Leonardo Murialdo

Leonardo Murialdo

(1828-1900)

Beatificazione:

- 03 novembre 1963

- Papa  Paolo VI

Canonizzazione:

- 03 maggio 1970

- Papa  Paolo VI

- Basilica Vaticana

Ricorrenza:

- 13 marzo

Sacerdote, che fondò la Pia Società di San Giuseppe, perché i bambini abbandonati potessero fare l’esperienza della fede e della carità cristiana

  • Biografia
  • Omelia
  • omelia di beatificazione
  • il pensiero
“L’uomo che prega è il più potente del mondo”

 

Leonardo Murialdo nacque a Torino il 26 ottobre 1828, ottavo figlio di una famiglia semplice. Da bambino, insieme con il fratello, entrò nel collegio dei Padri Scolopi di Savona per il corso elementare, le scuole medie e il corso superiore; vi trovò educatori preparati, in un clima di religiosità fondato su una seria catechesi, con pratiche di pietà regolari.

Durante l'adolescenza visse, però, una profonda crisi esistenziale e spirituale che lo portò ad anticipare il ritorno in famiglia e a concludere gli studi a Torino, iscrivendosi al biennio di filosofia. Il «ritorno alla luce» avvenne — come egli racconta — dopo qualche mese, con la grazia di una confessione generale, nella quale riscoprì l'immensa misericordia di Dio; maturò, allora, a 17 anni, la decisione di farsi sacerdote, come riposta d'amore a Dio che lo aveva afferrato con il suo amore. Venne ordinato il 20 settembre 1851.

Proprio in quel periodo, come catechista dell'Oratorio dell'Angelo Custode, fu conosciuto ed apprezzato da Don Bosco, il quale lo convinse ad accettare la direzione del nuovo Oratorio di San Luigi a Porta Nuova che tenne fino al 1865. Lì venne in contatto anche con i gravi problemi dei ceti più poveri, ne visitò le case, maturando una profonda sensibilità sociale, educativa ed apostolica che lo portò poi a dedicarsi autonomamente a molteplici iniziative in favore della gioventù. Catechesi, scuola, attività ricreative furono i fondamenti del suo metodo educativo in Oratorio. Sempre Don Bosco lo volle con sé in occasione dell'Udienza concessagli dal beato Pio IX nel 1858.

Nel 1873 fondò la Congregazione di San Giuseppe, il cui fine apostolico fu, fin dall'inizio, la formazione della gioventù, specialmente quella più povera e abbandonata. L'ambiente torinese del tempo fu segnato dall'intenso fiorire di opere e di attività caritative promosse dal Murialdo fino alla sua morte, avvenuta il 30 marzo del 1900.

CANONIZZAZIONE DI DON LEONARDO MURIALDO

OMELIA DEL SANTO PADRE PAOLO VI

Domenica, 3 maggio 1970

 

Ecco un momento di gaudio pieno per la Chiesa pellegrina nelle asperità della vita presente verso la pienezza del regno di Dio. Il gaudio nasce dal fatto che un membro della Chiesa, un uomo di questo mondo, un nostro fratello è riconosciuto Santo, e come tale proclamato, onorato, invocato. E Santo, che cosa vuoi dire? vuol dire perfetto, nel senso di quella perfezione tanto facile a concepire, per chi è alunno della Chiesa maestra, ma altrettanto difficile a definire nella sua realtà, perché la santità risulta essere sintesi di coefficienti molteplici e meravigliosi, quali sono, innanzitutto, un carisma divino straordinario, anzi una quantità di carismi, cioè un’abbondanza di doni di Dio (Eph. 3, 19), che invade una vita umana fino a diventare in lei, in certa misura, esuberante e trasparente; e poi la santità richiede una statura morale nell’uomo, che chiamiamo Santo, eccezionale, tanto che si vogliono in lui riscontrare virtù in grado eroico e quindi la santità domanda una risultante conformità, sempre originale, al primogenito della famiglia umana (Cfr. Rom. 8, 29; Col. 1, 15), all’archetipo dell’umanità, al «Figlio dell’uomo», a Cristo, nostro maestro e nostro modello (Cfr. Io. 13, 15); e finalmente la santità esige ed offre un’esemplarità, ovvero una singolarità, tali da meritare l’imitazione, o almeno l’ammirazione di chi entra nella sfera sociale della personalità del Santo.

