Savina Petrilli
(1851-1923)
- 18 aprile
Vergine, che fondò la Congregazione delle Suore dei Poveri di Santa Caterina da Siena per sovvenire alle necessità delle ragazze bisognose e dei poveri
Savina Petrilli nasce a Siena il 29 agosto 1851, secondogenita di Celso e Matilde Venturini.
A 15 anni si iscrive nella Congregazione delle Figlie di Maria e ne è subito eletta presidente. Due anni dopo emette il primo voto di verginità per un anno. Nel 1869 è ricevuta dal papa Pio IX, che la esorta a camminare sulle orme di S. Caterina. Il 15 agosto 1873 nella cappellina della casa paterna, con cinque sue compagne emette i voti di castità, povertà e obbedienza, alla presenza del confessore e col consenso dell'Arcivescovo mons. Enrico Bindi, che concede il permesso di iniziare un'opera a beneficio dei poveri.
La nuova piccola famiglia religiosa prende il nome di "Congregazione Sorelle dei Poveri di S. Caterina da Siena". Nel 1881 inizia la prima fondazione a Onano (Viterbo) e nel 1903 la prima missione a Belém (Brasile). Le Costituzioni della Congregazione, che diventa di diritto pontificio, sono definitivamente approvate il 17 giugno 1906.
Successivamente madre Savina emette il voto di "non negare nulla volontariamente al Signore", il voto di "perfetta obbedienza" al direttore spirituale, il voto di "non lamentarsi deliberatamente nei patimenti esterni ed interni", il voto di "completo abbandono" alla volontà del Padre. Il 18 aprile 1923 alle ore 17,20 madre Savina lascia la terra per entrare definitivamente nel possesso di Dio.
Oltre le 25 case in Italia, la Congregazione ha opere in Brasile, in Argentina, in India, negli Stati Uniti, nelle Filippine, nel Paraguay. Il carisma trasmesso da madre Savina alle sue suore è quello di vivere radicalmente il sacerdozio di Cristo nell'adorazione e nella totale dipendedenza dalla volontà del Padre fino all'immolazione, facendo come centro della vita l'Eucaristia; continuare la missione di Cristo che annuncia il Padre in un servzio di evangelizzazione e promozione ai fratelli, specialmente poveri.
Per madre Savina il povero è il sacramento di Cristo e può considerarsi quale mistero di fede, come l'Eucaristia. Perciò la Congregazione è a servizio dei poveri, "di tutti coloro che soffrono e sono oppressi". .
(fonte: santiebeati.it)
PROCLAMAZIONE DI QUATTRO NUOVI BEATI:
DON PIETRO BONILLI, FRANCISCO DE JESÚS PALAU Y QUER,
KASPAR STANGGASSINGER E MADRE SAVINA PETRILLI
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
Basilica di San Pietro - Domenica, 24 aprile 1988
1. “Quale grande amore ci ha dato il Padre” (1 Gv 3, 1).
Nella domenica quarta di Pasqua la Chiesa fissa lo sguardo sul mistero dell’amore che il Padre ci ha rivelato mediante la figura del Buon Pastore.
“Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore” (Gv 10, 11).
Così dice Cristo, e le sue parole sul buon pastore riflettono pienamente il mistero pasquale che stiamo vivendo nell’attuale tempo di Pasqua. Quando mai si è confermato così fortemente che il buon pastore offre la sua vita per le pecore, se non nella croce e nella risurrezione di Cristo? Nella sua passione e nella sua morte, che divenne sacrificio per la redenzione del mondo?
Ed ecco, fissando gli occhi in Cristo, mediante il mistero pasquale vediamo in maniera ancor più piena “quale grande amore ci ha dato il Padre”, questo Padre che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi alla morte di croce (cf. Rm 8, 32).
2. “Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me” (Gv 10, 14).
La circostanza che ci riunisce oggi nella Basilica di san Pietro è una particolare, ulteriore conferma di queste parole. Questi servi e serve di Dio che oggi - mediante la beatificazione - sono elevati alla gloria degli altari, non rendono forse testimonianza a quella particolare conoscenza di Cristo Buon Pastore, che ha plasmato tutta la vita, tutta la vocazione terrena
- di Pietro Bonilli
- di Francisco Palau y Quer
- di Kaspar Stanggassinger
- di Savina Petrilli?
Essi hanno sperimentato su se stessi, in modo particolarmente profondo, l’amore che il Padre ha dato a ciascuno di loro in Cristo. Ma essi hanno anche risposto in modo particolare al dono di questo amore, al dono della vita, che il Buon Pastore ha offerto per ciascuno di loro, e, nel tempo stesso, per ogni uomo in terra.
