Martino Capelli (al secolo: Nicola)
(† 1944)
Sacerdote professo della Congregazione dei Sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù; venne ucciso per il suo zelo sacerdotale, che lo aveva indotto a recarsi nei luoghi delle violenze perpetrate a “Creda”. La sua uccisione fu dovuta principalmente al disprezzo delle truppe naziste verso il suo ministero, a testimonianza di come l’odium fidei sia stato un motivo prevalente della sua uccisione
Nicola Capelli nasce a Nembro in Val Seriana, nella Provincia e nella Diocesi di Bergamo, il 20 settembre 1912, da Martino Capelli e Teresa Bonomi, che costituiscono e formano una famiglia numerosa e molto povera. Non brillando nel rendimento a scuola ed avendo anche ripetuto la prima e la seconda elementare, a 12 anni entra nella Scuola Apostolica dei Sacerdoti del Sacro Cuore, chiamati Dehoniani, di Albino. È considerato sano, vivace e buono, dato che ogni mattina si alza ancora buio per andare a servire la prima Messa. I Superiori e Formatori si impegnano alacremente ed intensamente per cercare di plasmare il suo carattere un po’ ribelle e svagato e con una buona intelligenza, ed alla fine sono contenti dei progressi che il ragazzo registra, sia nel comportamento che nello studio. Comunque, prima di ammetterlo all’Ordinazione gli fanno fare anticamera e gli chiedono di fare per alcuni anni il “prefetto” dei seminaristi giovani, incarico in cui riesce molto bene, facendosi amare dai ragazzi.
Intanto la sua vocazione si delinea sempre più chiaramente e si fortifica e nel 1930 professa i primi voti, col nome di fratel Martino di Maria Addolorata, mentre aumenta in lui il desiderio del martirio, sull’esempio dei martiri messicani, di cui sente parlare. Ordinato il 26 giugno 1938 sogna di partire missionario, possibilmente in Cina, ma riceve l’ordine, inaspettato e deciso di andare a Roma per continuare gli studi all’Istituto Biblico. Obbedisce in nome del voto fatto e mettendo tutto l’impegno possibile in questi nuovi studi, non desiderati ed inattesi, ottenendo risultati brillanti, prima al Biblico e, poi, all’Urbaniana, licenziandosi in teologia “cum laude”.
Ormai ad un passo dalla laurea, nel 1943 viene richiamato dai Superiori a Bologna, ad insegnare Sacra Scrittura, con l’arrivo di una nuova delusione per il non possibile raggiungimento della Laurea e certamente questa nuova obbedienza gli pesa molto. In questo periodo la guerra inizia ormai a dilagare e si comincia a vivere nella paura dei bombardamenti. A causa di questo si rende necessario ed opportuno trasferire la scuola e, in questo modo, anche padre Martino deve spostarsi venendosi a trovare all’interno della “Linea Gotica” sull’Appennino tosco-emiliano, che era il centro delle operazioni belliche di quel momento storico. Si sente fortemente prete e missionario, ed in questa particolare situazione difficile e drammatica non desidera assolutamente vivere un ruolo da “imboscato” e sente fortemente l’urgenza pastorale in quel clima di assenza di fede e di abbandono della pratica religiosa, di sradicare l’odio e la diffidenza dai cuori.
Nel luglio 1944 la Comunità si trasferisce a Burzanella, un paese a mille metri d’altezza, lontano dalle principali vie di comunicazione, dove in teoria la vita dovrebbe essere stata più tranquilla. Qui si viene a trovare, invece, al centro di rappresaglie e di rastrellamenti durante i quali lui sente il bisogno forte ed ineludibile di esporsi per amministrare gli ultimi sacramenti ai giustiziati, aiutare gli sfollati, spegnere gli incendi.
Padre Martino diventa un personaggio scomodo, ingombrante, che suscita diffidenza da una parte e dall’altra, dato che lui, non facendo “differenze di persone”, aiuta ugualmente tutti, ed in questo modo si presta ad essere da entrambi le parti considerato come una spia. Prende la decisione di trasferirsi a Sarzano, per aiutare il Parroco anziano, e qui trova anche don Elia Comini, un giovane salesiano sfollato come lui, che mette tutto se stesso per vivere al meglio il suo ministero in questi tempi e situazioni molto difficili.
Padre Martino decide di andare per i monti, a cercare i contadini nelle cascine ed i partigiani nei bivacchi, per evangelizzare, annunciare, confortare, perché continua a sentirsi profondamente missionario, non rinuncia ad andare a predicare ovunque lo chiamino. Perciò comincia ad essere guardato con molto sospetto dai Tedeschi, tanto che anche i Superiori se ne accorgono e decidono di trasferirlo. Questa volta, però, padre Martino disobbedisce, semplicemente per non lasciare senza assistenza religiosa tutte le persone con cui è venuto a contatto in quei mesi. Continua con coraggio a fare il prete, cosciente del rischio che corre.
Il 29 settembre 1944 insieme a don Elia, mentre accorrono per soccorrere un ferito, sono arrestati dai Tedeschi e dopo due giorni di crudele prigionia, il 1° ottobre vengono falciati dalle mitragliatrici delle SS, insieme ad altri 44 prigionieri. Prima di morire vive con forza e passione ancora il gesto sacerdotale di un’ultima benedizione agli altri moribondi. Aveva solo 32 anni.
Il suo martirio materiale avvenuto in una delle fasi più critiche della guerra in Italia. In quei mesi le truppe nazifasciste compirono diversi massacri per eliminare ogni forma di opposizione nei territori considerati strategici, nei quali i partigiani e la popolazione civile avrebbero potuto facilitare l’avanzata delle truppe Anglo-americane alleate. Già nell’agosto del 1944, mossi dalle medesime motivazioni, i nazisti perpetrarono violenti crimini sul versante toscano della Linea Gotica (con l’uccisione di 560 civili nell’area di Sant’Anna di Stazzema) come pure in altre zone della Pianura padana. Nell’area dove si trovava ad operare padre Martino, tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944, i nazifascisti sterminarono oltre 770 persone compresi bambini, neonati e anziani. Venne catturato dai nazisti dopo essere accorso nella zona del massacro di “Creda”, a portare i sacramenti ai superstiti. Consapevole della sua sorte, la mattina del 1° ottobre fu condotto con altri al luogo del supplizio, presso la Botte di Pioppe di Salvaro, dove avvenne la sua esecuzione.
Per quanto riguarda il martirio formale ex parte persecutoris, padre Martino venne ucciso per il suo zelo sacerdotale, che lo aveva indotto a recarsi nei luoghi delle violenze perpetrate a “Creda”. La sua uccisione fu dovuta principalmente al disprezzo delle truppe naziste verso il suo ministero sacerdotale, a testimonianza di come l’odium fidei sia stato un motivo prevalente della sua uccisione.
Riguardo al martirio formale ex parte Servi Dei, come dimostrano gli Atti, padre Martino, consapevole dei pericoli che correva, era tuttavia pronto a donare la sua vita per il prossimo pur potendo rientrare presso i confratelli a Bologna; infatti decise di rimanere in quelle zone di scontri tra partigiani e nazisti per esercitare il suo ministero sacerdotale, il cui acme è stato nell'assistere gli agonizzanti della strage di Creda e nella benedizione data ai morituri di Pioppe di Salvaro.