Maria Giuseppa Rossello

Maria Giuseppa Rossello

(1811-1880)

Beatificazione:

- 06 novembre 1938

- Papa  Pio XI

Canonizzazione:

- 12 giugno 1949

- Papa  Pio XII

- Basilica Vaticana

Ricorrenza:

- 7 dicembre

Vergine, religiosa che fondò l’Istituto delle Figlie di Nostra Signora della Misericordia e si dedicò con fervore alla salvezza delle anime, confidando solo in Dio

  • Biografia
  • Omelia
  • discorso Pio XII
"Cuore a Dio, mani al lavoro!"

 

Benedetta Rossello nacque ad Albissola Marina (Savona) il 27 maggio 1811, quartogenita di una numerosa famiglia composta da dieci fratelli, non trovò in essa beni di fortuna, poiché i suoi genitori (Bartolomeo R. e Maria Dedone) erano modesti fabbricanti di stoviglie, ma non mancarono ricchezza di fede e di pietà.

Anche Benedetta, appena ne fu in grado, imparò a modellare la creta e si prese cura dei fratelli minori, permettendo così alla mamma di dedicarsi alle sue numerose occupazioni. Fin dall'infanzia si distinse nello studio, nella carità verso i poveri e soprattutto nella devozione verso il Crocifisso e la Santissima Vergine.

Si iscrisse giovanissima al Terz'ordine Francescano (probabilmente prima del 1830) e sentì poco a poco nascere nel suo cuore il desiderio di una vita più perfetta che le permettesse più facilmente di farsi santa. A diciannove anni entrò in una famiglia signorile di Savona, i Monleone, più come figlia adottiva di due coniugi privi di figlioli, che come domestica, per assistere il padrone infermo.

Per sette anni rimase in quella casa (1830-1837), destando con la sua condotta l'ammirazione e l'affetto non solo dei padroni, ma anche della servitù. Quando però la signora Monleone, rimasta vedova, le propose di restare sempre con lei, promettendole di farla sua erede, Benedetta rifiutò. Ella sentiva di essere chiamata ad un'altra vocazione e chiese pertanto di entrare in un istituto di carità come suora. Bussò alle Suore della Purificazione, ma la sua richiesta ebbe un doloroso rifiuto, perché la povertà della sua famiglia non le aveva permesso di mettere insieme quel tanto di dote necessaria per l'accettazione.

Si susseguirono anni di dure prove; dapprima morì la mamma, poi a breve distanza, il fratello secondogenito e la sorella Giuseppina di appena diciassette anni ed infine morì anche il babbo; quindi Benedetta divenne il principale sostegno della famiglia.

Nel 1837, rispondendo ad un accorato appello del vescovo della diocesi, mons. Agostino De Mari (1835-1840), che cercava anime generose che si dedicassero all’educazione della gioventù povera, la ventiseienne Benedetta si presentò al prelato ed offrì la sua opera per il nobile scopo. Le due anime grandi si intesero subito; il vescovo avrebbe procurato una sede adatta e Benedetta avrebbe cercato delle compagne volenterose, per dar inizio alla prima scuola. Al progetto di Benedetta aderirono Angela e Domenica Pescio e Paolina Barla.

Le tre prime vocazioni vennero da Albissola e per sede mons. De Mari trovò una modesta casa d'affitto, già proprietà della "commenda" di Malta. La fondazione porta la data del 10 agosto 1837; Angela Pescio, la più anziana, fu eletta superiora: a Benedetta fu dato l'ufficio di maestra delle novizie, vicaria ed economa. Un crocifisso, una statuetta della Madonna Mater Misericordiae e cinque lire di capitale formavano tutta la loro ricchezza. Il 22 ottobre 1837 ebbe luogo la prima vestizione e Benedetta ricevette dal vescovo il nome di suor Maria Giuseppa, mentre l'Istituto veniva ufficialmente denominato delle Figlie di Nostra Signora della Misericordia e consacrato alla Vergine del noto santuario di Savona.