FASCINO DELLA SANTITÀ

Ed è ordinariamente quest’ultimo aspetto della santità quello che conquide più facilmente la nostra comune attenzione. Noi siamo così avidi di incontrare l’uomo grande, l’uomo eccezionale, l’operatore dei miracoli, l’eroe, il campione, il divo, il «leader», che non possiamo sottrarci al fascino del Santo, che appunto personifica un essere superiore, e tanto di più se a questo possiamo attribuire, noi piccoli, l’esaltante titolo: è nostro! L’agiografia è uno studio d’antropologia superlativa, dovuta al fattore religioso, che sebbene procedente da un identico principio verso un identico fine, genera una indefinita ricchezza di tipi umani, uno distinto dall’altro nella meravigliosa varietà di volti umani trasfigurati, ciascuno da un proprio differente carisma (Cfr. 1 Cor. 12, 27 ss.).
Il Santo: oggetto perciò di conoscenza, di interesse, di legittima e commendevole curiosità. Chi era dunque Leonardo Murialdo, al quale oggi attribuiamo questo altissimo titolo di Santo? Finora egli era ben poco conosciuto. Noi stessi, quando nel novembre del 1963, avemmo la gioia di proclamare la beatificazione del Murialdo, profferimmo la medesima domanda, che un venerato, esimio e compianto amico, Monsignor Giuseppe De Luca, auspicava fosse soddisfatta, scrivendo, nel 1950, in occasione del cinquantesimo della morte del nostro Santo: «Il Murialdo è uno dei fuochi di quell’incendio cristiano che forma la gloria del secolo passato, gloria come d’uno stellato nella notte . . . . merita riconoscenza e, prima ancora, conoscenza. Elogi, encomi, celebrazioni, tutto sta bene, ma innanzi e soprattutto, io credo, conoscenza». Non è questo il momento di dare del Santo la notizia biografica, di narrarne la vita; e nemmeno di farne il panegirico. Abbiamo ora finalmente una amplissima documentazione sulla vita del Murialdo, vita altrettanto circonfusa di umiltà e di discrezione che ricca e prodiga d’instancabile attività; tre poderosi volumi raccolgono ogni notizia su di lui, così che chi volesse può sapere del nuovo Santo quanto è possibile e desiderabile; vita, opere, scritti, commenti, tutto; è l’opera meritoria di Armando Castellani, che dopo il primo biografo storico del Murialdo, il Reffo, e i non pochi altri che illustrarono la vita di lui, ha messo sopra un piedistallo di documenti, di testimonianze, di informazioni la figura di Leonardo Murialdo da farne risaltare quella autentica grandezza che l’odierna canonizzazione circonda della aureola della santità.

IMITAZIONE E DEVOZIONE

Abbiamo dunque la storia del Santo, e subito ne guardiamo la figura, ne ammiriamo la santità. Noi tutti diventiamo osservatori, ammiratori e, a Dio piacendo, imitatori e devoti. Cioè la conoscenza di lui non ci basta, vogliamo un giudizio, vogliamo vederne il volto, coglierne quelle linee caratteristiche, che lo definiscono. Anche questo spontaneo desiderio di sintesi, Noi ora non possiamo soddisfare. Vogliamo solo indicare i capitoli, che, a Nostro avviso, possono offrirci le chiavi per penetrare nella comprensione del nuovo Santo, e per aiutarci a classificarlo e a distinguerlo in qualche modo, nella «turba grande, - come la definisce il veggente dell’Apocalisse, - che nessuno riesce a enumerare» (Apoc. 7, 9).
Il primo capitolo è quello del quadro storico nel quale la figura del Santo ci appare; anzi, possiamo ben dire, dal quale egli risulta ed emerge vivente. Quadro del tempo: l’Ottocento; quadro del 1uogo : Torino. Qui Noi non possiamo esimerci dal rivolgere alla fortunata Città natale e ambientale del Santo il Nostro vivissimo plauso. Torino ci appare, specialmente nel secolo scorso, una Città eletta e benedetta, una Città di Santi; pensiamo a Don Bosco! tanto nomini . . . . pensiamo al Cottolengo, pensiamo al Cafasso, pensiamo a Domenico Savio, pensiamo alla Mazzarello e ad altre figure splendenti di virtù cristiane che dalla nobile terra piemontese trassero radici di santità. Siamo in un solco di tradizioni cattoliche, che ci fanno risalire fino a San Massimo e ci ricordano la sacra Sindone; si direbbe che colà si respira una atmosfera di spiritualità favorevole alla fioritura della santità; colà si è formata una scuola di robuste virtù morali, da cui escono alunni e maestri d’un cristianesimo rinnovato e moderno. Non vogliamo trascurare il ricordo di altri coefficienti che caratterizzano, specialmente nel secolo scorso, l’ambiente piemontese, come quello politico, reso vivace e drammatico da grandi correnti di idee, da grandi figure e da memorabili avvenimenti; e come quello industriale, destinato a straordinari sviluppi con riflessi evidenti e diffusi ancor oggi nel campo economico e sociale. L’ambiente esercita potenti influssi su chi ne vive; non possiamo supporre che alla sua atmosfera sia rimasto estraneo il nostro Santo; anzi la sua attività ci dimostra che da essa egli trasse il suo respiro e la sua ispirazione e in una certa misura la sua forza ed il suo successo.

