Rose-Philippine Duchesne
(1769-1852)
- 18 novembre
Vergine, religiosa delle Suore della Società del Sacro Cuore di Gesù, che, nata in Francia, al tempo della rivoluzione in patria aggregò una comunità religiosa e, recatasi poi in America, vi istituì numerose scuole
Rose-Philippine Duchesne nacque il 29 agosto 1769 a Grenoble in Francia. Fu battezzata nella chiesa di S. Luigi e ricevette i nomi dell'apostolo Filippo e di Rosa da Lima, prima santa del continente americano. Fu educata dalle Visitandine nel Monastero di Ste Marie d'en Haut e, attirata dalla loro vita contemplativa, a 18 anni vi ritornò come novizia.
Allo scoppiare della Rivoluzione Francese la comunità fu dispersa e Filippina tornò in famiglia. Consacrò quindi il suo tempo ad alleviare le sofferenze di molti, visitando i prigionieri politici e soccorrendo i malati, i poveri e i bambini. Dopo il Concordato del 1801 tentò con alcune compagne di ridar vita al Monastero di Ste Marie d'en Haut, dove accolse delle alunne interne.
Nel 1804 Filippina, avendo appreso l'esistenza di una nuova congregazione, la Società del Sacro Cuore, decise di offrire se stessa e il Monastero alla fondatrice Maddalena Sofia Barai. Nello stesso anno la Madre Barat giunse a Ste Madre d'en Haut e ricevette Filippina e le sue compagne come novizie nella Società.
Dopo la professione religiosa, insieme al desiderio di vita contemplativa, si fece più viva in lei la chiamata alle missioni, nutrita fin dall'adolescenza. In una lettera alla Madre Barat le confidava l'esperienza spirituale da lei vissuta nella notte di adorazione del Giovedì Santo, interamente trascorsa davanti all'Eucarestia: " Tutta la notte sono stata nel Nuovo continente ... portavo in ogni luogo il mio tesoro (il SS. Sacramento) ... Avevo anche molto da fare con tutti i miei sacrifici da offrire: una madre, delle sorelle, dei parenti, una montagna ... Quando lei mi dirà: "Ecco, la mando", le risponderò subito: "parto!"". Ma attenderà ancora 12 anni.
Nel 1818 il suo sogno si realizzò. Fu inviata nel territorio della Louisiana per rispondere all'appello del vescovo che cercava una Congregazione di educatrici per aiutarlo ad annunciare il Vangelo agli Indiani e ai giovani francesi della sua diocesi. A St. Charles, presso St. Louis (Missouri), Filippina fondò la prima casa della Società, fuori dall'Europa. È situata in una capanna di tronchi e la Santa vive lì tutte le austerità della vita dei pionieri: freddo estremo, lavoro duro, ristrettezze economiche. Incontrò anche grande difficoltà nell'apprendimento dell'Inglese; le comunicazioni erano lente, le lettere dalla sua cara Francia spesso non arrivavano, ma ella faceva di tutto per rimanere fedele e molto unita alla Società in Francia.
Filippina e le sue quattro compagne continuarono con coraggio. Nel 1818 viene aperta la prima scuola gratuita ad ovest del Mississipi. Nel 1828 già sei case accolgono le giovani del Missouri e della Louisiana. Filippina si prodigava per loro con amore, ma nel suo cuore rimaneva sempre il desiderio di lavorare al servizio degli Indiani. Quando Filippina aveva ormai 72 anni e non era più superiora, una scuola venne aperta a Sugar Creek, nel Kansas, per gli Indiani Potawatomi. Sebbene molti considerassero Filippina troppo malata per andarvi, il gesuita che dirigeva quella missione insisté: " Deve venire; non potrà fare molto lavoro, ma assicurerà il successo della missione con la sua preghiera. La sua presenza attirerà ogni grazia dal cielo sui nostri lavori ".
Rimase solo un anno presso i Potawatomi, ma il coraggio della pioniera non era diminuito e le sue lunghe ore di contemplazione impressionarono tanto gli Indiani che la battezzarono: " la donna che prega sempre ". La sua salute non poteva però più sostenere la vita del villaggio. Nel luglio 1842 ella ritornò a St. Charles per quanto il suo desiderio per le missioni fosse sempre più vivo nel suo cuore coraggioso: " Provo lo stesso desiderio ardente per la missione delle Montagne Rocciose o qualunque altra del genere, che provavo in Francia per venire in America ... ".
Filippina morì a St. Charles (Missouri) il 18 novembre 1852 all'età di 83 anni.
CANONIZZAZIONE DI SIMÓN DE ROJAS E ROSE PHILIPPINE DUCHESNE
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
Domenica, 3 luglio 1988
1. “Lo spirito del Signore è su di me” (Is 61, 1).
Torniamo a queste parole di Isaia, che parlano della missione del Messia.
Proprio a queste parole Gesù fece riferimento a Nazaret il giorno in cui, compiuti i trent’anni, iniziava il suo servizio messianico in Israele. “Il Padre l’ha mandato” a portare il lieto annuncio ai poveri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di misericordia del Signore, un giorno di vendetta per il nostro Dio (questo giorno sarà il giorno del sacrificio per i peccati di tutto il mondo) - per consolare tutti gli afflitti (Is 61, 1-2).
