Causa in corso
Elisabetta Tasca
- Venerabile Servo di Dio -

Elisabetta Tasca

(1899 - 1978)

Venerabilità:

- 06 dicembre 2014

- Papa  Francesco

Laica e Madre di famiglia; tra le pareti domestiche, intenta ai comuni lavori di tutti i giorni, a servizio del marito e della sua numerosa prole, diede continuamente la sensazione e l’impressione di essere una cristiana fuori dal comune. La sua vita interiore fu incentrata sulla Celebrazione Eucaristia alla quale partecipava quasi quotidianamente, quando i lavori dei campi o la salute glielo consentivano. Chi la vedeva pregare a casa o in chiesa restava colpito ed edificato

  • Biografia
Pur non essendo benestante, fu generosa con le persone bisognose, insegnando ai figli a condividere anche il poco che si possedeva

 

La Venerabile Serva di Dio Elisabetta Tasca nacque il 24 aprile 1899 a S. Zenone degli Ezzelini, in una casa colonica sulle pendici delle colline trevigiane, ai piedi del Monte Grappa. Battezzata lo stesso giorno della nascita, ricevette in famiglia, soprattutto dal padre, una educazione profondamente cristiana. Fu cresimata il 26 gennaio 1908. Poté frequentare con molto profitto, per la sua intelligenza vivace, solo i primi tre anni della Scuola elementare, ma dovette ben presto aiutare i genitori nel duro lavoro dei campi, della stalla, della casa. Abbiamo notizie frammentarie, ma sicure della sua connaturale inclinazione per la vita spirituale, della sua attiva partecipazione alla vita ecclesiale e della sua volontà di crescere interiormente attraverso la vita di pietà e le letture cui poteva accedere. La giovane Elisabetta era di costumi molto limpidi e questo fu chiaro quando, nel 1915-1918, durante la I Guerra Mondiale, alcuni ufficiali e soldati italiani si stabilirono nella casa dei Tasca, che si trovava nel cuore dell’area di guerra: la Venerabile Serva di Dio dimostrò giovanile allegria, simpatia e naturalezza, senza mai cedere a compromessi con la sua rettitudine morale.

Finita la Guerra, durante un pranzo in onore dei Reduci, Giuseppe Serena, che era amico dei fratelli della Venerabile Serva di Dio, vide Elisabetta e se ne invaghì. Elisabetta, prima di rispondere, pregò e si consigliò con il parroco e, infine, sentendo nascere attrattiva per il giovane Giuseppe, accettò di sposarlo. Fatte le pubblicazioni nel gennaio del 1921, il matrimonio fu celebrato il 6 aprile 1921. Il viaggio di nozze, in quei tempi di gravi ristrettezze economiche, consistette in un giorno trascorso a Venezia.

La coppia si trasferì presso la famiglia dello sposo. Era una grande famiglia contadina dove già vivevano, oltre ai suoceri, e i figli non ancora sposati, il figlio Pietro con la moglie Lucia e i figli.

La vita matrimoniale di Elisabetta in casa Serena non fu facile. Il suocero, era un uomo intelligente e dotato di una qualche istruzione; egli però, dominava in modo dispotico su tutta la famiglia e, soprattutto, aveva annientato psicologicamente la moglie e i figli e per 9 anni, sino alla morte, tenne sottomessa anche Elisabetta. Il marito era un gran lavoratore, ma analfabeta, debole caratterialmente, con poca iniziativa e scarsa autostima, inadeguato nel condurre una famiglia e incapace di educare i figli. Tratti comportamentali atti a turbare la convivenza coniugale erano la sua chiusura, la sua esagerata gelosia e l’inclinazione all’abuso di alcool. Era molto ombroso e il dialogo con lui era difficile, se non impossibile.

Nonostante la pesante situazione matrimoniale, Elisabetta era sempre allegra, dedita al lavoro, contenta del poco che aveva, desiderosa di vivere in pace con tutti, temprando il carattere molto indipendente. La cognata ricorda la piena armonia vissuta per 16 anni con Elisabetta.

