Simeone Cardon e 5 Compagni

Simeone Cardon e 5 Compagni

(† 1799)

Beatificazione:

- 17 aprile 2021

- Papa  Francesco

Ricorrenza:

- 16 maggio

Simeone Maria Cardon, Domenico Maria Zawrel, Albertino Maria Maisonade, Zosimo Maria Brambat, Modesto Maria Burgen e Maturino Maria Pitri, religiosi professi della Congregazione Cistercense di Casamari e martiri, uccisi a Casamari, in odio alla Fede, tra il 13 e 16 maggio 1799

  • Biografia
  • Omelia
  • Decreto sul Martirio
Durante l’ora di Compieta, mentre i monaci si preparavano al coro, i soldati irruppero nel monastero e, dopo essere stati accolti e rifocillati, cominciarono a seminare terrore e morte

 

Nel gennaio del 1799 Napoli venne occupata dai Francesi. Il Re Ferdinando IV fuggì a Palermo e, a Napoli, fu proclamata la Repubblica Partenopea. Nell’aprile dello stesso anno l’esercito rivoluzionario subì diverse sconfitte ad opera dell’Austria e questa circostanza portò le truppe francesi a recarsi verso il nord. Nella ritirata, i Francesi compirono ogni sorta di devastazioni e uccisioni accanendosi in modo particolare contro chiese e monasteri. Infatti, i soldati francesi erano imbevuti di idee rivoluzionarie, contrarie alla Chiesa e alla fede cristiana. In questo contesto di odium fidei si svolse l’episodio martiriale. Il 13 maggio 1799, dopo aver saccheggiato l’abbazia di Montecassino, venti soldati, entrarono nell’abbazia di Casamari alla ricerca di oggetti preziosi da depredare.

Al momento dell’eccidio la comunità monastica era guidata dall’abate Pirelli e dal priore claustrale, padre Simeone Cardon. L’abate Pirelli, però, aveva lasciato il monastero ed era fuggito a Palermo.

Durante l’ora di Compieta, mentre i monaci si preparavano al coro, i soldati francesi irruppero nel monastero e, dopo essere stati accolti e rifocillati, cominciarono a seminare terrore e morte. Mentre la maggior parte dei monaci cercò di mettersi in salvo, i martiri resistettero con coraggio eroico per difendere dalla profanazione l’Eucaristia, i vasi sacri e i paramenti. Furono uccisi con ferocia a colpi di sciabola e di baionetta.

Il martirio materiale è sufficientemente provato. La loro uccisione fu motivata da prevalente odium fidei. I corpi martoriati dei monaci furono sepolti in modo tale da favorire l’identificazione.

Circa il martirio formale ex parte persecutoris, i soldati francesi, imbevuti delle idee anticristiane della rivoluzione francese, quando giunsero all’abbazia, trovarono i monaci intenti a condurre la consueta vita di preghiera e di lavoro. Sin da subito si macchiarono di atti sacrileghi verso l’Eucaristia e distrussero alcuni oggetti sacri. I monaci tentarono di reagire, raccogliendo con devozione le particole. Due di loro, P. Zawrel e P. Maisonade, vennero uccisi a colpi di sciabola nella cappella dell’Infermeria dove si trovavano in preghiera per l’avvenuta profanazione delle specie eucaristiche. Insieme a loro c’era un altro monaco che venne ferito allo stesso modo ma si salvò fingendosi morto, potendo così raccontare l’accaduto.

I monaci erano rimasti nell’abbazia nonostante il pericolo grave dovuto al passaggio delle truppe francesi. I monaci che decisero di rimanere a servire i soldati e a pregare accettarono il rischio di essere uccisi. P. Brambat morì fuori dal monastero mentre cercava di raggiungere Boville Ernica per ricevere l’estrema Unzione. P. Cardon spirò il giorno dopo l’assalto, davanti al Generale Barone Thiébault che, trovandolo agonizzante, ebbe il tempo di raccogliere la sua testimonianza di accettazione del martirio e di perdono degli aguzzini.

