Óscar Arnolfo Romero Galdámez
(† 1980)
- 24 marzo
Sacerdote, Arcivescovo di San Salvador e martire: ucciso in odio alla fede mentre stava celebrando l’Eucaristia. Sull’esempio di Gesù, ha scelto di essere in mezzo al suo popolo, specialmente ai poveri e agli oppressi, anche a costo della vita
VITA E OPERE
1. Formazione e vita sacerdotale
Óscar Arnolfo Romero Galdámez nasce il 15 agosto 1917 nella cittadina di Ciudad Barrios, nella Repubblica di El Salvador. Viene battezzato nella parrocchia di Ciudad Barrios l’11 maggio 1919 con il nome di Oscar Arnulfo. Il padre è telegrafista e la famiglia possiede un modesto podere. Molto religioso, a dodici anni entra nel Seminario Minore di San Miguel. Nel 1937, a vent’anni, entra nel Seminario Maggiore in San Salvador. È un giovane promettente e il Vescovo lo manda a formarsi a Roma, dove resta dal 1937 al 1943, ricevendovi l’ordinazione sacerdotale il 4 aprile 1942. Studente dell’Università Gregoriana, Romero respira a Roma l’universalità cristiana e sviluppa una grande affezione al papato. Ammira particolarmente Pio XI per la sua resistenza ai totalitarismi.
A causa della guerra, nel 1943 deve ritornare in patria prima di aver terminato il dottorato in teologia. Per oltre vent’anni è parroco nella diocesi di San Miguel, distinguendosi per integrità di condotta, rispetto della tradizione, attitudine ascetica, assiduità e passione nel lavoro pastorale. L’8 giugno 1967 è nominato Segretario della Conferenza Episcopale di El Salvador, trasferendosi da San Miguel a San Salvador.
2. Vescovo
Con Bolla pontificia del 23 maggio 1970 è nominato ausiliare dell’Arcivescovo di San Salvador. Sceglie come motto episcopale Sentir con la Iglesia. Ad eccezione dell’incarico di Rettore del Seminario Maggiore conferitogli nel 1973, in questi anni assolve a compiti gestionali e burocratici cui è felice di rinunciare, per l’inclinazione pastorale a lui congeniale, quando il 15 ottobre 1974 è nominato Vescovo di Santiago de María, diocesi sulle alture orientali del paese. Qui è apprezzato per il tratto umile, la prossimità ai poveri, la predicazione popolare.
Il 3 febbraio 1977 è nominato Arcivescovo di San Salvador, ministero cui si dedicherà fino alla morte.
Quando Oscar Romero diventa Arcivescovo della capitale è in corso una grave crisi politica del paese, sottoposto a una dittatura militare-oligarchica che provoca per reazione una opposizione rivoluzionaria. I rapporti fra Stato e Chiesa vanno deteriorandosi. La Chiesa, che difende i diritti umani specie dei contadini poveri, è accusata di attivismo politico. La nomina di Romero avviene sotto il segno dell’emergenza, dopo le dimissioni anticipate del predecessore Mons. Luis Chávez y González, osteggiato dal governo per la sua sensibilità cattolico-sociale. Romero è un uomo moderato, con grande senso della legalità, ed è distante dalla politica. Al tempo stesso ha un fiero senso dell’indipendenza della Chiesa dai poteri pubblici, appreso a Roma ammirando Pio XI. E lo indigna vedere la violenza contro i deboli, lo sfruttamento dei più poveri, il disprezzo della legge stessa da parte delle autorità militari che in quel momento si rivelano più al servizio dell’oligarchia che del bene comune. Soprattutto, Romero si trova dinanzi a uccisioni, sempre più numerose, di preti e catechisti, a iniziare dal suo più caro amico, il gesuita Rutilio Grande che aveva scelto di vivere da povero tra i poveri, nella parrocchia rurale di Aguilares.
Il P. Grande viene assassinato il 12 marzo 1977, pochi giorni dopo l’insediamento di Mons. Romero nell’Arcidiocesi. Nella veglia notturna davanti alla salma dell’amico appena ucciso, Romero sente di dovere assumere un atteggiamento di fortaleza, come egli stesso la definisce, di fortezza pastorale cioè, davanti alla violenza che va investendo i poveri e chi è loro vicino. Due giorni dopo avviene la rottura del rapporto pubblico fra Romero e le autorità militari al governo, allorché l’Arcivescovo comprende che il Presidente non ha intenzione di far luce sull’omicidio del gesuita.
