Massimiliano Maria Kolbe

Massimiliano Maria Kolbe

(1894-1941)

Beatificazione:

- 17 ottobre 1971

- Papa  Paolo VI

Canonizzazione:

- 10 ottobre 1982

- Papa  Giovanni Paolo II

- Piazza San Pietro

Ricorrenza:

- 14 agosto

Sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali e martire, che, fondatore della Milizia di Maria Immacolata, fu deportato in diversi luoghi di prigionia e, giunto infine nel campo di sterminio di Auschwitz vicino a Cracovia in Polonia, si consegnò ai carnefici al posto di un compagno di prigionia, offrendo il suo ministero come olocausto di carità e modello di fedeltà a Dio e agli uomini

 

  • Biografia
  • Omelia
  • Santo e martire
  • omelia di beatificazione
"Rinnovare ogni cosa in Cristo attraverso l’Immacolata"

 

Rajmund Kolbe nacque a Zdunska-Wola (Lodz) nella Polonia centrale, l'8 gennaio 1894 e fu battezzato lo stesso giorno. La famiglia si trasferì poi a Pabianice dove Raimondo frequentò le scuole primarie, avvertì un misterioso invito della B. Vergine Maria ad amare generosamente Gesù e sentì i primi segni della vocazione religiosa e sacerdotale.

Nel 1907 Raimondo venne accolto nel Seminario dei Frati Minori Conventuali di Leopoli, dove frequentò gli studi secondari e più chiaramente comprese che per corrispondere alla vocazione divina doveva consacrarsi a Dio nell'Ordine francescano. Il 4 settembre 1910 incominciò il noviziato col nome di fra Massimiliano, e il 5 settembre 1911 emise la professione semplice.

Per proseguire la sua formazione religiosa e sacerdotale fu trasferito a Roma, dove dimorò dal 1912 al 1919, presso il "Collegio Serafico Internazionale" dell'Ordine. Qui fra Massimiliano continuò ad assimilare quelle virtù religiose che già lo rivelavano un degno ed esemplare figlio di S. Francesco, e lo preparavano a diventare un autentico sacerdote di Cristo. Emise la professione solenne il 1° novembre 1914 col nome di Massimiliano Maria. Conseguì nel 1915 la laurea in filosofia, e nel 1919 quella in teologia. Ordinato sacerdote il 28 aprile 1918 celebrava la Prima Messa nel giorno successivo nella Chiesa di S. Andrea delle Fratte, all'altare che ricorda l'Apparizione della Vergine Immacolata ad Alfonso Ratisbonne.

Una formazione spirituale soda e sicura aveva aperto lo spirito di fra Massimiliano ad una acuta penetrazione e profonda contemplazione del mistero di Cristo. Come i teologi francescani egli ama contemplare nel piano salvifico di Dio la Volontà del Padre il quale per mezzo del Figlio e nello Spirito Santo crea. santifica e salva un mondo in cui il Verbo Incarnato e Redentore costituisce il punto finale dell'amore di Dio che si comunica e il punto di convergenza dell'amore delle creature che a Dio si riferiscono; e nello stesso disegno di Dio ama contemplare la presenza di Maria Immacolata che sta al vertice della partecipazione e della collaborazione rispetto alla Incarnazione Redentrice e all'azione santificante dello Spirito. Si sentiva inoltre fortemente e responsabilmente inserito nella storia e nella vita della Chiesa, come in quella del suo Ordine Francescano; e ardeva del desiderio di operare alla edificazione e difesa del Regno di Dio, sotto il patrocinio di Maria Immacolata, e di impegnare i confratelli ad un rinnovato filiale e cavalleresco servizio alla Madre di Dio.

Questi sentimenti di fede e propositi di zelo, che Massimiliano sintetizza nel motto: " Rinnovare ogni cosa in Cristo attraverso l'Immacolata ", stanno alla base della istituzione della " Milizia di Maria Immacolata " (M.I.), cui aveva dato statuto e vita il 16 ottobre 1917; come pure costituiscono il fermento che animerà tutta la vita spirituale e apostolica del P. Massimiliano, fino al suo martirio di carità.

Nel 1919 P. Massimiliano è di nuovo in Polonia dove, nonostante le difficoltà di una grave malattia che lo costringe a prolungate degenze nel sanatorio di Zakopane, si dedica con ardore all'esercizio del ministero sacerdotale e alla organizzazione della M.I. Nel 1919 a Cracovia ottiene il consenso dell'Arcivescovo a stampare la " Pagella di iscrizione " alla M.I. e può reclutare fra i fedeli i primi militi dell'Immacolata. Nel 1922 dà inizio alla pubblicazione di " Rycerz Niepokalanej " (Il Cavaliere dell'Immacolata), Rivista ufficiale della M.I.; mentre a Roma il Cardinale Vicario approva canonicamente la M.I. come " Pia Unione ". In seguito la M.I. troverà adesioni sempre più numerose tra sacerdoti, religiosi e fedeli di molte nazioni, attratti dal programma del Movimento mariano e dalla fama di santità del fondatore.