INSIGNE FIGLIO D'ITALIA

Dobbiamo congratularci con Torino, qui degnamente presente con il Rappresentante del Signor Sindaco (indisposto) di Torino, e perciò con l’Italia, di codesta prerogativa, non certo decaduta, di dare alla Chiesa e al mondo uomini buoni, provvidi e tipici, come quello di cui esaltiamo la figura e rendiamo imperitura la memoria. Con lei, Signor Cardinale Arcivescovo dell’avventurata Città, dove il Murialdo nacque, operò e morì, si fonde in spirituale comunione il Nostro gaudio; a lei per tutta l’Arcidiocesi e per tutta la Chiesa piemontese si rivolge la Nostra religiosa e cordiale compiacenza.
E sapendo presente a questa solenne cerimonia l’onorevole Mariano Rumor, Presidente del Consiglio dei Ministri d’Italia, esprimiamo la Nostra commossa e riconoscente soddisfazione per averlo ufficialmente partecipe, con altri Personaggi rappresentativi del Governo e della Nazione, alla celebrazione della memoria, delle virtù, delle opere e della gloria d’un così insigne Figlio d’Italia, col voto che ciò valga a confortare le migliori tradizioni religiose e morali del Popolo Italiano, a sostenere nel Paese ogni sforzo generoso per il suo civile progresso, e a meritargli, per virtù dei suoi cittadini, col favore di questo cittadino celeste, la prosperità, la concordia e la pace.
E questo riferimento della figura del Murialdo alla Nazione che fu sua, ci conduce ad accennare al secondo densissimo capitolo dell’azione nella società, a cui egli consacrò le inesauribili energie del suo genio operativo. Chi può riassumere in una formula quale fu la sua opera? è ben difficile farne la pur semplice descrizione, così che fra i molti titoli in cui essa si manifestò e si affermò due soli indichiamo come degni di speciale memoria: primo, la fondazione d’una Congregazione religiosa di San Giuseppe, istituto sacerdotale e laicale avente «lo scopo d’educare con la pietà e con l’istruzione culturale e tecnica i giovani poveri, orfani, o abbandonati, o bisognosi di emendazione»; ed è questo il secondo titolo che innalza e diffonde nel mondo il nome benedetto di Leonardo Murialdo.

PICCOLO ESERCITO DI VOLONTARI

Questa Congregazione: un altro piccolo esercito (conta circa 850 membri, di cui più della metà Sacerdoti, con cento case sparse in Italia e nel mondo), un piccolo esercito, fiancheggiato dal ramo femminile delle Suore Murialdine, di volontari, dedicati totalmente e per tutta la vita alle varie opere del ministero ecclesiastico, ma specialmente all’assistenza e all’educazione dei Figli del Popolo, con particolare preferenza per quelli più bisognosi e per quelli delle categorie, lavoratrici, le operaie specialmente, ci attesta il sommo interesse della Chiesa per il mondo della gioventù e per quello del lavoro.
Il Murialdo è fra i primi ad avvertire l’urgenza ed a creare la possibilità di andare incontro alla gioventù destinata al lavoro. È un pioniere della educazione specializzata dei giovani lavoratori. È lui che tenta i primi esperimenti dell’organizzazione operaia. È un promotore delle prime Unioni Operaie cattoliche. È lui che inizia a Torino un Ufficio cattolico di collocamento al lavoro per operai disoccupati, che istituisce un «Giardino festivo per operai», che apre Colonie agricole, Scuole tecnico-pratiche di agricoltura, Case-Famiglie per Giovani Operai, e suscita cento altre iniziative del genere. Il Murialdo ha l’intuito preveggente delle forme pedagogiche, professionali, associative, legislative, che dovranno dare alla nuova popolazione industriale l’istruzione, l’avviamento, la solidarietà, che poi la società moderna ha inserite nei propri programmi, e che dovranno fare di masse disperse, diseredate, indifese, inquiete e stimolate dalle voci classiste e rivoluzionarie del tempo, un popolo nuovo, cosciente dei suoi diritti, capace dei suoi doveri, fondato sul progressivo svolgimento della legittima giustizia sociale, libero e responsabile, come lo esige l’ordinamento democratico moderno.