Fra il 1922 e il 1940, la Venerabile Serva di Dio mise al mondo 12 figli e subì 6 aborti spontanei. In due gravidanze, i medici consigliarono l’aborto terapeutico per le malferme condizioni di salute di Elisabetta, che era affetta da nefrite, ma ella preferì mettere a rischio la sua vita piuttosto che perdere un figlio. Era sostenuta in modo meraviglioso dalla preghiera, dalla frequenza all’istruzione religiosa e dai consigli di sacerdoti saggi e santi, come san Leopoldo Mandić. Al Santo cappuccino di Padova Elisabetta ricorse più volte e illuminata da lui e altri buoni sacerdoti.

Nel 1945, finita la Seconda Guerra Mondiale e passata la bufera della Guerra Civile nel Nord Italia, la famiglia Serena allargata, dovette affrontare la decisione di dividersi perché non potevano vivere sullo stesso fondo i due nuclei famigliari di Giuseppe e di Pietro con i loro figli.[3] Elisabetta e Giuseppe si trasferirono a Vo’ di Brendola coltivando i campi come mezzadri dei Conti Maffei dal 1945 al 1963. La vita era molto dura e genitori e figli facevano spesso la fame, nutrendosi di polenta e insalata. Il marito si dimostrava del tutto incapace di condurre famiglia e lavoro e, così, fu Elisabetta a dover prendere in mano la gestione della casa e dei campi: in questo periodo emersero con chiarezza la sua forza, la sua determinazione e la sua severità educativa. Questi aspetti della sua psicologia devono, perciò, essere collocati nel delicato contesto familiare in cui ella dovette vivere.

Elisabetta non coltivava soltanto i campi, ma anche l’anima sua e dei suoi figli. Frequentava la Chiesa e i sacramenti, dedicava i momenti liberi alla preghiera e alla lettura, era assidua del Convento dei Cappuccini a Padova e del Santuario mariano dei Serviti a Monte Bèrico. Dava ai suoi figli l’esempio di una vita timorata di Dio, li accompagnava al catechismo e impartiva lei stessa lezioni di dottrina cristiana e di storia sacra, li abituava alla preghiera domestica del Rosario e alla coerenza di vita. Due di loro si fecero Passionisti, Angelo nel 1943 e Gabriele nel 1949, e due si fecero suore nell’Istituto di don Nascimbeni, Elisalma nel 1943 e Piergiuseppina nel 1948. Gli altri, uno dopo l’altro, si sposarono.

Il matrimonio del figlio Fausto, nel 1949, avvenne in circostanze particolari perché la sua fidanzata, José Brunello, era rimasta incinta: Elisabetta accolse la notizia con grande sofferenza e reagì con inflessibilità. Dopo un periodo passato presso parenti nell’Agro Pontino motivato sia dallo scandalo sia dal fatto che bisognava adattare un fienile a dimora della nuova famiglia, Elisabetta dovette convivere con la nuova coppia e la convivenza, protrattasi dal 1949 al 1962, fu pesante. Nel 1950, Elisabetta si oppose con forza al matrimonio della figlia Sabina perché riteneva il marito un malato di nervi e non volle partecipare al suo matrimonio. In effetti lo sposo di Sabina, Guglielmo Lovato, si ammalò dopo qualche anno di nervi.

A turbare la vita della famiglia Serena intervenne un grave dissesto economico dovuto alla sprovvedutezza del figlio secondogenito, Lino Serena, che era a capo dell’azienda: questi, nell’estate del 1956, firmò cambiali in bianco a favore del suo padrone, il dottor Francesco Maffei. L’insolvenza del Maffei e una serie di annate scarse in campagna annientò la famiglia. La questione economica si risolse solo nel 1963, ma, una volta saldati i debiti, i Serena si ritrovarono sul lastrico. Dopo 18 anni di lavoro, essi lasciarono i campi poveri come vi erano arrivati e presero in affitto, sempre a Vo’ di Brendola una catapecchia. Alcuni figli si trasferirono altrove, altri emigrarono nelle Americhe e rimase con i genitori solo il figlio Benito. Nonostante i dolori alle articolazioni e alla colonna e i bruciori lancinanti dovuti al Fuoco di Sant’Antonio, ella si prendeva cura della casa e del marito e offriva tutto al Signore in spirito di penitenza. Nel 1961, intanto, il marito Giuseppe cominciò a manifestare i segni di un deficit mentale a base degenerativa diagnosticato – secondo le teorie mediche in voga nel XX secolo – come “arteriosclerosi”: egli ne morirà, assistito e servito in tutto per 6 anni dalla moglie, nel 1967.