In Polonia intanto P. Massimiliano ottiene di poter costituire nel Convento di Grodno un centro editoriale autonomo che gli consente di pubblicare con più proficua redazione e diffusione "Il Cavaliere " per "portare l'Immacolata nelle case, affinché le anime avvicinandosi a Maria ricevano la grazia della conversione e della santità ".

È una esperienza di vita spirituale e apostolica che dura cinque anni e prepara la programmazione di un'altra. impresa. Nel 1927 P. Kolbe dà inizio alla costruzione, nei pressi di Varsavia, di un Convento-città, che chiamerà "NIEPOKALANÓW" (Città dell'Immacolata). Fin dagli inizi Niepokalanów assunse la fisionomia di una autentica " Fraternità francescana " per l'importanza primaria data alla preghiera, per la testimonianza di vita evangelica e la alacrità del lavoro apostolico. I frati, formati e guidati da P. Massimiliano vivono in conformità alla Regola di S. Francesco nello spirito della consacrazione all'Immacolata, e collaborano tutti nella attività editoriale e nell'uso di altri mezzi di comunicazione sociale per l'incremento del Regno di Cristo e la diffusione della devozione alla Beata Vergine. Ben presto Niepokalanów diventa perciò un importante e fecondo centro vocazionale che accoglie i sempre più numerosi aspiranti alla vita francescana nei suoi seminari, e un centro editoriale che pubblica in aumentata tiratura: " Il Cavaliere ", altre riviste per giovani e ragazzi e altre opere di divulgazione e formazione cristiana.

Da Niepokalanów, come già da Roma, lo sguardo di P. Kolbe spazia sul mondo spinto dall'amore verso Cristo e Maria. " Per l'Immacolata al cuore di Gesù, ecco la nostra parola d'ordine... e poiché la consacrazione di Niepokalanów è incondizionata, così essa non esclude l'ideale missionario... Non desideriamo infatti consacrare soltanto noi stessi all'Immacolata, ma vogliamo che tutte le anime del mondo si consacrino a Lei ". Nel 1930 P. Kolbe, missionario di Cristo e di Maria, parti per l'Estremo Oriente. Nel mese di aprile approdò in Giappone e raggiunse Nagasaki, dove, accolto benevolmente dal Vescovo, dono armena un mese era in grado di pubblicare in lingua giapponese " Il Cavaliere dell'Immacolata ". Fu poi costruito sulle vendici del monte Hicosan alla periferia di Nagasaki un nuovo Convento-città che prese il nome di " Mugenzai no Sono " (Giardino dell'Immacolata), e in cui P. Kolbe organizzò e formò la nuova comunità francescana missionaria. sul tino di quella di Niepokalanów. I risultati si rivelarono presto assai confortanti. Si moltiplicavano conversioni e battesimi, e tra i giovani battezzati maturavano vocazioni religiose e sacerdotali, per cui anche Mugenzai no Sono divenne fecondo centro vocazionale e sede di un noviziato e di un seminario filosofico-teologico. L'attività editoriale arrivò a pubblicare " Il Cavaliere ", con una tiratura di 50.000 copie e in una redazione perfezionata che il Vescovo di Nagasaki riconobbe corrispondente "alla mentalità dei Giapponesi fino a destare entusiasmo e favorevoli consensi, e fino ad arrivare a seminare nei cuori pagani l'ammirazione prima, e poi l'amore verso l'Immacolata, e a chiamarli e condurli alla vera fede".

P. Kolbe, autentico apostolo di Maria, avrebbe voluto fondare altre " Città dell'Immacolata " in varie altre parti del mondo; ma nel 1936 dovette ritornare in Polonia per riprendere la guida di Niepokalanów, e per essere, secondo i disegni di Dio, testimone dell'amore di Cristo e di Maria di fronte al mondo nella terribile ora incombente.

Negli anni 1936-39 Niepokalanów raggiunse il massimo sviluppo della sua attività vocazionale ed editoriale. P. Kolbe, ricco delle nuove esperienze acquisite in Giappone, si dedica non solo a impartire una intensa formazione spirituale alle numerose vocazioni che continuamente affluiscono, ma anche a curare la efficiente organizzazione dell'apostolato stampa. Circa 800 frati, consacrati all'Immacolata sono intenti alla redazione, alla stampa e alla diffusione di libri, opuscoli e periodici tra i quali: " Il Cavaliere ", con tiratura di 750.000 e talvolta 1.000.000 di copie, e il "Piccolo Giornale", che raggiunge le 130.000 copie nei giorni feriali e 250.000 copie nei giorni festivi. Nel frattempo il P. Massimiliano ha l'opportunità di dedicarsi anche a completare l'organizzazione della M.I. ormai diffusa nel mondo; ricorre nel 1937 il Ventennale di fondazione e il P. Kolbe lo commemora a Roma, dove nel mese di febbraio getta le basi per la creazione di una " Direzione Generale M.I. ". Nel settembre del 1939 ha inizio la tragica serie delle prove di sangue che il P. Kolbe aveva in certo modo intravisto. Una folle ideologia antiumana e anticristiana spinge forze brutali a invadere la Polonia e perpetrare stragi e oppressioni inaudite; e la persecuzione si abbatte anche su Niepokalanów dove è rimasto solo un ridotto numero di frati. P. Massimiliano affronta la situazione con eroica fermezza e carità.