Basti dire che fino dal dicembre del 1869 il Murialdo invia al Governo Lanza-Sella una petizione per una legislazione normativa del lavoro dei fanciulli e delle donne nelle fabbriche. Il Murialdo ha la passione dei bisogni della gioventù e dell’umile gente, lui figlio di famiglia benestante, prete colto, fine e sempre disposto ad affrontare imprese benefiche, che lo rendono tribolato e spesso più povero dei suoi poveri.
Questo aspetto della figura del Santo sembra a Noi che debba interessare lo studio della vita cattolica in Italia e dello sviluppo dei movimenti sociali più che ora non sia; siamo facili all’oblio di questa tradizione del cattolicesimo militante nel campo sociale e nell’incremento e nella maturazione della coscienza nazionale; forse le vicende politiche del Risorgimento e le correnti anticlericali del tempo hanno contribuito a contenere l’affermazione delle opere sociali dei cattolici, le quali, ancor più che alle appassionate discussioni nell’opinione pubblica e nella vicenda politica, miravano alla offerta di contributi concreti, positivi, impegnativi d’un servizio organico, che solo la dedizione di persone votate a specifiche istituzioni, a ciò relative, poteva prestare. E ciò dimostrerebbe come il carattere confessionale di tali istituzioni non solo non impedì la loro nascita, ma la generò; e ricorderebbe anche a noi, oggi abituati a distinguere, e fino a separare, il campo religioso da quello temporale, che l’ispirazione religiosa realmente operante nell’ambito delle attività sociali, lungi dal frenare la loro espansione, conferisce loro la più intima, la più generosa, la più feconda energia, quella incomparabile ed inesauribile della carità. La storia delle opere, a cui il Murialdo pose mano e diede vita, lo dimostra e tuttora lo insegna.

FU STRAORDINARIO NELL’ORDINARIO

E qui la conclusione ci porta al terzo capitolo, quello che tenta l’introspezione di quest’uomo di Dio. Ma dobbiamo fermarci sulla soglia. La vita spirituale e personale del Murialdo ci è, per ora, meno nota che non la sua multiforme attività esteriore; la pubblicazione dei suoi scritti e della sua corrispondenza renderà l’esplorazione possibile; ma forse essa non offrirà alla nostra indagine psicologica quegli aspetti singolari e, per così dire, anormali, di cui noi moderni siamo più avidi, nel campo agiografico, che non gli antichi, per i quali era invece sommo gusto la ricerca, e per certuni fantasiosi perfino l’invenzione decorativa, degli episodi meravigliosi e miracolosi. Ripeteremo intanto ciò che di lui è stato detto: egli fu straordinario nell’ordinario. Cioè la sua personalità sacerdotale ci si presenta nel profilo comune del buon prete di quel tempo e di quell’ambiente; e questo giudizio torna a grande lode della formazione ecclesiastica allora vigente (e tuttora degna d’alto apprezzamento), se essa sapeva modellare, nell’osservanza regolare e fervorosa della norma canonica, come tipo ordinario un prete straordinario, un santo. Si rivendica così la sapienza della pedagogia ecclesiale Post-tridentina, alla San Carlo, alla «San Sulpizio» dell’Olier (il Murialdo fu ospite di S. Sulpizio a Parigi per un certo tempo), nella quale pedagogia l’equilibrio, anzi la complementarietà, della vita interiore e della vita esteriore è preziosa caratteristica; né l’una, né l’altra proclive a singolarità carismatiche, ascetiche, o pastorali, ma l’una e l’altra forti, serie, perseveranti, e improntate non tanto all’affermazione della propria personalità, quanto piuttosto alla propria austera abnegazione nell’amore a Cristo e nell’umile conformità alla disciplina canonica.