3. Difensore dei poveri
Si è parlato di “conversione” di Romero dinanzi alla morte di P. Rutilio Grande. Romero lo ha sempre negato, affermando che in quel momento ha piuttosto sentito di dover difendere i poveri, con fortaleza, come aveva fatto l’amico Rutilio. Romero in effetti dopo questo assassinio considera con una luce nuova la sua responsabilità istituzionale di primo pastore del popolo salvadoregno. Individua la prima causa dei mali del paese nell’ingiustizia sociale, cui vorrebbe porre rimedio non secondo modalità rivoluzionarie ma con una conversione religiosa dei cuori. I ricchi in particolare dovrebbero a suo giudizio compartir, cioè condividere le loro ricchezze.
Nei successivi tre anni Romero è la principale figura pubblica del paese. Difende i poveri, chiede giustizia, condanna la violenza da qualunque parte venga. Le sue prediche appassionate, intessute di citazioni del Magistero, sono ascoltate dal paese intero che la domenica mattina si sintonizza con la radio diocesana. Diventa famoso anche internazionalmente. Nel 1979 numerosi membri del Congresso statunitense e del Parlamento inglese lo candidano al premio Nobel (poi assegnato a Madre Teresa).
Romero non è un teologo, un intellettuale, bensì un pastore. Si ispira alle letture bibliche, alla dottrina sociale della Chiesa, al pensiero dei Papi e all’insegnamento del Concilio Vaticano II, di Medellín e di Puebla. Il suo impegno sociale e la sua supplenza politica vengono da questa radice religiosa, non da teorie umanitarie. L’opzione preferenziale per i poveri non è per Romero una convinzione ideologica, ma una conseguenza dell’essere buon pastore come Cristo. Si potrebbe infatti dire che Romero è, cristologicamente, uomo delle beatitudini: consola gli afflitti, ama i poveri, è mite nel rigetto della violenza, cerca la pace, chiede giustizia, è misericordioso nell’offrire a tutti, ricchi inclusi, una via di salvezza.
Uomo di preghiera, Romero non prende decisioni importanti se non dopo aver pregato a lungo dinanzi al Crocifisso. Si sente a disagio per il ruolo pubblico cui è sospinto dalle necessità del paese e per l’assenza di una classe dirigente diversa da quella militare-oligarchica, mentre gli esponenti maggiori del partito democratico-cristiano sono costretti all’esilio. Romero vorrebbe essere solo un pastore d’anime ma la crisi di El Salvador lo obbliga, suo malgrado, a una supplenza politica nel segno della giustizia e della nonviolenza. Romero era incerto di carattere, consultava contemporaneamente tre confessori per essere sicuro di non sbagliare, ma era saldo e fermo una volta convintosi, nella preghiera, di quale fosse la volontà di Dio. Sin da giovane, Romero aveva manifestato una grande capacità oratoria. La sua parola affascina, converte, consola, con l’autorevolezza di Arcivescovo, viene considerata dal popolo come voce della verdad.
4. Il sacrificio della vita
Intanto il paese va verso la guerra civile. La chiusura degli spazi democratici ha per conseguenza il continuo rafforzamento della guerriglia. La violenza aumenta esponenzialmente, a destra come a sinistra.
Il 24 marzo 1980 – non aveva ancora 63 anni – Romero viene ucciso da uno squadrone della morte mentre celebra la Messa nella cappella dell’ospedale per malati terminali presso il quale modestamente alloggia. Gli sparano da un ingresso della chiesa. La sua morte, che presentiva e temeva, ma che accettava liberamente, suscita enorme impressione specialmente nel continente latinoamericano, perché si sapeva che avrebbe potuto salvarsi rinunciando a vivere in El Salvador o rinunciando a essere voce di conversione, di pace, di giustizia. Ma – diceva Romero – “un pastore non se ne va, deve restare sino alla fine con i suoi”.
Un mese prima di essere assassinato aveva scritto nei suoi quaderni spirituali: “Mi costa accettare una morte violenta che in queste circostanze è molto possibile […] devo essere nella disposizione di dare la mia vita per Dio qualunque sia la fine della mia vita. Le circostanze sconosciute si vivranno con la grazia di Dio. Egli ha assistito i martiri e se è necessario lo sentirò molto vicino nell’offrigli l’ultimo respiro. Ma più che il momento di morire vale il dargli tutta la vita e vivere per lui”.
