Urszula Ledóchowska

Urszula Ledóchowska

(1865-1939)

Beatificazione:

- 20 giugno 1983

- Papa  Giovanni Paolo II

Canonizzazione:

- 18 maggio 2003

- Papa  Giovanni Paolo II

- Piazza San Pietro

Ricorrenza:

- 6 luglio

Vergine, che si adoperò con tutte le sue forze a favore degli Africani oppressi dalla schiavitù e fondò il Sodalizio di San Pietro Claver e l'Ordine delle Suore Orsoline del Sacro Cuore di Gesù Agonizzante

  • Biografia
  • Omelia
  • omelia di beatificazione
"Devo amare il prossimo come Gesù ha amato me. Mangiate le mie forze, le mie capacità, il mio talento, il mio cuore e il mio tempo: sono vostra come Gesù-Ostia è mio!"

 

Julia Maria Urszula Ledóchowska nacque a Loosdorf, in Austria, il 17 aprile 1865, seconda di sette figli, da una nobile famiglia di origini polacche.

“Sapessi solo amare! Ardere, consumarmi nell’amore” – così scrive prima dei voti religiosi la 24 enne Giulia Ledóchowska, novizia nel convento delle orsoline a Cracovia. Nel giorno della professione prende il nome di Maria Orsola di Gesù, e le parole qui riportate diventano le linee guida di tutta la sua vita. Nasceva  in una famiglia, che da parte della madre (di nazionalità svizzera discendente da una stirpe cavalleresca dei Salis) come pure dalla parte del padre (discendente da una antica famiglia polacca) ha dato numerosi uomini di stato, militari, ecclesiastici e persone consacrate, impegnati nella storia dell’Europa e della Chiesa. È cresciuta in un clima famigliare pieno di amore, saggio ed esigente, tra numerosi fratelli e sorelle. I primi tre dei fratelli scelgono la strada della via consacrata: Maria Teresa (beatificata nel 1975), fondatrice del Sodalizio di San Pietro Claver e il fratello minore, Vladimiro, preposito generale dei Gesuiti.

Maria Orsola vive nel convento di Cracovia 21 anni. Attira l’attenzione il suo amore per il Signore, il suo talento educativo e la sua sensibilità ai bisogni dei giovani nelle mutate condizioni sociali, politiche e morali di questi tempi. Quando le donne acquistano il diritto allo studio universitario, riesce a organizzare il primo pensionato per studentesse in Polonia dove esse possono trovare non solo un posto sicuro per la vita e per lo studio, ma anche una solida formazione religiosa. La stessa sensibilità la spinge ad andare per lavoro, con la benedizione del Papa Pio X, nel cuore della Russia ostile alla Chiesa. Quando, con un’altra suora, vestite in borghese (la vita religiosa era proibita in Russia) partono per Pietroburgo, non sa di essersi incamminata verso una destinazione a lei sconosciuta e che lo Spirito Santo l’avrebbe condotta sulle strade che non aveva previsto.

A Pietroburgo la Madre e la comunità delle suore in aumento (eretta presto come una casa autonoma delle orsoline) vivono in clandestinità, e anche se sorvegliate in continuo dalla polizia segreta, svolgono un intenso lavoro educativo e di formazione religiosa, diretto anche all’avvicinamento nelle relazioni tra polacchi e russi.

Scoppiata la guerra del 1914 Maria Orsola deve lasciare Russia. Parte per Stoccolma. Durante il periodo della peregrinazione scandinava (Svezia, Danimarca, Norvegia), la sua attività si concentra, oltre al lavoro educativo, sull’impegno nella vita della Chiesa locale, sul lavoro in favore delle vittime della guerra e sull’impegno ecumenico. La casa delle sue suore diventa un appoggio per la gente di diversi orientamenti politici e religiosi. Il suo amore ardente per la patria va di pari passo con l’apertura alla diversità, agli altri. Richiesta una volta di che orientazione è la sua politica, rispose senza indugiare: la mia politica è l’amore.

Nel 1920 Maria Orsola con le suore e un numeroso gruppo di orfani di famiglie di emigrati, ritorna in Polonia. La Sede Apostolica trasforma il suo convento autonomo delle orsoline nella congregazione delle orsoline del Sacro Cuore di Gesù Agonizzante. La spiritualità della congregazione si concentra intorno alla contemplazione dell’amore salvifico di Cristo e alla partecipazione alla sua missione per mezzo del lavoro educativo e il servizio al prossimo, in modo particolare sofferente, solo, emarginato, alla ricerca del senso della vita. Maria Orsola educa le suore ad amare Dio sopra ogni cosa e in Dio ogni persona umana e tutta la creazione. Ritiene una testimonianza particolarmente credibile del legame personale con Cristo e uno strumento efficiente dell’influsso evangelizzatore e educativo, il sorriso, la serenità d’animo, l'umiltà e la capacità di vivere la grigia quotidianità come via privilegiata verso la santità. E lei stessa è un esempio trasparente di una tale vita.

