Teofilo Matulionis

Teofilo Matulionis

(1873-1962)

Beatificazione:

- 25 giugno 2017

- Papa  Francesco

Ricorrenza:

- 20 agosto

Religioso lituano, Arcivescovo-Vescovo di Kaišiadorys e martire dell'era sovietica: ucciso in odio alla fede nel 1962, quando aveva già quasi 90 anni

  • Biografia
  • dall'omelia
  • angelus
"Attraverso la Croce, verso le stelle"

 

Teofilius Matulionis, nato il 4 luglio 1873 a Kudoriškis, arcidiocesi di Kaunas, secondogenito di tre figli di Jurgis e Ona Juočepyté, contadini benestanti di profonda fede cattolica, fu battezzato il 1° luglio nella parrocchia di Alunta.

A quattro anni rimase orfano della madre e da bambino mostrò grande passione per lo studio. Dopo aver frequentato il liceo in Lettonia, nel 1892 entrò nel seminario di San Pietroburgo in Russia. Ma non sentendosi degno della vocazione lasciò per un anno la formazione. Nel 1895 riprese gli studi teologici e venne ordinato presbitero nel marzo del 1900. Fu vice-parroco a Varaklianai e parroco a Bikava, in Lettonia. Dal 1910 fu viceparroco nella chiesa russa di Santa Caterina a San Pietroburgo. L’amministratore della diocesi di Mogilev gli affidò la costruzione, nel quartiere dei lavoratori, della chiesa del Sacro Cuore del Salvatore, ma l’opera fu interrotta a causa della rivoluzione bolscevica.

Nel 1923 fu arrestato per la prima volta insieme al vescovo Jan Cieplak e ad altri quindici sacerdoti di Pietrogrado. Condannato a tre anni di reclusione, scontò la pena nei penitenziari di Butyrka e di Sokolniki a Mosca. Il 25 febbraio 1925 venne scarcerato grazie all’intervento dei fedeli della sua parrocchia. Ritornato a Pietrogrado, che aveva mutato il nome in Leningrado, fu parroco del Sacro Cuore. Nel dicembre 1928, con il consenso di Pio xi, venne clandestinamente nominato vescovo titolare di Matrega e coadiutore dell’amministratore apostolico di Leningrado. Il 9 febbraio 1929, sempre in modo clandestino, ricevette l’ordinazione episcopale dal vescovo del vicariato apostolico di Leningrado, Anton Malecki.

Il 25 novembre 1929 venne arrestato una seconda volta e condannato a dieci anni di campo di concentramento nelle Isole Solovki, uno dei più orribili lager siberiani dell’Unione sovietica. Nel maggio 1933 venne condannato a un anno d’isolamento punitivo, con l’obbligo dei lavori forzati. Liberato il 19 ottobre successivo, per uno scambio di prigionieri tra Lituania e Unione Sovietica, desiderava tornare in Russia, ma fu costretto a rientrare in Lituania. L’anno dopo si recò in Vaticano e fu ricevuto in udienza privata da Pio xi il 24 marzo 1934. Quindi viaggiò tra Stati Uniti d’America, Terra santa e Polonia.

Tornato in patria, fu nominato ausiliare di Kaunas e nel 1938 rettore della chiesa delle suore benedettine. Il 13 ottobre del 1938 l’arcivescovo Juozapas Skvireckas lo designò suo vicario giudiziale. Il 19 aprile del 1940 gli fu affidato l’incarico di supremo cappellano militare dell’esercito. A causa dell’invasione sovietica nel giugno 1940 ricoprì tale carica per poco tempo. Nel 1943, sotto l’occupazione tedesca, fu nominato vescovo di Kaišiadorys. Ma l’anno dopo, quando le truppe sovietiche invasero di nuovo la Lituania, il regime comunista iniziò subito la persecuzione della Chiesa. Il 18 dicembre 1946 venne arrestato per la terza volta e il 27 settembre 1947 condannato a sette anni di detenzione a Orša e quindi a Vladimir. Scontata la pena, nel 1954 fu trasferito nella casa per invalidi di Patma, in Russia.

Solo nel 1956 tornò in Lituania, senza poter risiedere nella propria diocesi. Si stabilì nella canonica di Birštonas, sorvegliato dagli agenti della polizia segreta sovietica (Kgb). Nonostante l’età avanzata e i gravi problemi di salute, s’impegnò nell’amministrazione della sua diocesi e per la Chiesa lituana, esortando i sacerdoti a non scendere a compromessi o a collaborare con il regime. Il 25 dicembre 1957, per compiere la volontà del Papa, ma senza il permesso del regime, e assicurare la guida della diocesi di Kaišiadorys, ordinò vescovo Vincentas Sladkevičius, poi divenuto cardinale.