E ancora: “Pongo sotto la provvidenza amorosa di Dio tutta la mia vita e accetto con fede in lui la mia morte, per quanto difficile sia. Né voglio darle una intenzione, come pur desidererei, per la pace del mio paese e per la fioritura della nostra Chiesa […] perché il Cuore di Cristo saprà darle il fine che vuole. Mi basta per essere felice e fiducioso il sapere con sicurezza che in lui sono la mia vita e la mia morte, che malgrado i miei peccati in lui ho posto la mia fiducia e non rimarrò confuso, e altri proseguiranno con maggiore saggezza e santità i lavori della Chiesa e della Patria”.
Romero è stato riconosciuto martire in odium fidei e proclamato Beato da Papa Francesco il 23 maggio 2015 in una commovente cerimonia liturgica a San Salvador, all’aperto, alla presenza di cinquecentomila persone assiepate tra piazze e strade del centro città.
"ITER" DELLA CAUSA
a) In vista della Beatificazione
Il 24 marzo 1993 il postulatore diocesano inviò all’Arcivescovo di San Salvador il Supplex libellus per l’inizio della Causa.
La Congregazione per la Dottrina della Fede diede il suo Nulla Osta il 9 giugno 1993.
Il Santo Padre Giovanni Paolo II concesse il suo Nulla Osta per iniziare la Causa il 3 luglio 1993. L’Inchiesta diocesana sulla vita, il martirio e la fama di martirio del Servo di Dio è stata istruita nella Curia di San Salvador dal 24 marzo 1994 al 1° novembre 1995, per un totale di 44 sessioni. L’Inchiesta diocesana, sottoposta alla Congregazione delle Cause dei Santi, ricevette il decreto di validità il 4 luglio 1997.
Mentre a Roma la Positio era in corso di elaborazione, il 3 marzo 1998 la Congregazione per la Dottrina della Fede rilevò la necessità di procedere ad uno studio approfondito delle omelie del Servo di Dio e, pertanto, invitò a sospendere l’iter della Causa fino alla conclusione di detto studio.
Il 24 aprile 2013, facendo seguito a una decisione del Santo Padre Benedetto XVI del dicembre 2012, la Causa riprese il suo iter ordinario presso la Congregazione delle Cause dei Santi. L’8 gennaio 2015 si tenne, con esito positivo, il Congresso peculiare super martyrio dei Consultori Teologi, e il 3 febbraio successivo ebbe luogo la Sessione ordinaria dei Cardinali e Vescovi.
Lo stesso giorno, il Santo Padre Francesco autorizzò la promulgazione del Decreto sul martirio del Servo di Dio. Il 23 maggio 2015 il Servo di Dio Oscar Arnulfo Romero Galdámez è stato proclamato Beato durante la celebrazione liturgica svoltasi a San Salvador.
b) In vista della Canonizzazione
In vista della canonizzazione, la Postulazione ha presentato alla Congregazione delle Cause dei Santi un’Inchiesta diocesana sulla guarigione ritenuta miracolosa di una signora da “grave preeclampsia in paziente con poliabortività spontanea per Sindrome da Anticorpi Antifosfolipidi, complicata da Sindrome HELLP tipo 1,” (Relazione Consulta Medica), avvenuta nella diocesi di San Salvador, nel 2015.
L’Inchiesta diocesana si è svolta dal 31 gennaio al 28 febbraio 2017 ed è stata dichiarata valida dalla Congregazione delle Cause dei Santi nel Congresso del 7 aprile del 2017.
La Consulta Medica del Dicastero, nella riunione del 26 ottobre successivo, ha espresso unanime parere favorevole circa la guarigione della signora, che è stata ritenuta completa e duratura e non spiegabile con le attuali conoscenze scientifiche.
Nel Congresso peculiare, riunito il 14 dicembre 2017, i Consultori Teologi si sono unanimemente espressi con voto affermativo, dichiarando che il felice esito della gravidanza sia da attribuirsi all’intercessione del Beato. Identico parere è stato manifestato dai Padri Cardinali e Vescovi, radunati nella Sessione ordinaria del 6 febbraio 2018.
Il Santo Padre Francesco ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il decreto super miraculo.
SANTA MESSA E CANONIZZAZIONE DEI BEATI:
PAOLO VI, OSCAR ROMERO, FRANCESCO SPINELLI, VINCENZO ROMANO,
MARIA CATERINA KASPER, NAZARIA IGNAZIA DI SANTA TERESA DI GESÙ, NUNZIO SULPRIZIO
OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Piazza San Pietro
Domenica, 14 ottobre 2018
La seconda Lettura ci ha detto che «la parola di Dio è viva, efficace e tagliente» (Eb 4,12). È proprio così: la Parola di Dio non è solo un insieme di verità o un edificante racconto spirituale, no, è Parola viva, che tocca la vita, che la trasforma. Lì Gesù in persona, Lui che è la Parola vivente di Dio, parla ai nostri cuori.