Lo scopo precipuo della nuova istituzione era quello di dedicarsi alla istruzione ed educazione delle fanciulle povere e all'assistenza degli ammalati. Due anni dopo, il 2 agosto 1839, le suore pronunciavano i loro voti perpetui. Nel 1840 le suore professe erano già sette e quattro le novizie; in tale anno suor Maria Giuseppa venne eletta superiora all'unanimità, ufficio che tenne per circa quarant'anni, sino alla morte. Una grave perdita per l'Istituto nascente fu la morte di mons. De Mari, avvenuta il 14 dicembre 1840. Egli aveva già steso un primo abbozzo delle Regole; il testo definitivo, però, affidato per la compilazione al p. Innocenzo Rosciano, carmelitano, fu solennemente consegnato alle suore il 14 febbraio 1846, col nuovo abito, dal vescovo di Savona, mons. Alessandro Ottaviano Riccardi (1841-1866, poi arcivescovo di Torino).

Sotto la saggia direzione di suor Maria Giuseppa l'Istituto cominciò a diffondersi in Liguria nel periodo 1842-1855. Nel 1856 la santa prese a collaborare all'opera del riscatto degli schiavi africani, a cui dedicavano da tempo il loro zelo due benemeriti sacerdoti, Nicolò Olivieri (1792-1864) e Biagio Verri, e la porta dell'Istituto si aprì per accogliere gruppi di fanciulle negre riscattate. Lo spirito missionario della santa ebbe modo di esplicarsi ancor più quando, nel 1876, poté inviare un primo gruppo di quindici suore a Buenos Aires, in Argentina.

Nel 1859, una nuova fondazione, la Casa della Provvidenza, era stata aperta dalla santa in Savona, per ragazze delle classi povere. Educarle e inserirle nella vita sociale fu la sua costante preoccupazione. Altre case sullo stesso stile vennero aperte a Voltri, a S. Ilario, a Porto Maurizio (1860) ed ad Albissola, dove sorse la "Seconda Provvidenza" (1866-1867).

Dieci anni dopo, nel 1869, suor Maria Giuseppa iniziò coraggiosamente un'altra opera, quella del Piccolo Seminario per chierici poveri a Savona, che diede alla diocesi zelanti sacerdoti, anche se le costò non poche amarezze per gli ostacoli e le malignità verso questa istituzione da parte di molti. L'ultima sua opera sognata e realizzata postuma fu la fondazione in Savona della Casa delle Pentite (1880), un ricovero per le ragazze sottratte alla prostituzione.

Un aspetto in cui la genialità caritativa di Maria Giuseppa Rossello evade dal semplice ambito religioso per inserirsi tra le più nobili benemerenze sociali è la fondazione delle scuole popolari gratuite, una novità assoluta ed una necessità urgente, allora, nella Liguria occidentale.

La spiritualità della santa fu contraddistinta da una illuminata fiducia nella Provvidenza, nell'assistenza del patrocinio di s. Giuseppe e nello spirito di iniziativa: soleva ripetere come motto, trasmesso alle sue Figlie: "Cuore a Dio, mani al lavoro!". Nonostante la sua carica, non disdegnò mai di rendersi utile nei più umili servizi alle ricoverate o agli infermi, con carità paziente e perseverante.

Chiuse la sua laboriosa giornata a sessantanove anni di età, il 7 dicembre 1880, nella casa madre in Savona, colpita da complicazioni cardiache che avevano già minato la sua costituzione duramente provata dal tanto lavoro. Morì in concetto di santità e fu sepolta nel cimitero cittadino. Poi, nel 1887 la salma fu trasportata nella casa-madre.

