Causa in corso
Giulia Colbert in Falletti di Barolo
- Venerabile Serva di Dio -

Giulia Colbert in Falletti di Barolo

(1786 - 1864)

Venerabilità:

- 05 maggio 2015

- Papa  Francesco

Laica, Vedova e Fondatrice della Congregazione delle Figlie di Gesù Buon Pastore; può essere ritenuta un modello di santità laicale. Nobildonna colta e intelligente, seppe dialogare con ogni tipo di persona. Insieme al marito si dedicò ad opere di sostegno morale e materiale dei bisognosi, mettendo a disposizione gran parte dei beni di famiglia

  • Biografia
Visse intensamente la sua chiamata laicale e contribuì alla santificazione del mondo, dando una testimonianza feconda di fede, speranza e carità ammirevoli

 

La Venerabile Serva di Dio Giulia Colbert nacque il 26 giugno 1786 nel castello di Maulévrier, in Vandea (Francia), figlia del Conte Éduard Colbert e della Contessa Anne-Marie-Louise Quengo de Crénolle. Mentre il Conte Colbert si trovava in Germania come Ministro plenipotenziario del Re presso l’Elettore di Colonia, la Rivoluzione Francese provocò l’uccisione di alcuni congiunti, nonché la perdita dei beni di famiglia e solo con l’avvento di Napoleone i Colbert poterono rientrare in Patria.

Il 18 agosto 1806, a Parigi, sposò il Marchese Venerabile Servo di Dio Carlo Tancredi Falletti di Barolo, con il benestare dello stesso Napoleone, che perseguiva l’unione delle varie regioni alla Francia attraverso la politica matrimoniale. Nel 1814, crollato l’impero napoleonico, i coniugi si trasferirono a Torino.

Uniti da profonda fede e dall’attenzione caritatevole verso i poveri, per poterli aiutare quotidianamente, fornendo loro cibo e vestiario, misero a disposizione parte del loro palazzo, adibendolo a luogo di accoglienza. Anche una riserva di legna era a loro riservata negli inverni più rigidi. Gli ammalati erano curati personalmente dalla Marchesa e ogni lunedì della settimana lei stessa serviva a tavola dodici persone tra le più bisognose. Alle sue opere di carità univa anche l’istruzione catechistica nelle case, costituendo un gruppo di “Signore della Carità”.

Il 14 aprile 1814, durante una visita alle carceri della città, rimase impressionata dallo stato in cui si trovavano i detenuti. Da quel giorno si dedicò ai carcerati, specialmente alle donne, per alleviarne le sofferenze fisiche, migliorarne le condizioni di vita e soprattutto offrire un’educazione morale e religiosa. Desiderava superare la dimensione punitiva della pena, valorizzando la funzione rieducativa del carcere. Per questo attuò progetti per la riabilitazione e il reinserimento delle detenute nella società, istituì mezzi di prevenzione per le giovani in situazione di rischio familiare e sociale. Inoltre, agì sollecitando il Governo piemontese a riforme carcerarie, confrontandosi con esperti di fama internazionale. Fu nominata Sovrintendente delle Forzate, un carcere femminile costituito secondo i suoi programmi poi accettati dal Governo piemontese.

Insieme al marito, aprì un asilo infantile, per i figli degli operai che rimanevano soli a casa durante il lavoro dei genitori.

Il successo del Rifugio fu tale che alcune ragazze manifestarono il desiderio di consacrarsi al Signore per impetrare la misericordia divina sul mondo, con la penitenza e la preghiera. Pertanto, la Serva di Dio, nel 1833, fondò l’Istituto delle Sorelle Penitenti di S. Maria Maddalena (oggi Figlie di Gesù Buon Pastore) e, l’anno successivo, il marito diede inizio alla Congregazione delle Suore di Sant’Anna, destinata a sostituire le maestre laiche nell’asilo.

Nel 1838, rimasta vedova e senza figli, la Serva di Dio decise di proseguire le opere di carità materiale e spirituale, iniziate con il marito e dedicò totalmente a tale scopo la sua vita ed i suoi beni.

La Marchesa soffrì moltissimo per la morte improvvisa del marito. Ma interpretò la morte di lui in una povera e squallida locanda lungo la strada come un appello di Dio a radicalizzare ulteriormente la sua dedizione ai poveri. Impressionante è il numero delle sue opere educative e caritative, gestite da famiglie religiose a cui ha dato origine. Tutto questo compiuto con gioia e nel nome di Gesù Cristo. “Senza di Lui è impossibile consolare chi è afflitto”, disse a un economista toscano che le aveva presentato un suo volume di studi e proposte per migliorare le carceri, proposte interessanti ma dettate da sole motivazioni filantropiche.