La Congregazione si sviluppa presto. Nascono le comunità delle suore orsoline in Polonia e sulle frontiere orientali del Paese, povere, multinazionali e multiconfessionali. Nel 1928 nasce la casa generalizia in Roma e un pensionato per le ragazze meno abbienti perché possano conoscere la ricchezza spirituale e religiosa del cuore della Chiesa e della civilizzazione europea. Le suore iniziano anche il lavoro tra i poveri dei sobborghi di Roma. Nel 1930 le suore, accompagnando le ragazze che partono alla ricerca di lavoro, si stabiliscono in Francia. In ogni posto dove è possibile Maria Orsola fonda centri di lavoro educativo e di insegnamento, invia le suore alla catechesi e al lavoro nei quartieri poveri, organizza edizioni per bambini e giovani e lei stessa scrive libri e articoli. Cerca di iniziare e di appoggiare le organizzazioni ecclesiastiche per i bambini (Movimento Eucaristico), per la gioventù e per le donne. Partecipa attivamente alla vita della Chiesa e del Paese, ricevendo alti riconoscimenti e decorazioni statali ed ecclesiastiche.

Quando la sua vita laboriosa e non facile giunge al termine a Roma, il 29 maggio 1939, la gente diceva che è morta una santa.

Il Santo Padre Giovanni Paolo II ha beatificato Maria Orsola il 20 giugno 1983 a Poznań. 

CAPPELLA PAPALE PER LA CANONIZZAZIONE DI QUATTRO BEATI

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

V Domenica di Pasqua, 18 maggio 2003

     

1. "Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto" (Gv 15,5; cfr Canto al Vangelo). Le parole rivolte da Gesù agli Apostoli, al termine dell'Ultima Cena, costituiscono un toccante invito anche per noi, suoi discepoli del terzo millennio. Solo chi Gli rimane intimamente unito - innestato a Lui come il tralcio alla vite - riceve la linfa vitale della sua grazia. Solo chi vive in comunione con Dio produce frutti abbondanti di giustizia e di santità.

Testimoni di questa fondamentale verità evangelica sono i Santi che ho la gioia di canonizzare in questa quinta domenica di Pasqua. Due di essi provengono dalla Polonia: Józef Sebastian Pelczar, Vescovo, fondatore della Congregazione delle Ancelle del Sacro Cuore di Gesù; Urszula Ledóchowska, vergine, fondatrice delle Suore Orsoline del Sacro Cuore di Gesù Agonizzante. Le altre due Sante sono italiane: Maria De Mattias, vergine, fondatrice della Congregazione delle Suore Adoratrici del Sangue di Cristo; Virginia Centurione Bracelli, laica, fondatrice delle Suore di Nostra Signora del Rifugio in Monte Calvario e delle Suore Figlie di Nostra Signora al Monte Calvario.

2. "Doskonałość jest jak owe miasto Objawienia (Ap 21), mające dwanaście bram, wychodzących na wszystkie strony świata, na znak, że ludzie wszelkiego narodu, stanu i wieku wejść przez nie mogą. (...) Żaden stan lub wiek nie jest przeszkodą do życia doskonałego. Bóg bowiem nie ma względu na rzeczy zewnętrzne (...), ale na duszę (...), a żąda tylko tyle, ile dać możemy". Tymi słowami nasz nowy święty Józef Sebastian Pelczar wyrażał swoją wiarę w powszechne powołanie do świętości. Tym przekonaniem żył jako kapłan, profesor i biskup. Sam do świętości dążył i innych do niej prowadził. Dokładał wszelkiej gorliwości, ale tak to czynił, aby w jego posłudze sam Chrystus był Nauczycielem i Mistrzem.

Dewizą jego życia było zawołanie: "Wszystko dla Najświętszego Serca Jezusowego przez Niepokalane Ręce Najświętszej Maryi Panny". To ono kształtowało jego duchową sylwetkę, której charakterystycznym rysem jest zawierzenie siebie, całego swego życia i posługi, Chrystusowi przez Maryję.

Swoje oddanie Chrystusowi pojmował nade wszystko jako odpowiedź na Jego miłość, jaką zawarł i objawił w sakramencie Eucharystii. "Zdumienie – mówił - musi ogarnąć każdego, gdy pomyśli, że Pan Jezus, mając odejść do Ojca na tron chwały, został z ludźmi na ziemi. Miłość Jego wynalazła ten cud cudów, (...) ustanawiając Najświętszy Sakrament". To zdumienie wiary nieustannie budził w sobie i w innych. Ono prowadziło go też ku Maryi. Jako biegły teolog nie mógł nie widzieć w Maryi Tej, która "w tajemnicy Wcielenia antycypowała także wiarę eucharystyczną Kościoła"; Tej, która nosząc w łonie Słowo, które stało się ciałem, w pewnym sensie była "tabernakulum" - pierwszym "tabernakulum" w historii (por. Ecclesia de Eucharistia, 55). Zwracał się więc do Niej z dziecięcym oddaniem i z tą miłością, którą wyniósł z domu rodzinnego, i innych do tej miłości zachęcał. Do założonego przez siebie Zgromadzenia Służebnic Najświętszego Serca Jezusowego pisał: "Pośród pragnień Serca Jezusowego jednym z najgorętszych jest to, by Najświętsza Jego Rodzicielka była czczona od wszystkich i miłowana, raz dlatego, że Ją Pan sam niewypowiedzianie miłuje, a po wtóre, że Ją uczynił Matką wszystkich ludzi, żeby Ona swą słodkością pociągała do siebie nawet tych, którzy uciekają od świętego Krzyża i wiodła ich do Serca Boskiego".