Alla sua morte l’Istituto da lei fondato contava sessantacinque case. Oggi le case sono 176 in Italia e nelle Americhe: il numero delle suore è di circa mille*; i loro scopi sono quanto mai attuali: asili d'infanzia, scuole elementari e medie, collegi, orfanotrofi, ospedali, assistenza alle carceri femminili, case della protezione della giovane, brefotrofi, ecc.

 

(Fonte: suorerossello.it)

IN SOLLEMNI CANONIZATIONE

BEATAE MARIAE IOSEPHAE ROSSELLO, VIRGINIS,
IN VATICANA BASILICA  PERACTA

HOMILIA SANCTISSIMI DOMINI NOSTRI PIO PP. XII

 

Die XII mensis Iunii, Anno Domini MCMXXXXIX

 

[. . .] Antequam Summus Pontifex decretoriam diceret sententiam, qua B. Maria Iosepha Rossello sanctitatis honoribus decorata fuit, Revmus P.D. Antonius Bacci, ab Epistulis ad Principes, nomine Sanctitatis Suae, haec verba fecit:

Venerabiles Fratres, dilecti filii,

Quod S. Cyprianus de virginibus scribit: « Gaudet per illas atque in illis largiter floret Ecclesiae matris gloriosa fecunditas; quantoque plus copiosa virginitas numero suo adldit, gaudium matris augescit » (De habitu virginum, 3; M. L. 4, 443 A) id profecto de Maria Iosepha Rossello, quam quidem Nobis licuit sanctitatis fulgore decorare, iure meritoque asseverari potest. Ea enim non modo iuventutis suae florem ad Dei aram caelesti Sponso laetabunda devovit atque dicavit, sed etiam, condita sacrarum virginum societate, cum per se, tum per sodales suas, precando, meditando elaborandoque multitudinem paene innumeram ad salutifera Iesu Christi amplectenda praecepta advocavit, sive puellarum, quas recte institutas ad solidam virtutem eduxit, sive cuiusvis generis hominum, quorum dum corporis curabantur morbi, animi quoque infirmitates vel gravissimae tam suaviter leniebantur, ut saepenumero ad morum integritatem pedetemtim allicerentur.

Hoc autem fuit, Venerabiles Fratres ac dilecti filii, sanctae huius Caelitis effatum ac veluti peculiare insigne agendique norlma: manus nempe indefatigabiles laborent, at mentes animique continenter ad Deum assurgant.

Ex qua quidem sententia facile eruitur cur humilis femina, humanae opis humanaeque potentiae expers, tam egraegia potuerit patrare facinora, quae tantopere ad divinam gloriam hominumque salutem conferrent; siquidem, dum alacriter nullisque parcens incommodis operabatur, non suis viribus confidebat, sed unice Deo, quem, interposito Mariae Virginis eiusque castissimi Sponsi patrocinio validissimo, supplicibus exorare precibus sollemne habebat. Nihil umquam inchoabat, non consulto ac propitiato Numine ; eidemque suas committebat curas suasque angustias, id unum petens ut, eius caelesti gratia adspirante iuvanteque, posset in Ecclesiae profectum animorumque bonum adsidua semper allaborare.

Quot horas ante Augusti Sacramenti aram suavissime precando traduxit; quot dulcissimas lacrimas ante imaginem Deiparae Virginis effudit, praesentissimae eius tutelae se suaque omnia concredens! Atque ita difficultatibus, quae occurrerent, fortior effecta, ac superna semper tranquillitate fruens, suam cotidie sibi constans suscipiebat operam, ex qua uberes oriebantur salutaresque fructus.