Sin da subito i fedeli della zona accorsero alle tombe dei monaci domandando grazie per loro intercessione. Sull’episodio si diffuse una certa fama di martirio che ha attraversato i secoli.

 

I Martiri

 

1. Simeone Maria Cardon. Nato a Cambrai (Francia), emise la professione religiosa il 4 agosto 1782, presso il monastero benedettino della Congregazione di San Mauro di Saint-Faron de Meaux. Durante la Rivoluzione Francese, si oppose pubblicamente alla Costituzione Civile del Clero e, nel 1795, dovette fuggire dalla Francia, rifugiandosi nell’Abbazia di Casamari. Qui rinnovò la sua professione il 5 maggio 1797. Dopo essere stato economo, divenne priore dell’Abbazia, che fu da lui guidata dopo che, nel 1798, l’Abate Romualdo Pirelli era fuggito a causa delle turbolenze politiche. Si distinse per santità di vita e specialmente per la carità verso i malati. Morì il 14 maggio 1799, dopo essere stato colpito dai soldati francesi che avevano occupato l’Abbazia di Casamari il giorno prima.

2. Domenico Maria Zavřel. Nato nel 1725 a Chodov (attuale Repubblica Ceca), dapprima divenne religioso domenicano. Sentendosi attratto dalla vita monastica, nel 1776, chiese di entrare nell’Abbazia di Casamari, emettendo la professione religiosa il 6 giugno 1777. Ricoprì la carica di maestro dei novizi e difese la “Stretta Osservanza”. Era apprezzato per la vita di preghiera e per la sua saggezza. Fu ucciso dai soldati francesi nella notte del 13 maggio 1799.

3. Albertino Maria Maisonade. Nacque a Bordeaux (Francia). Nel 1792 entrò nell’Abbazia di Casamari, dove emise la professione semplice il 20 novembre 1793, come monaco corista.

Il 13 maggio 1799 fu ucciso dai soldati francesi con due colpi di pistola, mentre pregava assieme a Domenico Zawrel.

4. Zosimo Maria Brambat. Nato a Milano, entrò nell’Abbazia di Casamari nel 1792. Fu ammesso al Noviziato nel 1794 e, il 20 novembre 1795, emise la professione semplice. Dopo essere stato aggredito e ferito mortalmente il 13 maggio 1799, morì tre giorni dopo, il 16 maggio 1799, mentre si dirigeva a Boville Ernica (Frosinone, Italia), desiderando ricevere gli ultimi Sacramenti.

5. Modesto Maria Burgen. Originario della Borgogna (Francia), era stato trappista nell’Abbazia delle Settefonti, che dovette abbandonare dopo l’inizio della Rivoluzione Francese perché il monastero fu soppresso. Entrato nell’Abbazia di Casamari nel gennaio 1796 come novizio, emise i voti monastici semplici il 9 gennaio 1797. Il 13 maggio 1799 fu ucciso dai soldati francesi.

6. Maturino Maria Pitri. Nato a Fontainebleau (Francia), giunse in Italia arruolato, contro la sua volontà, nell’esercito francese. A Veroli fu ricoverato in ospedale per una grave malattia e qui si confessò con il Servo di Dio Simeone Cardon, esprimendogli la volontà di diventare monaco cistercense se fosse guarito. Superata la malattia, fu nascosto in casa del curato dell’Ospedale di Veroli, che lo accompagnò nell’Abbazia di Casamari, dove fu accolto nel gennaio 1799. Venne fucilato il 13 maggio 1799.

L’amore che vince la paura

Omelia nella beatificazione dei Servi Dio Simeone Cardon e 5 Compagni

Religiosi professi della Congregazione dei Cistercensi di Casamari, martiri.

