Maria Rosa Pellesi

Maria Rosa Pellesi

(1917-1972)

Beatificazione:

- 29 aprile 2007

- Papa  Benedetto XVI

Ricorrenza:

- 1 dicembre

Vergine, religiosa delle Suore Francescane Missionarie di Cristo

 

 

  • Biografia
  • omelia di beatificazione
"Il mio cuore sta sotto il torchio anche se sono felice, tanto, tanto, tanto felice; ho iniziato la mia vita piangendo ma ho chiesto al Buon Dio di terminarla cantando le sue misericordie"

 

Bruna Aldina Maria Pellesi was born on 11 November 1917 at Prignano sulla Secchia, Italy, the last of nine children. Good humour and sweetness, joy and peace marked her early years as well as a later courtship that seemed to pave the way for the earthly "happily ever after".

But the lasting courtship to which she gave her heart was tinged with a pre-sentiment of suffering.
During Bruna's late teens two of her sisters-in-law died, leaving six children, all under 4 years of age. Without hesitation, she assumed her share of responsibility for their growth and development.

Leaving these nieces and nephews to enter the convent was a heart-rending experience. Only by responding to a higher love could she make such a choice.

On 27 August 1940, at age 22, she joined the Franciscan Missionary Sisters of Christ, at that time known as the Franciscan Sisters of Sant'Onofrio. She was in religious formation from 1940 to 1942, cultivating the interior life in the hope of a future harvest.

On 25 September 1942, Sr Maria Rosa of Jesus made her first vows in Rimini, and was then transferred to Sassuolo to teach in an elementary school.

She thus spent the war years of 1942 to 1945 working in the education apostolate, while also fighting her own ego; she did the latter by toiling without sparing herself. If her fellow Sisters showed their concern for her non-stop efforts, she would respond:  "Do not worry. I come from the country; I am used to it".

After this three-year assignment, Sr Maria Rosa was transferred in May 1945 to Ferrara to work in the parish elementary school. In July of that year she opened a nursery school, but by 5 September 1945 she had to be admitted to the local hospital for tuberculosis.

She remained hospitalized until 15 November, when she was transferred to the "Pineta" sanatorium in Gaiato which, unknown to her, would be her next "three-year assignment".

In December of 1948 she left the "Pineta" sanatorium only to enter another one in Bologna, this time definitively.

She thus spent 22 years at home, two years in religious formation and three years in pastoral service in her religious community. The second half of her life was spent in a sanatorium.

That meant passing 27 years living in a few square meters:  in front of the same window, the same view, the same mountain to close the horizon. She battled each day with her own health, which was continually slipping away, with lungs that would not breathe, a heart that tired easily and aches that tiredness paralyzed. Add to this the ongoing suffering and painful treatments that increased her trials but never solved the problems. This was her life.

As the years passed her clinical situation worsened. For relief it was necessary to continuously extract the pleural fluid from that "inexhaustible font" she carried within herself. Once, the needle broke and after useless attempts to extract it, it remained splintered within her from that day, 28 October 1955, for the next 17 years to the end of her life.

Her extraordinarily prolonged "Way of the Cross", although marked by solitude and suffering, became her canticle of divine mercy through her union with the One for whom she had left everything. Her broad smile was constant, natural and sincere, the result of the divine life within her. Regarding her failing health she would say, "In recompense, my heart sings and I am very happy".

Between the operations and treatments that marked her long illness, Sr Maria Rosa made three pilgrimages to Lourdes and two solemn acts of consecration of herself to the Mother of God, the latter on 16 July 1946 and 8 December 1961.

She celebrated her 25th anniversary of religious life on 4 October 1967 as well as her 25th anniversary of marriage to the Cross on 1 September 1970, after a quarter of a century in the sanatorium.

On 6 November 1972 she was transferred to the community of her first assignment in Sassuolo. She died there on 1 December 1972.

RITO DI BEATIFICAZIONE DI MARIA ROSA PELLESI

OMELIA DEL CARDINALE JOSÉ SARAIVA MARTINS

Cattedrale di Rimini
IV Domenica di Pasqua, 29 aprile 2007

 

1. Questa quarta domenica di Pasqua è detta ormai, comunemente, la domenica del "Buon Pastore", a motivo del brano evangelico proposto, in cui. appare l'allegoria o similitudine del pastore. In tale contesto liturgico si celebra la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni.

Il breve brano del Vangelo or ora proclamato, va inquadrato nel contesto del Capitolo 10 di Giovanni dove Gesù, rivolgendosi esplicitamente a chi non crede, dà una definizione di Sé che manifesta il suo essere divino:  "Io sono il Buon pastore".