Tutto questo Gesù ha cominciato a “fare” e ad “insegnare” (cf. At 1, 1), annunciando la buona novella, e preparando al tempo stesso i discepoli al giorno del suo sacrificio pasquale.
È venuto pieno di potenza da Dio. Dio l’ha unto con il suo Spirito. La profezia messianica di Isaia si è compiuta agli occhi di quella generazione, alla quale fu dato di vedere le opere e di ascoltare le parole di Gesù di Nazaret.
2. E perciò la gente correva a lui. Correvano non soltanto i figli e le figlie di Israele, ma anche gli stranieri, come per esempio i greci, di cui parla il Vangelo di oggi.
“Vogliamo vedere Gesù” (Gv 12, 21).
Essi sollecitano la mediazione degli apostoli per poter vedere Gesù. E allora Gesù dà agli apostoli una risposta, a primo aspetto, strana. Dice: “È giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo” (Gv 12, 33). Si potrebbe pensare che quella “glorificazione” si riferisca alla fama umana, di cui Cristo cominciava a essere circondato tra i suoi anche tra i forestieri. Tuttavia Gesù, continuando a parlare fa capire che intende riferirsi non a una fama umana, ma alla morte. Gesù parla della sua morte, utilizzando la parabola del grano: “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12, 24).
L’esaltazione di Cristo messia di Dio, avviene proprio in questa morte che porta frutto: nella morte vivificante. Quest’esaltazione appartiene al mistero pasquale, che a tempo opportuno si compirà su Cristo, in Cristo e per mezzo di Cristo.
3. Il mistero pasquale, che costituisce lo zenit della missione messianica di Gesù di Nazaret, rimane il “paradigma” centrale del messaggio evangelico.
Gesù dice: “Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna” (Gv 12, 25).
E continua: “Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà” (Gv12, 26).
Ecco il “paradigma” evangelico della vocazione alla santità.
L’odierna liturgia ci ricorda queste parole perché alla loro luce possiamo guardare i due candidati, che oggi vengono elevati agli onori degli altari, mediante la canonizzazione:
Simón de Rojas e Rose Philippine Duchesne.
“Se uno mi serve, il Padre lo onorerà”.
La Chiesa nell’atto odierno, come in ogni atto di canonizzazione, vuole che rimanga un’eco fedele e sensibile di quell’amore che i servi e imitatori di Cristo ricevono in Dio.
4. Il mistero pasquale, paradigma della vocazione alla santità, ha costituito il centro della vita di fra Simon de Rojas, illustre religioso dell’Ordine della Santissima Trinità, che oggi viene elevato all’onore degli altari. Egli fece sue le parole di Cristo che abbiamo ascoltato nella lettura evangelica: “Chi ama la sua vita la perde, e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna” (Gv 12, 25).
San Simon de Rojas diede pieno senso alla sua vita, come cristiano e come sacerdote, nella contemplazione del mistero di Dio amore.
Fedele al carisma redentore e misericordioso del suo ordine, il “Padre Rojas” - come veniva chiamato familiarmente dal popolo - fu molto sensibile alle necessità del prossimo, specialmente dei più poveri ed emarginati, come anche dei cristiani imprigionati a causa della loro fede. I poveri, da parte loro, vedevano in lui il protettore, difensore e padre. Vedevano in lui una così visibile e concreta testimonianza di povertà, che lo consideravano come uno di loro, totalmente assimilato alle loro sofferenze e necessità.
Lavorò instancabilmente perché la Congregazione dei Servi del dolcissimo Nome di Maria, da lui fondata, intensificasse sempre più la sua attività socio-caritativa. I suoi membri, in maggioranza secolari, si impegnavano a dividere i beni e aiutare i poveri.
Degno di nota era l’infaticabile zelo sacerdotale del nuovo santo. Ma la sua energica e continua attività apostolica non ostacolò mai la sua vita di preghiera contemplativa, cui dedicava “ampi spazi di tempo durante la giornata e anche durante la notte, dopo l’ufficio comune della metà della notte”.
5. Un aspetto che è necessario sottolineare nel nostro santo è, senza dubbio, il singolarissimo e fiducioso amore nutrito fin dall’infanzia per la Vergine Maria. La sua intensa devozione mariana fu sempre in costante aumento. Ormai religioso e sacerdote continuava a diffonderla con ogni mezzo tra quelli che aveva accanto e tutte le persone con cui era in rapporto. Un modo molto personale di vivere e diffondere questa devozione era la “schiavitù” o rapporto filiale del santo con la Madre di Dio. Senza interruzione ripeteva l’invocazione e saluto “Ave Maria” tanto che, di frequente, veniva chiamato simpaticamente il “Padre Ave Maria”. Fece molto conoscere la preghiera del santo Rosario.