 

1. «Non abbiate paura». È l’incoraggiamento, che un giorno Gesù rivolse ai suoi discepoli ed a noi, oggi. Stamane nella proclamazione del Vangelo lo abbiamo udito per ben due volte. È un incoraggiamento, che il Signore ci dona non solo con le parole, ma più ancora col suo esempio. Così, infatti, predicava sant’Agostino: «Il Signore interveniva a togliere ogni timore dal loro cuore con la parola, dicendo: Non temete quelli che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l’anima. Lo faceva, però, anche con l’esempio, mettendo in pratica egli stesso per primo ciò che ordinava con la parola. Egli, di fatto, non volle evitare la mano di quelli che lo frustavano, né gli schiaffi di quelli che lo colpivano, né la saliva di quanti lo coprivano di sputi, né la corona di coloro che gli ponevano sulla testa le spine e neppure la croce di quelli che lo uccidevano. Non volle evitare niente di tutto ciò per amore di coloro ai quali, invece, tutto questo era necessario, ossia i martiri, che hanno sofferto e corso gravi pericoli tra le grandi tempeste dell’odio di questo mondo. Non lo dico tanto delle sofferenze del corpo, che prima o poi avrebbero dovuto abbandonare, quanto dei pericoli per la stessa fede. Se, infatti, fossero venuti meno, o avessero ceduto di fronte ai gravissimi dolori delle persecuzioni, oppure si fossero lasciati sedurre dall’amore per questa vita, avrebbero perduto ciò che Dio aveva loro promesso. Il Signore, però, interveniva togliendo ogni timore dal loro cuore e facendo di se stesso la medicina per la loro debolezza. I martiri, infatti, hanno sofferto e certamente sarebbero venuti meno, se non li avesse soccorsi di continuo colui che diceva: Ecco, io sono con voi sino alla consumazione del mondo» (cf. Enarrat. in Psalmos 69,1: PL 36, 865).

La gioia dell’interiore certezza che il Padre del cielo ci ama. In questa medesima gioia rivolgo il mio fraterno saluto al carissimo vescovo Ambrogio Spreafico e gli altri fratelli Vescovi concelebranti; al Reverendissimo padre Abate di questa Comunità monastica e agli altri Abati presenti; ai sacerdoti e a tutti voi, fratelli e sorelle. Un deferente saluto lo riservo alle Autorità presenti. Viviamo, dunque, nella gioia e nella cristiana fraternità questo evento a lungo atteso.

 

2. Sotto il profilo storico il martirio subito dai nostri Beati è lontano nel tempo, ma questo non lo rende meno attuale. Erano uomini fragili e timorosi: vulnerabili, come lo siamo un po’ tutti noi e come si mostra soprattutto questa fase di pandemia, che ha avuto vittime anche qui nella persona dell’abate Eugenio Romagnuolo e che ancora tanto ci preoccupa. «L’anno scorso eravamo più scioccati», ha ammesso il Papa, la scorsa Domenica delle Palme ed ha aggiunto che «quest’anno siamo più provati». Anche i nostri Beati martiri umanamente non erano dei «guerrieri». Erano persone deboli e paurose. Dalla loro storia sappiamo che, nella previsione di quanto sarebbe accaduto e nel timore per la propria vita, l’abate della Comunità se n’era fuggito a Palermo presso la Corte dei Borboni e poi, quando, una vola accolti, i militari francesi fuggitivi da Napoli cominciarono ad essere sempre più violenti, anche altri monaci si diedero alla fuga, o si nascosero negli orti. Lo stesso priore Dom Simeone Cardon cercò, in un primo momento, di nascondersi nell’orto dell’abbazia, ma poi, riflettendo su ciò che stavano subendo i confratelli, si rianimò e decise di rientrare nel monastero.

Umanamente, questi martiri, non erano degli eroi «da fumetto», ma delle persone normali. Erano uomini paurosi, come tutti noi lo siamo; lo siamo ancora di più in una società che è quasi ossessionata dalla ricerca della sicurezza. Paradossalmente, però, questa ricerca piuttosto che eliminare la paura, quasi incentiva. Come ha scritto un notissimo autore, «siamo “oggettivamente” le persone più al sicuro nella storia dell’umanità» eppure la paura aumenta (Z. Bauman). Anche sotto il profilo cristiano, la nostra vita di credenti non è mai senza combattimento. Non esiste. Infatti, un cristianesimo facile.