Il Vangelo, in particolare, ci invita all’incontro con il Signore, sull’esempio di quel «tale» che «gli corse incontro» (cfr Mc 10,17). Possiamo immedesimarci in quell’uomo, di cui il testo non dice il nome, quasi a suggerire che possa rappresentare ciascuno di noi. Egli domanda a Gesù come «avere in eredità la vita eterna» (v. 17). Chiede la vita per sempre, la vita in pienezza: chi di noi non la vorrebbe? Ma, notiamo, la chiede come un’eredità da avere, come un bene da ottenere, da conquistare con le sue forze. Infatti, per possedere questo bene ha osservato i comandamenti fin dall’infanzia e per raggiungere lo scopo è disposto a osservarne altri; per questo chiede: «Che cosa devo fare per avere?».
La risposta di Gesù lo spiazza. Il Signore fissa lo sguardo su di lui e lo ama (cfr v. 21). Gesù cambia prospettiva: dai precetti osservati per ottenere ricompense all’amore gratuito e totale. Quel tale parlava nei termini di domanda e offerta, Gesù gli propone una storia di amore. Gli chiede di passare dall’osservanza delle leggi al dono di sé, dal fare per sé all’essere con Lui. E gli fa una proposta di vita “tagliente”: «Vendi quello che hai e dallo ai poveri […] e vieni! Seguimi!» (v. 21). Anche a te Gesù dice: “vieni, seguimi!”. Vieni: non stare fermo, perché non basta non fare nulla di male per essere di Gesù. Seguimi: non andare dietro a Gesù solo quando ti va, ma cercalo ogni giorno; non accontentarti di osservare dei precetti, di fare un po’ di elemosina e dire qualche preghiera: trova in Lui il Dio che ti ama sempre, il senso della tua vita, la forza di donarti.
Ancora Gesù dice: «Vendi quello che hai e dallo ai poveri». Il Signore non fa teorie su povertà e ricchezza, ma va diretto alla vita. Ti chiede di lasciare quello che appesantisce il cuore, di svuotarti di beni per fare posto a Lui, unico bene. Non si può seguire veramente Gesù quando si è zavorrati dalle cose. Perché, se il cuore è affollato di beni, non ci sarà spazio per il Signore, che diventerà una cosa tra le altre. Per questo la ricchezza è pericolosa e – dice Gesù – rende difficile persino salvarsi. Non perché Dio sia severo, no! Il problema è dalla nostra parte: il nostro troppo avere, il nostro troppo volere ci soffocano, ci soffocano il cuore e ci rendono incapaci di amare. Perciò San Paolo ricorda che «l’avidità del denaro è la radice di tutti i mali» (1 Tm 6,10). Lo vediamo: dove si mettono al centro i soldi non c’è posto per Dio e non c’è posto neanche per l’uomo.
Gesù è radicale. Egli dà tutto e chiede tutto: dà un amore totale e chiede un cuore indiviso. Anche oggi si dà a noi come Pane vivo; possiamo dargli in cambio le briciole? A Lui, fattosi nostro servo fino ad andare in croce per noi, non possiamo rispondere solo con l’osservanza di qualche precetto. A Lui, che ci offre la vita eterna, non possiamo dare qualche ritaglio di tempo. Gesù non si accontenta di una “percentuale di amore”: non possiamo amarlo al venti, al cinquanta o al sessanta per cento. O tutto o niente.
Cari fratelli e sorelle, il nostro cuore è come una calamita: si lascia attirare dall’amore, ma può attaccarsi da una parte sola e deve scegliere: o amerà Dio o amerà la ricchezza del mondo (cfr Mt 6,24); o vivrà per amare o vivrà per sé (cfr Mc 8,35). Chiediamoci da che parte stiamo. Chiediamoci a che punto siamo nella nostra storia di amore con Dio. Ci accontentiamo di qualche precetto o seguiamo Gesù da innamorati, veramente disposti a lasciare qualcosa per Lui? Gesù interroga ciascuno di noi e tutti noi come Chiesa in cammino: siamo una Chiesa che soltanto predica buoni precetti o una Chiesa-sposa, che per il suo Signore si lancia nell’amore? Lo seguiamo davvero o ritorniamo sui passi del mondo, come quel tale? Insomma, ci basta Gesù o cerchiamo tante sicurezze del mondo? Chiediamo la grazia di saper lasciare per amore del Signore: lasciare ricchezze, lasciare nostalgie di ruoli e poteri, lasciare strutture non più adeguate all’annuncio del Vangelo, i pesi che frenano la missione, i lacci che ci legano al mondo. Senza un salto in avanti nell’amore la nostra vita e la nostra Chiesa si ammalano di «autocompiacimento egocentrico» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 95): si cerca la gioia in qualche piacere passeggero, ci si rinchiude nel chiacchiericcio sterile, ci si adagia nella monotonia di una vita cristiana senza slancio, dove un po’ di narcisismo copre la tristezza di rimanere incompiuti.