Nel 1966, il 15 agosto, finalmente la Venerabile Serva di Dio e suo marito poterono entrare nella casa di proprietà costruita a Vo’ di Brendola con l’aiuto dei figli e nello stesso giorno fu ordinato il figlio Gabriele.

Gli ultimi anni la Venerabile Serva di Dio li trascorse con il figlio Benito e la nuora Rita e, dal 1976, con la figlia Sabina e il marito Guglielmo. Accettava con cristiano abbandono la volontà di Dio, sopportava con fortezza le molte sofferenze e umiliazioni, offriva i suoi dolori per le vocazioni, la conversione dei peccatori e per il Santo Padre, si preparava al Cielo. Si comunicava quotidianamente e i figli sacerdoti di tanto in tanto celebravano la messa in casa. Ricevette negli ultimi giorni gli estremi sacramenti.

Morì piamente il 3 novembre 1978, circondata dai suoi figli. Per sua volontà, fu cantato un Te Deum di lode a Dio per i benefici che aveva dato in terra alla sua Serva.

I funerali si svolsero il 5 novembre e il corpo della Venerabile Serva di Dio fu deposto nella tomba di famiglia del cimitero del paese, visitato da devoti che ne chiedono l’intercessione.

 

Iter giuridico della Causa

L’Inchiesta Diocesana fu istruita presso la Curia ecclesiastica di Vicenza (Italia), dal 7 marzo al 23 novembre 1992, in settantadue Sessioni, durante le quali furono raccolte le prove documentali e vennero escussi sessantanove testi, di cui due ex officio.

Il Decreto sulla validità del’Inchiesta fu emesso il 1° ottobre 1993.

 

Congresso Peculiare dei Consultori Teologi

Si tenne il 20 giugno 2009, presieduto dal Promotore della Fede, con la presenza dei Consultori prescritti, i quali sottolinearono che la Venerabile Serva di Dio affrontò la vita familiare con molto coraggio, con spirito di sacrificio e dedizione, rinunciando continuamente a se stessa e fronteggiando le problematiche della vita coniugale con un marito che spesso fu definito ombroso, “geloso” delle qualità della moglie e assente nell’educazione dei figli. Sopportò tale situazione senza farne parola ad alcuno anzi, curò il marito con profonda carità quando si ammalò di arteriosclerosi. Pur non essendo benestante, fu generosa con le persone bisognose, insegnando ai figli a condividere anche il poco che si possedeva.

 

Sessione Ordinaria dei Cardinali e dei Vescovi

Si riunì il 18 novembre 2014. L’Ecc.mo Ponente, dopo aver ripercorso l’iter della Causa e tratteggiato il profilo biografico della Venerabile Serva di Dio, si soffermò sui alcuni dubbi emersi nel Congresso peculiare dei Consultori Teologi. L’intera vicenda terrena della Venerabile Serva di Dio fu animata e vivificata dalla fede. Tra le pareti domestiche, intenta ai comuni lavori di tutti i giorni, a servizio del marito e della sua numerosa prole, diede continuamente la sensazione e l’impressione di essere una cristiana fuori dal comune. La sua vita interiore fu incentrata sulla Celebrazione Eucaristia alla quale partecipava quasi quotidianamente, quando i lavori dei campi o la salute glielo consentivano. Chi la vedeva pregare a casa o in chiesa restava colpito ed edificato, chi la sentiva parlare aveva l’impressione di sentire echeggiare le parole dei personaggi biblici, chi la avvicinava percepiva una fede gioiosa. L’immagine che più perdura è quella di una madre che prega per tutti, in qualsiasi ora del giorno e della notte. In mezzo alle tante vicissitudini della vita, mai la si vide lamentarsi o scoraggiarsi. Si prodigava nell’assistenza degli ammalati ed in particolare del marito, con il quale ebbe grande carità e pazienza quando fu colpito da demenza senile. Vivendo nel ripetitivo ritmo quotidiano di sposa, madre, contadina, alle prese con i problemi reali della vita, seppe percorrere la via della perfezione evangelica. La sua fama di santità, diffusa soprattutto dai due figli passionisti, si sviluppò molto velocemente, varcando i confini dell’Italia.

Al termine della Relazione dell’Ecc.mo Ponente, che concluse constare de heroicitate virtutum, gli Em.mi ed Ecc.mi Padri risposero al dubbio con sentenza unanime affermativa