Commentando la pagina di Vangelo oggi proclamato, Papa Francesco mette in guardia da una concezione «turistica» della vita cristiana e ci ricorda anch’egli che «non esiste la missione cristiana all’insegna della tranquillità! Le difficoltà e le tribolazioni fanno parte dell’opera di evangelizzazione, e noi siamo chiamati a trovare in esse l’occasione per verificare l’autenticità della nostra fede e del nostro rapporto con Gesù. Dobbiamo considerare queste difficoltà come la possibilità per essere ancora più missionari e per crescere in quella fiducia verso Dio, nostro Padre, che non abbandona i suoi figli nell’ora della tempesta. Nelle difficoltà della testimonianza cristiana nel mondo, non siamo mai dimenticati, ma sempre assistiti dalla sollecitudine premurosa del Padre. Per questo, […] Gesù rassicura i discepoli dicendo: “Non abbiate paura!”» (Angelus del 25 giugno 2017).

La storia di questo martirio c’insegna proprio questa verità. Nell’ascolto del brano dell’Apocalisse, poco fa abbiamo udito: «”Questi, che sono vestiti di bianco, chi sono e da dove vengono?”. Gli risposi: “Signore mio, tu lo sai”. E lui: “Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello”».

 

3. Nessuno di noi potrà perseverare nella sequela di Cristo senza tribolazione, senza conflittualità, senza «combattimento spirituale». Già nelle lettere di san Paolo sono innumerevoli i testi in cui la vota cristiana è paragonata ad una lotta. Oltre un secolo prima dell’evento martiriale che oggi rievochiamo, un grande autore spirituale aveva scritto che «la vera e perfetta vita spirituale» non consiste nella macerazione della carne e nelle molte penitenze e neppure nella moltiplicazione delle preghiere vocali e delle pratiche esteriori e neppure nello starsene nella pace di un chiostro, nel silenzio del coro, nella solitudine regolata da una disciplina … Indubbiamente questi sono dei mezzi importanti, ma la perfetta vita spirituale consiste nel conoscere l’amore infinito di Dio e anche la propria debolezza e, convinti di ciò, nell’ingaggiare la lotta spirituale per dare morte ai proprio disordinati desideri e affetti per compiere sempre ed in tutto la volontà di Dio (cf. L. Scupoli, Combattimento spirituale cap. 1).

È, dunque, da questa prospettiva che oggi la Parola del Signore ci chiede di guardare alla testimonianza dei nuovi Beati: la fiducia nella sua premura paterna. Egli si prende cura di noi. È la confortante certezza, che deve invadere il nostro cuore davanti a questo annuncio. «Voi valete più di molti passeri»! Lo abbiamo ascoltato. Due passeri valgono appena «un soldo», spiega Gesù, ma il Padre nostro non è un mercante e non ci guarda con l’occhio dell’economia, del calcolo, del valore commerciale… Commentando con una buona dose d’ironia il testo paolino, che domanda: «Forse Dio si prende cura dei buoi?» (1Cor 9,9), sant’Ambrogio diceva: «Un bue ha certo valore più di un passerotto ma altra cosa è darsi pensiero, altro aver conoscenza. Peraltro anche il numero dei capelli è da interpretarsi non nel senso del calcolo, ma nella volontà che non vadano perduti» (cf. Exp. Ev. sec. Lucam, VII, 112: PL 15, 1727). Gesù stesso ci ha detto che la volontà del Padre è di non perdere nulla di quanto gli ha dato… (cf. Gv 6,39).

Dobbiamo sapere vigilare. Come sapientemente avvertiva sant’Ignazio di Loyola nei suoi Esercizi spirituali, al fine di paralizzare la nostra libertà e distoglierci da Dio il nemico della natura ingigantisce sempre le nostre paure sicché è proprio presentando con fiducia a Dio la propria fragilità, impariamo a non farci sopraffare dalla paura, ma a lasciarci amare da Lui (cf. ES n. 315. 325).