Quamvis autem sodalium omnium esset legifera mater, tam demisso erat animo, ut infima percuperet ab omnibus haberi; et quidquid laudis ex impensa navitate sua refulgebat, quid-quid utilitatis proficiscebatur, non sibi, sed divinae tribuebat impertitae sibi largitati. Quam ad rem animadvertendum est, Venerabiles Fratres ac dilecti filii, mortalium neminem ante Dei oculos reapse magnum exsistere posse, nisi qui esse parvulus atque inutilis sibi videatur. Non enim aeternum Numen nostra indiget opera, sed nos potius quovis horae momento sua gratia suoque auxilio indigemus; quandoquidem sufficientes non sumus « cogitare aliquid a nobis, quasi ex nobis, sed sufficentia nostra ex Deo est » (2 Cor. 3, 5). Id apprime intellexit Iosepha Rossello, cum praesertim in gravissimum incumberet opus recte instituendae conformandaeque iuventutis, et cum etiam flagranti, qua aestuabat, cantate aegrotantibus in valetudinariis mederetur; atque adeo ex indefesso labore suo, supernis confirmato ac ditato muneribus, tantum potuit salutarem profectum assequi, eumdemque cum ceteris communicare.

Habent igitur imprimis sacrae virgines, quae Instituto a. S. Iosepha Rossello condito adscitae sunt, praeclarissimum in ea sanctitatis exemplar, quod imitentur; idque potissimum ab ea discant, ut, dum multiplicibus cotidie curis laboribusque implicantur ac distinentur, mentem animumque suum ad Caelum convertant, utpote ad unicum suae vitae praemium suaeque mortalis peregrinationis metam attingendam. Habent christiani omnes, qui res ab ea gestas inspiciant ac meditentur, cur tam eximias variasque virtutes mirabundi intueantur, ac pro peculliari cuiusque sua condicione sibi adipiscendas diligentes volentesque proponant.

Hoc a Deo impetret, enixe precamur, haec Caeles novensilis; ita quidem ut sua tutela suoque valido patrocinio quam plurimi queant vel errore obcaecati ad veritatem, vel aberrantes ac via decepti ad rectum iter, vel tepidi neglegentesque ad christianos renovandos spiritus et ad virtutis fervorem refovendum feliciter reduci. Amen.

DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO XII
AI FEDELI GIUNTI A ROMA PER LA CANONIZZAZIONE
DI SANTA MARIA GIUSEPPA ROSSELLO*

Aula della Benedizione - Martedì, 14 giugno 1949

 

Sarebbe difficile, dilette figlie, nel ritrarre la figura morale della vostra Santa Madre, il voler mettere in piena luce il suo aspetto caratteristico, senza correre il rischio di lasciare nell'ombra gli altri lineamenti della sua fisonomia. Senza dubbio la prima qualità che si presenta alla mente, quando si parla di lei, è quella che la Santa stessa scelse fra gli attributi della Beatissima Vergine e Madre di Dio, prendendo e dandovi il bel nome di Figlie di Nostra Signora della Misericordia. Nulla di più giusto, perchè la misericordia ispirò e informò tutta la sua attività. Ma, se non se ne considerassero che le manifestazioni esteriori, si correrebbe pericolo, dinanzi alla loro varietà e al loro splendore, di non penetrare sino all'intimo focolare da cui s'irradiavano.

Questo focolare è la carità: carità, virtù teologale, amore unico nel suo duplice termine, Iddio e il prossimo; carità, che tutto abbraccia nella sua ampiezza senza limiti; carità generosa, che le faceva consumare tutti i mezzi, di cui la Provvidenza l'aveva liberalmente dotata. Nulla in verità le mancava : nè i doni della natura, nè quelli della grazia, gli uni e gli altri illuminati dall'esperienza personale e dalla sofferenza, fecondati dalla preghiera e dalla unione costante con Dio, coi Santi, con la Regina dei Santi, Madre della misericordia.