Il nuovo santo è davvero per noi un modello vicino e provvidenziale di vita mariana. Egli esprimeva la sua volontà di appartenere a Maria con una delle sue giaculatorie preferite: “Che io sia, Signora, tutto vostro, e niente dovrò temere”. La provvidenza ha disposto che la sua canonizzazione sia l’ultima di questo anno mariano. E come se insistesse perché accogliamo con riconoscenza il messaggio tante volte ripetuto dal nuovo santo: “Non cercare, fare o pensare nulla che non sia in ossequio a nostra Signora”.
San Simon de Rojas apparve davanti alla società del suo tempo come un uomo pieno di Spirito Santo, docile ai suoi suggerimenti e profondamente evangelico in tutti i momenti della sua esistenza: come un altro Cristo!
6. E che dire dell’altra santa oggi canonizzata, Rose-Philippine Duchesne, che ha vissuto nella missione la sua consacrazione? Fedele a una visione avuta da giovane, Rose Philippine abbandonò la sicurezza della sua cultura e lingua e si mise a servire la Chiesa di Cristo nel nuovo mondo. Non pensò a quanto lasciava ma a coloro cui era mandata, e soprattutto da chi era mandata.
Tutta la vita di Rose-Philippine fu trasformata e illuminata dall’amore per Cristo nell’Eucaristia. Durante le lunghe ore trascorse davanti al santissimo, ella imparò a vivere sempre alla presenza di Dio. In lui pose le sue speranze e desideri. Le parole dell’odierno salmo responsoriale bene esprimono l’intensità del suo amore per Cristo: “Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita” (Sal 16 [15], 5).
Con coraggio missionario, questa pioniera guardava al futuro con gli occhi del cuore, un cuore ardente d’amore di Dio. Ella seppe vedere, al di là delle necessità della Francia post-rivoluzionaria, le necessità del nuovo mondo del suo tempo. Prese su di sè l’invito del Vangelo “andate ed ammaestrate tutte le nazioni”, ricordando che la chiamata alla santità è universale e non conosce confini di nazioni, sistemi politici, culture o razze.
7. Sempre più ricolma dell’amore stesso di Dio. alimentato nel culto ardente della santa Eucaristia, Rose-Philippine Duchesne si sentì spinta in modo irresistibile verso i bambini poveri, le famiglie indigenti. Per aiutarle ed educarli spese generosamente gli ultimi trentaquattro anni della sua vita, in quella regione del Middle West. Fece anche un fecondo tentativo di apostolato tra gli indiani. Ostacolata dalla barriera della lingua, riuscì tuttavia a portare a quelle povere popolazioni qualcosa della tenerezza di Dio, con il suo essere e il suo comportamento. I beni materiali, pure insufficienti, da lei raccolti, furono sempre distribuiti. Avrebbe tanto desiderato che il cuore dei ricchi si aprisse con più larghezza, perché loro stessi vivessero più semplicemente.
L’impegno radicale di madre Duchesne per i poveri e gli emarginati è una fonte viva di ispirazione per la sua Congregazione, come per tutte le religiose di oggi. Il suo esempio, assolutamente fuori dal comune, vale per tutti i discepoli di Cristo, specialmente quelli che abitano le regioni ricche del mondo. Oh si, siano più numerosi i cristiani che si lasciano riempire e infiammare per il servizio ai poveri, quelli del quarto mondo! Discepoli di Cristo che si impegnano a tempo pieno. Più numerosi sono quelli che hanno la possibilità e il dovere di partecipare alle attività socio-caritative locali, parrocchiali o diocesane. Esse attendono spesso l’apporto generoso di tanti.
8. Rose-Philippine Duchesne e Simón de Rojas! . . . Guardando il loro profilo spirituale, troviamo una conferma delle parole di Paolo sull’“amore del Cristo” che “ci spinge” (cf. 2 Cor 5, 14).
L’amore del Cristo spinge la nuova santa e il nuovo santo: poiché egli “è morto per tutti” (cf. 2 Cor 5, 14), allora in lui tutti debbono scoprire quella parte del mistero del grano evangelico che spetta a ciascuno: del grano che muore per portare frutto.
Scrive l’Apostolo: Cristo “è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro” (cf. 2 Cor 5, 15).
Non per se stessi, ma per gli “altri”, per i “fratelli e sorelle”, per i vicini e lontani, per tutti. Tale è il “paradigma” evangelico della santità.
E perciò: “se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove” (cf. 2 Cor 5, 17).
La Chiesa saluta oggi nel contesto della comunione dei santi il mistero della “creatura nuova”. Grazie a coloro che hanno realizzato la vocazione evangelica alla santità, noi viviamo nella speranza. E la nostra “speranza è piena di immortalità” (Sap 3, 4).
Gli istituti religiosi, di vita contemplativa ed attiva, hanno avuto fin qui ed hanno tuttora una parte importantissima nell'evangelizzazione del mondo (Concilio Vaticano II, Decreto Ad Gentes, 40)
"Provo lo stesso desiderio ardente per la missione delle Montagne Rocciose o qualunque altra del genere, che provavo in Francia per venire in America ... " (Rose-Philippine Duchesne)