Maria Lorenza Requenses in Longo

Maria Lorenza Requenses in Longo

(1463 - 1539)

Venerabilità:

- 09 ottobre 2017

- Papa  Francesco

Beatificazione:

- 09 ottobre 2021

- Papa  Francesco

Ricorrenza:

- 21 ottobre

Fondatrice dell’Ospedale degli Incurabili di Napoli e dell'Ordine delle Clarisse Cappuccine; si fece interprete dei bisogni della Chiesa, mettendosi in ascolto del suo tempo in un momento di grande crisi dei valori. Collaborò con personalità eminenti che desideravano un’autentica riforma della Chiesa come Giampiero Carafa, futuro Papa Paolo IV, San Gaetano da Thiene e i Membri della Compagnia dei Bianchi

  • Biografia
  • Omelia nella Beatificazione
La sua fede si manifestò nel suo ardore missionario, nel grande affetto e rispetto alla Chiesa e al Papa, nel suo amore per l’Eucaristia e per i sacerdoti e nella sua devozione alla Passione di Gesù

 

Maria Lorenza Requenses nacque a Lleida (Spagna) nel 1463 in una famiglia nobile. Già sofferente di artrite reumatoide dall’infanzia, l’unico episodio ricordato nella biografia della Serva di Dio in questo primo periodo fu un tentativo di avvelenamento da parte di una fantesca, che le paralizzò mani e piedi.

Nel 1483 sposò Joan Llonc (italianizzato in Giovanni Longo), di San Mateu, Reggente di Cancelleria del Regno di Aragona e molto stimato dal Re Ferdinando il Cattolico.

Nel 1506, nonostante la paralisi, seguì con la famiglia il marito, che era stato nominato Reggente nel Vicereame di Napoli ma, tre anni dopo, rimase vedova con tre figli.

Nel 1516, recatasi in pellegrinaggio al santuario della Santa Casa di Loreto, dopo aver ottenuto la grazia della guarigione, fece voto di dedicare la vita alla cura degli infermi, entrando nel Terz’Ordine Secolare di San Francesco.

Cominciò a dedicarsi alle opere di carità e, grazie ai propri beni e al sostegno degli amici, fondò l’ospedale di Santa Maria del Popolo degli Incurabili, presso porta di San Gennaro, inaugurato il 23 marzo 1522.

Grazie all’intervento del Vescovo di Chieti, Mons. Gian Pietro Carafa, futuro Papa Paolo IV, l’ospedale ottenne numerosi privilegi dai papi Leone X e Adriano VI e i suoi statuti vennero approvati da Clemente VII con la bolla Ex supernae dispositionis dell’11 dicembre 1523. La Serva di Dio diresse l’ospedale per dieci anni.

Nel 1526 costruì una casa per prostitute pentite accanto al complesso ospedaliero, ponendola sotto la guida della duchessa di Termoli, Maria Ayerbo.

In Napoli, nel 1530 ricevette i Frati Cappuccini e per loro fece costruire il convento di Sant’Eframo Vecchio.

Nel 1533 accolse a Napoli San Gaetano da Thiene, che divenne il suo direttore spirituale. Grazie a lui, ella maturò l’idea di abbandonare la direzione dell’ospedale per entrare in un monastero di clausura e, il 19 febbraio 1535, ottenne da Paolo III il consenso alla fondazione di un nuovo monastero sottoposto alla Regola di Santa Chiara, secondo la riforma avviata in Francia da Santa Coletta di Corbiet (1381-1447). Le sue prime consorelle furono alcune ex prostitute che, guarite presso l’ospedale, si erano convertite.

Il 30 aprile del 1536, Paolo III concesse di elevare il numero delle monache a trentatré, in omaggio agli anni di vita terrena di Gesù.

Nel 1538 le monache abbandonarono la loro prima sede per la chiesa di Santa Maria della Stalletta, trasformata nel Protomonastero di Santa Maria in Gerusalemme. La direzione spirituale delle monache passò ai Frati Cappuccini, di cui le religiose adottarono le Costituzioni revisionate all’inizio del 1600, assumendo il nome di “Monache Cappuccine della I Regola di Santa Chiara”.

Morì a Napoli (Italia) il 21 dicembre 1539.

