Decretum Nostrum die IX mensis Maii anno MCMLXXXV sancita, decrevimus sollemnem beatificationem Venera­bilis Servi Dei Cyriaci Eliae Chavara, simul atque Venerabilis Servae Dei Alfonsae Muttathu­padathu, die VIII mensis Februarii anno MCMLXXXVI, durante Nostro itinere in Indiam peragere. Qua re inter ritum cum pluribus Antistitibus ecclesiasticis, sacerdotibus, religiosis diversarum Congre­gationum et magno concursu fidelium sub divo apud Kottayan celebratum, haec protulimus verba: «Nos vota Fratrum Nostrorum Ioseph Powathil, Archiepiscopi Changanacherrensis, et Ioseph Pallikaparampil, Episcopi Palaiensis, necnon plurimorum aliorum Fratrum in episcopatu, multorumque Christifidelium explentes, de Congregationis pro Causis Sanctorum consulto, Auctori­tate Nostra Apostolica facultatem facimus ut Venerabiles Servus Dei Cyriacus Elias Chavara et Serva Dei Alfonsa Muttathupadathu, Beatorum nomine in posterum appellentur, eorumque festum die ipsorum natali: Cyriaci Eliae Chavara, die tertia Ianuarii; et Alfonsae Muttathu­padathu, die vicesima octava Iulii, in locis et modis iure statutis, quotannis celebrari possit». In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Quae vero per has Litteras statuimus rata sint nunc et in posterum. Contrariis quibuslibet non obstantibus.

Datum Cottaiami (Kottayan), sub anulo Piscatoris, die VIII mensis Februarii, anno MCMLXXXVI, Pontificatus Nostri octavo.

 

 

De mandato Summi Pontificis

+ Augustinus Card. Casaroli

 

Loco + Sigilli

In Secret. Status tab., n. 177.209