L’anno successivo fu esiliato a Šeduva. Il 31 maggio 1960 Giovanni XXIII lo nominò assistente al Soglio pontificio e il 9 febbraio 1962 gli conferì la dignità arcivescovile. Il 17 agosto 1962 avvenne una violenta perquisizione nella casa in cui alloggiava e tre giorni dopo, il 20, egli morì. Il 23 agosto fu sepolto nella cattedrale di Kaišiadorys.

«La morte causata dalle sofferenze del carcere»: questo fu «il martirio» di Teofilo Matulionis (1873-1962), arcivescovo di Kaišiadorys. Lo ha ribadito il cardinale Angelo Amato presiedendone la beatificazione, la prima svoltasi in Lituania, domenica pomeriggio, 25 giugno.

In rappresentanza di Papa Francesco il prefetto della Congregazione delle Cause dei santi ha celebrato la messa nella piazza antistante la cattedrale di Vilnius alla presenza di una grande folla di fedeli. All’omelia ha ricordato come «le lunghe e penose» costrizioni del presule nelle prigioni, nei campi di concentramento, nei domicili coatti «sfinirono a poco a poco la sua forte fibra. Ma — ha aggiunto — le privazioni e le torture, non piegarono la sua volontà».

Ricostruendone la vicenda umana il porporato ha sottolineato la duplice «ostilità dei nazisti e dei comunisti», che non aveva «alcuna giustificazione razionale. Era solo era il frutto del loro odio verso il Vangelo di Gesù e la Chiesa». In nome dei quali invece il vescovo Matulionis «affrontò questo mare in tempesta con serenità e fortezza d’animo, rimanendo sempre fermo nella fede e nella speranza della futura liberazione». Soprattutto «non cedette all’odio», perché «per lui, odiare sarebbe stato il modo peggiore per rispondere al male. La sua risposta fu sempre il perdono». Ed è anche per questo, ha chiarito, che «oggi la Chiesa celebra nella gioia la beatificazione di questo grande figlio della Lituania».

Inoltre, ha rimarcato il cardinale Amato, «il ricordo delle sofferenze passate non deve appannare la gioia, ma solo ricordare a tutti il dovere del perdono, del rispetto e della preghiera per il prossimo, anche per il nemico». Del resto Papa Francesco nella lettera apostolica di beatificazione celebra il martire Teofilo come «pastore secondo il cuore di Cristo, testimone eroico del Vangelo, coraggioso difensore della Chiesa e della dignità dell’uomo». Anche perché in lui, ha continuato il prefetto della Congregazione delle cause dei santi, «il martirio si protrasse per anni, sotto dittature spietate che si proponevano di annientare la Chiesa. Furono ridotti e soppressi i seminari, si tentò di fondare una chiesa nazionalista, furono dispersi gli ordini religiosi, si vietò ogni contatto con Roma, fu soffocata la stampa cattolica. La Chiesa fu ridotta al silenzio». Ma «i cattolici soppravvissero nel nascondimento della propria coscienza. Quando i fedeli, durante i processi manipolati, si appellavano al rispetto delle leggi e della coscienza, la risposta era disprezzo e derisione». Ebbene, ha fatto notare il celebrante «di fronte a questi atteggiamenti disumani, i martiri imitavano Cristo». Solo così l’arcivescovo Matulionis poté «sopportare le umiliazioni e i disagi di una prigionia ingiusta e disumana» al punto che «questa lealtà verso il Vangelo è testimoniata da molti che videro in lui un “vero uomo di Dio” e un “santo”».

PAPA FRANCESCO

ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica, 25 giugno 2017

 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nel Vangelo di oggi (cfr Mt 10,26-33) il Signore Gesù, dopo aver chiamato e inviato in missione i suoi discepoli, li istruisce e li prepara ad affrontare le prove e le persecuzioni che dovranno incontrare. Andare in missione non è fare turismo, e Gesù ammonisce i suoi: “Troverete persecuzioni”. Così li esorta: «Non abbiate paura degli uomini, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato […]. Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce. […] E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima» (vv. 26-28). Possono uccidere soltanto il corpo, non hanno il potere di uccidere l’anima: di questi non abbiate paura. L’invio in missione da parte di Gesù non garantisce ai discepoli il successo, così come non li mette al riparo da fallimenti e sofferenze. Essi devono mettere in conto sia la possibilità del rifiuto, sia quella della persecuzione. Questo spaventa un po’, ma è la verità.

