Maria Felicia di Gesù Sacramentato

Maria Felicia di Gesù Sacramentato

(1925-1959)

Beatificazione:

- 23 giugno 2018

- Papa  Francesco

Ricorrenza:

- 28 aprile

Religiosa, suora professa dell’Ordine delle Carmelitane Scalze; chiamata la “Chiquitunga”, aderì con entusiasmo all’Azione Cattolica e si prese cura di anziani, ammalati e carcerati

  • Biografia
  • ANGELUS
"Sono innamorata di Sauá, ma ancor più di Gesù"

 

Chiquitunga, come la chiamava affettuosamente il padre per il suo fisico esile, in netto contrasto con la forza della sua personalità e della sua fede. Dalla nascita fino alla morte, il suo imperativo di vita fu donare tutto al Signore, trovare amore per poterglielo offrire; uno stile che sintetizzò anche in una sorta di formula matematica – T2OS tutto ti offro, Signore – che fu il suo programma di vita.

“Desiderava offrire la vita per il Signore anche spargendo il suo sangue nel martirio – è la testimonianza del cardinale Amato, delegato del Papa ad Asunción – si diceva pronta a morire per la fede e da questo amore per Dio scaturiva una straripante carità fraterna fatta di accoglienza, comprensione, perdono”.  

Prima di sette figli, Maria Felicia Guggiari Echeverría, nacque il 12 gennaio 1925 a Villarrica del Espíritu Santo, capitale del distretto di Guairá, in Paraguay, culla del liberalismo nazionale che stava attraversando il Paese in quegli anni e che toccò anche la sua famiglia (dalla doppia origine italiana e basca) nella quale ella respirava un’integerrima condotta morale e un amore naturale verso il prossimo che prestissimo tradusse in carità verso i più poveri, come quando regalò il suo maglione preferito – dono di suo padre – a una bambina infreddolita.

Così la novella, inconsapevole imitatrice di San Martino di Tours nel famosissimo episodio del mantello, decise di diventare “ogni giorno migliore, più buona” iniziando a visitare quotidianamente il Tabernacolo e portando con sé gli amichetti. Si faceva strada in lei, dunque, la santità, percettibile almeno quanto evidenti nelle foto che ci restano di lei, erano l’allegria, l’entusiasmo e il coraggio: “I tratti della sua personalità che più mi hanno impressionato della nuova Beata”, rivela il postulatore padre Romano della Trasfigurazione.  

“Il suo sorriso gentile rivelava un’anima baciata dalla grazia divina e il suo sguardo trascendeva le cose visibili e si proiettava verso il cielo – precisa ancora il cardinale Amato – era una persona che corrispondeva in tutto alla volontà di Dio, vivendo il suo battesimo con semplicità, costanza e gioia”.

Con queste parole Maria Felicia definiva la sua strada verso il Signore, che la portò a 16 anni ad aderire all’Azione Cattolica, a praticare una preghiera intima e costante, a dedicarsi ai bambini, ai giovani, agli anziani e agli ammalati nonostante la disapprovazione familiare. Presto compì la consacrazione all’apostolato, completandola col voto della verginità, ma già da tempo aveva abbracciato una sobrietà che la portava a indossare sempre un grembiule bianco, sia per ricordare come avrebbe dovuto mantenere immacolata la propria anima, sia perché altrimenti, con abiti diversi, non avrebbe ricevuto altro che diffidenza nell’avvicinare i poveri. Unico ornamento, un rametto del profumatissimo gelsomino del Paraguay.

Nel 1950 l’incontro con un altro membro dell’Azione Cattolica, Ángel Sauá: fu un colpo di fulmine, al quale Maria Felicia reagì pregando il Signore affinché le facesse capire cosa davvero voleva da lei. Un anno dopo ecco la risposta: Ángel le confidava il suo desiderio di entrare in seminario, nonostante l’opposizione della famiglia. Da allora in poi Chiquitunga lo sostenne fino all’ordinazione, pregando e offrendo la propria vita per questa e per le altre vocazioni che Dio avesse chiamato alla sua Chiesa: “Il sacerdote è amico della fanciullezza, consigliere della gioventù, sostegno e braccio dei genitori – recitava – consolazione e conforto degli infermi e degli invalidi, invitato d’onore delle famiglie, sicurezza e garanzia dei popoli e della patria, orgoglio e ristoro della nostra Santa Madre Chiesa”. Nelle lettere che scriveva al suo amico speciale per sostenerne la vocazione, scoprì la propria, tanto da rivelare in seguito: “Sono innamorata di Ángel, ma ancora di più lo sono di Gesù”.

Dopo un periodo di esercizi spirituali, Maria Felicia decise di entrare nelle Carmelitane Scalze, dove diventò Maria Felicia di Gesù Sacramentato e dove visse appieno la propria missione, con spirito di sacrificio, generosità, ma anche gioia: “La lettura e la meditazione della Sacra Scrittura era il nutrimento della sua anima e l’arma del suo apostolato – aggiunge il porporato – quando entrò in convento regalò alle sorelle una copia dei Vangeli con dedica”. Appena tre anni dopo, però, contrasse dalla sorella l’epatite e sviluppò la purpura, una malattia mortale.

Dal letto d’ospedale dove si sentiva “desterradita” – piccola esule – non smetteva di trasmettere per lettera alle consorelle tutto il suo amore e il suo entusiasmo. Il giorno che morì – a soli 34 anni – chiese che le fosse letta la poesia di Santa Teresa d’Avila “Muoio perché non muoio”. Era il 28 aprile 1959.

