Maria della Passione

Maria della Passione

(1866-1912)

Beatificazione:

- 14 maggio 2006

- Papa  Benedetto XVI

Ricorrenza:

- 27 luglio

Laica, dopo la morte del marito entrò nella Congregazione delle Suore Crocifisse di Gesù Sacramentato, oggi Suore Crocifisse Adoratrici dell’Eucaristia, e assunse il nome di suor Maria della Passione

  • Biografia
  • la fama di santità
  • omelia di beatificazione
“Mi chiamo Maria della Passione e devo assomigliare al Maestro”

 

Maria Grazia Tarallo nacque il 23 settembre 1866 a Barra (Napoli). I suoi genitori, Leopoldo Tarallo e Concetta Borriello, ebbero altri sei figli, due dei quali morirono molto presto. Due delle figlie erano anche religiose nell'istituto in cui era entrata la serva di Dio. Ricevette il sacramento della cresima all'età di dieci anni, il 28 luglio 1876.

Dopo aver finito la scuola elementare, Maria Grazia ha imparato e poi ha lavorato come sarta.

A ventidue anni, quando pensava di appartenere completamente a Gesù, suo padre, che si oppose a quella vocazione, cercò di dissuaderla imponendo l'accettazione del matrimonio, accettando la proposta di matrimonio pervenuta dal giovane Raffaele Aruta. Così, il 13 aprile 1889, fu celebrato il matrimonio civile, lasciando i religiosi per dopo, come era tradizione in quella regione. Ma quello stesso pomeriggio, durante il banchetto per festeggiare, Raffaelle si sentì male per un attacco di emottisi e i medici gli consigliarono di trasferirsi a Torre del Greco per respirare aria più sana. Lì morì nove mesi dopo il matrimonio civile, il 27 gennaio 1890.

Il padre di Maria Grazia voleva imporre un secondo matrimonio a lei, ma disse: "Padre, non vuoi nemmeno arrenderti adesso? Visto ciò che è successo, non sei convinto che io debba essere una suora?" Alla fine suo padre la lasciò andare per arrendersi senza riserve a Dio nella vita consacrata.

Il 1 ° giugno 1891, insieme a sua sorella Drusiana, entrò nel convento delle suore religiose eucaristiche crocifisse, fondata dalla serva di Dio María Pía Notari. Sua sorella Giuditta entrò nella congregazione tre anni dopo.

Durante il processo canonico, il fondatore, che le aveva dato il nome di Maria della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo, rese testimonianza della sua vita virtuosa e della sua reputazione di santità.

La sua superiora ha dichiarato a proposito di suor Maria: "Durante il suo noviziato, sotto la mia direzione, ha adempiuto con ammirevole accuratezza tutti i suoi doveri religiosi, distinguendosi tra i suoi compagni soprattutto nelle virtù della santa obbedienza e umiltà. Non ha attirato affatto l'attenzione". .

Ha pienamente realizzato la sua vocazione per l'amore della Passione di Gesù crocifisso, l'Eucaristia e la Vergine Addolorata. Disse: "Mi chiamo suor Maria de la Pasión e devo essere come la Maestra".

Ha ricevuto diverse commissioni, tra cui la direzione spirituale delle sue sorelle come insegnante alle prime armi, ma anche altre più umili, come cuoca, roper e facchino. Tra tutte le opere ha preferito fabbricare gli ospiti per la Santa Messa, poiché la vedeva come un'estensione dell'adorazione eucaristica e come parte del carisma del suo istituto.

Pregava continuamente; Trascorreva molto tempo durante il giorno, e talvolta durante la notte, pregando nell'ultimo posto del coro, e rimaneva in un dialogo intimo con Dio. La preghiera era il cibo della sua anima. Era sempre esemplare ed edificante nella carità e nella preghiera, e l'intera comunità l'ammirava.

In uno dei suoi scritti esprime il suo ardente zelo apostolico con queste parole: "Mentre nella tristezza del mio cuore ho considerato fino a che punto l'amore ardente del Cuore della Parola divina raggiunge gli uomini, e che questi corrispondono a un così grande amore con il più ingratitudini nere, mi sono detto: Oh, mio ​​Dio, vorrei poter uscire nel mondo per gridare attraverso le piazze: Oh mondo cieco, apri gli occhi e conosci questo Dio e amalo. (...) L'amore non è amato, perché no è noto."

Ha vissuto gli ultimi giorni della sua vita nutrendosi solo dell'Eucaristia. Muore il 27 luglio 1912.

La sua fama di santità fu ampliata dalle virtù eroiche, per essersi offerto come vittima di peccatori e sacerdoti, e anche per i doni soprannaturali che incoronavano il cammino della sua spiritualità, santità e misticismo.

