Rafaela Ybarra de Vilallonga

Rafaela Ybarra de Vilallonga

(1843-1900)

Beatificazione:

- 30 settembre 1984

- Papa  Giovanni Paolo II

Ricorrenza:

- 23 febbraio

Madre di sette figli, con il consenso del coniuge, emise i voti religiosi e fondò l’Istituto delle Suore dei SantiAngeli Custodi per tutelare le fanciulle e guidarle sulla via dei precetti del Signore

  • Biografia
  • omelia di beatificazione
"Mai stancarsi di fare del bene!"

 

Rafaela María de la Luz Estefanía de Ybarra y Arámbarri nasce da una facoltosa famiglia cattolica, il 16 gennaio 1843 a Bilbao in Spagna.

A 18 anni sposa José de Vilallonga y Gipuló, ricco catalano e trascorre i primi quindici anni di matrimonio dedicandosi alla famiglia che comprende, oltre ai figli e al marito, i nipoti, i vecchi genitori e altri parenti.

Sotto la direzione spirituale del gesuita Francesco di Sales Muruzábal e con il consenso del marito, fa voto di povertà, ubbidienza e castità, che conferma in modo perpetuo nel 1890, aggiungendo quello di abbracciare lo stato religioso, se le condizioni familiari lo avessero permesso. Fonda a Bilbao l'asilo della Sacra Famiglia, per assistere donne e fanciulli che arrivavano in città senza assistenza.

Ma la sua opera principale è la fondazione dell'istituto «Religiose degli Angeli Custodi» per l'aiuto alle giovani abbandonate, che riceve l'approvazione diocesana l'11 marzo 1901 e qualche anno dopo quella definitiva della Santa Sede.

Muore a Bilbao il 23 febbraio 1900. Viene beatificata da Giovanni Paolo II il 30 settembre 1984.

 

(fonte: Avvenire)

SOLENNE BEATIFICAZIONE DI FEDERICO ALBERT, CLEMENTE MARCHISIO, 
ISIDORO DE LOOR E RAFAELA YBARRA DE VILLALONGA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Piazza San Pietro -  Domenica, 30 settembre 1984

 

1. “Alleluia, alleluia. / Le mie pecore ascoltano la mia voce / e io le conosco ed esse mi seguono” (Canto al Vangelo, Gv 10, 27).

Oggi desideriamo cantare un “alleluia” particolare al Buon Pastore. Egli ha dato la vita per le sue pecore. Mediante questa morte, questo sacrificio della vita, si è compiuta quella conoscenza salvifica di cui ci parla il Vangelo: “Conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre” (Gv 10, 14-15).

La voce del Buon Pastore risuona lungo i secoli e le generazioni. In mezzo a queste generazioni raggiunge i singoli uomini. Essi ascoltano la voce del Redentore, che comunica loro il Vangelo e annuncia il mistero pasquale della croce e della risurrezione. Seguono quindi il Maestro, seguono Cristo. Lo conoscono e fanno in modo di essere conosciuti da lui fin nel profondo del loro essere. Vengono, al tempo stesso, abbracciati dalla conoscenza con cui Cristo è conosciuto dal Padre ed egli stesso conosce il Padre.Dalla conoscenza nasce l’amore. Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo compenetrano le anime attratte dalla potenza salvifica della redenzione e della grazia.

Esse seguono il Buon Pastore sulle vie della vita terrena, fedeli alla loro vocazione. Il Signore le raccoglie fra i popoli e le raduna da tutte le regioni (cf. Ez 34, 13). Fa sì che dai confini della patria terrena passino alla casa del Padre, alla patria della comunione eterna dei santi.

2. Oggi vogliamo cantare un particolare “alleluia” al Buon Pastore. Desidera cantarlo la Chiesa che si rallegra dell’elevazione agli altari mediante la beatificazione di due italiani, di un belga e di una spagnola.

Ma sono soprattutto i nuovi beati a cantare quel particolare “alleluia”. Sono essi a guidare la nostra preghiera, quando cantiamo: 

“Il Signore è mio pastore . . . / su pascoli erbosi mi fa riposare, / ad acque tranquille mi conduce. / Mi rinfranca” (Sal 23, 1-3).