Wynosząc do chwały ołtarzy Józefa Sebastiana, modlę się za jego wstawiennictwem, aby blask jego świętości był dla sióstr sercanek, Kościoła w Przemyślu i dla wszystkich wierzących w Polsce i na świecie zachętą do takiego umiłowania Chrystusa i Jego Matki.

["La perfezione è come quella città dell’Apocalisse (Ap 21), con dodici porte che si aprono verso tutte le parti del mondo, come segno che gli uomini di ogni nazione, di ogni stato e di ogni età possono attraversarle. (...) Nessuno stato o nessuna età sono ostacolo ad una vita perfetta. Dio infatti non considera le cose esterne (...), ma l’anima (...), ed esige soltanto tanto quanto possiamo dare". Con queste parole, il nostro nuovo santo Giuseppe Sebastiano Pelczar esprimeva la propria fede nella chiamata universale alla santità. Di questa convinzione visse come sacerdote, come professore , e come vescovo. Tendeva alla santità egli stesso e ad essa conduceva gli altri. Fu zelante in ogni cosa, ma lo fece in modo che nel suo servizio Cristo stesso fosse il Maestro.

Il motto della sua vita era: "Tutto per il Sacratissimo Cuore di Gesù per le mani immacolate della Santissima Vergine Maria". Fu esso a formare la sua figura spirituale, la cui caratteristica fu l’affidare a Cristo per mezzo di Maria se stesso, la propria vita, il proprio ministero.

Intendeva il suo dono a Cristo soprattutto come risposta al suo amore, racchiuso e rivelato nel sacramento dell’Eucaristia. Diceva: "Ogni uomo deve essere preso dallo stupore al pensiero che il Signore Gesù, dovendo andare al Padre su un trono di gloria, rimase sulla terra con gli uomini. Il suo amore ha inventato questo miracolo dei miracoli, istituendo il Santissimo Sacramento". Incessantemente destava in sé e negli altri questo stupore della fede. Fu esso a condurlo anche a Maria. Come esperto teologo, non poteva fare a meno di vedere in Maria colei che "nel mistero dell’Incarnazione anticipava anche la fede eucaristica della Chiesa"; colei che portando nel grembo il Verbo, che si fece carne, fu in un certo senso il "tabernacolo" - il primo "tabernacolo" nella storia (cfr. Ecclesia de Eucharistia, 55). Si rivolgeva dunque a Lei con filiale dedizione e con quell’amore che aveva portato dalla casa paterna, ed incoraggiava gli altri a tale amore. Scriveva alla Congregazione delle Ancelle del Sacro Cuore di Gesù, da lui fondata: "Tra i desideri del Sacro Cuore di Gesù uno dei più ardenti è quello che la sua Santissima Madre sia venerata ed amata da tutti, primo, perché il Signore stesso l’ama in modo ineffabile, e poi perché la fece madre di tutti gli uomini, affinché, con la sua dolcezza attirasse a sé persino coloro che fuggono dalla santa Croce e li conducesse al Cuore Divino".

Elevando alla gloria degli altari Giuseppe Sebastiano Pelczar, chiedo che per sua intercessione lo splendore della sua santità sia per le Ancelle del Sacro Cuore di Gesù, per la Chiesa di Przemyśl e per tutti i credenti in Polonia e nel mondo un incoraggiamento a questo amore verso Cristo e verso la sua Madre.]

3. Święta Urszula Ledóchowska przez całe swe życie wiernie i z miłością wpatrywała się w oblicze Chrystusa, swego Oblubieńca. W sposób szczególny jednoczyła się z Chrystusem konającym na Krzyżu. To zjednoczenie napełniało ją niezwykłą gorliwością w dziele głoszenia słowem i czynem Dobrej Nowiny o miłości Boga. Niosła ją przede wszystkim dzieciom i młodzieży, ale też osobom znajdującym się w potrzebie, ubogim, opuszczonym, samotnym. Do nich wszystkich mówiła językiem miłości popartej czynem. Z przesłaniem Bożej miłości przemierzyła Rosję, kraje skandynawskie, Francję i Włochy. Była w swoich czasach apostołką nowej ewangelizacji, dając swym życiem i działaniem dowód, że miłość ewangeliczna jest zawsze aktualna, twórcza i skuteczna.

I ona czerpała natchnienie i siły do wielkiego dzieła apostolstwa z umiłowania Eucharystii. Pisała: "Mam miłować bliźnich jak Jezus mnie umiłował. Bierzcie i jedzcie me siły, bo one są do waszej dyspozycji (...). Bierzcie i jedzcie moje zdolności, moją umiejętność (...), me serce - niech swą miłością rozgrzewa i rozjaśnia życie wasze (...). Bierzcie i jedzcie mój czas - niech on będzie do waszej dyspozycji. Jam wasza, jak Jezus jest mój". Czy w tych słowach nie brzmi echo oddania, z jakim Chrystus w Wieczerniku ofiarował samego siebie Uczniom wszystkich czasów?