È da qui che comincia la fede. Desidero, allora, concludere con le parole usate da Benedetto XVI a conclusione di una sua catechesi: «questa è la fede: essere amato da Dio e lasciarsi amare da Dio in Cristo Gesù. Questo lasciarsi amare è la luce che ci aiuta a portare il fardello di ogni giorno. E la santità non è un’opera nostra, molto difficile, ma è proprio questa “apertura”: aprire le finestre della nostra anima perché la luce di Dio possa entrare, non dimenticare Dio perché proprio nell’apertura alla sua luce si trova forza, si trova la gioia dei redenti. Preghiamo il Signore perché ci aiuti a trovare questa santità, lasciarsi amare da Dio, che è la vocazione di noi tutti e la vera redenzione» (Udienza del 16 febbraio 2011). A lui sia la gloria, nei secoli dei secoli. Amen.

Abbazia di Casamari, 17 aprile 2021

Marcello Card. Semeraro

Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi

 

 

CONGREGATIO DE CAUSIS SANCTORUM

 

FROSINONE-VEROLI-FERENTINO

 

Beatificazione o dichiarazione di Martirio

dei Servi di Dio

SIMEONE CARDON e 5 COMPAGNI

Religiosi dell’Abbazia di Casamari dell’Ordine Cistercense

(†1799)

 

Decreto sul Martirio

 

    “Il vostro cuore non venga meno. Non temete, non vi smarrite e non vi spaventate dinanzi a loro, perché il Signore, vostro Dio, cammina con voi” (Dt 20,3-4).

    Nel mese di aprile 1799 le truppe di Napoleone si ritirarono da Napoli, seminando violenze, saccheggi e morte, specialmente a Cassino, Isola del Liri e nei villaggi intorno. La sera del 13 maggio, saputo che vicino si trovava l’Abbazia di Casamari, irruppero nel cenobio cistercense. I monaci, alcuni dei quali proprio di origine francese, erano ben informati dell’odio dei miliziani verso i religiosi e molti di loro avevano organizzato la fuga, indossando abiti civili e trovando riparo in altri luoghi o case religiose. I sei Servi di Dio rifiutarono di abbandonare l’Abbazia e si affidarono completamente alla Provvidenza. Stavano per radunarsi per la Compieta, quando il silenzio venne interrotto dalla violenza dei loro carnefici e il buio fu squarciato dalla luce della loro testimonianza di amore a Cristo.

Essi sono:

    1.     Il Servo di Dio Simeone Maria Cardon. Nacque a Cambrai e abbracciò molto presto lo stato ecclesiastico, venendo ordinato sacerdote. Scoppiata la Rivoluzione francese, venne in Italia ed entrò nell’abbazia di Casamari. Emise la professione solenne il 5 maggio 1797 e fu nominato Priore. Si distingueva per il tratto umano e spirituale, nonché per la bontà e la carità verso i fratelli, i domestici, i forestieri e tutti i bisognosi. In molte occasioni e a causa della malferma salute, aveva dato prova di grande fortezza e temperanza. Quando i soldati giunsero a Casamari, ordinò che fossero rifocillati, ma essi, non contenti, presero a saccheggiare il monastero. Il Servo di Dio tentò la fuga ma poi pensò alla propria consacrazione religiosa e alla comunità dei monaci, si fece coraggio e rientrò. Fu colpito insistentemente alla testa. Spirò l’indomani mattina, perdonando i propri uccisori.

    2.     Il Servo di Dio Domenico Maria Zavřel. Nacque in Boemia, in località Cadovio, e indossò l’abito domenicano. In seguitò diventò monaco cistercense a Casamari, emettendo la professione solenne il 6 giugno 1776. Nutriva un profondo amore per la liturgia corale e una grande devozione, specialmente per i Santi Nomi di Gesù e Maria. Il popolo, già in vita, quasi lo venerava. Vedendo i soldati profanare ripetutamente l’Eucaristia, pianse. Ciò esacerbò ancora di più il loro furore e lo colpirono a morte.