Sì. Egli è il mio pastore: “mi guida per il giusto cammino” (Sal 23, 3).

È il mio pastore: “non manco di nulla” (Sal 23, 1).

È il mio pastore: non temo alcun male (Sal 23, 4).

Felicità e grazia mi saranno compagne / tutti i giorni della mia vita / e abiterò nella casa del Signore” (Sal 23, 6).

Ecco, la Sede di san Pietro a Roma e, insieme con essa, le singole Chiese e le comunità, nella beatificazione dei loro figli e figlie, adorano l’opera del Buon Pastore.

3. Adorano Cristo, Buon Pastore nella testimonianza che il beato don Federico Albert offrì quale ministro di Dio, totalmente dedito al bene delle anime a lui affidate e ai bisogni dei poveri. Egli, avendo maturato la vocazione al sacerdozio in età adulta, non ebbe la possibilità di frequentare il seminario, tuttavia si preparò a diventare prete in modo da essere oggi proposto come valido modello per i sacerdoti, i quali possono ammirare in lui l’approfondita vita spirituale, alimentata da una costante comunione con Cristo, e il generoso impegno per acquisire una solida formazione culturale che consentisse di proporsi come guida sicura in mezzo al popolo di Dio.

Il suo spirito di fede, la sua obbedienza incondizionata al Papa e al vescovo, la sua carità sacerdotale fecero di lui un elemento equilibratore, fra i membri del presbiterio e un pastore zelante particolarmente attento ai giovani e ai poveri. Guardando al nuovo beato ci si rende conto con singolare evidenza come sia possibile rispondere alle esigenze concrete dell’uomo, proprio perché si è fedeli servitori di Cristo e della Chiesa.

4. Anche nel beato don Clemente Marchisio rifulge l’immagine di Cristo Buon Pastore: preoccupato di essere sempre “esempio ai fedeli nelle parole, nel comportamento, nella carità, nella fede” (1 Tm 4, 12), egli si studiò di progredire nella grazia di cui ogni prete è dotato in Cristo, divenendo così strumento ogni giorno più valido e vivo di Gesù eterno sacerdote.

Uomo di preghiera, come deve essere ogni sacerdote, fu consapevole di dover invocare Dio, Signore dell’universo e della sua vita, ma fu pure consapevole che la vera adorazione, degna dell’infinita santità di Dio, si realizza soprattutto mediante il sacramento del corpo e del sangue di Cristo. Ebbe perciò sempre grande zelo nel celebrare devotamente il mistero eucaristico, nel fare assiduamente l’adorazione e nel curare il decoro delle varie celebrazioni liturgiche. Egli era infatti persuaso che la Chiesa si edifica soprattutto intorno all’Eucaristia, partecipando alla quale i membri della comunità cristiana si identificano misticamente con Cristo e diventano una cosa sola fra loro.

5. Nel beato Isidoro De Loor ci è dato di contemplare soprattutto il volto di Cristo sofferente, nel quale si rivela l’amore infinito di Dio. Il nuovo beato seppe cogliere il valore supremo e assoluto della volontà di Dio, e si impegnò a compierla nella propria esistenza con amore e fiducia, sull’esempio di Gesù Cristo, il quale si mosse sempre, anche quando si trattò di prendere la croce, per fare quello che era gradito al Padre. Fu tale la docilità e la prontezza con cui il beato De Loor si abbandonò in tutto alla volontà del Signore, per seguire Gesù crocifisso e risorto, da essere chiamato “fratello della volontà di Dio”. Colpito da una delle malattie più diffuse del nostro secolo, il cancro, fratel Isidoro si preparò alla morte con la stessa docilità, con cui era vissuto, prendendo questa drammatica prova come occasione per conformarsi pienamente al Redentore, oggetto delle sue continue e prolungate meditazioni.