Egli accoglie nel convento profughi, feriti, deboli, affamati, scoraggiati, cristiani ed ebrei, ai quali offre ogni conforto spirituale e materiale. Il 19 di settembre la Polizia nazista procede alla deportazione del piccolo gruppo dei frati di Niepokalanów presso il campo di concentramento di Amtitz in Germania, dove il  P. Massimiliano animò i fratelli a trasformare la prigione in una missione di testimonianza. Poterono tutti rientrare liberi a Niepokalanów nel mese di dicembre, e riprendere un certo ritmo di attività nonostante le devastazioni subite dai vari reparti.

La nuova autorità amministrativa imposta dal nazismo conosce assai bene la potenza spirituale cristiana che Niepokalanów rappresenta ed esercita in Polonia contro ogni forma di ingiustizia e di errore; e conosce inoltre le ferme intenzioni che animano i frati cavalieri di Maria Immacolata, perché ha sentito direttamente dal P. Kolbe questa dichiarazione: " Siamo pronti a dare la vita per i nostri ideali ". La Gestapo però ricorrerà all'inganno per incriminare P. Massimiliano.

Arrestato il 17 febbraio 1941 P. Massimiliano fu rinchiuso nel carcere di Pawiak dove subì le prime torture dalle guardie naziste; e il 28 maggio fu trasferito al campo di concentramento di Oswiipcim, tristemente famoso. La presenza del P. Kolbe nei vari blocchi del campo della morte fu quella del sacerdote cattolico testimone della fede, pronto a dare la vita per gli altri, quella del religioso francescano testimone evangelico di carità e messaggero di pace e di bene per i fratelli, quella del cavaliere di Maria Immacolata che all'amore della Madre divina affida tutti gli uomini. Coinvolto nelle stesse sofferenze inflitte a tante vittime innocenti, egli prega e fa pregare, sopporta e perdona, illumina e fortifica nella fede, assolve peccatori e infonde speranza.

Era pronto al dono supremo cui aveva aspirato fin dagli anni giovanili dando alla sua carità questa dimensione evangelica: "Da te ipsum aliis = Amor"; lo compì con estremo slancio di amore quando liberamente si offrì a prendere il posto di un fratello prigioniero condannato insieme ad altri nove per ingiusta rappresaglia, a morire di fame. Nel bunker della morte il P. Massimiliano fece risuonare con la preghiera il canto della vita redenta che non muore, il canto dell'amore che è l'unica forza creatrice, il canto della vittoria promessa alla fede in Cristo.

Il 14 agosto 1941, vigilia della festa della Assunzione di Maria SS., la ferocia inumana e anticristiana stroncò la sua esistenza terrena con una iniezione di acido fenico. La Vergine Immacolata, che gli aveva offerto in vita la corona della santità lo attendeva in cielo per offrirgli quella della gloria.

CANONIZZAZIONE DI MASSIMILIANO MARIA KOLBE

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Piazza San Pietro, 10 ottobre 1982

 

1. “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13).

Da oggi la Chiesa desidera chiamare “santo” un uomo al quale è stato concesso di adempiere in maniera assolutamente letterale le suddette parole del Redentore.

Ecco infatti, verso la fine di luglio del 1941, quando per ordine del capo del campo si fecero mettere in fila i prigionieri destinati a morire di fame, quest’uomo, Massimiliano Maria Kolbe, si presentò spontaneamente, dichiarandosi pronto ad andare alla morte in sostituzione di uno di loro.

Questa disponibilità fu accolta, e al padre Massimiliano, dopo oltre due settimane di tormenti a causa della fame, fu infine tolta la vita con un’iniezione mortale, il 14 agosto 1941.

Tutto questo successe nel campo di concentramento di Auschwitz, dove furono messi a morte durante l’ultima guerra circa 4.000.000 di persone, tra cui anche la Serva di Dio Edith Stein (la carmelitana suor Teresa Benedetta della Croce), la cui causa di Beatificazione è in corso presso la competente Congregazione. La disobbedienza contro Dio, Creatore della vita, il quale ha detto “non uccidere”, ha causato in questo luogo l’immensa ecatombe di tanti innocenti.

Contemporaneamente dunque, la nostra epoca è rimasta così orribilmente contrassegnata dallo sterminio dell’uomo innocente.

2. Padre Massimiliamo Kolbe, essendo lui stesso un prigioniero del campo di concentramento, ha rivendicato, nel luogo della morte, il diritto alla vita di un uomo innocente, uno dei 4.000.000.