Zakładając Zgromadzenie Sióstr Urszulanek Serca Jezusa Konającego przekazała mu tego ducha. "Przenajświętszy Sakrament - pisała - to słońce życia naszego, to nasz skarb, nasze szczęście, nasze wszystko na ziemi. (...) Kochajcie Jezusa w tabernakulum! Tam niech serce wasze czuwa, choć ciało przy pracy, przy zajęciu. Tam Jezus, a Jezusa trzeba nam kochać tak gorąco, tak serdecznie. Jeśli nie umiemy kochać, to przynajmniej pragnijmy kochać - kochać coraz więcej".

W świetle tej eucharystycznej miłości święta Urszula w każdej okoliczności umiała dostrzec znak czasu, aby służyć Bogu i braciom. Ona wiedziała, że dla człowieka wierzącego każde, nawet najmniejsze wydarzenie staje się okazją do realizowania planów Bożych. To, co zwyczajne czyniła nadzwyczajnym; codzienne zamieniała w ponadczasowe; to, co przyziemne czyniła świętym.

Jeżeli dziś święta Urszula staje się przykładem świętości dla wszystkich wierzących, to dlatego, że jej charyzmat może być podjęty przez każdego, kto w imię miłości Chrystusa i Kościoła chce skutecznie dawać świadectwo Ewangelii we współczesnym świecie. Wszyscy możemy uczyć się od niej, jak z Chrystusem budować świat bardziej ludzki - świat, w którym coraz pełniej będą realizowane takie wartości, jak: sprawiedliwość, wolność, solidarność, pokój. Od niej możemy uczyć się jak na co dzień realizować „nowe" przykazanie miłości.

[Sant’Orsola Ledóchowska, per tutta la sua vita, con fedeltà e con amore, fissava con lo sguardo il volto di Cristo, suo Sposo. In modo particolare si univa a Cristo agonizzante sulla Croce. Tale unione la colmava di uno straordinario zelo nell’opera dell’annunciare, con parole ed opere, la Buona Novella dell’amore di Dio. La portava prima di tutto ai bambini e ai giovani, ma anche a tutti coloro che si trovavano nel bisogno, ai poveri, agli abbandonati, ai soli. A tutti si rivolgeva con il linguaggio dell’amore provato con le opere. Con il messaggio dell’amore di Dio attraversò la Russia, i Paesi scandinavi, la Francia e l’Italia. Ai suoi tempi fu un’apostola della nuova evangelizzazione, dando con la sua vita e con la sua attività la prova di una costante attualità, creatività ed efficacia dell’amore evangelico.

Anche lei attingeva dall’amore per l’Eucaristia l’ispirazione e la forza per la grande opera dell’apostolato. Scriveva: "Devo amare il prossimo come Gesù ha amato me. Prendete e mangiate... Mangiate le mie forze, sono a vostra disposizione (...). Prendete e mangiate le mie capacità, il mio talento (...), il mio cuore, affinché con il suo amore esso riscaldi e illumini la vostra vita (...). Prendete e mangiate il mio tempo, sia a vostra disposizione. (...) sono vostra come Gesù-Ostia è mio". Non risuona in queste parole l’eco di un dono con il quale Cristo, nel Cenacolo, offrì se stesso ai Discepoli di ogni tempo?

Fondando la Congregazione delle Suore Orsoline del Sacro Cuore di Gesù Agonizzante, trasmise ad essa questo spirito. "Il Santissimo Sacramento - scrisse - è il sole della nostra vita, il nostro tesoro, la nostra felicità, il nostro tutto sulla terra. (...) Amate Gesù nel tabernacolo! Là rimanga sempre il vostro cuore anche se materialmente siete al lavoro. Là è Gesù, che dobbiamo amare ardentemente, con tutto il cuore. E se non sappiamo amarlo, desideriamo almeno di amarlo - di amarlo sempre più".

Alla luce di quest’amore eucaristico Sant’Orsola sapeva scorgere in ogni circostanza un segno del tempo, per servire Dio e i fratelli. Sapeva, che per chi crede, ogni evento, persino il più piccolo diventa un’occasione per realizzare i piani di Dio. Quello che era ordinario, lo faceva diventare straordinario; ciò che era quotidiano lo mutava perché diventasse perenne; ciò che era banale lei lo rendeva santo.

Se oggi Sant’Orsola diventa esempio di santità per tutti i credenti, è perché il suo carisma possa essere accolto da chi nel nome dell’amore di Cristo e della Chiesa voglia in modo efficace testimoniare il Vangelo nel mondo di oggi. Tutti possiamo imparare da lei come edificare con Cristo un mondo più umano - un mondo in cui verranno realizzati sempre più pienamente valori come la giustizia, la libertà, la solidarietà, la pace. Da lei possiamo imparare come mettere in pratica ogni giorno il comandamento "nuovo" dell’amore.]

4. "Questo è il suo comandamento: che crediamo... e ci amiamo gli uni gli altri" (1 Gv 3,23). L'apostolo Giovanni esorta ad accogliere l'amore sconfinato di Dio, che per la salvezza del mondo ha dato il suo Figlio unigenito (cfr Gv 3,16). Questo amore si è espresso in modo sublime quando è espresso in modo sublime quando Cristo ha versato il suo Sangue quale "prezzo infinito del riscatto" per l'intera umanità. Dal mistero della Croce fu interiormente conquistata Maria De Mattias, che pose l'Istituto delle Suore Adoratrici del Sangue di Cristo "sotto lo stendardo del Divin Sangue". L'amore per Gesù crocifisso si tradusse in lei in passione per le anime e in un'umile dedizione ai fratelli, al "caro prossimo", come amava ripetere. "Animiamoci – esortava - a patire volentieri per amore di Gesù che con tanto amore ha dato il sangue per noi. Fatichiamo per guadagnare anime al cielo".