ITER DELLA CAUSA

Il Processo Ordinario Informativo si svolse a Napoli (Italia) dal 9 novembre 1880 al 29 aprile 1883. Presso la medesima Curia vennero anche celebrati i seguenti Processi:

- Ordinario Addizionale, dal 3 agosto 1885 al 25 novembre 1887;

- super scriptis, il 19 settembre 1888;

- super cultu numquam praestito, dal 28 maggio 1883 al 29 aprile 1884.

Il Decreto super non cultu fu promulgato il 18 aprile 1893.

Il 4 settembre 1892, Leone XIII diede il suo assenso per l’avvio del Processo super virtutibus et fama sanctitatis in genere, che si svolse a Napoli, in diciotto sessioni, dal 18 settembre 1894 al 17 agosto 1895, durante le quali vennero escussi undici testi, di cui due testi ex officio.

La validità giuridica dei Processi fu riconosciuta con il Decreto del 3 gennaio 1899.

Sempre a Napoli si svolse il Processo super virtutibus et fama sanctitatis in specie, in due fasi: dal 2 dicembre 1893 al 4 giugno 1894 e dal 20 maggio 1899 al 19 dicembre 1903.

La validità giuridica del Processo Apostolico fu riconosciuta con il Decreto del 19 novembre 1907.

Dal 29 giugno 2004 al 16 maggio 2005, sempre presso la Curia ecclesiastica di Napoli, si svolse un’Inchiesta Diocesana Suppletiva, in ventuno sessioni, durante le quale vennero escussi quindici testi, di cui due ex officio.

La validità giuridica dell’Inchiesta fu riconosciuta con il Decreto del 1° febbraio 2008.

SEDUTA DEI CONSULTORI STORICI

Si svolse il 9 maggio 2015.A conclusione di un approfondito dibattito, il risultato finale per i tre quesiti di rito, sull’esaustività delle prove, sull’attendibilità dei documenti archivistici e sul fondamento delle virtù eroiche, fu unanimemente affermativo.

CONGRESSO PECULIARE DEI CONSULTORI TEOLOGI

Si tenne il 14 marzo 2017. I Consultori prescritti, i quali sottolinearono il suo notevole impegno apostolico. Si fece interprete dei bisogni della Chiesa, mettendosi in ascolto del suo tempo in un momento di grande crisi dei valori. Collaborò con personalità eminenti che desideravano un’autentica riforma della Chiesa come Giampiero Carafa, futuro Papa Paolo IV, San Gaetano da Thiene e i Membri della Compagnia dei Bianchi. Con una fede salda, fondata sulla spiritualità di Santa Teresa d’Avila e San Giovanni della Croce, si dedicò senza risparmiarsi ai più bisognosi.

Al termine del dibattito, i Consultori all’unanimità si espressero con voto affermativo a favore del grado eroico delle virtù, della fama di santità e di segni.

SESSIONE ORDINARIA DEI CARDINALI E DEI VESCOVI

Si riunì il 26 settembre 2017. L’Ecc.mo Ponente, dopo aver ripercorso l’iter della Causa e tratteggiato il profilo biografico, mise in rilievo i quattro punti che orientano e illuminano l’intera esistenza della Beata e il cui significato è particolarmente attuale per la Chiesa e la società: l’amore per i poveri e gli ammalati; l’attaccamento alle istituzioni ecclesiastiche e ai vari movimenti di riforma cattolica; l’istituzione della famiglia religiosa delle Pentite e la fondazione delle Cappuccine e la preoccupazione per la dignità e il ruolo della donna. Essa fu una donna di intensa fede, sentendosi nelle mani di Dio e della Vergine Maria, alla cui intercessione attribuì la sua guarigione. Tale fede si manifestò nel suo ardore missionario, nel grande affetto e rispetto alla Chiesa e al Papa, nel suo amore per l’Eucaristia e per i sacerdoti e nella sua devozione alla Passione di Gesù. La sua continua preghiera, la teneva unita al Signore, il cui volto vedeva nelle persone povere e bisognose.

Al termine della Relazione dell’Ecc.mo Ponente, che concluse constare de heroicitate virtutum, gli Em.mi ed Ecc.mi Padri risposero unanimemente al dubbio con sentenza affermativa.