Amare Dio nella sua adorabile maestà e nella sua paterna bontà, amare il riflesso di Lui pur nella miseria delle sue creature : ecco ciò che dà alla carità l'impronta particolare della misericordia. Vedere Iddio, loro Autore, Creatore e Padre, dalle creature stesse misconosciuto e ingiuriato; vedere in loro l'immagine di Dio contaminata, profanata, sfigurata dal vizio e dal peccato; vedere i figli di Dio sofferenti, abbandonati, macchiati dal contagio del male; vedere la Chiesa, corpo mistico di Cristo, ignorata, disprezzata, odiata; tutto ciò straziava il cuore di Maria Giuseppa Rossello e la spingeva irresistibilmente a portarvi a tutti i costi rimedio, perchè il sentimento della misericordia non sarebbe che vana lusinga e sterile illusione, se non si esplicasse e tramutasse negli atti, vale a dire nel dono di sè, tanto con la preghiera e la penitenza, quanto col lavoro e con le opere. Ora nella vostra Madre noi troviamo in grado eminente questa intima unione della contemplazione e dell'azione. Come ha potuto una donna attuare così perfettamente in sè stessa l'ideale di Marta e di Maria, senza che mai l'una facesse torto all'altra? anzi, vivificando e fortificando l'una con l'altra? Ella dovette essere per ciò mirabilmente dotata di eccelse qualità ed eroicamente santa!

Quel che apparisce in lei innanzi tutto è l'attività esteriore. Essa attira lo sguardo dell'incredulo e dell'indifferente non meno che del cristiano; ma attraverso tale attività si può scoprire o indovinare il focolare nascosto nel segreto del cuore. Le opere della nostra Santa, crescendo in numero e in varietà, prendevano una prodigiosa estensione; la sua famiglia religiosa, senza detrimento della sua saldezza, aumentava con straordinaria rapidità. Si resterebbe quasi sconcertati alla vista di lavori e di istituzioni apparentemente così diversi, e nondimeno così armonizzati nella magnifica unità della carità totale.

Quali cose, infatti, più disparate fra loro che gli asili per l'infanzia abbandonata, l'educazione delle fanciulle di tutte le classi sociali, la casa dei chierici, gli ospedali, i ricoveri delle pentite e delle pericolanti, la cura degli arredi sacri e della biancheria per le chiese, le fondazioni di America, l'opera del riscatto delle morette dalla schiavitù?

Si aggiunga la premura incessante che ella apporta alla formazione delle sue religiose, come e anche più che allo stabilimento e all'assetto materiale, economico, amministrativo, morale, delle case che si moltiplicano e s'ingrandiscono con maravigliosa celerità. Ella si trasferisce continuamente da un luogo all'altro, e nondimeno dà l'impressione di esser al tempo stesso dappertutto. Ella provvede a ogni cosa e dirige con la medesima competenza e maestria i lavori degli architetti e dei muratori, come quelli delle infermiere e delle insegnanti. Impedita dalla malattia di recarsi in Argentina, ove il suo Istituto s'impianta e si diffonde felicemente, ella sta in costante corrispondenza con le sue figlie lontane, seguendo attentamente i loro progressi nella perfezione religiosa e nello spirito proprio della loro vocazione, e dando insieme opportuni ammaestramenti per il governo delle case e il maneggio degli affari temporali.

Ella si sa adattare a tutte le circostanze, a tutte le condizioni, a tutte le esigenze, senza lasciarsi turbare da alcuna occorrenza, nè quando s'impose alle maestre l'obbligo di subire l'esame per il conseguimento del diploma, nè quando esse dovettero sottomettersi ad insegnare la ginnastica. Ella prende i provvedimenti più saggi e più pratici per renderle atte ad adempire tutti i programmi, senza pregiudizio della loro vita spirituale e della loro professione religiosa.

