Causa in corso
Enrico Bartoletti
- Venerabile Servo di Dio -

Enrico Bartoletti

(1916 - 1976)

Venerabilità:

- 21 novembre 2025

- Papa  Leone XIV

Arcivescovo di Lucca; traeva nutrimento e vigore dalla preghiera, dallo studio attento e dalla meditazione della Parola di Dio. L’Eucaristia era fonte e culmine della sua spiritualità e coloro che lo conobbero furono colpiti dal suo modo di pregare e di celebrare la Santa Messa. Il suo motto episcopale, In spe fortitudo, testimonia l’importanza della speranza che visse in grado eroico

  • Biografia
«La celebrazione eucaristica era il centro della sua spiritualità. Ad essa collegava tutta la sua vita e lo stesso esercizio delle virtù teologali»

 

Il Venerabile Servo di Dio Enrico Bartoletti nacque il 7 ottobre 1916 a San Donato di Calenzano, nella provincia ed arcidiocesi di Firenze. Secondogenito di quattro figli, suo padre era un abile e stimato fabbro, la madre lavorava in casa e si prendeva cura della casa. Famiglia e parrocchia furono gli ambienti in cui crebbe, ricevette la prima educazione cristiana ed avvertì i primi segni della vocazione al sacerdozio.

All’età di 15 anni fece il suo ingresso nel seminario fiorentino di Cestello. A partire dal 1933, nel pieno dell’adolescenza, prese a tenere un diario spirituale, nel quale annotava sistematicamente riflessioni spirituali, propositi e difficoltà. Per le sue capacità di studio, i superiori decisero di mandarlo a Roma presso l’Almo Collegio Capranica. Terminò il liceo all’Apollinare, quindi si iscrisse alla facoltà di teologia dell’Università Gregoriana. Ma sarà al Pontificio Istituto Biblico che egli affinerà la sua preparazione, discepolo di grandi maestri quali Padre Agostino Bea, poi cardinale, fra i maggiori protagonisti del Concilio, Padre Alberto Vaccari, fondatore dell’Associazione Biblica Italiana, e Padre Max Zerwick.

Domenica 23 luglio 1939 il Card. Dalla Costa lo ordinò presbitero nella chiesa di San Salvatore, all’interno del Palazzo arcivescovile di Firenze. Il giorno seguente celebrò la sua prima messa nella basilica della Santissima Annunziata. Completò gli studi a Roma, rimanendo nel Collegio Capranica. Avrebbe dovuto frequentare l’Accademia dei Nobili Ecclesiastici per prepararsi al servizio diplomatico, ma l’intervento deciso del rettore del seminario di Firenze aiutò Bartoletti, fece in modo che ciò non avvenisse.

Nell’estate 1941 fu richiamato a Firenze e nominato vice-rettore del seminario maggiore; in settembre, nell’ambito della riorganizzazione dei seminari fiorentini che Dalla Costa stava portando avanti, la nomina cambiò e Bartoletti fu vice-rettore del seminario minore. Dall’anno scolastico 1942-1943 fino al 1958 fu però insegnante di ebraico, greco biblico e introduzione alla Sacra Scrittura nel primo anno di teologia al seminario maggiore, con un corso che comprendeva l’Introduzione Generale alla Scrittura e l’Introduzione alla Storia di Israele. Nel settembre di due anni dopo accettò la nomina a rettore dello stesso seminario minore.

Erano gli anni della guerra e le vicende belliche coinvolsero il seminario che, vista la situazione e le condizioni della città di Firenze, venne chiuso fino a data imprecisata. L’arcivescovo aveva impegnato tutte le strutture ecclesiastiche fiorentine e tutto il clero, per venire incontro alle difficoltà della popolazione civile e dare riparo agli ebrei, destinati alla deportazione nei campi di sterminio. Il seminario fu ritenuto un luogo idoneo allo scopo. Proprio per l’ospitalità agli ebrei anche Bartoletti venne condotto in arresto, nel dicembre 1943, ma seppe farsi immediatamente scagionare. All’arrivo degli alleati, il seminario diventò il loro ospedale. Per questo nel dicembre 1944 il seminario minore fu riaperto per le classi del liceo presso Villa San Paolo e poi, per il ginnasio, a Lecceto.

Negli anni del ministero fiorentino ebbe contatti con don Giulio Facibeni, fondatore dell’Opera Madonnina del Grappa, oggi Venerabile: la personalità e lo spessore evangelico di Facibeni fecero da subito grande impressione su Bartoletti che, colpito dalla sua umanità ricca e profonda, lo invitò in seminario in diverse occasioni. Conobbe il Venerabile Servo di Dio Giorgio La Pira, il Servo di Dio don Divo Barsotti, così come Ernesto Balducci e David Maria Turoldo. A quegli anni si riferisce pure un difficile rapporto con don Lorenzo Milani, che risulta nel tempo essersi risolto: le pagine del loro chiarimento, sul letto di morte del Priore di Barbiana, destano particolare commozione.