Il discepolo è chiamato a conformare la propria vita a Cristo, che è stato perseguitato dagli uomini, ha conosciuto il rifiuto, l’abbandono e la morte in croce. Non esiste la missione cristiana all’insegna della tranquillità! Le difficoltà e le tribolazioni fanno parte dell’opera di evangelizzazione, e noi siamo chiamati a trovare in esse l’occasione per verificare l’autenticità della nostra fede e del nostro rapporto con Gesù. Dobbiamo considerare queste difficoltà come la possibilità per essere ancora più missionari e per crescere in quella fiducia verso Dio, nostro Padre, che non abbandona i suoi figli nell’ora della tempesta. Nelle difficoltà della testimonianza cristiana nel mondo, non siamo mai dimenticati, ma sempre assistiti dalla sollecitudine premurosa del Padre. Per questo, nel Vangelo di oggi, per ben tre volte Gesù rassicura i discepoli dicendo: «Non abbiate paura!».

Anche ai nostri giorni, fratelli e sorelle, la persecuzione contro i cristiani è presente. Noi preghiamo per i nostri fratelli e sorelle che sono perseguitati, e lodiamo Dio perché, nonostante ciò, continuano a testimoniare con coraggio e fedeltà la loro fede. Il loro esempio ci aiuta a non esitare nel prendere posizione in favore di Cristo, testimoniandolo coraggiosamente nelle situazioni di ogni giorno, anche in contesti apparentemente tranquilli. In effetti, una forma di prova può essere anche l’assenza di ostilità e di tribolazioni. Oltre che come «pecore in mezzo ai lupi», il Signore, anche nel nostro tempo, ci manda come sentinelle in mezzo a gente che non vuole essere svegliata dal torpore mondano, che ignora le parole di Verità del Vangelo, costruendosi delle proprie effimere verità. E se noi andiamo o viviamo in questi contesti e diciamo le Parole del Vangelo, questo dà fastidio e ci guarderanno non bene.

Ma in tutto questo il Signore continua a dirci, come diceva ai discepoli del suo tempo: “Non abbiate paura!”. Non dimentichiamo questa parola: sempre, quando noi abbiamo qualche tribolazione, qualche persecuzione, qualche cosa che ci fa soffrire, ascoltiamo la voce di Gesù nel cuore: “Non abbiate paura! Non avere paura, vai avanti! Io sono con te!”. Non abbiate paura di chi vi deride e vi maltratta, e non abbiate paura di chi vi ignora o “davanti” vi onora ma “dietro” combatte il Vangelo. Ci sono tanti che davanti ci fanno sorrisi, ma da dietro combattono il Vangelo. Tutti li conosciamo. Gesù non ci lascia soli perché siamo preziosi per Lui. Per questo non ci lascia soli: ognuno di noi è prezioso per Gesù, e Lui ci accompagna.

La Vergine Maria, modello di umile e coraggiosa adesione alla Parola di Dio, ci aiuti a capire che nella testimonianza della fede non contano i successi, ma la fedeltà, la fedeltà a Cristo, riconoscendo in qualunque circostanza, anche le più problematiche, il dono inestimabile di essere suoi discepoli missionari.

 

Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle,

Esprimo la mia vicinanza alla popolazione del villaggio cinese di Xinmo colpito ieri mattina da una frana causata da forti piogge. Prego per i defunti e i feriti e per quanti hanno perso la casa. Dio conforti le famiglie e sostenga i soccorritori. Vi sono tanto vicino!

Oggi, a Vilnius (Lituania), viene proclamato Beato il Vescovo Teofilo Matulionis, ucciso in odio alla fede nel 1962, quando aveva già quasi 90 anni. Rendiamo lode a Dio per la testimonianza di questo strenuo difensore della fede e della dignità dell’uomo. Salutiamo con un applauso lui e tutto il popolo lituano!

Rivolgo il mio saluto a tutti voi, romani e pellegrini! In particolare, saluto l’Arcivescovo Maggiore, i Vescovi, i sacerdoti e i fedeli della Chiesa greco-cattolica ucraina, come pure i pellegrini della Bielorussia, che ricordano il 150° anniversario della canonizzazione di San Giosafat. Mi unisco spiritualmente alla Divina Liturgia che celebrerete tra poco nella Basilica di S. Pietro, invocando dal Signore per ciascuno il coraggio della testimonianza cristiana e il dono della pace per la cara terra ucraina.

Saluto i ministranti di Komorow (Polonia) e gli altri fedeli polacchi, con un pensiero anche ai pellegrini al Santuario della Madre di Dio di Gietrzwałd. Saluto i fedeli cileni di Santiago del Cile, Rancagua e Copiapó, come pure quelli di Montpellier e della Corsica. Saluto i cresimandi di Tombolo e il pellegrinaggio dell’Ordine dei Minimi di San Francesco di Paola.

Auguro a tutti una buona domenica e, per favore non dimenticate di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!