Per la beatificazione, la Postulazione della Causa ha presentato all’esame della Congregazione l’asserita guarigione miracolosa, attribuita alla sua intercessione, da “tubercolosi pleuro-polmonare cronica con evoluzione tisiogena e localizzazione extrapolmonare”. L’evento accadde nel 1881 a Napoli (Italia). Suor Maria Cherubina Pirro, religiosa professa del Monastero di S. Maria in Gerusalemme, detto “delle 33 Cappuccine” a Napoli, nel giugno del 1876 ebbe una febbre intermittente. Le fu diagnosticata una tisi incipiente con lesione dell’ala sinistra del polmone. La situazione peggiorò progressivamente, nonostante le terapie in uso all’epoca. A distanza di cinque anni dall’esordio della malattia, il medico curante formulò una prognosi infausta in tempi brevi. Contrariamente alle aspettative, il 15 ottobre 1881, Suor Maria Cherubina si alzò dal letto e raggiunse il coro senza alcun aiuto. La guarigione fu attribuita alla Beata.

L’iniziativa dell’invocazione fu dell’Abbadessa del Monastero di S. Maria in Gerusalemme che, dal 31 agosto all’8 settembre 1881, volle che nella Comunità monastica si recitasse una Novena alla Madonna e alla Fondatrice per la guarigione di Suor Maria Cherubina. Il 9 settembre 1881 fu applicata sulla religiosa la reliquia della Beata, cioè il teschio che si conservava in Monastero: la suora avvertì un calore che la fece star meglio. La preghiera, fatta con fede da più persone e con applicazione della reliquia, fu univoca e antecedente l’improvviso viraggio favorevole del decorso clinico. Sussiste il nesso causale tra l’invocazione della Beata e la guarigione della religiosa.

 

Una donna per tutte le vocazioni

Omelia nella beatificazione di Maria Lorenza Longo

 

    La parola del Signore l’abbiamo appena ascoltata e le abbiamo pure dato lode, eppure c’è bisogno di qualcos’altro: occorre osservarla! Il verbo cui ricorre l’evangelista ha molteplici significati dai quali, però, non ci sarà difficile capire che non si tratta di una osservanza materiale e legalistica, bensì di una custodia amorosa, di una volontà di comprensione, di un impegno di adesione piena. Quando spiegava questa parola del vangelo san Bernardo diceva che all’inizio essa può anche sembrare strana e problematica, ma se non ci distraiamo e non distogliamo l’orecchio, essa pian piano «ravviva, addolcisce, riscalda, illumina, purifica. Infatti essa è per noi cibo, spada, medicina, rassicurazione, riposo, risurrezione e compimento» (Sermo XXIV, 2: PL 183, 604).

    Non ci è difficile comprendere che Gesù, con la sua risposta alla voce della donna che aveva esaltato il grembo di Maria ne aveva meglio disegnato la fisionomia e tracciato l’identità: la sua piena beatitudine è nella profondità della sua fede. Sant’Agostino dirà che «di nessun valore sarebbe stata per lei la stessa divina maternità, se lei il Cristo non l’avesse portato nel cuore, con una sorte più fortunata di quando lo concepì nella carne» (De sancta virginitate, III, 3: PL 40, 398). Ci torna spontaneo, allora, riconsiderare l’atteggiamento col quale lo stesso evangelista ce la propone per ben due volte: tutto quello che udiva, Maria lo ripensava nel suo cuore (cf. Lc 2,19.51), aprendosi a un sempre più generoso fiat e questo pure quando la spada, secondo l’annuncio di Simeone, le trafiggerà l’anima.

    In un altro momento lo stesso evangelista Luca ha posto sulle labbra di Gesù questa parola: «Mia madre e miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica» (8,21). Quasi richiamandola, san Francesco aveva spiegato: «Siamo sposi, quando l’anima fedele si congiunge a Gesù Cristo per l’azione dello Spirito Santo. E siamo fratelli, quando facciamo la volontà del Padre suo, che è in cielo. Siamo madri , quando lo portiamo nel nostro cuore e nel nostro corpo attraverso l’amore e la pura e sincera coscienza, e lo generiamo attraverso il santo operare, che deve risplendere in esempio per gli altri» (Lettera ai fedeli [rec. seconda], 10: FF 200). Questa multiforme forza generativa della Parola ascoltata e vissuta la beata Maria Lorenza Longo l’ha vissuta in sé.