Nè si pensi che ella compia questo immenso lavoro, non vorremmo dire superficialmente, ma quasi dall'alto e in una maniera generale, tracciando le linee fondamentali, indicando i grandi principi, e lasciando poi ad altri la cura di determinare i particolari e di risolvere le difficoltà della esecuzione. Tutt'altro! nella fondazione e nell'avviamento di nuove case ed opere - ogni anno ne vedeva sorgere parecchie - ella accompagna o anche precede le sue figlie, e lavora con loro, finchè tutto sia stato messo in cammino normale. Molte altre, così facendo, avrebbero rischiato di essere o di sembrare ingombranti, d'impacciare l'operosità altrui. Ella no; come l'anima non ingombra il corpo, nè impedisce i suoi movimenti. Ella guida, ma, guidando, forma. Ella ha in modo particolare il dono di discernere e di preparare saggiamente le future superiore; di una giovane suora, giudicata da altri inetta, ella fa in poco tempo una superiora di gran valore.

Tutto ciò è quel che si vede al di fuori, ma è chiaro che, per attuarlo, si richiede, anche nell'ordine puramente naturale, una dose non comune di qualità e di doti mirabilmente equilibrate. La vostra Fondatrice le possedeva. Le facoltà sono in lei egregiamente sviluppate e armoniosamente coordinate : l'intelligenza, la volontà, la sensibilità, in tutta la loro attività, dispongono e combinano la loro cooperazione secondo le più giuste e felici proporzioni. Ne consegue che nella pratica quotidiana quelle virtù, le quali vengono sotto il titolo delle quattro virtù cardinali di prudenza, giustizia, temperanza e fortezza, si manifestano nelle maniere più varie, senza che l'una attenui o veli l'altra. Cosicchè, nella loro azione e nel loro concorso, le facoltà e le virtù, da lei intensamente coltivate, si trovano sempre unite in una tale perfezione che non si potrebbe determinare la parte di ognuna separatamente dalle altre.

A prima vista ella scopre un bisogno e concepisce l'opera per provvedervi; ella coglie il valore di una proposta e la sua portata; considera i mezzi per risolvere i problemi e le difficoltà che si presentano; discerne le persone, di qualsiasi grado e condizione, a cui conviene rivolgersi, e la parte che si addice a ciascuna. Ella non si arresta a belle concezioni e a magnifici progetti; è non meno realista che idealista. Appena ha preso la sua determinazione, si mette strenuamente all'opera, dando col suo esempio la spinta agli altri. Quando dà ordini alle sue figlie, quando prega o informa i suoi superiori ecclesiastici, quando fa premura ai benefattori, quando pone le sue condizioni o fa valere i suoi diritti di fronte alle autorità civili, sempre si comporta con una forza ed una dolcezza, con un tatto e una delicatezza, che trionfano di tutte le resistenze e di tutte le esitazioni, che ottengono tutti gli aiuti, che vincono o schivano tutti gli ostacoli. Ella non si lascia mai abbattere o sgomentare dalle difficoltà, nè turbare da un primo tentativo fallito, nè sconcertare da una prima ripulsa. Quanto a lei, ella non nega nulla ad alcuno e se in rari casi le accade di vedersi costretta a non accogliere qualche richiesta, ben presto si riprende, dando più di quanto le era stato domandato.

Ma tutti i doni e le virtù naturali, di cui era riccamente dotata, non bastano nemmeno lontanamente a spiegare la pienezza dell'opera sua, il suo ardore e al tempo stesso la sua calma e imperturbabile serenità. La natura è qui largamente oltrepassata; nella vita soprannaturale di lei bisogna cercare e leggere il segreto della sua grandezza.

Ella non aveva che un solo desiderio: quello di farsi santa, di essere utile ai poveri e d'impedire i peccati che fanno tanto male al mondo. In tutte le sue parole e in tutte le sue azioni si proponeva come unico fine la gloria di Dio e il bene delle anime.

Nonostante la sua attività esteriore, ella era sempre in preghiera; anzi sarebbe più esatto il dire che precisamente da questapreghiera continua scaturiva, come da purissima fonte, la sua attività esteriore. In tutte le cose ella procedeva con prudenza e fortezza, ma non su queste ella principalmente contava; che anzi, forzando un poco l'espressione - salvo a rimetterla a posto nella sua condotta -, ella diceva che « la prudenza umana non serve : lasciatela agli uomini ! » In realtà, sebbene ne facesse gran caso ed uso abituale per suo proprio conto, ella non metteva la sua fiducia nei mezzi puramente umani e non se ne serviva che come istrumenti di Dio.