Quest’uomo (Franciszek Gajowniczek) vive ancora ed è presente tra noi. Padre Kolbe ne ha rivendicato il diritto alla vita, dichiarando la disponibilità di andare alla morte al suo posto, perché era un padre di famiglia e la sua vita era necessaria ai suoi cari. Padre Massimiliano Maria Kolbe ha riaffermato così il diritto esclusivo del Creatore alla vita dell’uomo innocente e ha reso testimonianza a Cristo e all’amore. Scrive infatti l’apostolo Giovanni: “Da questo abbiamo conosciuto l’amore: egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli” (1Gv 3,16).

Dando la sua vita per un fratello, padre Massimiliano, che la Chiesa già sin dal 1971 venera come “beato”, in modo particolare si è reso simile a Cristo.

3. Noi, dunque, che oggi, domenica 10 ottobre, siamo riuniti davanti alla Basilica di san Pietro in Roma, desideriamo esprimere il valore speciale che ha agli occhi di Dio la morte per martirio del padre Massimiliano Kolbe:
“Preziosa agli occhi del Signore / è la morte dei suoi fedeli” (Sal 115 [116],15), così abbiamo ripetuto nel Salmo responsoriale. Veramente è preziosa ed inestimabile! Mediante la morte, che Cristo ha subìto sulla Croce, si è compiuta la redenzione del mondo, poiché questa morte ha il valore dell’amore supremo. Mediante la morte, subìta dal padre Massimiliano Kolbe, un limpido segno di tale amore si è rinnovato nel nostro secolo, che in grado tanto alto e in molteplici modi è minacciato dal peccato e dalla morte.

Ecco che, in questa solenne liturgia della canonizzazione, sembra presentarsi tra noi quel “martire dell’amore” di Oswiecim (come lo chiamò Paolo VI) e dire:
“Io sono il tuo servo, Signore, / io sono tuo servo, figlio della tua ancella; / hai spezzato le mie catene” (Sal 115 [116],16).

E, quasi raccogliendo in uno il sacrificio di tutta la sua vita, lui, sacerdote e figlio spirituale di san Francesco, sembra dire:
“Che cosa renderò al Signore / per quanto mi ha dato? / Alzerò il calice della salvezza / e invocherò il nome del Signore” (Sal 115 [116],12s).

Sono, queste, parole di gratitudine. La morte subìta per amore, al posto del fratello, è un atto eroico dell’uomo, mediante il quale, insieme al nuovo Santo, glorifichiamo Dio. Da lui infatti proviene la Grazia di tale eroismo, di questo martirio.

4. Glorifichiamo dunque oggi la grande opera di Dio nell’uomo. Di fronte a tutti noi, qui riuniti, padre Massimiliano Kolbe alza il suo “calice della salvezza”, nel quale è racchiuso il sacrificio di tutta la sua vita, sigillata con la morte di martire “per un fratello”.

A questo definitivo sacrificio Massimiliano si preparò seguendo Cristo sin dai primi anni della sua vita in Polonia. Da quegli anni proviene l’arcano sogno di due corone: una bianca e una rossa, fra le quali il nostro santo non sceglie, ma le accetta entrambe. Sin dagli anni della giovinezza, infatti, lo permeava un grande amore verso Cristo e il desiderio del martirio.

Quest’amore e questo desiderio l’accompagnarono sulla via della vocazione francescana e sacerdotale, alla quale si preparava sia in Polonia che a Roma. Quest’amore e questo desiderio lo seguirono attraverso tutti i luoghi del servizio sacerdotale e francescano in Polonia, ed anche del servizio missionario nel Giappone.

5. L’ispirazione di tutta la sua vita fu l’Immacolata, alla quale affidava il suo amore per Cristo e il suo desiderio di martirio. Nel mistero dell’Immacolata Concezione si svelava davanti agli occhi della sua anima quel mondo meraviglioso e soprannaturale della Grazia di Dio offerta all’uomo. La fede e le opere di tutta la vita di padre Massimiliano indicano che egli concepiva la sua collaborazione con la Grazia divina come una milizia sotto il segno dell’Immacolata Concezione. La caratteristica mariana è particolarmente espressiva nella vita e nella santità di padre Kolbe. Con questo contrassegno è stato marcato anche tutto il suo apostolato, sia nella patria come nelle missioni. Sia in Polonia come nel Giappone furono centro di quest’apostolato le speciali città dell’Immacolata (“Niepokalanow” polacco, “Mugenzai no Sono” giapponese).

6. Che cosa è successo nel Bunker della fame nel campo di concentramento ad Oswiecim (Auschwitz), il 14 agosto del 1941?

A questo risponde l’odierna liturgia: ecco “Dio ha provato” Massimiliano Maria “e lo ha trovato degno di sé” (cf. Sap 3,5). L’ha provato “come oro nel crogiuolo / e l’ha gradito come un olocausto” (cf. Sap 3,6).