Ma questa ricerca di normalità non sarà mai priva dell’originalità delle anime vive; basti ricordare quanto intensa fosse la sua spiritualità, e come le sue devozioni, cioè le espressioni preferite della sua religiosità, fossero rivolte con un fervore tutto personale alle verità somme e centrali della fede: la Santissima Trinità, l’Eucaristia, la Croce, lo Spirito Santo, la Chiesa, la Madonna, e con lei S. Giuseppe (che dà il nome alla Congregazione dei Figli del Murialdo)...
E per portare con noi un frammento di questa santità così semplice, così vera, così silenziosa e così feconda, e per sentirlo il Murialdo non solo vivo e glorioso in Cielo, ma nostro compagno e nostro modello nel pellegrinaggio sulla terra e nel tempo, ci fermeremo a queste sue parole, quasi a commiato, nell’ammirazione e nella fiducia per la sua santità:
«Non rendere - egli ebbe a dire - la religione o solamente soprannaturale, o solamente umana. Ma soprannaturale e umana. Alla virtù aggiungi la bontà, la dolcezza, lo spirito di amicizia, la naturalezza, la disinvoltura, la festevolezza . . .» (CASTELLANI, II, 756).
Sembra a Noi di vederlo, di ascoltarlo; e di averlo ancora con noi, San Leonardo Murialdo: vicino. Così sia.

BEATIFICAZIONE DEL SERVO DI DIO LEONARDO MURIALDO

OMELIA DI PAOLO VI

Domenica, 3 novembre 1963

      

Abbiamo tributato gli onori del culto, e abbiamo chiesto l’ausilio della sua intercessione, ad un nuovo cittadino del Cielo, proclamando Beato un esemplare, zelante e provvido Sacerdote piemontese, Leonardo Murialdo, nato a Torino nel 1828 e a Torino morto nel 1900.

È istintiva ed è legittima, doverosa anche, la domanda che il solenne avvenimento della Beatificazione fa sorgere nello spirito di quanti lo contemplano nel quadro di gloria in cui lo colloca oggi la Chiesa: chi era?

Prima ancora di rispondere potremmo rivolgere a noi stessi un’altra tacita domanda, nella quale si esprime la caratteristica dell’agiografia moderna; e cioè: che cosa vogliamo sapere d’un Beato o d’un Santo? Se la nostra mentalità fosse quella della curiosità esteriore, o di certa ingenua devozione medioevale, ci potremmo proporre di ricercare nell’uomo esaltato in modo tanto straordinario i fatti straordinari: i favori singolari, di cui talora godono certi privilegiati Servi di Dio, i fenomeni mistici e i miracoli; ma oggi siamo meno avidi di queste manifestazioni eccezionali della vita cristiana; ne siamo, sì, sempre impressionati quando ci è dato d’averne notizia sicura; impressionatissimi, noi figli d’un secolo impegnato nello studio e nella scoperta delle stupende leggi naturali, quando abbiamo di tali miracolose manifestazioni qualche diretta osservazione, o addirittura qualche esperienza. Ma noi oggi siamo così predisposti a supporre inviolabile il meccanismo delle leggi naturali, da diventare eccessivamente prudenti e sospettosi davanti ai fenomeni carismatici e miracolosi, di cui talvolta la santità è rivestita. Questi fenomeni quasi più ci svegliano dubbi, che non ci diano certezze, quando tali fatti non siano veramente provati e dalla Chiesa approvati. In ogni modo, non sembra che sia di questo genere il segno che Leonardo Murialdo ci dà della sua santità.