“Come per lei, anche per noi la presenza viva di Gesù sia lampada per i nostri passi – conclude il cardinale Amato evidenziando il messaggio della Beata a tutti noi – la bontà e la santità dei cristiani rende la società più nobile, più fraterna, più ricca di umanità”.  

PAPA FRANCESCO

ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica, 24 giugno 2018

 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi la liturgia ci invita a celebrare la festa della Natività di San Giovanni Battista. La sua nascita è l’evento che illumina la vita dei suoi genitori Elisabetta e Zaccaria, e coinvolge nella gioia e nello stupore i parenti e i vicini. Questi anziani genitori avevano sognato e anche preparato quel giorno, ma ormai non l’aspettavano più: si sentivano esclusi, umiliati, delusi: non avevano figli. Di fronte all’annuncio della nascita di un figlio (cfr Lc 1,13), Zaccaria era rimasto incredulo, perché le leggi naturali non lo consentivano: erano vecchi, erano anziani; di conseguenza il Signore lo rese muto per tutto il tempo della gestazione (cfr. v. 20). E’ un segnale. Ma Dio non dipende dalle nostre logiche e dalle nostre limitate capacità umane. Bisogna imparare a fidarsi e a tacere di fronte al mistero di Dio e a contemplare in umiltà e silenzio la sua opera, che si rivela nella storia e che tante volte supera la nostra immaginazione.

E ora che l’evento si compie, ora che Elisabetta e Zaccaria sperimentano che «nulla è impossibile a Dio» (Lc 1,37), grande è la loro gioia. L’odierna pagina evangelica (Lc 1,57-66.80) annuncia la nascita e poi si sofferma sul momento dell’imposizione del nome al bambino. Elisabetta sceglie un nome estraneo alla tradizione di famiglia e dice: «Si chiamerà Giovanni» (v. 60), dono gratuito e ormai inatteso, perché Giovanni significa “Dio ha fatto grazia”. E questo bambino sarà araldo, testimone della grazia di Dio per i poveri che aspettano con umile fede la sua salvezza. Zaccaria conferma inaspettatamente la scelta di quel nome, scrivendolo su una tavoletta – perché era muto –, e «all’istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava normalmente, benedicendo Dio» (v. 64).

Tutto l’avvenimento della nascita di Giovanni Battista è circondato da un gioioso senso di stupore, di sorpresa e di gratitudine. Stupore, sorpresa, gratitudine. La gente è presa da un santo timore di Dio «e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose» (v. 65). Fratelli e sorelle, il popolo fedele intuisce che è accaduto qualcosa di grande, anche se umile e nascosto, e si domanda: «Che sarà mai questo bambino?» (v. 66). Il popolo fedele di Dio è capace di vivere la fede con gioia, con senso di stupore, di sorpresa e di gratitudine. Guardiamo quella gente che chiacchierava bene su questa cosa meravigliosa, su questo miracolo della nascita di Giovanni, e lo faceva con gioia, era contenta, con senso di stupore, di sorpresa e gratitudine. E guardando questo domandiamoci: come è la mia fede? E’ una fede gioiosa, o è una fede sempre uguale, una fede “piatta”? Ho senso dello stupore, quando vedo le opere del Signore, quando sento parlare dell’evangelizzazione o della vita di un santo, o quanto vedo tanta gente buona: sento la grazia, dentro, o niente si muove nel mio cuore? So sentire le consolazioni dello Spirito o sono chiuso? Domandiamoci, ognuno di noi, in un esame di coscienza: Come è la mia fede? E’ gioiosa? E’ aperta alle sorprese di Dio? Perché Dio è il Dio delle sorprese. Ho “assaggiato” nell’anima quel senso dello stupore che dà la presenza di Dio, quel senso di gratitudine? Pensiamo a queste parole, che sono stati d’animo della fede: gioia, senso di stupore, senso di sorpresa e gratitudine.

La Vergine Santa ci aiuti a comprendere che in ogni persona umana c’è l’impronta di Dio, sorgente della vita. Lei, Madre di Dio e Madre nostra, ci renda sempre più consapevoli che nella generazione di un figlio i genitori agiscono come collaboratori di Dio. Una missione veramente sublime che fa di ogni famiglia un santuario della vita e risveglia – ogni nascita di un figlio – la gioia, lo stupore, la gratitudine.

Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle,

ieri, ad Asunción (Paraguay), è stata proclamata Beata Maria Felicia di Gesù Sacramentato, al secolo Maria Felicia Guggiari Echeverría, monaca dell’Ordine delle Carmelitane Scalze, chiamata dal papà, e anche oggi dal popolo paraguaiano, la “Chiquitunga”. Vissuta nella prima metà del ventesimo secolo, aderì con entusiasmo all’Azione Cattolica e si prese cura di anziani, ammalati e carcerati. Questa feconda esperienza di apostolato, sostenuta dall’Eucaristia quotidiana, sfociò nella consacrazione al Signore. Morì a 34 anni, accettando con serenità la malattia. La testimonianza di questa giovane Beata è un invito per tutti i giovani, specialmente quelli paraguaiani, a vivere la vita con generosità, mansuetudine e gioia. Salutiamo la Chiquitunga con un applauso, e tutto il popolo paraguaiano!

Rivolgo il mio saluto a tutti voi, romani e pellegrini! In particolare, a quelli venuti da Hannover e Osnabrück, in  Germania, e a quelli della Slovacchia.

Saluto la comunità romena in Italia; i fedeli di Enna, Paternò, Rosolini e San Cataldo; e il gruppo di ciclisti di Sesto San Giovanni.

Auguro a tutti voi una buona domenica. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!