Oggi la Chiesa gioisce della testimonianza di questa “conoscenza”, che ha portato i frutti della santità nella vita di ciascuno dei nostri beati. Questa gioia della Chiesa nell’odierna domenica è veramente una gioia pasquale.
3. “Io sono il buon pastore . . . Ed ho altre pecore che non sono di questo ovile” (Gv 10, 14. 16). Questa tensione del pastore per raggiungere tutte le pecore e farle partecipi della sua cura, del dono della sua vita, si può dire anche la caratteristica apostolica di don Pietro Bonilli.
Egli capì che occorreva anzitutto rendersi presente nel gregge, fino anche a dare la vita per seguirlo e nutrirlo in qualsiasi situazione, anche in quella rischiosa di condividere momenti di pericolo, recandosi in luoghi malsani e nelle regioni più umili e disprezzate. Egli rimase per 35 anni in una parrocchia situata nel territorio più depresso della sua diocesi di Spoleto, dove la condizione religiosa e morale era singolarmente povera ed avvilente, segnata dal degrado della bestemmia, del libertinaggio, del gioco, dell’ubriachezza.
Imitatore generoso di Cristo Buon Pastore, don Bonilli riversò la sua carità su quanti necessitavano di aiuto; fatto esperto fin dalla fanciullezza delle sofferenze e miserie, delle umiliazioni e istanze della gente della campagna, egli si impegnò a “nutrire” il suo popolo, a condurlo in pascoli più ubertosi (cf. Sal 23 [22], 2). Egli che “conosceva il suo gregge”, volle trovare per esso il cibo adatto.
Iniziò con un’intensa opera di catechesi e di istruzione religiosa, per la cui promozione si servì, come un precursore, dell’informazione e della stampa: “La stampa è l’arma del tempo”, egli diceva. Comprese che occorreva associare i laici alla sua opera e seppe coinvolgerli nelle sue iniziative, affidando loro, come padre prudente e generoso, compiti di responsabilità, ma guidandoli altresì nella sua stessa esperienza di preghiera, affinché “trovassero pascolo” nell’incontro con Dio e nell’Eucaristia. Soprattutto egli vide nella famiglia il fondamento della rinascita della società e della vita ecclesiale. “Essere famiglia, dare famiglia, costruire famiglia” fu il suo motto e il suo programma.
La famiglia, ogni famiglia avrebbe dovuto rivivere la sua vocazione e la sua missione sull’esempio di quella di Nazaret. L’amore generoso, oblativo, sacrificato del Cristo, di Maria, di Giuseppe che fu il modello che egli volle proporre all’amore nella famiglia e alla missione della famiglia. La famiglia è infatti il luogo in cui ogni uomo è chiamato ad ascoltare l’invito alle molteplici opere di carità e ad aprirsi generosamente al servizio sociale, specialmente a vantaggio dei poveri, dei piccoli, degli ultimi. La famiglia è scuola di amore, dove i figli crescendo imparano a vivere secondo il Vangelo, cogliendo dai genitori l’immagine del volto amoroso di Dio, Padre e Pastore di ogni uomo. Il modello di Nazaret rimane il fulcro della missione che ormai da cento anni le suore della Sacra Famiglia, da lui fondate, svolgono con ammirabile zelo e sensibilità pastorale.
4. Un’altra personalità ecclesiale, che nella sua attività apostolica si sforzò di imitare Gesù, Buon Pastore, è il nuovo beato Francisco Palau y Quer. Questo religioso, carmelitano scalzo, fece della sua vita sacerdotale una offerta generosa alla Chiesa, gregge di Cristo. Nelle sue lunghe ore di contemplazione e nel suo apostolato, fu sempre concentrato sul mistero della Chiesa. Di essa dirà: “Nel giorno in cui sono stato ordinato sacerdote, sono stato consacrato, attraverso l’ordinazione, al tuo servizio, sono stato consegnato a te, Chiesa, e da quel giorno non appartengo più a me stesso, tuo sono e tue le mie azioni, per quanto sono e ho” (Francisco Palau y Quer “Mis relaciones con la Iglesia”, 503). Si consegna al suo servizio con entusiasmo perché la sente come una madre tenera e amorosa, e la ama come una sposa pura e santa.
Quando la persecuzione religiosa l’obbligò a lasciare il convento carmelitano di Barcellona, si dedicò, dopo averla contemplata in solitudine a Eirissa, a studiare questo mistero di comunione che è il corpo mistico di Cristo, giungendo alla convinzione che nell’amore per la Chiesa si realizza il grande precetto cristiano dell’amore per Dio e per i fratelli.