Il Card. Dalla Costa avrebbe desiderato che Mons. Bartoletti diventasse suo arcivescovo coadiutore. Il 24 giugno 1958 fu invece nominato ausiliare di Mons. Antonio Torrini, arcivescovo di Lucca. Gli venne attribuita la sede titolare di Mindo. L’8 settembre 1958 si tenne la consacrazione episcopale, avvenuta per ministero dell’arcivescovo coadiutore di Firenze, Mons. Ermenegildo Florit, nella basilica della Santissima Annunziata a Firenze. Entrò a Lucca come ausiliare il 13 settembre 1958, partecipando per la prima volta alla grande festa dell’arcidiocesi, la processione di Santa Croce.

La situazione dell’ausiliare fu da subito piuttosto precaria. In primo luogo, il vicario generale e gran parte della curia non lo accolsero volentieri. Inoltre gli fu assegnata come residenza la parte nobile del Palazzo arcivescovile, con scarsi servizi igienici e senza alcun tipo di riscaldamento, ambiente elegante ma certamente inospitale. Fra l’arcivescovo ed il suo ausiliare vi fu subito un rapporto benevolo e franco: è unanime la testimonianza, in diocesi e fuori di essa, del reciproco rispetto e della fraterna carità fraterna che li ha sempre, costantemente uniti. Si capì presto che la conoscenza della Bibbia che Mons. Bartoletti aveva era impareggiabile all’interno dell’arcidiocesi. Le sue prime attenzioni pastorali furono per l’Azione Cattolica.

Il 14 luglio 1962 la Congregazione Concistoriale attribuì a Bartoletti tutte le facoltà dei vescovi residenziali. Scrisse Bartoletti, rispondendo a quanto gli veniva comunicato: «Sarà mia costante premura il fare uso delle facoltà concessemi col massimo riguardo e nel migliore accordo filiale con l’Eccellentissimo Mons. Arcivescovo, per il quale nutro profonda venerazione, al pari della intera Archidiocesi». Il 18 gennaio 1963, a 4 anni e 4 mesi dal suo ingresso in diocesi, diventò vicario generale. Lavorò al tema della partecipazione liturgica. Seguì le vicende del Centro Studi Sociali, che nel corso del 1968 cessò ogni attività a Roma e a Lucca; a Lucca tuttavia continuò la scuola di formazione cristiana.

Prese parte al Concilio Vaticano II. Durante la fase preparatoria aveva auspicato che il Concilio si occupasse di temi quali la mancanza di clero, le vocazioni ecclesiastiche, nonché l’apostolato dei laici. Nel primo e secondo periodo dell’assise non pronunciò in aula nessun intervento; nel terzo e quarto sottoscrisse interventi di altri presuli. Fu tuttavia attentissimo ai dibattiti e alle diverse posizioni, in particolare quelle espresse dai vescovi italiani. L’esperienza del Concilio ne plasmò un nuovo profilo di uomo di Dio e pastore della Chiesa.

Fra il 1962 e il 1963 si intensificò notevolmente anche la posizione di Mons. Bartoletti in diocesi e, se tra le file del laicato il suo prestigio era stato forte fin dall’inizio, anche tra il clero cominciò a crescere. Un tratto sicuramente importante dell’attività di Bartoletti a Lucca fu la divulgazione dei lavori del Concilio. Promosse quindi il laicato e si prese cura del clero. Avviò l’attuazione della riforma liturgica, ancor prima che il Concilio finisse. Intervenne sul seminario, con la nomina di un nuovo rettore e nuove indicazioni per la formazione: il seminario fu pensato come comunità di persone responsabili, impegnate nella propria formazione umana, cristiana e sacerdotale, capaci di coniugare libertà, responsabilità e obbedienza, nonché favorire una profonda personale relazione con Cristo nella preghiera liturgica, nella celebrazione eucaristica e grazie ad insegnamenti biblici, teologici e pastorali capaci di incidere sulla vita e il profilo culturale dei seminaristi. Per l’impostazione innovativa del seminario vi furono incomprensioni e critiche verso Mons. Bartoletti e il nuovo rettore.

All’inizio del 1966, per volontà del Santo Padre, diventò amministratore apostolico di Lucca. L’11 novembre dello stesso anno pubblicava il decreto di istituzione del Consiglio Presbiterale diocesano, con approvazione ad experimentum dello statuto e del regolamento. Riformò la curia diocesana, nominando i vicari foranei e curando una pastorale d’insieme. Nel 1968 compì la visita pastorale. Il 2 gennaio 1971, confermato amministratore apostolico sede plena della Chiesa di Lucca, fu nominato arcivescovo coadiutore con diritto di successione.