Anche se “agli occhi degli uomini subì castighi”, tuttavia “la sua speranza è piena di immortalità” poiché “le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, / nessun tormento le toccherà”. E quando, umanamente parlando, li raggiungono il tormento e la morte, quando “agli occhi degli uomini parve che morissero...”, quando “la loro dipartita da noi fu ritenuta una sciagura...”, “essi sono nella pace”: essi provano la vita e la gloria “nelle mani di Dio” (cf. Sap 3,1-4).

Tale vita è frutto della morte a somiglianza della morte di Cristo. La gloria è la partecipazione alla sua risurrezione.

Che cosa dunque successe nel Bunker della fame, il giorno 14 agosto 1941?

Si compirono le parole rivolte da Cristo agli Apostoli, perché “andassero e portassero frutto e il loro frutto rimanesse” (cf. Gv 15,16).

In modo mirabile perdura nella Chiesa e nel mondo il frutto della morte eroica di Massimiliano Kolbe!

7. A quanto successe nel campo di “Auschwitz” guardavano gli uomini. E anche se ai loro occhi doveva sembrare che “morisse” un compagno del loro tormento, anche se umanamente potevano considerare “la sua dipartita” come “una rovina”, tuttavia nella loro coscienza questa non era solamente “la morte”.

Massimiliano non morì, ma “diede la vita... per il fratello”.

V’era in questa morte, terribile dal punto di vista umano, tutta la definitiva grandezza dell’atto umano e della scelta umana: egli da sé si offrì alla morte per amore.

E in questa sua morte umana c’era la trasparente testimonianza data a Cristo:
la testimonianza data in Cristo alla dignità dell’uomo, alla santità della sua vita e alla forza salvifica della morte, nella quale si manifesta la potenza dell’amore.

Proprio per questo la morte di Massimiliano Kolbe divenne un segno di vittoria. È stata questa la vittoria riportata su tutto il sistema del disprezzo e dell’odio verso l’uomo e verso ciò che è divino nell’uomo, vittoria simile a quella che ha riportato il nostro Signore Gesù Cristo sul Calvario.

“Voi siete miei amici, se farete ciò che vi comando” (Gv 15,14)

8. La Chiesa accetta questo segno di vittoria, riportata mediante la forza della Redenzione di Cristo, con venerazione e con gratitudine. Cerca di leggerne l’eloquenza con tutta umiltà ed amore.

Come sempre, quando proclama la santità dei suoi figli e delle sue figlie, così anche in questo caso, essa cerca di agire con tutta la precisione e la responsabilità dovute, penetrando in tutti gli aspetti della vita e della morte del Servo di Dio.

Tuttavia la Chiesa deve, al tempo stesso, stare attenta, leggendo il segno della santità dato da Dio nel suo Servo terreno, di non lasciar sfuggire la sua piena eloquenza e il suo significato definitivo.

E perciò, nel giudicare la causa del beato Massimiliano Kolbe si dovettero – già dopo la beatificazione – prendere in considerazione molteplici voci del Popolo di Dio, e soprattutto dei nostri fratelli nell’Episcopato, sia della Polonia come pure della Germania, che chiedevano di proclamare Massimiliano Kolbe santo “come martire”.

Di fronte all’eloquenza della vita e della morte del beato Massimiliano, non si può non riconoscere ciò che pare costituisca il principale ed essenziale contenuto del segno dato da Dio alla Chiesa e al mondo nella sua morte.

Non costituisce questa morte affrontata spontaneamente, per amore all’uomo, un particolare compimento delle parole di Cristo?

Non rende essa Massimiliano particolarmente simile a Cristo, Modello di tutti i Martiri, che dà la propria vita sulla Croce per i fratelli?

Non possiede proprio una tale morte una particolare, penetrante eloquenza per la nostra epoca?

Non costituisce essa una testimonianza particolarmente autentica della Chiesa nel mondo contemporaneo?

9. E perciò, in virtù della mia apostolica autorità ho decretato che Massimiliano Maria Kolbe, il quale, in seguito alla Beatificazione, era venerato come Confessore, venga d’ora in poi venerato “anche come Martire”!

“Preziosa agli occhi del Signore / è la morte dei suoi fedeli”!

Amen.

 

Conclusa l’omelia in italiano, il Santo Padre riassume in tedesco il concetto appena espresso.

Liebe Brüder und Schwestern deutscher Sprache!

Durch die heutige Heiligsprechung stell die Kirche das heroische Lebensopfer von Pater Maximilian Kolbe als höchstes Zeugnis christlicher Bruderliebe vor Augen. Es geschah im Konzentrationslager von Auschwitz, wo zusammen mit ihm unter unzähligen gemarterten Menschen auch die Dienerin Gottes Edith Stein den Tod gefunden hat. Auch für sie hat der Seligsprechungsprozeß schon begonnen.

Durch seine heroische Liebestat hat Pater Maximilian Kolbe das Lebensrecht eines Unschuldigen verteidigt und das ausschließliche Recht des Schöpfers auf das Leben des Menschen bekräftigt. Er ist dadurch in einer besonderen Weise Christus ähnlich geworden, der sein Leben am Kreuz für uns hingegeben hat. Folgen auch wir wie der hl. Maximilian Kolbe diesem Beispiel Christi in opferbereitem, liebendem Einsatz für unsere Mitmenschen!