Il novello beato invita ognuno di noi ai piedi di Cristo morto per amore, esortandoci a unire le nostre fatiche e le nostre sofferenze a quelle di Cristo, per trovare così il senso salvifico e costruttivo del lavoro, del dolore e delle fatiche, e ricevere risposte valide agli interrogativi dell’esistenza (cf. Ioannis Pauli PP. II, Salvifici Doloris, 31). Il nuovo beato Isidoro De Loor è certamente, per la nostra epoca desiderosa di un’indipendenza talvolta equivoca, un esempio provvidenziale e affascinante di crescente conformità alla volontà del Padre celeste alla sequela di Cristo Gesù. Alcuni suoi contemporanei, testimoni della vita di fratel Isidoro di san Giuseppe lo chiamavano “il fratello della volontà di Dio”. Che il beato ci aiuti tutti ad avanzare nella comprensione e nel compimento quotidiano del piano del Signore sulla nostra esistenza. Non c’è altra via verso la vera felicità!

6. Troviamo un altro riflesso dell’infinita perfezione di Cristo nella beata Rafaela Ybarra che cercò di crescere sempre verso Cristo, per edificarsi nella carità (cf. Ef 4, 15-16).

È ammirevole il suo impegno incondizionato per Dio e per gli altri nelle diverse circostanze della sua vita: da giovane, da sposa e come fondatrice di un istituto religioso.

Dalla croce e dalla preghiera seppe trarre la forza per un’offerta di se stessa sull’altare dell’amore cristiano. Quante persone beneficiarono della sua capacità di donazione per Cristo! Quanti, in considerazione della sua dolcezza con chi era nel bisogno, non sapevano chiamarla se non “la madre”!

Ella, dalla sua agiata posizione, seppe guardare con sensibilità umana e cristiana la società del suo tempo. Da qui nacquero diverse iniziative di carattere sociale e apostolico, che indirizzarono la sua azione verso ospedali, una casa di maternità, un rifugio per donne e giovani senza lavoro o in pericolo morale. Proprio per la difesa e la promozione umana e cristiana delle giovani creò l’Istituto dei Santi Angeli custodi. Un eccellente esempio per la nostra società di oggi e per coloro che desiderano vivere per Dio, contribuendo anche alla costruzione del regno di Cristo!

Ai cristiani del popolo basco desidero dire nel loro idioma: Seguite gli esempi della nuova beata.

7. Ecco il profilo dei nuovi beati.

In ciascuno di loro “c’è il conforto derivante dalla carità”. In ciascuno di loro “c’è una qualche comunanza di spirito” (Fil 2, 1). In ciascuno di loro c’è un nuovo compimento della gioia della Chiesa.

Infatti non soltanto hanno seguito il Buon Pastore, lasciandosi guidare da lui; il “conforto derivante dalla carità” si manifesta nell’amore. Quindi ciascuno di loro ha dato, insieme con Cristo, la vita per le pecore, e ha cercato di “condurre” gli altri, con la parola, con le opere, con l’esempio, con il servizio, verso la salvezza.

Ciascuno ha guardato Cristo che assunse “la condizione di servo, divenendo simile agli uomini”, e che “umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte” (Fil 2, 7-8).

Quanto profondamente ha penetrato le vostre anime - cari fratelli che oggi proclamiamo beati della Chiesa - Cristo “obbediente fino alla morte”! Quanto egli è diventato la vita delle vostre anime! Questo Cristo che Dio “ha esaltato” e a cui “ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome” (Fil 2, 9).

Oggi, mediante il servizio della Chiesa, Dio dà a ciascuno di voi un nome nuovo in Gesù Cristo “esaltato”. Oggi ricevete una parte nuova nell’“esaltazione” resa a Cristo dal Padre.

Accettatela! Accettate dalla Chiesa questo nome! In ciascuno di voi “c’è il conforto derivante dalla carità”.

In ciascuno di voi “c’è qualche comunanza di spirito”. In ciascuno di voi c’è anche “qualche consolazione in Cristo” (Fil 2, 1), per noi, per tutto il popolo di Dio, per l’umanità!

Alleluia! Ti ringraziamo, eterno Pastore, che in questi nostri fratelli hai reso piena la gioia della Chiesa (cf. Fil 2, 2).