Questo messaggio Santa Maria De Mattias affida ai suoi figli e alle sue figlie spirituali quest'oggi, spronando tutti a seguire fino al sacrificio della vita l'Agnello immolato per noi.

5. Lo stesso amore sostenne Virginia Centurione Bracelli. Seguendo l'esortazione dell'apostolo Giovanni, volle amare non soltanto "a parole", o "con la lingua", ma "coi fatti e nella verità" (cfr 1 Gv 3,18). Mettendo da parte le sue nobili origini, si dedicò all'assistenza degli ultimi con straordinario zelo apostolico. L'efficacia del suo apostolato scaturiva da una adesione incondizionata alla volontà divina, che si alimentava di incessante contemplazione e di ascolto obbediente della parola del Signore.

Innamorata di Cristo, e per Lui pronta a donare se stessa ai fratelli, santa Virginia Centurione Bracelli lascia alla Chiesa la testimonianza di una santità semplice e feconda. Il suo esempio di coraggiosa fedeltà evangelica continua ad esercitare un forte fascino anche sulle persone del nostro tempo. Soleva dire: quando si ha come fine Dio soltanto, "tutte le opposizioni si spianano, tutte le difficoltà si vincono" (Positio, 86).

6. "Rimanete in me!". Nel Cenacolo Gesù ha più volte ripetuto questo invito, che san Józef Sebastian Pelczar, santa Urszula Ledóchowska, santa Maria De Mattias e santa Virginia Centurione Bracelli hanno accolto con totale fiducia e disponibilità. E' un invito pressante e amorevole rivolto a tutti i credenti. "Se rimarrete in me - assicura il Signore - e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato" (Gv 15,7).

Possa ciascuno di noi sperimentare nella propria esistenza l'efficacia di questa assicurazione di Gesù.

Ci sia di aiuto Maria, Regina dei Santi e modello di perfetta comunione con il suo divin Figlio. Ci insegni a restare "innestati" a Gesù, come tralci alla vite, e a non separarci mai dal suo amore. Nulla, infatti, possiamo senza di Lui, perché la nostra vita è Cristo vivo e presente nella Chiesa e nel mondo. Oggi e sempre. Amen.

Sia lodato Gesù Cristo!

SOLENNE BEATIFICAZIONE DI MADRE URSZULA LEDÓCHOWSKA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Poznań, 20 giugno 1983

 

1. “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente!” (Mt 16, 16).

Ho ripetuto questa confessione di Pietro il giorno 22 ottobre 1978, quando, per gli inscrutabili decreti della Divina Provvidenza, mi toccò di iniziare il servizio nella Sede di Pietro in Roma.

Oggi le ripeto qui, a Poznan, nel luogo dove questa confessione veniva pronunciata sin dai tempi più remoti nei territori dei Piast, dopo il Battesimo di Mieszko nell’anno 966. Sin dai tempi più antichi le labbra del Vescovo pronunciavano questa confessione di Pietro, poiché già due anni dopo il Battesimo Poznan, per prima in Polonia, “coepit habere episcopum”: cominciò ad avere il proprio Vescovo.

“Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente!”. La stessa confessione di Pietro ripetevano le labbra degli avi sin da quei tempi antichissimi e i cuori si aprivano al Redentore del mondo, prima sconosciuto, che come Figlio di Dio, della stessa sostanza del Padre, si fece uomo e nacque dalla Vergine Maria.

2. Su questa confessione di Pietro sin dall’inizio si edifica la Chiesa secondo le parole di Cristo: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa” (Mt 16, 18). Così dunque insieme con la confessione del primo Vescovo nella Polonia dei Piast, il cui nome era Jordan, si edifica la Chiesa sul suolo di questa nostra patria. Nell’anno millesimo il Vescovo Unger accoglie a Poznan e a Gniezno l’imperatore Ottone III e i legati pontifici, giunti per il cosiddetto Convegno di Gniezno, accanto alle reliquie del Martire sant’Adalberto. L’edificazione della Chiesa nella nostra patria procede. Sorge la Metropoli di Gniezno e, ad essa collegate, nuove sedi vescovili a Cracovia, Wroclaw e Kolobrzeg. Cresce la comunità di coloro che ripetono la confessione di Pietro, ancora nell’antica lingua materna. “Tu sei il Cristo, il Figlio dei Dio vivente”. E sin dall’inizio, sin dai tempi di Mieszko, la cattedrale vescovile di Poznan rimane col titolo di San Pietro e Paolo. Essi sono anche i patroni di Poznan e le loro figure si trovano sullo stemma della città.