Ella consultava persone assennate e competenti, pregava e faceva pregare; poi andava innanzi. Nelle risoluzioni da prendere, come nelle difficoltà della loro attuazione, ella si rivolgeva alla paterna provvidenza di Dio, alla Santissima Vergine Madre della Misericordia, a S. Giuseppe, di cui aveva fatto, fin dalla sua adolescenza, il suo protettore, il suo gerente e il suo appoggio in ogni circostanza. Forte del sostegno di così grandi amici, ella avanzava senza debolezza, senza esitazione, senza timore, e giammai la sua fiducia non rimase delusa, se non quanto era necessario per sperimentare la sua solidità e la sua costanza. Anche allora ella si dimostrò sempre pari alla gravità delle prove, che non le mancarono in tutto il corso del suo terrestre cammino.

Se la povertà, fin dall'infanzia, non le aveva fatto sentire che l'austerità della vita; se lo stesso servire in casa d'altri sarebbe stato per lei un peso ben lieve; il vedersi però chiudere, a causa della mancanza della più esigua dote, le porte dell'Istituto religioso, alle quali aveva bussato per seguire la vocazione dell'animo suo, fu la prova che ella ebbe a soffrire nell'apparente contraddizione di Dio, che al tempo stesso la chiamava e l'allontanava. Ma no; Iddio non l'allontana. Egli continua ad attrarla e a condurla al suo scopo, ma per altre vie. L'affezione della signora, che si è a lei tenacemente attaccata quasi come a figlia, cerca di trattenerla con la bontà, con le promesse, coi rimproveri; ella vi si sottrae, ma, sottraendosi, attira sul suo cuore delicato l'accusa d'ingratitudine.

Quali sofferenze, quali fatiche, quali contrasti la premono da ogni parte, nella fondazione della sua Congregazione religiosa, nella dolorosa nascita di quasi ognuna delle sue opere e delle sue case! Appena ella ha il tempo di rallegrarsi e di ringraziare il suo caro S. Giuseppe per il loro prospero inizio e per la fermezza dei primi passi, ecco che già nuovi pericoli, nuove opposizioni ne minacciano la vita; le sue intenzioni più sante nel servizio della Chiesa e delle anime destano sospetti. Nella comunità di Savona la malattia una volta colpisce le sue figlie amatissime e, come se la croce non fosse già abbastanza pesante per la loro Madre, il malanimo degli avversari o l'accecamento degli amici e dei benefattori ne fanno ricadere la responsabilità sulle sue spalle.

La sua anima è in agonia, il suo cuore è straziato; i dolori fisici aumentano, le penose crisi cardiache si fanno sempre più gravi e frequenti. Il suo solo spirito resta alacre e invitto. Questa donna che « non poteva mai star ferma », incapace ora di muoversi, continua pur sempre, nella preghiera e nella sofferenza, ad agire, a lavorare, a governare. L'amore, che supera le sue forze, sostiene il suo coraggio; ella resiste sino alla fine e soccombe, vittoriosa, sulla breccia.

Quale Madre è la vostra! quale santa! Dinanzi a lei, che potremmo Noi dirvi ancora? che potremmo raccomandarvi, per concludere, se non: guardatela, pregatela, imitatela? Fedeli ai suoi esempi e ai suoi ammaestramenti, voi attirerete, dilette figlie, su di voi, sulle vostre opere così numerose e varie, su tutte le anime affidate alle vostre cure, le più abbondanti grazie del cielo, in pegno delle quali v'impartiamo con tutta l'effusione del Nostro cuore l'Apostolica Benedizione.