Fu così per quel tale, che – dice il Vangelo – «se ne andò rattristato» (v. 22). Si era ancorato ai precetti e ai suoi molti beni, non aveva dato il cuore. E, pur avendo incontrato Gesù e ricevuto il suo sguardo d’amore, se ne andò triste. La tristezza è la prova dell’amore incompiuto. È il segno di un cuore tiepido. Invece, un cuore alleggerito di beni, che libero ama il Signore, diffonde sempre la gioia, quella gioia di cui oggi c’è grande bisogno. Il santo Papa Paolo VI scrisse: «È nel cuore delle loro angosce che i nostri contemporanei hanno bisogno di conoscere la gioia, di sentire il suo canto» (Esort. ap. Gaudete in Domino, I). Gesù oggi ci invita a ritornare alle sorgenti della gioia, che sono l’incontro con Lui, la scelta coraggiosa di rischiare per seguirlo, il gusto di lasciare qualcosa per abbracciare la sua via. I santi hanno percorso questo cammino.
L’ha fatto Paolo VI, sull’esempio dell’Apostolo del quale assunse il nome. Come lui ha speso la vita per il Vangelo di Cristo, valicando nuovi confini e facendosi suo testimone nell’annuncio e nel dialogo, profeta di una Chiesa estroversa che guarda ai lontani e si prende cura dei poveri. Paolo VI, anche nella fatica e in mezzo alle incomprensioni, ha testimoniato in modo appassionato la bellezza e la gioia di seguire Gesù totalmente. Oggi ci esorta ancora, insieme al Concilio di cui è stato il sapiente timoniere, a vivere la nostra comune vocazione: la vocazione universale alla santità. Non alle mezze misure, ma alla santità. È bello che insieme a lui e agli altri santi e sante odierni ci sia Mons. Romero, che ha lasciato le sicurezze del mondo, persino la propria incolumità, per dare la vita secondo il Vangelo, vicino ai poveri e alla sua gente, col cuore calamitato da Gesù e dai fratelli. Lo stesso possiamo dire di Francesco Spinelli, di Vincenzo Romano, di Maria Caterina Kasper, di Nazaria Ignazia di Santa Teresa di Gesù e anche del nostro ragazzo abruzzese-napoletano, Nunzio Sulprizio: il santo giovane, coraggioso, umile che ha saputo incontrare Gesù nella sofferenza, nel silenzio e nell'offerta di sé stesso. Tutti questi santi, in diversi contesti, hanno tradotto con la vita la Parola di oggi, senza tiepidezza, senza calcoli, con l’ardore di rischiare e di lasciare. Fratelli e sorelle, il Signore ci aiuti a imitare i loro esempi.
LETTERA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
ALL'ARCIVESCOVO DI SAN SALVADOR
IN OCCASIONE DELLA BEATIFICAZIONE
DI MONSIGNOR ÓSCAR ARNULFO ROMERO GALDÁMEZ
Eccellentissimo Monsignor José Luis Escobar Alas
Arcivescovo di San Salvador
Presidente della Conferenza Episcopale di El Salvador
Caro Fratello,
La beatificazione di monsignor Óscar Arnulfo Romero Galdámez, che è stato Pastore della sua amata Arcidiocesi, è motivo di grande gioia per i salvadoregni e per noi che beneficiamo dell’esempio dei migliori figli della Chiesa. Monsignor Romero, che ha costruito la pace con la forza dell’amore, ha reso testimonianza della fede con la sua vita dedita fino all’estremo.
Il Signore non abbandona mai il suo popolo nelle difficoltà, e si mostra sempre sollecito verso i suoi bisogni. Egli vede l’oppressione, ode le grida di dolore dei suoi figli, e va in loro aiuto per liberarli dall’oppressione e per condurli in una terra nuova, fertile e spaziosa, dove «scorre latte e miele» (cfr. Es 3, 7-8). Come un giorno scelse Mosè affinché, in suo nome, guidasse il suo popolo, così continua a suscitare Pastori secondo il suo cuore, che pascolino con scienza e prudenza il suo gregge (cfr. Ger 3, 15).