La nostra domanda perciò si contenta di più facile risposta; vorrebbe cioè sapere la storia dell’uomo glorificato, la sua biografia; e volendo anche di questa domanda avvertire il lato caratteristico, che interessa l’agiografia moderna, diciamo che ci piace conoscere la figura umana, piuttosto che la figura mistica o ascetica di lui; vogliamo scoprire nei santi ciò che a noi li accomuna, piuttosto che ciò che da noi li distingue; li vogliamo portare al nostro livello di gente profana e immersa nell’esperienza non sempre edificante di questo mondo; li vogliamo trovare fratelli della nostra fatica e fors’anche della nostra miseria, per sentirci in confidenza con loro e partecipi d’una comune pesante condizione terrena. E a questo riguardo la nostra curiosità troverà nella narrazione della vita di Leonardo Murialdo facile e interessante risposta: la sua storia è semplice, non ha misteri, non ha avventure straordinarie; si svolge in un corso relativamente tranquillo, in mezzo a luoghi, a persone, a fatti ben conosciuti. I volumi pubblicati per questa circostanza lo dicono, e sembrano persuaderci che questo nuovo Beato non è un uomo lontano e difficile, non è un santo sequestrato dalla nostra conversazione; è un nostro fratello, è un nostro sacerdote, è un nostro compagno di viaggio. Il quale però, se davvero lo avviciniamo, non mancherà di provocare in noi quel senso di ammirazione dovuto alle anime grandi, quando ci accorgeremo di certa sua nascosta profondità interiore, di certa sua inflessibile costanza in tante non facili virtù, di tante sue finezze di giudizio, di tratto, di stile, che faranno dire a noi ciò che altri, lui vivente, dissero al suo incontro, come se si .trattasse d’una felice scoperta: è un santo! E se noi, dopo averla pronunciata, ci riprendiamo dallo stupore, che tale definizione genera nei nostri animi, ascoltiamo lui stesso, che, quasi a bassa voce, ci svela il buon fondamento di quella definizione e del nostro stesso stupore: «fare e tacere». La sua divisa, potremmo trovarla in queste due parole: fare e tacere. Ci dice quanto sia stato positivo, costruttivo l’impiego della sua vita, e quanto umile. Ci ricorda le parole estreme di Antonio Rosmini: «adorare, tacere e godere». Ed è perciò a lui bene riferito il giudizio d’un contemporaneo: «fu uomo straordinario nell’ordinario».

La nostra domanda, che vuol sapere: chi era?, si precisa così e si appaga, dirigendosi, secondo le aspirazioni ancor più semplificate, semplicistiche talvolta, della novissima agiografia, verso una visione comprensiva e riflessa dell’uomo in questione, quando si accontenta d’una nozione riassuntiva della sua vita, che può essere varia e ricchissima; quando si limita cioè ad esigere una definizione sintentica, che classifichi l’eletto secondo dati aspetti, sufficienti per avere di lui, più che una conoscenza completa, semplicemente un concetto, un’idea. È, ‘del resto, ciò che fa il panegirista, che concentra in uno o più punti focali il suo elogio; ed è ciò che torna opportuno per Noi, in questo momento obbligati a restringere in brevissimi termini la risposta alla domanda che ognuno si pone: il nuovo Beato Leonardo Murialdo, chi era?

Era un Sacerdote, potremmo dire, della scuola di santità torinese del secolo scorso, la quale ha dato alla Chiesa un tipo di ecclesiastico santo, fedelissimo alla dottrina ortodossa e al costume canonico, uomo di preghiera e di mortificazione, perfettamente aderente allo schema abituale della vita prescritta ad un sacerdote, il quale, però, proprio per questa generosa ed intima aderenza sente salire nella sua anima energie nuove e potenti, e si avvede che d’intorno a lui bisogni gravi e urgenti reclamano il suo intervento. Non cercheremo in lui novità di pensiero, troveremo invece in lui novità di opere. L’azione lo qualifica. Spinto dal di dentro del suo spirito, chiamato al di fuori da nuove vocazioni di carità, questo Sacerdote ideale si concede ai problemi pratici del bene a lui presente; e inizia così, senza altre previsioni che quella dell’abbandono alla Provvidenza, la impensata avventura, la novità, la fondazione cioè, d’un nuovo istituto, modellato secondo il genio di quella fedeltà iniziale, e secondo le indicazioni sperimentali delle necessità umane, che l’amore ha rese evidenti e imploranti. Così il Cottolengo, così il Cafasso, già dichiarati Santi, così il Lanteri, così l’Allamano che ne seguono le orme, così specialmente Don Bosco, di cui tutti conosciamo la grande e rappresentativa figura. E così il Murialdo.

Tanto che nessuno, appena ne conosca il disegno biografico, si sottrae ad una nuova domanda: ma perché una nuova fondazione, quando questa sembra simile a quella salesiana e ad altre non poche di eguale tipo e dello stesso periodo storico? E la nostra questione diventa tanto più motivata, quando si accorge che la Scuola torinese non è la sola a generare analoghe istituzioni: potremmo elencare una gloriosa serie di magnifici sacerdoti, i quali hanno illustrato la Chiesa cattolica nell’ottocento, e sembrano tra loro fratelli, e tutti obbedire ad un somigliante paradigma di perfezione personale e di operosità apostolica, tanto da formare tutti insieme una meravigliosa costellazione di sante figure attorniate da nuove, poderose istituzioni da loro fondate. Citiamo ad esempio, fra le istituzioni di coloro che hanno preceduto il Murialdo: gli Oblati di Maria Immacolata, gli Oblati di Maria Vergine, l’Istituto Cavanis, i Rosminiani, i Pavoniani, gli Stimatini, i Claretiani, i Betharramiti e così via; e fra coloro che gli sono contemporanei e successivi: i Padri di Timon David, i Giuseppini d’Asti, gli Oblati di S. Francesco di Sales, i figli di Kolping, di Chevalier, di Don Guanella, di Don Orione, di Don Calabria e di tanti altri.