    3.     Il Servo di Dio Albertino Maria Maisonade. Nato a Bordeaux, abbandonò la patria dopo lo scoppio della Rivoluzione Francese. Emise la professione semplice a Casamari il 20 novembre 1793. Progredì costantemente nelle virtù monastiche, ed era esemplare nella vita comunitaria e nella preghiera. All’arrivo dei soldati si ritirò in adorazione nella cappella dell’infermeria. Poiché, vedendo il Santissimo Sacramento scaraventato a terra, si mise a piangere, fu trucidato.

    4.     Il Servo di Dio Zosimo Maria Brambat. Nato a Milano, chiese di entrare come fratello converso nell’Abbazia di Casamari. Emise la professione semplice il 20 novembre 1795. Buono di carattere, era gentile verso tutti, così come servì i soldati quando il 13 maggio fecero ingresso nel monastero. In tutta risposta, questi lo ferirono gravemente. Due giorni dopo si mise in cammino per ricevere l’Unzione degli infermi, ma per via, assistito da buoni contadini, rese la sua anima a Dio.

    5.      Il Servo di Dio Modesto Maria Brugen. Originario della Borgogna, fu fratello converso nell’Abbazia cistercense di Sept-Fons. Soppresso quel monastero, fu accolto a Casamari. Il 9 gennaio 1797 emise la professione semplice. Morì qualche istante dopo essere stato colpito da un archibugio nel corridoio del noviziato.

    6.     Il Servo di Dio Maturino Maria Pitri. Nacque a Fontainbleau e fu arruolato nell’esercito rivoluzionario. Cadde malato a Veroli nel gennaio 1799, dove venne convocato il Servo di Dio Simeone Cardon, conoscitore della lingua francese. per confessarlo. A lui confidò il desiderio di indossare l’abito cistercense. Tre giorni dopo entrò nell’abbazia di Casamari come oblato. Umile e mite, aveva un forte senso dell’obbedienza. Fu raggiunto da un colpo di fucile nel corridoio del noviziato.

    Uccidendo i Servi di Dio i miliziani dimostrarono di avere aderito in tutto agli ideali antireligiosi della Repubblica di Napoleone e la violenza attesta quanto fosse grande il loro odio verso la fede. I Servi di Dio diedero la vita amando Dio, difendendo l’Eucaristia e con grande considerazione della loro vocazione monastica. La loro morte fu subito circondata da una chiara e persistente fama di martirio, nonché si stilarono raccolte di segni a loro attribuiti.

    Poiché col passare del tempo questa fama non si è mai estinta, si decise finalmente di aprire la Causa di Beatificazione o Dichiarazione di martirio dei Servi di Dio. Presso la Curia ecclesiastica di Frosinone-Veroli-Ferentino si è celebrata dal 6 dicembre 2014 al 25 febbraio 2016 l’Inchiesta diocesana, la cui validità giuridica è stata riconosciuta da questa Congregazione delle Cause dei Santi con decreto del 6 ottobre 2016. È stata preparata la Positio e sottoposta al giudizio dei Consultori Storici il 15 maggio 2018. Si è quindi discusso, secondo le norme consuete, se quello dei Servi di Dio sia stato un vero martirio. Il Congresso Peculiare dei Consultori Teologi ha dato voto favorevole il 22 ottobre 2019. I Padri Cardinali e Vescovi il 5 maggio 2020 hanno riconosciuto che i Servi di Dio sono stati uccisi per la loro fedeltà a Cristo e alla Chiesa.

    Il sottoscritto Cardinale Prefetto ha quindi presentato al Sommo Pontefice Francesco un’accurata relazione su tutte queste cose. Sua Santità, accogliendo e ratificando i voti di questa Congregazione delle Cause dei Santi, ha oggi dichiarato: Sono provati il martirio e sue cause dei Servi di Dio Simeone Cardon e 5 Compagni, Religiosi dell’Abbazia di Casamari dell’Ordine Cistercense, nel caso e per il fine di cui si tratta.

    Il Sommo Pontefice ha poi disposto che il presente decreto venga pubblicato e inserito negli atti della Congregazione delle Cause dei Santi.

Roma, 26 maggio 2020.

 

 

Angelo Card. Becciu

Prefetto

 

 

                                        Marcello Bartolucci

                                        Arciv. tit. di Bevagna

                                        Segretario