Animato da questo amore Francisco Palau giunge ad esclamare: “La mia missione è di annunciare ai popoli che tu, Chiesa, sei infinitamente bella e amabile, e predicare che ti amino. Amore per Dio, amore per il prossimo: questo è l’oggetto della mia missione” (Francisci Palau y Quer “Mis relaciones con la Iglesia”, 341). Realizza questo lavoro di buon pastore attraverso la predicazione e le missioni popolari, e con la catechesi nella “scuola della virtù”.
Alimenta anche la devozione a Maria, che presenta come “l’archetipo perfetto della santa Chiesa” (Francisco Palau y Quer “Mis relaciones con la Iglesia”, 331).
Ma l’opera prediletta del padre Palau è la fondazione del Carmelo Missionario, che si ispira alla santa riformatrice e a san Giovanni della Croce. Le sue figlie spirituali (le Carmelitane Missionarie e le Carmelitane Missionarie Teresiane) incarnano e prolungano nella Chiesa lo spirito di questo apostolo. Fedeli al suo carisma, desiderano farsi presenti “là dove la carità compie le sue azioni e funzioni”.
5. “Il buon pastore dà la sua vita per il suo gregge” (Gv 10, 11). Anche noi siamo chiamati da Cristo a mettere a disposizione la vita per il nostro prossimo secondo il suo esempio. Cristo non ha bisogno di grandi eroismi, di cui poi gli uomini parlano, ma di dedizione silenziosa e fedele nello svolgere i piccoli compiti ed interventi di tutti i giorni.
La Chiesa ci pone davanti agli occhi l’esempio della vita di Kaspar Stanggassinger, seguace di Cristo in modo modesto ma non meno eroico. La sua vita ebbe un’impronta fondamentale religiosa data dalla famiglia. Fu chiamato molto presto al sacerdozio e fu così interamente proiettato verso Dio. Divenne padre redentorista, non per isolarsi dagli uomini ma per condurre gli uomini a Dio in una più stretta unione con Cristo. Durante l’ordinazione sacerdotale disse: “Per grazia di Dio voglio diventare tutto a tutti”.
Il santo padre Kaspar ha realizzato questo proposito adempiendo con fedeltà i suoi doveri quotidiani. Egli non cercava lo straordinario, ma faceva “ciò che la giornata richiedeva”. Come precettore e insegnante dei giovani che si preparavano al sacerdozio era sempre presente. “Voglio ascoltare tutti volentieri, come se non avessi nulla da fare”.
Padre Stanggassinger fu per i suoi giovani cristiani il “buon pastore” secondo l’esempio di Cristo, che conosce il suo gregge e lo conduce con cura. Nell’educare si preoccupava di sviluppare nell’uomo, in modo armonico, la forza spirituale e morale sempre secondo un richiamo religioso. Ne è profondamente convinto: “Solo l’uomo che prega, si può conoscere”. Era quindi molto importante per lui che i suoi allievi avessero, come verità centrale della loro vita, la fede in Dio e in Gesù Cristo. Come “buon pastore” il beato Kaspar Stanggassinger fu un esempio per i suoi giovani amici nel cammino cristiano verso la santità. Viveva in prima persona ciò che insegnava e pretendeva da loro. Con fermezza aveva posto Dio al centro della sua vita e del suo operato. Voleva appartenergli completamente e compiere la sua volontà in tutto, anche nelle cose piccole e modeste. Con il suo senso del dovere quotidiano padre Kaspar ci indica il cammino che tutti dobbiamo percorrere: il cammino della santità nell’imitazione di Cristo nella vita quotidiana. Il suo grande amore per i giovani deve essere modello e stimolo per i sacerdoti, per i genitori e gli educatori. Beato padre Kaspar prega per i giovani del nostro tempo e conducili verso Cristo!
6. “Sei tu il mio Dio e ti rendo grazie, sei il mio Dio e ti esalto” (Sal 118 [117], 28). In questa frase del salmo responsoriale si potrebbe riassumere il centro della vita spirituale di Savina Petrilli, fondatrice delle Sorelle dei Poveri di santa Caterina da Siena. “Sei il mio Dio”. Savina riuscì ad abbandonarsi completamente alla volontà divina, facendo voti di non negare nulla a Dio deliberatamente. In questo impegno di completa oblazione di se stessa a Dio e alla sua volontà, voto di abbandono totale, trovò la forza di dominare il suo temperamento impulsivo per acquistare le difficili virtù della dolcezza e della mansuetudine. Trovò anche la pace, riconoscendo che il suo zelo per le anime doveva seguire la strada dell’accettazione della croce, senza lamentarsi mai, nemmeno nelle più dure pene dello spirito e del corpo.