La sua aspirazione era: "Voglio diventare un santo, amare Cristo nell'Eucaristia, soffrire con Cristo crocifisso, vedere Cristo negli altri".

I suoi genitori, che gli diedero una solida formazione umana e cristiana, vivevano ancora quando morì Maria della Passione e collaborarono come testimoni nel processo canonico. Sua madre ha dichiarato in questo processo: "Sin da piccola è stata sempre docile e calma, le piaceva essere separata. Essendo la prima delle mie figlie, con amore e impegno per la sua età, mi ha aiutato nelle faccende di casa e si è anche occupata di insegnare alle sue sorelle piccolo quello che ha imparato a scuola ".

RITO DI BEATIFICAZIONE DI MARIA DELLA PASSIONE,
RELIGIOSA DELLE SUORE CROCIFISSE ADORATRICI DELL'EUCARISTIA

OMELIA DEL CARDINALE JOSÉ SARAIVA MARTINS 

Cattedrale di Napoli
Domenica, 14 maggio 2006

 

Eminenze Reverendissime, Cardinale Michele Giordano Arcivescovo di Napoli, Cardinale Agostino Vallini, Eccellenze Reverendissime, Distinte Autorità, Sorelle e fratelli tutti in Cristo,

ci rallegriamo nel Signore in questa quinta domenica di Pasqua in cui contempliamo un tralcio speciale della vite di Cristo: Maria della Passione, appena iscritta nell'Albo dei Beati. Gioisce la venerata e cara Chiesa di Napoli, per la sorte gloriosa di questa sua figlia che arricchisce il novero dei santi e beati partenopei, già singolarmente ricco.

1. La liturgia della Parola di questa domenica è tutta una riflessione sulla santità, sul nostro essere uniti a Cristo, in comunione permanente con Cristo, per rimanere in Cristo.

In particolare il brano evangelico, testé proclamato, inizia il secondo discorso di addio di Gesù dopo l'ultima cena. Fa da sfondo a questo discorso il famoso cantico della vigna di Isaia (5, 1-7) dove si dice che il Signore "possedeva una vigna sopra una fertile collina, l'aveva vangata e sgombrata dai sassi e vi aveva piantato viti scelte... Egli aspettò che producesse uva, ma essa fece uva selvatica". L'immagine della vigna assume, pertanto, una doppia coloritura:  per un verso è segno dell'amore, per un altro verso dell'infedeltà.

Tuttavia Gesù non sembra riprendere semplicemente l'immagine profetica della vigna. Vi è dell'altro. Se consideriamo che nel vangelo di Giovanni la vite non è presentata per il vino che se ne ricava, ma come pianta contorta con i suoi molteplici rami, i quali ricevono da essa la capacità di portar frutto, mentre si disseccano, se ne sono separati, allora dobbiamo dire che Cristo è, sì, la realizzazione del vecchio simbolo, ma soprattutto che Egli non è la vite vera da solo:  egli associa a sé altri, perché vivano la sua stessa vita, quelli che il vangelo chiama appunto i tralci.

È l'innesto nella vitalità inesauribile dell'unico ceppo, quello sul quale ogni cristiano deve crescere, per portare abbondanza di frutti.

La vera chiave di lettura di questo brano ci è fornita, in altri termini, non tanto dal tema della vigna e delle applicazioni che esso trova nell'Antico Testamento, quanto da un verbo che vi ricorre ripetutamente: si tratta del verbo "rimanere", un verbo particolarmente caro all'evangelista san Giovanni, che lo usa ben sessantasei volte, mentre tutti gli altri autori del Nuovo Testamento lo usano, insieme, quarantasei volte soltanto.

2. Benché la Bibbia nel suo insieme attribuisca la permanenza solo a Dio e la presenti come una caratteristica divina, in contrasto con la mutabilità, l'incertezza e la caducità delle realtà terrene e umane, san Giovanni applica questo concetto al Cristo per affermare apologeticamente il carattere eterno della sua dignità contro le obiezioni dei Giudei, i quali, ricordando la caducità della sua vita gli negavano il carattere di Messia e di Figlio di Dio.

È molto urgente, anche oggi, riflettere bene su questo importante messaggio dottrinale cristiano, specialmente di fronte alle derive di una certa gnosi o letteratura alla moda, che alla fine distruggono il cristianesimo, nei suoi fondamenti.

Il Cristo rimane e non passa, perché su di lui è lo Spirito di Dio che gli viene dato in pienezza e su di lui rimane in eterno.

L'innovazione di questo vangelo, bisogna notarlo, è che questo verbo "rimanere" è applicato anche ai credenti, nel senso che si fondano sulla stabilità di Dio, ossia credono e perseverano nella fede, ma soprattutto perché vi è una comunione intima tra i credenti e Cristo, così come vi è una comunione intima tra Cristo e il Padre.