In questo bel Paese centroamericano, bagnato dall’Oceano Pacifico, il Signore ha concesso alla sua Chiesa un Vescovo zelante che, amando Dio e servendo i fratelli, è diventato l’immagine di Cristo Buon Pastore. In tempi di difficile convivenza, monsignor Romero ha saputo guidare, difendere e proteggere il suo gregge, restando fedele al Vangelo e in comunione con tutta la Chiesa. Il suo ministero si è distinto per una particolare attenzione ai più poveri e agli emarginati. E al momento della sua morte, mentre celebrava il Santo Sacrificio dell’amore e della riconciliazione, ha ricevuto la grazia d’identificarsi pienamente con Colui che diede la vita per le sue pecore.
In questo giorno di festa per la Nazione salvadoregna, e anche per i Paesi fratelli latinoamericani, rendiamo grazie a Dio perché ha concesso al Vescovo martire la capacità di vedere e di udire la sofferenza del suo popolo ed ha plasmato il suo cuore affinché, in suo nome, lo orientasse e lo illuminasse, fino a fare del suo agire un esercizio pieno di carità cristiana.
La voce del nuovo Beato continua a risuonare oggi per ricordarci che la Chiesa, convocazione di fratelli attorno al loro Signore, è famiglia di Dio, dove non ci può essere alcuna divisione. La fede in Gesù Cristo, correttamente intesa e assunta fino alle sue ultime conseguenze, genera comunità artefici di pace e di solidarietà. A questo è chiamata oggi la Chiesa a El Salvador, in America e nel mondo intero: a essere ricca di misericordia, a divenire lievito di riconciliazione per la società.
Monsignor Romero c’invita al buon senso e alla riflessione, al rispetto per la vita e alla concordia. È necessario rinunciare alla «violenza della spada, quella dell’odio» e vivere «la violenza dell’amore, quella che lasciò Cristo inchiodato a una croce, quella che si fa ognuno per vincere i propri egoismi e affinché non ci siano disuguaglianze tanto crudeli tra noi». Egli ha saputo vedere e ha sperimentato nella sua stessa carne «l’egoismo che si nasconde in quanti non vogliono cedere ciò che è loro perché raggiunga gli altri». E, con cuore di padre, si è preoccupato delle “maggioranze povere”, chiedendo ai potenti di trasformare «le armi in falci per il lavoro».
Quanti hanno monsignor Romero come amico nella fede, quanti lo invocano come protettore e intercessore, quanti ammirano la sua figura, trovino in lui la forza e il coraggio per costruire il Regno di Dio e impegnarsi per un ordine sociale più equo e degno.
È il momento favorevole per una vera e propria riconciliazione nazionale dinanzi alle sfide che si affrontano oggi. Il Papa partecipa alle sue speranze, si unisce alle sue preghiere, affinché germogli il seme del martirio e si rafforzino negli autentici cammini i figli e le figlie di questa Nazione, che si gloria di portare il nome del divino Salvatore del mondo.
Caro fratello, ti chiedo, per favore, di pregare e di far pregare per me, mentre imparto la Benedizione Apostolica a tutti coloro che si uniscono in modi diversi alla celebrazione del nuovo Beato.
Fraternamente,
Francesco
Dal Vaticano, 23 maggio 2015
BEATIFICAZIONE DEL MARTIRE MONSIGNOR OSCAR ARNULFO ROMERO GALDÁMEZDAL
OMELIA DEL CARD. ANGELO AMATO, PREFETTO DELLA CONGREGAZIONE PER LE CAUSE DEI SANTI
(San Salvador, 23 maggio 2015)
Cari fratelli e sorelle,
La beatificazione di monsignor Romero, vescovo e martire, è una celebrazione della gioia e della fraternità. È un dono dello Spirito Santo per la Chiesa e per la tanto nobile nazione di El Salvador. Parlando del suo ufficio di vescovo, Sant’Agostino ha detto che “il Vangelo mi terrorizza. Nessuno ha desiderio di una vita sicura e tranquilla più di me. Nulla è più dolce per me che scrutare il tesoro divino. D’altra parte predicare, ammonire, correggere, a edificare, rimettermi me stesso, è un grande peso, una grave responsabilità. È un compito difficile".