“Ti rendo grazie, Signore, perché . . . sei stato la mia salvezza”, abbiamo cantato nel salmo responsoriale (cf. Sal 118 [117], 21). La salvezza fu per Savina la conoscenza di una vocazione generosa da realizzare nella Chiesa mediante un servizio di amore, nel nome di Gesù, sacerdote e vittima. La sua scoperta vocazionale è racchiusa in una sola frase: “Dov’è carità, ivi è Dio”. La forza della carità, non teme ostacoli, non accetta confini; e nelle sorde persecuzioni del tempo contro le istituzioni religiose, nella confusione politica che tendeva ad emarginare il sentimento della fede, in mezzo a preoccupanti difficoltà economiche, Savina potè cantare a Dio il sentimento della sua fiducia: “È meglio rifugiarsi nel Signore che confidare nei potenti” (Sal 118 [117], 8-9). Con la forza di una simile fede madre Savina seppe superare ostacoli quasi insormontabili, dimostrandosi intelligente, energica, pratica, pronta a subire molte prove anche penose. Con tale fiducia seppe costruire “l’opera del Signore: una meraviglia ai nostri occhi” (Sal 118 [117], 23).
“Sei il mio Dio e ti esalto” (Sal 118 [117], 28). Ti esalto con la vita, con tutte le mie forze, sembra dire madre Savina; ma ti esalto raccogliendo attorno a te, mio Dio, i fratelli più derelitti, cercando per le vie del mondo tutti coloro che l’uomo disprezza, per condurre ogni povero alla gioia del banchetto del Regno. Ti esalto,quindi, estendendo l’azione delle Sorelle dei Poveri, fino alle regioni più derelitte della terra, fino alle condizioni più difficili di apostolato, perché ogni uomo possa ritrovare la sua gioia e la sua pace e “celebrare il Signore perché è buono; perché eterna è la sua misericordia” (cf. Sal 118 [117], 29).
7. Ecco, fratelli e sorelle, la testimonianza che noi oggi meditiamo, seguendo la vita dei nuovi beati. Essi ci conducono a leggere più chiaramente i segni dell’amore di Dio in Cristo, della vocazione che scaturisce da questo amore per tutti noi: “Essere chiamati figli di Dio ed esserlo realmente” (1 Gv 3, 1). Nelle testimonianze dei nuovi beati scorgiamo davvero il riflettersi della figura di Cristo Buon Pastore, del suo zelo per le anime, della sua dedizione fino al dono della vita pur di condurre ogni uomo al Padre. Riscontriamo con gioia che nel nome di Gesù Cristo, il nazareno crocifisso e risuscitato, i nuovi beati hanno trovato la forza e la potenza di “rimettere in piedi” tante situazioni umane, umiliate dalla povertà materiale e morale; hanno accettato anch’essi di apparire agli uomini come “pietra scartata”, scelta tuttavia da Dio per essere “testata d’angolo” (cf. At 4, 11).
8. Ci è dato oggi di vivere la quarta domenica pasquale nella Basilica di san Pietro, fissando lo sguardo sulla figura del Buon Pastore.
Ecco, egli rivela la potenza del suo amore redentore, che si offre ad ogni uomo anche mediante la beatificazione dei figli e delle figlie della Chiesa:
- di Pietro
- di Francisco
- di Kaspar
- di Savina.
Il Buon Pastore - Cristo, che è conosciuto dal Padre e che conosce il Padre (cf. Gv 10, 15) - offre la vita per le pecore del suo ovile, per “condurre” tutti a quell’amore che il Padre ci ha dato nel suo eterno Figlio.
È in forza di questo amore che siamo “chiamati figli di Dio” e lo siamo diventati realmente: figli adottivi nel Figlio unigenito di Dio.
9. Seguendo Cristo quale Pastore delle nostre anime, andiamo verso ciò che non è stato ancora rivelato, ma che si rivelerà, come insegna l’apostolo Giovanni nella sua lettera, “quando egli si sarà manifestato”.
E ciò che sarà rivelato costituisce la realtà definitiva del cosmo creato, la realizzazione definitiva dei destini umani: la realizzazione sovrabbondante, sopra misura, di tutto ciò che è temporale, che è soltanto umano e creato.
A misura di Dio stesso,
e dell’amore che egli ci ha dato in Cristo.
Ecco,
“noi saremo simili a lui,
perché lo vedremo così come egli è”,
faccia a faccia.