La fama della vita santa e dell'eroica morte del P. Massimiliano Maria Kolbe si diffuse nel mondo, ovunque ammirata ed esaltata. Espletati dalla autorità della Chiesa i processi e gli esami canonici sulla eroicità delle virtù del Servo di Dio Massimiliano Maria e sui miracoli attribuiti alla sua intercessione, il Santo Padre Paolo VI lo proclamava Beato il 17 ottobre 1971.

Il 10 ottobre 1982 il Santo Padre Giovanni Paolo II lo proclama Santo e Martire.

SOLENNE BEATIFICAZIONE DI PADRE MASSIMILIANO MARIA KOLBE

OMELIA DI PAOLO VI

Domenica, 17 ottobre 1971

 

Massimiliano Maria Kolbe, Beato. Che cosa vuol dire? Vuol dire che la Chiesa riconosce in lui una figura eccezionale, un uomo in cui la grazia di Dio e l’anima di lui si sono così incontrate da produrre una vita stupenda, nella quale chi bene la osserva scopre questa simbiosi d’un duplice principio operativo, il divino e l’umano, misterioso l’uno, sperimentabile l’altro, trascendente ma interiore l’uno, naturale l’altro ma complesso e dilatato, fino a raggiungere quel singolare profilo di grandezza morale e spirituale che chiamiamo santità, cioè perfezione raggiunta sul parametro religioso, che, come si sa, corre verso le altezze infinite dell’Assoluto. Beato dunque vuol dire degno di quella venerazione, cioè di quel culto permissivo, locale e relativo, che implica l’ammirazione verso chi ne è l’oggetto per qualche suo insolito e magnifico riflesso dello Spirito santificante. Beato vuol dire salvo e glorioso. Vuol dire cittadino del cielo, con tutti i segni peculiari del cittadino della terra; vuol dire fratello e amico, che sappiamo ancora nostro, anzi più che mai nostro, perché identificato come membro operoso della comunione dei Santi, la quale è quel corpo mistico di Cristo, la Chiesa vivente sia nel tempo che nell’eternità; vuol dire avvocato perciò, e protettore nel regno della carità, insieme con Cristo «sempre vivo da poter intercedere per noi (Hebr. 7, 25; cfr. Rom. 8, 34); vuol dire finalmente campione esemplare, tipo di uomo, al quale possiamo uniformare la nostra arte di vivere, essendo a lui, al beato, riconosciuto il privilegio dell’apostolo Paolo, di poter dire al popolo cristiano: «siate imitatori di me, come io lo sono di Cristo» (1 Cor. 4, 16; 11, 1; Phil. 3, 17; cfr. 1 Thess. 3, 7).

VITA ED OPERE DEL NUOVO BEATO

Così possiamo da oggi considerare Massimiliano Kolbe, il nuovo beato. Ma chi è Massimiliano Kolbe?

Voi lo sapete, voi lo conoscete. Così vicino alla nostra generazione, così imbevuto della esperienza vissuta di questo nostro tempo, tutto si sa di lui. Forse pochi altri processi di beatificazione sono documentati come questo. Solo per la nostra moderna passione della verità storica leggiamo, quasi in epigrafe, il profilo biografico di Padre Kolbe, dovuto ad uno dei suoi più assidui studiosi.

«Il P. Massimiliano Kolbe nacque a Zdusnka Wola, vicino a Lodz, l’otto gennaio 1894. Entrato nel 1907 nel Seminario dei Frati Minori Conventuali, fu inviato a Roma per continuare gli studi ecclesiastici nella Pontificia Università Gregoriana e nel “Seraphicum” del suo Ordine.

Ancora studente, ideò un’istituzione, la Milizia della Immacolata. Ordinato sacerdote il 28 aprile 1918 e tornato in Polonia cominciò il suo apostolato mariano, specialmente con la pubblicazione mensile Rycerz Niepokalanej (il Cavaliere della Immacolata), che raggiunse il milione di copie nel 1938.

Nel 1927 fondò la Niepokalanbw (Città dell’Immacolata), centro di vita religiosa e di diverse forme di apostolato. Nel 1930 partì per il Giappone, ove fondò un’altra simile istituzione.

Tornato definitivamente in Polonia si dedicò interamente alla sua opera, con diverse pubblicazioni religiose. La seconda guerra mondiale lo sorprese a capo del più imponente complesso editoriale della Polonia.

Il 19 settembre 1939 fu arrestato dalla Gestapo, che lo deportò prima a Lamsdorf (Germania), poi nel campo di concentramento preventivo di Amtitz. Rilasciato il giorno 8 dicembre 1939, tornò a Niepokalanow, riprendendo l’attività interrotta. Arrestato di nuovo nel 1941 fu rinchiuso nel carcere di Pawiak, a Varsavia, e poi deportato nel campo di concentramento di Oswiecim (Auschwitz).