Potremmo osservare eguale fenomeno, e con una serie assai copiosa di nomi benedetti, per quanto riguarda il campo femminile. Questa fioritura di istituzioni similari, anche se ben distinte le une dalle altre, Ci fa pensare ad un disegno provvidenziale: il Signore ha voluto che la sua Chiesa esprimesse la sua perenne vitalità in una forma, in uno stile particolarmente rispondente ai bisogni e alle tendenze del nostro tempo. .I bisogni infatti del nostro tempo, in ordine all’assistenza, all’educazione, alla qualificazione della gioventù, di quella lavoratrice in particolare, sono così pronunciati e così diffusi da convincerci che nessuna di quelle istituzioni è bastante, e perciò nessuna è superflua; anzi, esse non bastano mai; e se oggi più fossero, tutte avrebbero ragion d’essere, sia per l’originalità che distingue l’una dall’altra (la varietà è bellezza, è ricchezza, è indice di libertà e di fecondità), e sia perché tutte, quelle medesime istituzioni, ancor oggi sono così ricercate dallo sviluppo della scuola e della formazione professionale, da non riuscire a corrispondere a tutte le molteplici chiamate, che da ogni parte si contendono la loro provvidenziale presenza. E osiamo credere che questa crescente richiesta di educatori cattolici della gioventù popolare non diminuirà facilmente neppure quando l’organizzazione scolastica si sarà allargata, come possiamo sperare dai moderni programmi della società civile, perché proprio tale allargamento farà ancor più rilevare un’indeclinabile necessità, a cui la cooperazione di queste istituzioni sembra ed è assai propizia, come quella che offre il cosiddetto «personale», il quale del sacrificio diuturno, silenzioso, amoroso, totale, che solo rende efficace, umana e grande, come una spirituale maternità, l’opera educatrice, fa suo programma e suo intimo vanto. Il Murialdo lo nota in una sua lettera dalla Sicilia: «universale... il lamento delle difficoltà di trovare uomini di spirito...» per l’educazione della gioventù lavoratrice. «Manca solo - egli nota in altro scritto - chi dia... spirito e coraggio». E fu la visione di questo bisogno sociale, che fece di lui il modesto, ma ardito e saggio fondatore della Pia Società Torinese di S. Giuseppe: egli diede a tale bisogno sociale uomini di spirito e di coraggio.

Il fatto va prospettato nell’orizzonte storico dell’ottocento, che estende la sua giornata anche nel nostro secolo, perché una volta ancora ci fa vedere la carità sociale della Chiesa, la quale, davanti al sorgere dell’industria moderna, con la conseguente formazione d’una classe operaia e proletaria, non ha avuto manifesti clamorosi per promuovere un’emancipazione sovversiva dei lavoratori che siano nel bisogno e nella sofferenza, ma con intuizione vitale ha subito offerto, senza attendere né l’esempio né l’indicazione altrui, la sua amorosa, positiva, paziente, disinteressata assistenza ai figli del popolo; li ha circondati di comprensione, di affezione, di istruzione, di amore; ha loro spianato la via per la loro elevazione sociale; ed il lavoro moderno, tanto conclamato, ma tanto spesso artificiosamente pervaso di inquiete passioni, essa ha insegnato a compierlo con amore e con abilità, con dignità e coscienza di quanto esso valga per la vita temporale non solo, ma per quella spirituale altresì, se congiunto al respiro dell’anima, la fede e la preghiera, e se irradiato e benedetto dall’esempio di Cristo, e di colui che a Cristo fu padre putativo, custode provvido, l’umile e grande lavoratore, S. Giuseppe. La sociologia della Chiesa ha anche in questa luminosa schiera di Beati e di Santi votati al bene del popolo una sua eloquente e positiva manifestazione.