3. Grande è la mia gioia di poter oggi giungere al castello di Przemyslaw, facendo il pellegrinaggio in Polonia per il Giubileo patrio della Signora di Jasna Gora. Grande è la mia gioia di poter giungere insieme a voi, cari fratelli e sorelle, eredi del trascorso millennio della Nazione e della Chiesa, e ripetere la confessione di Pietro. Sono venuto qui molte volte, specialmente nel periodo dei servizio pastorale del metropolita di Poznan, Antoni Baraniak, di santa memoria, la cui fortezza pastorale, la cui umiltà e i cui meriti noti solo a Dio circondiamo sempre di profonda venerazione.

Oggi saluto qui il suo successore nella sede di Poznan, coetaneo nella mia nomina vescovile, Arcivescovo Jerzy, i Vescovi ausiliari e tutti i rappresentanti dell’Episcopato presenti: il Cardinale Primate, il Cardinale Metropolita di Cracovia, tutti gli Arcivescovi e i Vescovi della Polonia. Saluto il Capitolo Metropolitano, tutto il clero, gli Ordini religiosi maschili e femminili. Saluto tutti gli ospiti giunti a Poznan da fuori dell’arcidiocesi.

Mi rendo conto che il luogo dove mi trovo ha avuto un ruolo fondamentale non solo nella storia del cristianesimo, ma anche nella storia dello Stato e della cultura polacca. La Cattedrale dei Santi Apostoli Pietro e Paolo testimonia che, sin dall’inizio, in questa terra dei Piast e in tutta la Polonia la Chiesa fu unita e Roma. A Roma, non solo come sede di Pietro, ma anche come centro di cultura. Perciò la cultura polacca possiede i contrassegni caratteristici soprattutto occidentali europei.

4. Sono lieto di potermi trovare in questo luogo, al centro della più antica delle terre dei Piast, dove oltre mille anni fa ha avuto inizio la storia della Nazione, dello Stato e della Chiesa.

Insieme con Cristo, che Pietro confessò Figlio del Dio vivente, sono giunti qui il Vangelo e l’intera Rivelazione. Dagli abitanti di questa terra vennero consapevolmente accolte le parole del Creatore, pronunciate all’inizio: Crescete e moltiplicatevi soggiogate e dominate la terra (cf. Gen 1, 28). Queste parole hanno legato insieme la chiamata alla vita familiare con il lavoro umano. I nostri avi dominavano la terra su questo vasto territorio della Grande Polonia, tagliando i boschi, coltivando i campi, costruendo villaggi e città.

Dopo secoli siamo qui testimoni del lavoro di tante generazioni. Vi fu un tempo in cui, nel XIX secolo, esse dovevano lottare per il mantenimento del proprio posto di lavoro, in questa terra della Grande Polonia, dove gli occupanti volevano distruggere lo spirito nazionale. Da quell’epoca proviene la tradizione del profondo legame con la terra, la tradizione della coltivazione razionale del terreno e la tradizione dell’organizzazione sociale, che assicuravano lo stato di possesso polacco. Simbolo dell’intransigente difesa dei fondamentali diritti del polacco e dell’agricoltore diventò il carro di Drzymala. Sono anche un simbolo i cognomi dei grandi operatori sociali, specialmente del clero, come l’Arcivescovo Florian Stablewski o i sacerdoti, tipo Don Piotr Mawrzyniak. Un sostegno per loro diventò a suo tempo l’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII.

5. Per la generazione contemporanea degli uomini del lavoro e prima di tutto dei lavoratori della terra, un sostegno simile può essere l’enciclica Mater et Magistra, di Giovanni XXIII: “. . . un problema di fondo che si pone - scrive in essa il venerato predecessore - è il seguente: come procedere perché sia ridotto lo squilibrio nell’efficienza produttiva tra il settore agricolo da una parte e il settore industriale e quello dei servizi dall’altra, e perché il tenore di vita della popolazione agricolo-rurale sia distanziato quanto meno e possibile dal tenore di vita dei cittadini che traggono il loro reddito dal settore industriale e da quello dei servizi; e quanti lavorano la terra non abbiano un complesso di inferiorità; siano invece persuasi che anche nell’ambiente agricolo-rurale possono affermare e sviluppare la loro persona attraverso il loro lavoro e guardare fiduciosi l’avvenire . . . Ci è caro esprimere il nostro compiacimento a quei figli che in varie parti del mondo sono impegnati nelle iniziative cooperativistiche, nelle associazioni professionali e nei movimenti sindacali ad elevazione economico-sociale di quanti lavorano la terra” (Giovanni XXIII, Mater et Magistra, III).

6. Tuttavia voglio sottolineare queste parole dell’enciclica sociale con ciò che udii, in terra polacca, dalla bocca del defunto Primate Cardinale Stefan Wyszynski. Quanto grande era la sua intuizione per questo legame dell’uomo con la terra, che sta alla base dell’esistenza di tutta la società! Come giustamente egli metteva sull’avviso davanti alla trascuratezza dell’agricoltura, davanti all’esodo dalla terra e all’eccessiva urbanizzazione! Si sentiva nelle sue parole quasi un’eco lontana di quella tradizione risalente al tempi di Piast, che egli apprese dalla Bibbia: la chiamata “soggiogate e dominate la terra”, e nell’attuazione di questa chiamata cercava il consolidamento delle fondamenta stesse di questa ragion di stato nazionale e statale della propria Patria.