"Io-Sono" è una forma di rivelazione che richiama il Nome di Dio Salvatore dato a Mosè. Gesù lo applica a Sé. È tipico di Giovanni fare dire a Gesù:  Io Sono. Io sono la vite, Io Sono la luce del mondo, Io sono il pane di vita ecc. (8, 28.58; 13, 19; cfr 6, 20; 18, 5-8).

Io-Sono il Buon pastore, il bel pastore, il vero pastore, a differenza di altri che non lo sono perché non hanno cura del gregge; sono mercenari che fuggono davanti al pericolo e abbandonano il gregge e il gregge si disperde e si perde; Gesù infatti precisa ai suoi ascoltatori "Voi non credete perché non siete mie pecore, seguite un altro pastore, la morte".

In Oriente, per la verità, il pastore non aveva niente di idilliaco; era un nomade rude, capace di difendere il gregge contro gli animali selvatici e i predatori (1 Sam 17, 34.35). Gesù pronuncia queste parole pensando al tragico combattimento della sua Passione quando consegnerà la sua vita e la perderà perché il gregge viva (Gv 10, 12.15). E con questo vuole rafforzare la fede dei suoi discepoli impauriti:  il potere del Pastore buono è superiore ad ogni ladro e brigante. La Chiesa ha come centro della propria fede un Dio potente, ma soprattutto un Dio che ama tanto l'uomo da donare la propria vita perché egli viva. Non bisogna mai dimenticare, quindi, che l'amore rende vulnerabile anche il Signore.

E con questo atto supremo il pastore si vincola indissolubilmente al suo gregge. Nel brano odierno Gesù afferma:  "Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono". Il riferimento alla pecora non ha il significato peggiorativo di passività, di spirito gregario che potremmo attribuire alla mentalità di oggi; anzi l'immagine biblica è esattamente l'inverso.

2. I tre verbi pronunciati da Gesù sono verbi di azione molto personalizzata:  ascoltare, conoscere e seguire - con i quali indica il movimento della fede che può colmare la nostra domanda di vita piena e felice cui aspiriamo. Attraverso questa costellazione di parole collegate tra loro secondo un filo luminoso e spirituale, si può costruire la storia integrale della vocazione cristiana. In particolare, come vedremo fra poco, vi possiamo ritrovare disegnato il cammino che ha portato alla santità la novella Beata Maria Rosa Pellesi.

"Ascoltare": è l'attitudine essenziale nella relazione tra due persone. I profeti non hanno cessato di invitare Israele ad ascoltare "Ascolta Israele!" (Deut 6-4, Amos 3, 1, Geremia 7, 2, Si 29, 3.9). Ascoltare è l'inizio della fede. Giovanni presenta Gesù come il Verbo - la Parola che il Padre dice al mondo "Questo è il mio figlio diletto. Ascoltatelo!" (Mt 17, 5). L'ascoltare in senso biblico è carico di risonanze che implicano l'adesione gioiosa, l'obbedienza, la scelta di vita.

Ecco, allora, stabilirsi una comunione intima e profonda tra Cristo e chi lo segue:  essa è definita da una grande parola biblica, quella del "conoscere" che coinvolge mente, cuore, azione di tutta la persona umana, tanto da diventare, sulle labbra del Gesù di Giovanni la definizione stessa della vita eterna: "La vita eterna è conoscere te, unico vero Dio e colui che hai inviato, Gesù Cristo" (Gv 17.3). Ascoltare Cristo conduce, quindi, a farsi conoscere e a conoscere Dio - nel senso poc'anzi ricordato - per seguire Cristo l'unico Pastore, in una sequela quotidiana e continua, di cui i santi sono una riprova mirabile e concreta.

"Seguire", quindi, è un altro verbo che non ha niente di passivo! Niente suppone tanta libertà quanto il seguire perché è aderire con tutta la persona all'Altro. È attaccarsi in maniera stringente sino a riconoscere la voce, il passo, i desideri, fino ad entrare in una comunione senza ritorno, fino ad abbracciare il destino dell'altro perché chi ama non può che essere fedele anzi felice che l'altro determini la sua vita, fino alle estreme conseguenze dell'amore.

3. Davvero rassicurante è, inoltre, l'assicurazione di Gesù "Le mie pecore non andranno mai perdute e nessuno le strapperà dalla mia mano". Né dalla sua mano né da quella del Padre. Siamo nelle migliori mani che ci possano essere:  le mani del Signore, le stesse mani che stendeva sui malati, con le quali accarezzava i bambini, quella che tendeva a Pietro perché non affogasse nel mare, la mano che si alzò col Pane di vita all'ultima cena, la mano stesa sulla croce, la mano ferita dai chiodi mostrata a Tommaso.