La beatificazione perciò con cui oggi la Chiesa solleva ad onore e ad esempio quest’uomo mite e gentile, questo sacerdote pio ed esemplare, questo fondatore saggio e laborioso, acquista un significato particolare: non solo le virtù personali di Leonardo Murialdo sono riconosciute ed esaltate, ma la forma e la forza sociale che tali virtù rivestirono sono così riconosciute e canonizzate. É la linea di santità propria dell’età nostra, che riceve conferma ed incoraggiamento; è la scuola di quelle medesime virtù che riceve pubblico plauso e premio ufficiale.

La Chiesa dunque, anche in questa luminosa circostanza, ci parla delle necessità, tuttora vive e insoddisfatte, della nostra società; ancora ci esorta a dare all’uomo, all’uomo della fatica materiale specialmente, una considerazione di primo grado nel complesso concorso dei coefficienti della produzione economica e del progresso sociale; ancora ci svela il suo cuore pieno di affezione e di stima per le categorie lavoratrici, ancora ci apre le riserve della sua operosa carità per la salvezza, la letizia, la formazione umana e cristiana della gioventù studentesca, agricola ed operaia. Il Murialdo, dall’alto, così c’insegna; e dall’alto lui ci renda capaci di seguirne gli esempi e di partecipare un giorno noi pure alla sua gloria.

Il nucleo centrale della spiritualità del Murialdo è la convinzione dell'amore misericordioso di Dio: un Padre sempre buono, paziente e generoso, che rivela la grandezza e l'immensità della sua misericordia con il perdono. Questa realtà san Leonardo la sperimentò a livello non intellettuale, ma esistenziale, mediante l'incontro vivo con il Signore. Egli si considerò sempre un uomo graziato da Dio misericordioso: per questo visse il senso gioioso della gratitudine al Signore, la serena consapevolezza del proprio limite, il desiderio ardente di penitenza, l'impegno costante e generoso di conversione. Egli vedeva tutta la sua esistenza non solo illuminata, guidata, sorretta da questo amore, ma continuamente immersa nell'infinita misericordia di Dio. Scrisse nel suo Testamento spirituale : «La tua misericordia mi circonda, o Signore... Come Dio è sempre ed ovunque, così è sempre ed ovunque amore, è sempre ed ovunque misericordia». Ricordando il momento di crisi avuto in giovinezza, annotava: «Ecco che il buon Dio voleva far risplendere ancora la sua bontà e generosità in modo del tutto singolare. Non soltanto egli mi ammise di nuovo alla sua amicizia, ma mi chiamò ad una scelta di predilezione: mi chiamò al sacerdozio, e questo solo pochi mesi dopo il mio ritorno a lui». San Leonardo visse perciò la vocazione sacerdotale come dono gratuito della misericordia di Dio con senso di riconoscenza, gioia e amore. Scrisse ancora: «Dio ha scelto me! Egli mi ha chiamato, mi ha perfino forzato all'onore, alla gloria, alla felicità ineffabile di essere suo ministro, di essere “un altro Cristo” ... E dove stavo io quando mi hai cercato, mio Dio? Nel fondo dell'abisso! Io ero là, e là Dio venne a cercarmi; là egli mi fece intendere la sua voce...».

Sottolineando la grandezza della missione del sacerdote che deve «continuare l'opera della redenzione, la grande opera di Gesù Cristo, l'opera del Salvatore del mondo», cioè quella di «salvare le anime», san Leonardo ricordava sempre a se stesso e ai confratelli la responsabilità di una vita coerente con il sacramento ricevuto. Amore di Dio e amore a Dio: fu questa la forza del suo cammino di santità, la legge del suo sacerdozio, il significato più profondo del suo apostolato tra i giovani poveri e la fonte della sua preghiera. San Leonardo Murialdo si è abbandonato con fiducia alla Provvidenza, compiendo generosamente la volontà divina, nel contatto con Dio e dedicandosi ai giovani poveri. In questo modo egli ha unito il silenzio contemplativo con l'ardore instancabile dell'azione, la fedeltà ai doveri di ogni giorno con la genialità delle iniziative, la forza nelle difficoltà con la serenità dello spirito. Questa è la sua strada di santità per vivere il comandamento dell'amore, verso Dio e verso il prossimo.

Con lo stesso spirito di carità è vissuto, quarant'anni prima del Murialdo, san Giuseppe Benedetto Cottolengo, fondatore dell'opera da lui stesso denominata «Piccola Casa della Divina Provvidenza» e chiamata oggi anche «Cottolengo». Domenica prossima, nella mia Visita pastorale a Torino, avrò modo di venerare le spoglie di questo Santo e di incontrare gli ospiti della «Piccola Casa».