Il 4 settembre 1972 Paolo VI lo volle Segretario generale della CEI. Scrisse lo stesso giorno al Pontefice, evidenziando le sue perplessità. L’8 successivo tuttavia significò al medesimo la propria disponibilità ad accogliere la decisione «con serena, anche se sofferta, obbedienza». Fu invitato a mantenere, fino a nove disposizioni, il suo ufficio di coadiutore a Lucca, dove successe come arcivescovo a Mons. Torrini il 20 gennaio 1973 e dove rimase di fatto fino a Pasqua. Il suo vincolo con la Chiesa lucense, ora più perfetto, diventò motivo di intima sofferenza per lui, ormai in procinto di lasciarla. Scrisse nel diario spirituale: «Lascio Lucca per sempre. Distacco tremendo».

Venne chiamato alla CEI con l’incarico di aiutare la Chiesa italiana nel cammino di rinnovamento conciliare e nell’assumere il criterio dell’evangelizzazione, per espressa volontà di Paolo VI, come scelta portante di tutta la programmazione pastorale. Bartoletti si mise immediatamente all’opera. Negli anni 1972-1976 si ebbero il piano pastorale Evangelizzazione e sacramenti ed il convegno Evangelizzazione e promozione umana. Partecipò al Sinodo dei Vescovi del 1971 e a quello del 1974. Nel 1975 si celebrò l’Anno Santo. Come segretario della CEI fu in prima linea per il referendum sul divorzio e la legge sull’aborto. Seguì la revisione del Concordato. Oltre che con il partito della Democrazia Cristiana, portò avanti un proficuo rapporto con l’Azione Cattolica italiana e la Caritas italiana. Fu inoltre presidente della Commissione internazionale di studio sulla donna nella società e nella Chiesa.

Fra il 1° e il 2 marzo 1976 veniva ricoverato d’urgenza, nottetempo, al Policlinico Gemelli, con fortissimi dolori al torace, poi diagnosticati come sintomi di infarto. Alle 3 del mattino di venerdì 5 marzo il suo cuore smise di battere. La morte venne constata alle 8, dopo ore di tentativi di rianimazione.

Durante la camera ardente, il Sommo Pontefice San Paolo VI si recò in visita al feretro di Mons. Bartoletti, dimostrando grande stima verso di lui. Riti esequiali si compirono a Roma nella basilica di San Giovanni in Laterano, a Firenze nel duomo, a San Donato di Calenzano e infine nella cattedrale di San Martino a Lucca.

La vita del Venerabile Servo di Dio può essere compresa alla luce della Fede che ne ha determinato le scelte fondamentali. Essa traeva nutrimento e vigore dalla preghiera, dallo studio attento e dalla meditazione della Parola di Dio. L’Eucaristia era fonte e culmine della sua spiritualità e coloro che lo conobbero furono colpiti dal suo modo di pregare e di celebrare la Santa Messa. Il suo motto episcopale, In spe fortitudo, testimonia l’importanza della speranza che visse in grado eroico anche la virtù della carità, espressa verso Dio come è testimoniato dal suo diario spirituale, e rivolta verso il prossimo, in quanto egli si rese sempre vicino alle persone bisognose, aiutandole con i pochi mezzi materiali di cui disponeva.

Fu però soprattutto nel suo ruolo di rettore del Seminario prima, e di vescovo poi, che seppe tessere rapporti di carità paterna e fraterna nei confronti degli studenti e dei confratelli, divenendo per alcuni di essi un sostegno sul piano spirituale. La virtù della carità venne esercitata anche nel servizio ai fratelli, nell’accoglienza di coloro con i quali entrava in contatto e nell’attenzione particolare per i più bisognosi. Nei confronti delle persone di cui non comprendeva e condivideva le idee, egli ebbe sempre atteggiamenti comprensivi.

Sin da giovane fu notato per le sue doti di equilibrio e, pertanto, venne scelto come formatore dei seminaristi e queste sue capacità relazionali emersero con maggiore evidenza nel prosieguo della sua vita. Egli è stato considerato, in riferimento alla sua esperienza pastorale, un “traghettatore” della Chiesa post conciliare, dotato di una grande capacità di mediazione, messa al servizio della comunione ecclesiale e del suo rinnovamento conciliare. Esercitò anche la virtù della giustizia verso il prossimo dimostrando significativa vicinanza verso i suoi collaboratori e si pose in dialogo paziente e rispettoso col mondo politico.

La virtù della povertà si manifestò nel riconoscimento della propria condizione di peccatore, ma anche in un distacco totale dalle ricchezze materiali. Tutto il suo servizio ecclesiale fu vissuto nell’ottica dell’obbedienza fedele ai Superiori, dapprima a Firenze, poi a Lucca, e infine a Roma, dove sempre assecondò la volontà del Papa che lo aveva voluto Segretario della CEI. La fama di santità, che già in vita raccoglieva manifestazioni di stima, si palesò dopo la sua morte e si diffuse nel tempo specialmente nell’ambito della chiesa lucchese.