In effetti, per Agostino, come vescovo, la sua ragione di vita si trasforma in una passione per i suoi fedeli ei suoi sacerdoti. E chiede al Signore di dargli la forza di amare eroicamente sia attraverso il martirio o per affetto. Queste parole e queste sensazioni potrebbero essere parlati con la stessa intensità e la sincerità dall’arcivescovo Romero, che amava il suo fedele e suoi sacerdoti con affetto e il martirio, dando vita come offerta di riconciliazione e di pace. Papa Francesco riassume bene l'identità sacerdotale e pastorale di Romero, quando lo chiama «vescovo e martire, pastore secondo il cuore di Cristo, evangelizzatore e padre dei poveri, testimone eroico del Regno di Dio, Regno di giustizia, di fraternità e di pace».
Le letture bibliche di oggi ci danno il senso del martirio di Romero. La parola di Dio, infatti, ci ricorda che dopo la tragica morte, le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, nessun tormento le può toccare. Essi sono ora, in pace e nel Giorno del Giudizio saranno risplendente come astri nel pianura, governeranno nazioni e avranno il potere sui popoli. Il martire Romero è una luce per le nazioni e sale della terra. Se i suoi persecutori sono spariti nell’ombra dell’oblio e della morte, la memoria di Romero invece continua a essere viva e a dare conforto a tutti i derelitti e gli emarginati della terra.
Il Signore ha fatto grandi cose con i giusti che può giustamente dire con l’apostolo Paolo "che ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?- No niente" (Rm 8). Né morte né vita, né angeli né principati, né presente, né futuro, né alcun’altra creatura può separare Romero da Cristo e dal suo Vangelo di amore, di giustizia, di fraternità, di misericordia, di perdono. Le parole che Gesù pronunciò prima della sua passione Quando ho affidato i suoi discepoli al padre sono molto toccante.“ Padre santo, conservali nel tuo nome. Mentre ero con loro nel mondo io li ho conservati nel tuo nome; io ho custodito coloro che tu mi hai dato, e nessuno di loro è perito.Io ho dato loro la tua parola e il mondo li ha odiati, perché non sono del mondo, come neppure io sono del mondo, Io non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che tu li preservi dal maligno“.(Giovanni 17). Questa è la preghiera quotidiana che Romero avrebbe fatto durante gli anni tormentati della sua vita, fino a quando, quel fatidico 24 Marzo 1980 quando un proiettile lo ha ferito mortalmente durante la Celebrazione Eucaristica. Il suo sangue mescolati con il sangue redentore di Cristo.
Chi era Romero? Come ho preparato per il martirio? Diciamo innanzitutto Romero era, infatti, un sacerdote buono e un vescovo saggio. Ma soprattutto era un uomo virtuoso. Amava Gesù, lo adorava nell'Eucaristia, amava la Chiesa, venerava la Beata Vergine Maria, amava il suo popolo. Il suo martirio non fu una improvvisazione, ma ebbe una lunga preparazione. Giovane seminarista a Roma, poco prima dell'ordinazione sacerdotale, scriveva nei suoi appunti: «Quest'anno farò la mia grande consegna a Dio! Dio mio, aiutami, preparami. Tu sei tutto, io sono nulla e, tuttavia, il tuo amore vuole che io sia molto. Coraggio! Con il tuo tutto e con il mio nulla faremo questo molto».
Una svolta nella sua vita di pastore mite e quasi timido fu l'uccisione, il 12 marzo 1977, di padre Rutilio Grande, sacerdote gesuita salvadoregno, che aveva lasciato l'insegnamento universitario per farsi parroco dei campesinos, oppressi ed emarginati. Fu questo l'evento che toccò il cuore dell'arcivescovo Romero, che pianse il suo sacerdote come poteva fare una madre con il proprio figlio. Si recò subito ad Aguilares per la Messa di suffragio, passando la notte piangendo, vegliando e pregando per le tre vittime innocenti, per padre Rutilio e i due contadini che lo accompagnavano. I campesinos erano rimasti orfani del loro padre buono. Romero ne volle prendere il posto. Nella sua omelia l'arcivescovo disse: «La liberazione che il padre Rutilio Grande predicava è ispirata dalla fede, una fede che ci parla della vita eterna, una fede che ora egli col suo volto rivolto al cielo, accompagnato dai due campesinos, mostra nella sua totalità, nella sua perfezione: la liberazione che termina nella felicità in Dio, la liberazione che sorge dal pentimento del peccato, la liberazione che si fonda su Cristo, l'unica forza salvatrice» .Qui finisce Romero. Da quel giorno il suo linguaggio sia diventato più esplicito nel difendere il popolo oppresso e i sacerdoti perseguitati, incurante delle minacce che quotidianamente riceveva Monsignor Romero ha parlato di un dono dello Spirito Santo che gli ha conferito la fortezza pastorale speciale, quasi in contrasto con suo temperamento prudente e riservato.«Ritenni un dovere — egli scrive — collocarmi decisamente alla difesa della mia Chiesa e al fianco del mio popolo tanto oppresso e vessato».