Ecco che cosa disse il Cardinale Wyszynski il 2 aprile 1981 al rappresentanti di “Solidarietà rurale”: “Quando il terreno è coperto d’erba i più grandi tifoni non lo soffiano via facilmente, anche se esso fosse sabbioso. Ma quando il terreno diventa un luogo deserto, è molto facile conquistarlo . . . Dal romanzo “Contadini” di Reymont conosciamo la commovente storia di Botyna. La sua morte con le braccia tese sulla terra e nel sussurro dei venti: Padrone “resta con noi”, è un’immagine molto eloquente. Quando ci si incontra più da vicino con l’enorme forza spirituale, morale e sociale dell’ambiente rurale, si vede chiaramente quanto giusta è la lotta per i diritti fondamentali della persona umana, quanto motivata è un’ulteriore ragione del rispetto di quei diritti che proviene dal fatto di possedere la terra”.

Auguro anche a voi, agricoltori della Grande Polonia, a voi agricoltori di tutta le mia Patria, di tenere in mente queste parole del Cardinale Wyszynski, come testamento di un grande polacco, di un grande amante della terra polacca e della Nazione polacca.

7. “Benedirò il Signore in ogni tempo, / sulla mia bocca sempre la sua lode. / Io mi glorio nel Signore, / ascoltino gli umili e si rallegrino (Sal 34, 2-3).

In questo primo giorno desidero in modo particolare benedire il Signore, poiché mi è dato tra voi, cari connazionali, di poter elevare agli onori degli altari - mediante la beatificazione - la Venerabile Serva di Dio, Madre Orsola Ledóchowska.

Certamente grande è la nostra gioia comune, che durante il Giubileo nazionale della Signora di Jasna Gora e insieme nell’ambito dell’Anno della Redenzione, possa aver luogo questa beatificazione. Alla gloria dei Beati viene elevata una Figlia della nota famiglia polacca. La località di Lipnica Murowana (nella diocesi di Tarnów), di dove la famiglia Ledóchowski ha avuto la casa, è la stessa località dalla quale proveniva, nel XV secolo, il beato Szymon da Lipnica. La sorella carnale della Madre Orsola, Maria Teresa Ledóchowska, conosciuta comunemente come “madre dell’Africa nera, e fondatrice del Sodalizio di san Pietro Claver (Suore Claveriane), fu beatificata alcuni anni fa da Paolo VI.

La vocazione di Orsola fu la gioventù e la sua educazione, inoltre il molteplice aiuto nel lavoro pastorale della Chiesa. Scoprì la strada di questa vocazione nel Convento delle Suore Orsoline di Cracovia. Nell’anno 1907 partì di lì - con l’assenso del Papa Pio X - per il lavoro apostolico alla città chiamata allora Pietroburgo, in Russia. Costretta ad abbandonare la Russia nel 1914, svolse il suo apostolato nei Paesi scandinavi e, al tempo stesso, sviluppò una molteplice azione in favore della sua Patria tormentata. Quando, dopo la guerra, chiese al Papa Benedetto XV di approvare la nuova Congregazione, sorta in modo così insolito durante questo suo apostolato, ricevette da lui l’approvazione. Il Preposito generale dei Gesuiti di allora, fratello carnale della Madre Orsola, Padre Vladimiro Ledóchowski, era il consigliere della sorella presso la Sede apostolica.

Un grande influsso sulla vita della Beata e dei suoi fratelli e sorelle ebbe il loro zio, Cardinale Mieczyslaw Ledóchowski, Arcivescovo di Gniezno-Poznan, Primate della Polonia e poi Prefetto della Sacra Congregazione per la Propaganda della fede. È noto che, anche in prigione, proprio qui a Poznan, egli si oppose alla politica del “Kulturkamph” prussiano, per salvare la fede, lo spirito polacco e l’autonomia della Chiesa in Polonia; per questo motivo fu perseguitato e incarcerato.

Qui a Pniewy, vicino a Poznan, si trova la casa madre della Congregazione delle Suore Orsoline del Cuore di Gesù Agonizzante, comunemente chiamate Orsoline Grigie. Madre Orsola Ledóchowska è stata la fondatrice di questo ramo polacco delle Orsoline, e anche della casa di Pniewy. La Congregazione tuttavia si diffuse in diverse parti della Polonia e fuori dell’Europa. Contemporaneamente, Madre Orsola svolgeva il suo apostolato (dietro richiesta della Sede Apostolica) a Roma, e lì concluse i suoi giorni terreni, il 29 maggio 1939; lì si trova anche la sua tomba presso la Casa generalizia in via del Casaletto.

Annoverando Madre Orsola Ledóchowska nell’albo dei beati, la consegniamo alla Chiesa della Polonia e alla Congregazione delle Suore Orsoline, per la gloria di Dio, per l’elevazione delle anime umane e per la loro eterna salvezza.

8. “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente!”. Ritorno alle parole della confessione di Pietro, che risuonano nella storia del Popolo di Dio su questa terra della Grande Polonia, unita da oltre mille anni intorno alla cattedrale dei Santi Apostoli.

La Poznan cattolica ripete le parole di Pietro in modo particolare sin dal tempo dell’indipendenza della Patria, riacquistata nell’anno 1918, in base all’unione con Gniezno (che durò sino dal 1821), Poznan era allora anche la sede del Primate di Polonia. La Confessione di Pietro si manifestò, nella storia della città, mediante la costruzione del monumento al Sacratissimo Cuore di Gesù. Questo monumento - come espressione di ringraziamento per la riacquistata indipendenza - venne distrutto dall’invasore durante la seconda guerra mondiale.

