Pietro Friedhofen
(1819-1860)
- 21 dicembre
Laico, dapprima spazzacamino, fondò la Congregazione dei Fratelli della Misericordia di Maria Ausiliatrice, per la quale dovette sopportare con mitezza e serenità d’animo derisioni e molestie
Peter Friedhofen nacque a Weitersburg in Germania, il 25 febbraio 1819, sesto di sette figli; aveva appena un anno quando morì il padre e a nove anni rimase orfano anche della madre;
Come orfano, egli dovette conoscere personalmente già nella sua infanzia il dolore e la necessità materiale. La sua casa paterna e la patria renana gli trasmisero una profonda religiosità, soprattutto una fervida venerazione per l’immacolata Vergine Maria.
Già al tempo del suo addestramento professionale egli era animato da un grande ardore apostolico. Riunì giovani di idee affini intorno a sé nell’associazione di San Luigi per spronarli a una vita devota secondo il Vangelo. In questo apostolato dei giovani, nella ricerca della santità personale e nella sollecitudine e nel soccorso al prossimo bisognoso, maturò a poco a poco la sua vocazione religiosa che si sviluppò pienamente nella fondazione della sua congregazione i cui ideali sono: seguire Cristo il più da vicino possibile, condurre gli uomini a Cristo, infondere l’amore a Maria nel cuore degli uomini e servire i malati con amore cristiano.
All’età di trent’anni decise quindi di dedicare totalmente la sua vita a Dio e al servizio agli ammalati. Egli stesso, povero e debole di salute, abbandonò la sua professione di spazzacamino per tentare un nuovo inizio a partire dalla sua convinzione religiosa e dal suo ardente amore per il prossimo. Egli vide il bisogno di uomini sradicati, malati e bisognosi d’aiuto e riconobbe la sua vocazione apostolica e caritativa. Così fondò, nel 1850, la Congregazione dei Fratelli della misericordia di Maria Ausiliatrice col compito di servire Dio nei poveri, nei malati e negli anziani.
L’opera della fondazione del suo ordine fu accompagnata da grandi difficoltà e prove nelle quali il beato Pietro Friedhofen si rivelò uomo di fede e di fiducia incrollabili nella Provvidenza di Dio e nell’aiuto di Maria. In questa sovrannaturale sorgente di forza si fondavano la sua straordinaria risolutezza e la sua costanza, grazie alle quali, nonostante la malattia fisica in continuo peggioramento, realizzò il suo proposito e diede forma e direttiva spirituale al suo Ordine nel servizio al prossimo dettato dall’amore.
Morì a Coblenza il 21 dicembre 1860, a soli 41 anni, ma la sua semina, tra molte prove e sacrifici personali, porta ricchi frutti ben oltre la sua morte prematura fino ai nostri giorni; oggi i Fratelli della misericordia operano in diversi Paesi d’Europa, in Brasile e in Malesia
BEATIFICAZIONE DI PADRE BENEDETTO MENNI E DI FRA PIETRO FRIEDHOFEN
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
Basilica Vaticana - Domenica, 23 giugno 1985
1. “L’amore di Cristo ci spinge” (2 Cor 5, 14).
Queste parole di San Paolo, nelle quali egli ci apre tutto il suo cuore, fanno comprendere qual era la molla segreta della sua vita di santo, di pastore e di apostolo.
Esse possono essere pronunciate da tutti coloro che vogliono vivere fino in fondo l’amore di Cristo, e quindi sono state profondamente condivise anche dai due nostri fratelli nella fede che oggi ho elevato agli onori degli altari col titolo di “beati”: il padre Benedetto Menni e fra Pietro Friedhofen.
Che cosa portava San Paolo a sentirsi afferrato e totalmente posseduto dall’amore di Cristo? Come questo amore aveva potuto diventare in modo così totale il centro propulsore di tutto il suo agire? Lo dice egli stesso nelle parole seguenti: si sentiva così “spinto” in modo quasi irresistibile “al pensiero che uno” - cioè Cristo - “è morto per tutti” (2 Cor 5, 14).
2. Cristo, Agnello innocente, col sacrificio di se stesso, ha dato la vita all’intera umanità morta per il peccato.
Se “uno è morto per tutti”, dunque “tutti sono morti” (2 Cor 5, 14); e grazie alla morte di questo “uno”, essi ricuperano la vita.
Come Cristo è morto per noi, così anche noi dobbiamo essere “morti“: “morti al peccato” (Rm 6, 11), conformi a Gesù nella morte (cf. Fil 3, 10; cf. 2 Cor 4, 10), “sepolti insieme con lui nel Battesimo” (cf. Col 2, 12; Rm 6, 4).