Suor Luz Isabel, una religioso carmelitana, presenti alla Messa durante la quale Romero fu ucciso, testimonia che … che l’Arcivescovo le ha detto: “Dio mi guida e mi ispira a quello che dico.”Le sue parole, però, non erano un incitamento all'odio e alla vendetta, ma un'accorata esortazione di un padre ai suoi figli divisi, che venivano invitati all'amore, al perdono e alla concordia. Contemplando la bellezza della natura e lo splendore del paesaggio salvadoregno, l'arcivescovo soleva dire che il cielo deve iniziare qui sulla terra. Guardava alla sua cara patria così tormentata con la speranza nel cuore. Sognava che un giorno sulle rovine del male avrebbe brillato la gloria di Dio e il suo amore. La sua opzione per i poveri non era ideologica ma evangelica.
La sua carità si estendeva anche ai persecutori ai quali predicava la conversione al bene e ai quali assicurava il perdono, nonostante tutto. Era abituato a essere misericordioso. La generosità nel donare a chi chiedeva era – a detta dei testimoni – munifica, totale, sovrabbondante. A chi domandava, dava. Qualche volta diceva che se gli restituissero i soldi che aveva distribuito, si sarebbe ritrovato milionario. Con carità pastorale lui infuso forza straordinaria.Un giorno ha detto un sacerdote è stato minacciato di morte continuamente e che i giornale a pubblicano quotidiane critiche contro di lui. Ma, con un sorriso, ho continuato, “questo non mi scoraggia. Al contrario, mi sento più coraggioso, perché questi sono i rischi del parroco. Devo andare avanti. Non sopporto rancore a nessuno”.
Cari fratelli e sorelle, Romero – il Beato Romero – è un'altra stella luminosissima che si accende nel firmamento spirituale americano. Egli appartiene alla santità della Chiesa americana. Grazie a Dio sono molti i santi di questo meraviglioso continente. Papa Francesco, recentemente, ne ricordava alcuni. Oltre a Fra Junipero Serra, che sarà canonizzato il 23 settembre prossimo a Washington D.C., il Santo Padre elencava tanti altri santi e sante che si sono distinti con diversi carismi: Rosa da Lima, Mariana di Quito, Teresita de los Andes; Toribio di Mogrovejo, Francois de Laval, Rafael Guizar Valencia; Juan Diego e Kateri Tekakwhita; Pedro Claver, Martín de Porres, Alberto Hurtado; Francesca Cabrini, Elisabeth Ann Seaton e Catalina Drexel; Francisco Solano, José de Anchieta, Alonso de Barzana, María Antonia de Paz y Figueroa, José Gabriel del Rosario Brochero e martiri come Roque González, Miguel Pro e Oscar Arnulfo Romero. E il Santo Padre, Papa Francesco, ha detto che “c’è santità in America è stato, tanto santità seminato.”
Il Beato Oscar Romero appartiene a questo impetuoso vento di santità che soffia sul continente americano, terra di amore e di fedeltà alla buona notizia del Vangelo. La beatificazione oggi di Mons. Romero è quindi una festa di gioia, di pace, di fratellanza, di accoglienza, di perdono. Ognuno ha bisogno di questi doni dello spirito santo a rendere la nostra esistenza terrena … “Coraggio” Romero diceva in italiano: “coraggio” Il suo martirio è una manna per El Salvador, alle famiglie, ai giovani, ai bambini, ai poveri.Ma anche per i ricchi.In breve, per tutti. Per tutti coloro che cercano la serenità, gioia e felicità. Romero non è un simbolo di divisione, ma di pace, di concordia, di fratellanza. Teniamo suo messaggio nei nostri cuori, nelle nostre case, e ringraziamo il Signore per questo suo servo fedele, che alla Chiesa ha donato la sua santità e all’umanità la sua bontà e la sua mitezza.
Nel 1983, San Giovanni Paolo II stava davanti alla tomba di Romero ed esclamò “Romero è nostro”. Questo è vero.Romero appartiene alla Chiesa, ma appartiene anche l’umanità. Quale ha sognato di buon cuore, con pensieri di rispetto e armonia, con azioni di accoglienza e di assistenza reciproca. Romero è nostro, ma mi appartiene anche a tutti perché per tutti è il profeta dell’amore di Dio e amore del prossimo e il custode del diritto di coscienza di ogni persona.
Beato Oscar Romero, prega per noi!