Oggi su questo luogo son sorte due croci in memoria delle vittime del 1956. Per diversi motivi - in considerazione del passato più remoto e più recente - questo luogo è venerato dalla società di Poznan e dalla “Grande Polonia”. Voglio dunque anch’io inginocchiarmi in questo luogo a rendere onore.

9. Poznan! La Poznan di oggi, una città di grande tradizione. Una città che traccia nella vita della Nazione uno stile speciale di edificazione del bene comune. La città dei grandi stabilimenti industriali. È la città della cultura universitaria contemporanea. La città, nella quale in modo del tutto particolare sono maturati il pensiero sociale cattolico e la struttura nazionale delle organizzazioni cattoliche. La città dalle molte pubblicazioni e dalle molte case editrici.

Desidero, visitando Poznan sul percorso del pellegrinaggio di quest’anno, vederla ancora una volta nelle dimensioni del millennio, ma anche nelle dimensioni del Giubileo di Jasna Gora. E perciò con tutto il cuore mi avvicino a questo luogo nel quale la principessa Dobrawa, moglie di Mieszko e madrina della Nazione polacca edificò su Ostrow Tumski la cappella del castello, dedicata alla Santissima Vergine Maria.

È la più antica traccia di questo grande patrimonio, che accogliamo nel solenne Giubileo nazionale di quest’anno. Di questa eredità che desideriamo portare nei secoli successivi.

Mi fermo dunque in questo luogo e ripeto: “Madre di Dio, Vergine / Maria, che per Dio sei lodata. / Dal tuo Figlio, Signore / Ottienici, implora per noi / la sua pietà (Kyrie eleison)”.

Prima della benedizione, ha rivolto all’assemblea un breve saluto

Prima della benedizione finale, vorrei salutare ancora una volta tutti i presenti, non soltanto i rappresentanti della città e dell’arcidiocesi di Poznan ma anche i pellegrini venuti da fuori arcidiocesi, soprattutto dalla confinante arcidiocesi di Gniezno; dalla diocesi di Wloclawek, insieme con il Vescovo ordinario e con i Vescovi ausiliari; dalla diocesi di Chelmno insieme con il Vescovo ordinario e con i suoi collaboratori nell’Episcopato; dalla diocesi di Gorzów, insieme con il Vescovo Monsignor Wilhelm Pluta e con il Vescovo ausiliare; dalla diocesi di Koszalin insieme con il Vescovo ordinario e con il Vescovo ausiliare.

Prego tutti i pellegrini di portare alle loro comunità, diocesi e parrocchie, questa comunione dei Santi, messa in rilievo dalla beatificazione di Urszula Ledóchowska, e anche la comunione della Chiesa polacca che vive la sua unione con i santi apostoli Pietro e Paolo, mediante la presenza del successore di Pietro. Rivolgo la stessa preghiera ai nostri ospiti venuti dall’estero. È qui presente il Vescovo della diocesi di Sankt Polten in Austria, dove nacque la beata Urszula; il Vescovo di Schwerin in Germania, nonché i Vescovi venuti da Helsinki in Finlandia. Preghiamo questi nostri fratelli nella vocazione episcopale di salutare le loro Chiese e i loro popoli nello spirito della comunione cristiana, che oggi celebriamo qui a Poznan.

Parole particolari spettano ovviamente alle Orsoline Grigie; si può dire che questo è il loro giorno, il loro grande giorno. La loro gioia ci rallegra; auguriamo ad esse che il giorno della beatificazione della loro fondatrice dia inizio a un nuovo periodo nello sviluppo di questa famiglia religiosa, che ci è così cara.

Voglio proprio a Poznan aggiungere a questi saluti uno particolare, a tutti i catechisti e le catechiste, appartenenti al clero, ma soprattutto ai laici. Poznan è un grande centro della catechesi, e del pensiero catechetico. Voglio salutare tutti i catechisti e le catechiste sia dell’arcidiocesi, sia di tutta la Polonia. Infine, proprio qui, non posso rimanere in debito con i giovani studenti, che mi hanno mandato speciali lettere a Roma. Rispondo a queste lettere con tutto il cuore così come posso. L’ho già fatto una volta sabato sera, durante l’incontro con i giovani e lo faccio ancora qui a Poznan.

Poznan ha dato alla Polonia e alla Chiesa alcuni Vescovi. Desidero salutarli in questa nostra comunione di oggi.

Miei cari fratelli e sorelle, la benedizione in nome della Santissima Trinità deve in un certo modo sigillare questa magnifica, soprannaturale realtà sacramentale: l’Eucaristia. Così succede ogni volta. La nostra Eucaristia è particolarmente solenne, particolarmente eloquente, piena di calori antichi e attuali, piena di vita e di vicende umane.

Che su tutto questo si estenda ora la benedizione di Dio onnipotente, uno nella Santissima Trinità.

Voglio benedire anche tutte le prime pietre delle chiese che saranno costruite. Queste pietre si trovano davanti all’altare. Che anch’esse siano benedette insieme agli uomini e per gli uomini.