Morire al peccato vuol dire che non dobbiamo più vivere per noi stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per noi (cf. 2 Cor 5, 15). Il ripiegamento egoistico su noi stessi è un modo illusorio per difendere i nostri interessi vitali, i quali viceversa sono veramente garantiti proprio nel momento in cui, in Cristo, noi “moriamo” per i fratelli.
3. La vita di entrambi i beati che oggi brillano davanti a tutta la Chiesa si è formata proprio sotto l’influsso di questo amore impellente e totalizzante, oblativo e universale.
Padre Menni comprese a fondo questa esigenza di dedicare la propria vita a Cristo. Egli aveva lette e fatte sue le parole del divino Maestro, che sono state annunciate nel Vangelo di questa celebrazione eucaristica: “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25, 40). Tra “queste cose” che il Signore considera fatte a sé, padre Menni scelse in modo particolare la cura amorosa degli ammalati, soprattutto fanciulli e infermi di mente.
Nutrendosi profondamente della spiritualità dell’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio, nel quale era entrato ancor giovane, egli ne fu il restauratore dopo il triste periodo delle soppressioni napoleoniche e dei regimi politici anti-ecclesiastici, che si erano succeduti fino ai suoi giorni. Egli è pertanto una gloria dell’Ordine dei fatebenefratelli, i quali hanno in lui un esempio luminoso nel servizio dell’ammalato, identificato con Cristo.
Padre Menni, inoltre, seppe far fruttare meravigliosamente alcune virtualità insite nella spiritualità del suo Ordine, facendosi fondatore di una nuova congregazione di religiose dedite alla cura delle donne malate di mente: le Ospedaliere del Sacro Cuore di Gesù, le quali oggi esultano nel vedere solennemente riconosciute dalla Chiesa - nel mese dedicato al culto del cuore divino a cui sono consacrate - le virtù di colui che venerano come padre e maestro.
La beatificazione del loro fondatore, da esse ardentemente auspicata, valga a stimolare l’impegno di servizio a Cristo nella persona delle malate, secondo il carisma proprio dell’Istituto.
4. L’opera realizzata da padre Menni per alleviare le sofferenze di tante persone ha avuto una grande attualità nei diversi Paesi nei quali esercitò la sua attività caritativa; e particolarmente in Spagna, dove trascorse una parte importante della sua vita. Ma anche ai nostri giorni, la sua opera continua ad essere benemerita e provvidenziale in una società in cui, purtroppo, frequentemente si emarginano i più deboli e coloro che soffrono.
Il beato che oggi veneriamo - come tutti i seguaci di Cristo - non sfuggì le incomprensioni e le sofferenze, perfino da parte di persone molto vicine a lui. Ma padre Menni, convinto delle sue buone ragioni e confortato dalla sua profonda comunione con Cristo e con la Chiesa, seppe resistere agli attacchi e portare avanti la sua feconda opera di servizio alla società e al regno di Dio.
La sua straordinaria attività fu costantemente sostenuta e animata da una devozione intima e profonda al Sacro Cuore di Gesù e da una particolare venerazione alla Madre di Dio, specialmente sotto il titolo di Nostra Signora del Sacro Cuore di Gesù.
La sua esemplare umiltà lo collocava in un costante atteggiamento di conversione e di fiducia senza limiti nella potenza della divina Provvidenza.
Fu instancabile nel suo sforzo di seguire le orme di Cristo, buon samaritano, imitando in modo singolare la misericordia verso la persona che soffre, senza discriminazione di classe e di condizione, poiché vedeva in essa sempre uno di quei fratelli “più piccoli” nei quali si nascondeva il divino Salvatore.
“Preghiamo Gesù - scriveva in una sua lettera - perché ci infiammi del suo amore. Preghiamo la Regina dell’amore, la Vergine immacolata, che incendi in noi questo fuoco divino”.
Senza questo “fuoco divino”, cioè, il fuoco dello Spirito Santo, il beato non avrebbe potuto fare tutto ciò che portò a termine in modo tanto meraviglioso.
5. Padre Menni non si limitò a conoscere Cristo “secondo la carne” (2 Cor 5, 16), cioè secondo un parametro umano e terreno, ma seppe e volle farsi illuminare dal mistero divino che si cela nell’umanità di Cristo, volle conoscerlo “secondo lo Spirito”, facendosi in questo modo purificare e guidare dalla forza di questo Spirito, che ci induce a riprodurre in noi stessi l’opera redentrice di Cristo come mistero di morte e risurrezione, che ci aiuta a essere “creature nuove” morendo al peccato e dando la vita per i fratelli.