Dal 1839 al 1847 diede inizio a vari progetti: fece venire a Torino le Suore Adoratrici Perpetue del SS. Sacramento; fondò l’Ospedale di S. Filomena per bambine disabili; affidò alle Suore di S. Anna una casa di accoglienza per trenta orfane chiamate “Giuliette”; nel palazzo Barolo costituì tre comunità operaie, gruppi di una dozzina di ragazze dai quattordici ai diciotto anni che per sei anni si dedicavano ad imparare un mestiere presso botteghe ed artigiani. Ogni comunità era guidata da una donna laica. Il primo cappellano dell’Ospedale fu San Giovanni Bosco, il quale ebbe la possibilità di utilizzare due stanze per il suo incipiente Oratorio.

Infine, contribuì alla costruzione della chiesa parrocchiale di Santa Giulia in una zona di Torino particolarmente degradata, dotandola di una somma annuale per un convitto di sacerdoti dedicati alla cura degli infermi, all’assistenza dei parroci malati, alle confessioni e all’attività dell’Oratorio.

La salute malferma, si aggravò alla fine del 1863. Dopo tre giorni di agonia, trascorsi in preghiera, avendo ricevuto i conforti dei Sacramenti, morì il 19 gennaio 1864 a Torino.

 

INCHIESTA DIOCESANA

L’Inchiesta diocesana si svolse presso la Curia ecclesiastica di Torino (Italia), dal 21 gennaio 1991 al 4 luglio 1994, in cinquantanove Sessioni, con la raccolta di prove documentali e l’escussione di trentasette testi, di cui tre ex officio.

La validità giuridica dell’Inchiesta fu riconosciuta con il Decreto del 13 gennaio 1995.

 

SEDUTA DEI CONSULTORI STORICI

Si svolse il 27 ottobre 2009. A conclusione del dibattito, il risultato finale per i tre quesiti di rito, sull’esaustività delle prove, sull’attendibilità dei documenti archivistici e sul fondamento delle virtù eroiche, fu unanimemente affermativo.

 

CONGRESSO DEI CONSULTORI TEOLOGI

Si tenne il 1° aprile 2014. I Consultori sottolinearono che la Venerabile Serva di Dio può essere ritenuta un modello di santità laicale. Nobildonna colta e intelligente, seppe dialogare con ogni tipo di persona. Insieme al marito si dedicò ad opere di sostegno morale e materiale dei bisognosi, mettendo a disposizione gran parte dei beni di famiglia. Dama di compagnia della Regina, non rifiutò di diventare amica e benefattrice delle carcerate e delle persone che vivevano in condizioni di estremo disagio materiale e spirituale. Molte opere di carità sgorgarono dalla vita spirituale, fortemente eucaristica, nutrita dalla devozione mariana e da una buona conoscenza della Bibbia. Proprio la diffusione delle Sacre Scritture fra le carcerate fu uno degli aspetti più innovativi del suo fervente apostolato. Il matrimonio con il Venerabile Servo di Dio Carlo Falletti di Barolo, pur essendo stato combinato dalle rispettive famiglie, divenne un connubio d’amore, in cui gli sposi rappresentarono un significativo esempio di solidità familiare e cristiana. Non ebbero figli, ma la Provvidenza diede loro molte anime da soccorrere. La finalità delle opere di carità era proprio quella di portare le anime a Dio e Dio alle anime.

Accettò la morte prematura del coniuge, abbandonandosi al volere divino e continuando, fino alla fine della vita, l’opera caritativa iniziata insieme.

Al termine del dibattito, i Consultori si espressero unanimemente con voto affermativo a favore del grado eroico delle virtù, della fama di santità e di segni della Venerabile Serva di Dio.

 

SESSIONE ORDINARIA DEI CARDINALI E DEI VESCOVI

Si svolse il 21 aprile 2015. L’Em.mo Ponente, dopo aver ripercorso l’iter della Causa e tratteggiato il profilo biografico della Venerabile Serva di Dio, ne mise in rilievo l’intensa vita spirituale, fortemente cristocentrica. Ella rientra nella schiera delle grandi figure del cattolicesimo sociale piemontese. L’amore verso il prossimo si manifestò innanzitutto nei confronti del suo sposo, con il quale condivise il cammino di santità nella grazia del matrimonio. Inoltre, esercitò una pura e autentica carità cristiana verso le detenute, che cercò di assistere in ogni modo. Visse intensamente la sua chiamata laicale e contribuì alla santificazione del mondo, dando una testimonianza feconda di fede, speranza e carità ammirevoli.

Al termine della Relazione dell’Em.mo Ponente, che concluse constare de heroicitate virtutum, gli Em.mi ed Ecc.mi Padri risposero unanimemente al dubbio con sentenza affermativa.