Noi tutti, carissimi fedeli, siamo stati posti dalla mano del Padre Buono nella mano del Pastore Bello e siamo chiamati a raggiungere quanti ci hanno preceduti nella vitalità della fede, i quali "portavano palme nelle mani" (Ap 7, 9). È la palma che Gesù consegna, attraverso la Chiesa, alla sua sposa Rosa Pellesi, beatificando questa religiosa poco conosciuta, forse, ma che ora potrà diffondere il fascino che promana dal suo cammino di vergine francescana.

In quella mano del Signore Crocifisso e Risorto si è mantenuta sempre Rosa Pellesi e dalla mano del Figlio del Dio Vivente si è fatta reggere, sostenere, senza mai scivolarne via e facendo in modo che non si allentasse in nulla la presa del Cristo, da cui era afferrata, divenendo un capolavoro di umanità e di amore, di abbandono e di obbedienza, di mansuetudine e di fortezza.

4. La Parola di Dio dell'odierna liturgia è la cornice ideale, quasi fosse scelta di proposito, in cui collocare la Beata Maria Rosa Pellesi, che illumina la santità della sua vita, rivestendola di luce evangelica.

Nei lunghi 27 anni di vita in sanatorio, costretta a reclusione forzata ma eroicamente accolta si dispiega in lei l'abisso del Mistero di passione, morte e risurrezione di Cristo che si trasfonde in essa, e, come tale, la chiama a passare attraverso la grande tribolazione, lasciando che le sue vesti siano lavate, rese candide col sangue dell'Agnello a cui Maria Rosa unisce, senza riserve il suo olocausto, secondo quanto ci ha presentato, nella seconda lettura, la splendida pagina dell'Apocalisse.

Basti pensare che il costato dell'incantevole ragazza di Pigneto è stato trafitto non da centinaia, ma da migliaia di toracentesi per l'estrazione del versamento pleurico senza che mai - lo testimoniano i medici ancora viventi - sia uscito un solo lamento dalla sua bocca.

Era identificata nel silenzio di Gesù l'agnello muto condotto al macello, secondo il racconto di Isaia:  "Maltrattato si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca:  era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori e non aprì la sua bocca" (Is 53, 7).

Come simbolo della sua crocifissione nella carne le rimase, per 17 anni, conficcato nel torace, un frammento di ago spezzatosi per errore medico, durante la quotidiana estrazione che lei, da umile agnella - come desiderava essere - chiamerà "la mia lancia". La sua crocifissione, nell'immagine di Suor Maria Rosa qui esposta, è simboleggiata dalla corona di spina che con felice intuito le è stata posta sul petto nell'atto di stringerla al cuore.

San Paolo ci ha ricordato nella prima Lettura, testé ascoltata: "ti ho posto come luce per le genti perché tu parti la salvezza a tutti gli uomini". La Beata Maria Rosa, pur chiusa in un angusto ospedale, spaziava con l'anelito missionario di Cristo verso l'umanità e dirà: "Vorrei abbracciare il mondo" e, morente, esclamerà: "mando un bacio a tutta l'umanità".

È il suo grido di missionaria d'amore; è il completamento in sé di ciò che manca alla passione di Cristo e al sogno di Cristo che tutti siamo una sola cosa in Lui.

Se c'è un immediato segno di riconoscimento di suor Maria Rosa questo è sicuramente il sorriso che diventava la prima carità verso chi viveva con lei, ma che si traduceva anche in gesti umani umilissimi e forti di ascolto, di pazienza, di servizio che le richiedevano un prezzo altissimo di abnegazione e di dono di sé: "Il mio cuore sta sotto il torchio anche se sono felice, tanto, tanto, tanto felice; ho iniziato la mia vita sanatoriale piangendo ma ho chiesto al Buon Dio di terminarla cantando le sue misericordie".

Nel corteo delle sante Vergini che seguono l'Agnello dovunque vada si è aggiunta una nuova presenza: la Beata Maria Rosa, segno certo che l'orientamento da lei seguito porta davvero all'autentica santità.

La Beata Maria Rosa, posta dalla Chiesa sul candelabro, ci invita alla speranza e a non lasciarci inchiodare dai nostri limiti e colpe, perché Dio non lascia nulla di incompiuto. Preghiamo anche noi, come lei pregava per se stessa:  "Che Gesù Signore agisca in me per costruire sulle macerie della mia miseria, quel capolavoro che Egli si è prefisso fin dall'Eternità". Il capolavoro della perfezione evangelica, il capolavoro della propria santificazione.