Arrivare ad essere santi significa raggiungere le condizioni di questa “creatura nuova” rinnovata e rigenerata dallo Spirito di Cristo; “creatura nuova” che ha realizzato la sua vita perché l’ha donata, con cuore sincero, anche a “uno dei fratelli più piccoli” di Cristo (cf. Mt 25, 40).
Preghiamo, con l’intercessione del nuovo beato, perché anche noi possiamo aprire senza riserve il nostro cuore all’amore di Cristo. Che quest’amore ci spinga e ci riempia totalmente in modo che, morti al peccato, possiamo dedicare la nostra vita a Cristo e ai fratelli e fare di questo mondo un mondo rinnovato e libero dal peccato e dalla morte.
6. “L’amore di Cristo ci spinge”, questo dice di sé l’apostolo Paolo. Lo stesso amore di Cristo era ciò che spinse il nuovo beato Pietro Friedhofen, all’età di trent’anni, a dedicare totalmente la sua vita a Dio e al servizio agli ammalati. Egli stesso, povero e debole di salute, abbandonò la sua professione di spazzacamino per tentare un nuovo inizio a partire dalla sua convinzione religiosa e dal suo ardente amore per il prossimo. Egli vide il bisogno di uomini sradicati, malati e bisognosi d’aiuto e riconobbe la sua vocazione apostolica e caritativa. Così fondò, nel 1850, la Congregazione dei Fratelli della misericordia di Maria Ausiliatrice col compito di servire Dio nei poveri, nei malati e negli anziani.
La Provvidenza divina aveva preparato Pietro Friedhofen, attraverso una dura scuola di vita, a riconoscere i segni dei tempi nel grande rivolgimento sociale del XIX secolo e a rispondervi secondo lo spirito del Vangelo. Come orfano, egli dovette conoscere personalmente già nella sua infanzia il dolore e la necessità materiale. La sua casa paterna e la patria renana gli trasmisero una profonda religiosità, soprattutto una fervida venerazione per l’immacolata Vergine Maria. Già al tempo del suo addestramento professionale egli era animato da un grande ardore apostolico. Riunì giovani di idee affini intorno a sé nell’associazione di San Luigi per spronarli a una vita devota secondo il Vangelo. In questo apostolato dei giovani, nella ricerca della santità personale e nella sollecitudine e nel soccorso al prossimo bisognoso, maturò a poco a poco la sua vocazione religiosa che si sviluppò pienamente nella fondazione della sua congregazione i cui ideali sono: seguire Cristo il più da vicino possibile, condurre gli uomini a Cristo, infondere l’amore a Maria nel cuore degli uomini e servire i malati con amore cristiano.
7. L’opera della fondazione del suo ordine fu accompagnata da grandi difficoltà e prove nelle quali il beato Pietro Friedhofen si rivelò uomo di fede e di fiducia incrollabili nella Provvidenza di Dio e nell’aiuto di Maria. In questa sovrannaturale sorgente di forza si fondavano la sua straordinaria risolutezza e la sua costanza, grazie alle quali, nonostante la malattia fisica in continuo peggioramento, realizzò il suo proposito e diede forma e direttiva spirituale al suo Ordine nel servizio al prossimo dettato dall’amore.
“Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12, 24). La semina del beato Pietro Friedhofen, tra molte prove e sacrifici personali, è caduta in terra buona, tanto che essa porta ricchi frutti ben oltre la sua morte prematura - all’età di soli 41 anni - fino ai nostri giorni. Oggi i Fratelli della misericordia operano in diversi Paesi d’Europa, in Brasile e in Malesia. I loro ospedali e i loro ricoveri per anziani non sono soltanto espressione di solidarietà umana con i poveri e i bisognosi, ma sono segno della loro concreta sequela a Cristo il quale non è venuto per essere servito ma per servire (cf. Mt 20, 28), e che ritiene come fatto a sé ciò che facciamo a uno solo dei suoi fratelli più piccoli (cf. Mt 25, 40).
In Pietro Friedhofen la Chiesa venera oggi un uomo il cui programma di vita e di lavoro è sorprendentemente attuale, come lo è la buona novella di Gesù Cristo stesso. Come fratello della misericordia egli si chinò per amore di Cristo sui bisognosi che avevano necessità del suo aiuto. La sua sollecitudine non si rivolgeva soltanto alla malattia fisica ma al bisogno dell’uomo nella sua integralità, soprattutto al suo bisogno morale e spirituale. Anche il nostro tempo ha bisogno di tali modelli e di uomini che si prendono cura in questo modo dei bisogni e delle infermità del prossimo e mostrano loro la via verso colui che ha sopportato tutti i nostri dolori e li ha redenti con la sua morte e risurrezione. Che la vita e le opere del beato Pietro Friedhofen siano anche oggi di modello e di stimolo per molti uomini. Amen.