Noi cristiani, in quanto battezzati siamo uniti a Gesù con un vincolo così profondo e vitale come è quello che unisce il tralcio alla vite. Il tralcio è un'emanazione, una parte della vite:  tra le due cose scorre la stessa linfa. Non si potrebbe pensare a un'unità più intima. Sul piano spirituale, questa linfa è la vita divina che ci è stata data nel Battesimo, lo Spirito Santo.

3. Se ricordiamo che nel capitolo 6 del suo vangelo Giovanni aveva parlato del "pane della vita" e aveva impiegato anche lì il verbo "rimanere", allora dobbiamo dire che in questa parabola della vite e dei tralci abbiamo un'immagine della "vite della vita", parallela a quella del "pane della vita" e l'intero discorso di addio, pronunciato dopo l'ultima cena, a cui appartiene l'odierna sezione, assume una portata chiaramente eucaristica.

È dunque non solo principalmente attraverso l'amore fraterno, ma anche attraverso l'Eucaristia, che si entra in contatto vitale con il Cristo, si diventa i suoi tralci e si rimane in Lui. Ed è proprio questo, mi pare, il tratto caratteristico della fisionomia spirituale della Beata Maria della Passione. Ella ha fatto dono di sé al mondo, offrendosi con Cristo, per Cristo quale vittima di riparazione dei peccatori, individuando, inoltre, nella necessità della santità dei sacerdoti la possibilità di un mondo nuovo.

La vita della Beata è stata consumata rimanendo in Cristo, vivo e realmente presente nel Sacramento dell'Eucaristia. Le sue lunghe adorazioni di giorno e di notte significano la sapiente scelta di essere con Gesù, sempre. Aveva capito il segreto che esprime con queste sue parole: "Voglio farmi santa, amando Cristo nell'Eucaristia, soffrendo con Cristo crocifisso, guardando Cristo nella persona del fratello". Il suo carisma, perciò, è lo stupore contemplativo dell'Eucaristia, nella quale trovava le forze per superare le difficoltà, tanto che gli ultimi giorni della sua vita si nutriva solo dell'Eucaristia.

4. Il messaggio della novella Beata lo possiamo raccogliere dalle sue ultime parole rivolte alle consorelle, sempre originale ed attuale. So che ad esso fanno spesso riferimento, quasi come ad un leitmotif le consorelle e tutte le persone devote della Beata Maria Tarallo, ma desidero ripeterle ancora una volta: "Mi raccomando la santa osservanza delle regole, la prontezza all'obbedienza ed in particolare la quotidiana adorazione a Gesù Sacramentato. Amate assai Gesù nella SS.ma Eucaristia, non lo lasciate mai solo, non gli fate prendere collera..., non gli date dispiaceri" (Fontana L.M. Vita della vittima riparatrice la Serva di Dio Suor Maria della Passione delle Crocifisse Adoratrici di Gesù Sacramentato, Scansano, Tip. Ed. Degli Olmi 1921, p. 324).

Un appello, quello di Suor Maria della Passione, rivolto non solo alle Religiose Crocifisse Adoratrici dell'Eucaristia, ma anche a tutti noi, ad un rinnovato fervore eucaristico, che in fondo realizza l'attuazione concreta dell'evangelico "Rimanete in me ed io in voi".

Rimanere nel suo amore... questo verbo - in greco - significa anche "dimorare", avere una comune residenza ed esperienza di vita. A quale livello di vita ci eleva il cristianesimo... ben diverso da quanto pensano coloro che riducono la nostra religione ad un insieme di regole di vita e formule di dottrina. Qui si tratta di venire inseriti in una reciprocità con Dio stesso. L'amore suo che si fa reciproco del nostro. Dio che è l'Amante afferma che è dentro di noi e noi, dentro di Lui, in Cristo.

Tocca a noi ora seguire l'invito di Gesù che Maria della Passione ha realizzato in tutta la sua vita.

Non si tratta però, si badi bene, di una contemplazione fine a se stessa. Il testo riporta per ben cinque volte il "portare frutto". Così come la seconda lettura ci esortava ad amare Dio con i fatti e nella verità. Chi ama Dio veramente, ama anche il prossimo e desidera che arrivi alla conoscenza della verità: come si può amare una persona e permettere, al tempo stesso, che rimanga nell'errore, che sia in pericolo la sua salvezza e quindi la sua eterna felicità?

Questa insistenza ci ricorda che l'amore non è mai sterile, ma fecondo, sempre! Voglia la Beata Maria della Passione aiutarci a crescere nell'impegno di lavorare e di vivere per l'unico bene che è degno di essere perseguito: l'avvento del Regno di Cristo nel mondo, regno di amore, di giustizia, di riconciliazione e di pace tra gli uomini e i popoli.