    Ella, infatti, fu sposa, madre, laica consacrata dedita alla carità, monaca contemplativa e in tutti questi «stati» della sua vita fu sempre in ascolto della voce di Dio, che la chiamava ad essere «portatrice di Cristo». Man mano che la sua vita andava dipanandosi, la beata Maria Lorenza si lasciava lavorare dalla grazia per comprendere non solo che cosa doveva fare, ma pure come avrebbe potuto assumere il progetto di Dio dentro la propria vita. Una volta Papa Francesco disse che quando si stanno attraversando situazioni di lutto, di disperazione, di tenebre e di odio, allora l’essere portatore di Gesù nel mondo lo si capisce «da tanti piccoli particolari: dalla luce che un cristiano custodisce negli occhi, dal sottofondo di serenità che non viene intaccato nemmeno nei giorni più complicati, dalla voglia di ricominciare a voler bene anche quando si sono sperimentate molte delusioni» (Udienza del 2 agosto 2017). Queste parole è possibile verificarle nell’esistenza terrena della nostra Beata.

    Fu sposa fedele e madre premurosa. Quando il marito partì per Napoli quale membro del Consiglio Collaterale del Viceregno, pur trovandosi in assai critiche condizioni di salute la nostra Beata lo seguì e gli stette accanto per sostenerlo nell’adempimento dei suoi compiti. Rimasta vedova, non perdette la sua fiducia in Dio e accolse con animo forte e sereno questa dolorosa vicenda mettendosi al servizio della carità. Fondò, così, l’Ospedale degli Incurabili, per l’aiuto verso gli ultimi fra gli ultimi e ne fece un luogo non soltanto di cura, ma, accompagnando le persone emarginate all’incontro con Cristo, anche di maturazione cristiana.

    Compì, poi, la scelta della vita contemplativa per sé e altre sorelle: «le Trentatré», che si fecero seguaci del Poverello di Assisi e di Chiara, la sua «pianticella». La fecondità di questa scelta è constatabile ancora oggi: le Clarisse Cappuccine oggi sono più di 2.000 in oltre 150 monasteri. Si tratta di persone che con la loro vita e la loro missione «imitano Cristo in orazione sul monte, testimoniano la signoria di Dio sulla storia, anticipano la gloria futura» (Giovanni Paolo II, Esort. apost. Vita consecrata, n. 8).

    L’ultima sua impresa fu il forte sostegno per la fondazione del «Monastero delle Convertite» e fu così che – come rilevava F. Saverio Toppi – se con l’ospedale aveva provveduto a uno dei più urgenti bisogni sociali del tempo, con l’opera delle Convertite si avviò il risanamento di una grande piaga sociale.

    Pur da noi lontana nel tempo, la figura della Beata Maria Lorenza Longo con l’armonica composizione nella sua vita di contemplazione e di azione e, diremo con un sondaggio ancora più profondo, l’intima corrispondenza tra fede e vita e, da ultimo, l’umiltà di lasciare sempre a Dio l’ultima parola. Teresa d’Avila, più o meno nello stesso periodo, considerando chi opponeva la vita contemplativa alla vita attiva, diceva che nella vita comune dev’esserci sia Marta, sia Maria e spiegava che nel Monastero dev’esserci di tutto. E col sano umorismo dei santi spiegava alle sue monache: «Se voi rimaneste assorte come Maria non ci sarebbe nessuno che desse da mangiare all’Ospite divino… la vera umiltà consiste nell’essere disposti, senza alcuna eccezione, a uniformarsi al volere del Signore e a considerarsi sempre indegni di essere chiamati suoi servi» (Cammino di perfezione, XVII, 5-6).

    La nostra Beata, con le sue scelte di vita, ha imitato sia Marta, sia Maria e al termine della vita, sul letto di morte disse: «Sorelle a voi pare che io habbia fatto gran cose di buone opere; ma io in niente di me stessa confido, ma tutta nel Signore». Mostrando, poi, la punta del dito mignolo, disse: «Tantillo di fé mi ha salvata»!

    Secondo Gesù, per riuscire a spostare le montagne, o le piante è sufficiente avere fede pari a un granello di senape (Mt 17,28; Lc 17,6). Di fede la nostra Beata ne ebbe almeno tanta.

    La vera misura della fede, però, è la carità ed è dalle opere che è possibile verificare sia la vitalità della fede (cf. Giac 2,26), sia la verità dell’ascolto della Parola del Signore. «Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!».

 

    Cattedrale di Napoli, 9 ottobre 2021

 

Marcello Card. Semeraro