Avendo offerta la vita al posto di uno sconosciuto condannato a morte, quale rappresaglia per la fuga d’un prigioniero, fu rinchiuso in un Bunker per morirvi di fame. Il 14 agosto 1941, vigilia dell’Assunta, finito da una iniezione di veleno, rendeva la sua bell’anima R Dio, dopo aver assistito e confortato i suoi compagni di sventura. Il suo corpo fu cremato» (Padre Ernesto Piacentini, O.F.M. Conv.).

IL CULTO DELL'IMMACOLATA CONCEZIONE

Ma m una cerimonia come questa il dato biografico scompare nella luce delle grandi linee maestre della figura sintetica del nuovo Beato; e fissiamo per un istante lo sguardo su queste linee, che lo caratterizzano e lo consegnano alla nostra memoria.

Massimiliano Kolbe è stato un apostolo del culto alla Madonna, vista nel suo primo, originario, privilegiato splendore, quello della sua definizione di Lourdes : l’Immacolata Concezione. Impossibile disgiungere il nome, l’attività, la missione del Beato Kolbe da quello di Maria Immacolata. È lui che istituì la Milizia dell’Immacolata, qui a Roma, ancora prima d’essere ordinato Sacerdote, il 16 ottobre 1917. Ne possiamo oggi commemorare l’anniversario. È noto come l’umile e mite Francescano, con incredibile audacia e con straordinario genio organizzativo, sviluppò l’iniziativa e fece della devozione alla Madre di Cristo, contemplata nella sua veste solare (Cfr. Apoc. 12, 1) il punto focale della sua spiritualità, del suo apostolato, della sua teologia. Nessuna esitazione trattenga la nostra ammirazione, la nostra adesione a questa consegna che il nuovo Beato ci lascia in eredità e in esempio, come se anche noi fossimo diffidenti d’una simile esaltazione mariana, quando due altre correnti teologiche e spirituali, oggi prevalenti nel pensiero e nella vita religiosa, quella cristologica e quella ecclesiologica, fossero in competizione con quella mariologica. Nessuna competizione. Cristo, nel pensiero del Kolbe, conserva non solo il primo posto, ma l’unico posto necessario e sufficiente, assolutamente parlando, nell’economia della salvezza; né l’amore alla Chiesa e alla sua missione è dimenticato nella concezione dottrinale o nella finalità apostolica del nuovo Beato. Anzi proprio dalla complementarietà subordinata della Madonna, rispetto al disegno cosmologico, antropologico, soteriologico di Cristo, Ella deriva ogni sua prerogativa, ogni sua grandezza.

Ben lo sappiamo. E Kolbe, come tutta la dottrina, tutta la liturgia e tutta la spiritualità cattolica, vede Maria inserita nel disegno divino, come «termine fisso d’eterno consiglio», come la piena di grazia, come la sede della Sapienza, come la predestinata alla Maternità di Cristo, come la regina del regno messianico (Luc. 1, 33) e nello stesso tempo l’ancella del Signore, come l’eletta a offrire all’Incarnazione del Verbo la sua insostituibile cooperazione, come la Madre dell’uomo-Dio, nostro Salvatore, «Maria è Colei mediante la quale gli uomini arrivano a Gesù, e Colei mediante la quale Gesù arriva agli uomini» (L. BOUYER, Le trône de la Sagesse, p. 69).

Non è perciò da rimproverare il nostro Beato, né la Chiesa con lui, per l’entusiasmo che è dedicato al culto della Vergine; esso non sarà mai pari al merito, né al vantaggio d’un tale culto, proprio per il mistero di comunione che unisce Maria a Cristo, e che trova nel Nuovo Testamento una avvincente documentazione; non ne verrà mai una «mariolatria», come non mai sarà oscurato il sole dalla luna; né mai sarà alterata la missione di salvezza propriamente affidata al ministero della Chiesa, se questa saprà onorare in Maria una sua Figlia eccezionale e una sua Madre spirituale. L’aspetto caratteristico, se si vuole, ma per sé punto originale, della devozione, della «iperdulia», del Beato Kolbe a Maria è l’importanza ch’egli vi attribuisce in ordine ai bisogni presenti della Chiesa, all’efficacia della sua profezia circa la gloria del Signore e la rivendicazione degli umili, alla potenza della sua intercessione, allo splendore della sua esemplarità, alla presenza della sua materna carità. Il Concilio ci ha confermati in queste certezze, ed ora dal cielo Padre Kolbe ci insegna e ci aiuta a meditarle e a viverle.

Questo profilo mariano del nuovo Beato lo qualifica e lo classifica fra i grandi santi e gli spiriti veggenti, che hanno capito, venerato e cantato il mistero di Maria.

TRAGICO E SUPERNO EPILOGO

Poi il tragico e sublime epilogo della vita innocente e apostolica di Massimiliano Kolbe. A questo è principalmente dovuta la glorificazione che oggi la Chiesa celebra dell’umile, mite, operoso religioso, alunno esemplare di S. Francesco e cavaliere innamorato di Maria Immacolata. Il quadro della sua fine nel tempo è così orrido e straziante, che preferiremmo non parlarne, non contemplarlo mai più, per non vedere dove può giungere la degradazione inumana della prepotenza che si fa dell’impassibile crudeltà su esseri ridotti a schiavi indifesi e destinati allo sterminio il piedistallo di grandezza e di gloria; e furono milioni codesti essere sacrificati all’orgoglio della forza e alla follia del razzismo. Ma bisogna pure ripensarlo questo quadro tenebroso per potervi scorgere, qua e là, qualche scintilla di superstite umanità. La storia non potrà, ahimé!, dimenticare questa sua pagina spaventosa. E allora non potrà non fissare lo sguardo esterrefatto sui punti luminosi che ne denunciano, ma insieme ne vincono l’inconcepibile oscurità. Uno di questi punti, e forse il più ardente e il più scintillante è la figura estenuata e calma di Massimiliano Kolbe. Eroe calmo e sempre pio e sospeso a paradossale e pur ragionata fiducia. Il suo nome resterà fra i grandi, svelerà quali riserve di valori morali fossero giacenti fra quelle masse infelici, agghiacciate dal terrore e dalla disperazione. Su quell’immenso vestibolo di morte, ecco aleggiare una divina e imperitura parola di vita, quella di Gesù che svela il segreto del dolore innocente: essere espiazione, essere vittima, essere sacrificio, e finalmente essere amore: «Non vi è amore più grande che quello di dare la propria vita per i propri amici» (Io. 15, 13). Gesù parlava di sé nell’imminenza della sua immolazione per la salvezza degli uomini. Gli uomini sono tutti amici di Gesù, se almeno ascoltano la sua parola. Padre Kolbe realizzò, nel fatale campo di Oswiecim, la sentenza dell’amore redentore. A duplice titolo.

IL SACERDOTE, «ALTER CHRISTUS»

Chi non ricorda l’episodio incomparabile? «Sono un sacerdote cattolico», egli disse offrendo la propria vita alla morte - e quale morte! - per risparmiare alla sopravvivenza uno sconosciuto compagno di sventura, già designato per la cieca vendetta. Fu un momento grande: l’offerta era accettata. Essa nasceva dal cuore allenato al dono di sé, come naturale e spontanea quasi come una conseguenza logica del proprio Sacerdozio. Non è un Sacerdote un «altro Cristo»? Non è stato Cristo Sacerdote la vittima redentrice del genere umano? Quale gloria, quale esempio per noi Sacerdoti ravvisare in questo nuovo Beato un interprete della nostra consacrazione e della nostra missione! Quale ammonimento in quest’ora d’incertezza nella quale la natura umana vorrebbe tal volta far prevalere i suoi diritti sopra la vocazione soprannaturale al dono totale a Cristo in chi è chiamato alla sua sequela! E quale conforto per la dilettissima e nobilissima schiera compatta e fedele dei buoni Preti e Religiosi, che, anche nel legittimo e lodevole intento di riscattarla dalla mediocrità personale e dalla frustrazione sociale, così concepiscono la loro missione: sono Sacerdote cattolico, perciò io offro la mia vita per salvare quella degli altri! Sembra questa la consegna che il Beato lascia particolarmente a noi, ministri della Chiesa di Dio, e analogamente a quanti di essa ne accettano Io Spirito.

FIGLIO DELLA NOBILE E CATTOLICA POLONIA

E a questo titolo sacerdotale un altro si aggiunge; un altro comprovante che il sacrificio del Beato aveva la sua motivazione in una amicizia: egli era Polacco. Come Polacco era condannato a quell’infausto «Lager», e come Polacco egli scambiava la sua sorte con quella a cui il connazionale Francesco Gajownicek era destinato; cioè subiva la pena crudele e mortale in vece di lui. Quante cose sorgono nell’animo a ricordo di questo aspetto umano, sociale ed etnico della morte volontaria di Massimiliano Kolbe, figlio lui pure della nobile e cattolica Polonia! Il destino storico di sofferenza di questa Nazione pare documentare in questo caso tipico ed eroico la vocazione secolare del Popolo Polacco a trovare nella comune passione la sua coscienza unitaria, la sua missione cavalleresca alla libertà raggiunta nella fierezza del sacrificio spontaneo dei suoi figli, e la lo8ro prontezza a darsi gli uni per gli altri per il superamento della loro vivacità in una invitta concordia, il suo carattere indelebilmente cattolico che lo sigilla membro vivente e paziente della Chiesa universale, la sua ferma convinzione che nella prodigiosa, ma sofferta protezione della Madonna è il segreto della sua rinascente floridezza, sono raggi iridescenti che si effondono dal novello martire della Polonia e fanno risplendere l’autentico volto fatidico di questo Paese, e ci fanno invocare dal Beato suo tipico eroe la fermezza nella fede, l’ardore nella carità, la concordia, la prosperità e la pace di tutto il suo Popolo. La Chiesa e il mondo ne godranno insieme. Così sia.