Causa in corso
Marcello Candia
- Venerabile Servo di Dio -

Marcello Candia

(1916 - 1983)

Venerabilità:

- 08 luglio 2014

- Papa  Francesco

Laico; non fu un semplice operatore sociale, ma anzitutto un uomo di fede e virtù. Tutta la sua attività fu preceduta e affiancata dalla preghiera. La profonda fede lo portò al distacco dai beni materiali e dalle agiatezze della sua condizione sociale, per adattarsi ad uno stile di vita essenziale

  • Biografia
Consapevole che il possesso dei beni è imprescindibilmente legato ad un’enorme responsabilità verso i fratelli che sono privi dell’indispensabile, fece della condivisione fraterna un perno fondamentale della sua vita

 

Il Venerabile Servo di Dio Marcello Candia nacque il 27 luglio 1916 a Portici, in provincia di Napoli. Il 4 agosto ricevette il Battesimo nella chiesa parrocchiale di S. Maria della Natività. Nacque da una famiglia colta e agiata. Il padre, Camillo Candia, uomo dotto e dai molteplici interessi, laureatosi in chimica si realizzò nel campo dell’industria. A Milano diede vita alla Fabbrica Italiana di acido carbonico dottor Candia e C., che ben presto divenne una delle strutture più importanti nel panorama dell’industria del nostro Paese. In seguito aprì altri stabilimenti a Napoli, Pisa e ad Aquileia. La madre, Luigia Mussato (chiamata Bice), era una donna colta, ricevette un’ottima formazione presso le Orsoline e frequentò per due anni la facoltà di matematica presso l’università di Pavia. In lei spiccava una forte sensibilità alle difficoltà del prossimo e una profonda fede, apertamente manifestata. Sebbene il padre non fosse praticante, non ostacolò mai l’educazione religiosa che la madre impartiva ai figli, anzi la incoraggiava. Era una famiglia molto unita ed ancorata ai valori migliori.

Il Venerabile Servo di Dio trascorse i primi anni di vita a Portici, dove visse un’infanzia serena e felice, circondato da affetti profondi e godendo anche di una certa agiatezza. Non siamo a conoscenza della data della Prima Comunione, ma sappiamo che egli fu seguito con affetto dai genitori nella preparazione a ricevere questo Sacramento.

Sempre grazie alla madre, egli apprese che la fede si concretizza nella carità, in particolare nel servizio ai bisognosi. Infatti, spesso accompagnava la madre a visitare i poveri, a cui portava beni materiali, ma soprattutto conforto e sollievo spirituale. Così cominciò a comprendere l’amore cristiano nei confronti del prossimo sofferente nel fisico e nello spirito. La madre fu la radice della sua vocazione alla carità.

Trasferitosi a Milano, all’età di tredici anni si dedicò al servizio dei barboni, nel convento dei Padri Cap­puccini. In quegli anni venne sempre più a conoscenza del mondo della povertà e della sofferenza. Nel convento, infatti, vide l’im­magine del religioso Daniele da Samarate (morto nel 1924) che portava i segni della lebbra sul viso e sulle mani. Il giovane Marcello rimase affascinato da quel religioso che aveva dedicato tutta la vita a curare i malati di lebbra nel lontano Brasile.

Nell’anno 1933 vi fu una svolta radicale nella sua vita di fede segnata dalla morte prematura della madre. Se per tutti fu un dolore immenso, per il giovane fu una tragedia, che tuttavia superò facendo appello alla fede. 

Tuttavia, tale sofferenza gli causò un forte esaurimento che lasciò un segno nella sua vita: soffriva di insonnia, emicranie, ansia, scrupoli e perfezionismo, limiti che si sforzò di superare con l’esercizio delle virtù.

Dopo la perdita della madre, conobbe padre Genesio da Gallarate che divenne suo confessore e guida spirituale. Marcello entrò a far parte del gruppo del “Ceppo”, un’associazione che accoglieva giovani anche non credenti e di cui P. Genesio divenne punto di riferimento nella vita spirituale e l’attività caritativa. Il Venerabile Servo di Dio contribuì a finanziare le opere di carità dell’associazione, sia raccogliendo fondi tra le famiglie che conosceva, sia personalmente in quanto proveniva da una famiglia ricca. Nel frattempo conseguì due lauree, una in chimica e l’altra in farmacia.

Egli non fece mai parte di associazioni studentesche come la FUCI, né dell’Azione Cattolica, come tanti suoi compagni. Ciò costituì un tratto distintivo della sua personalità: “Era molto osservante, aveva una mentalità cattolica, ma era alieno dagli inquadramenti”. Anche in seguito rifiutò di far parte di associazioni religiose, istituti secolari e terz’ordini. La sua unica adesione era alla Chiesa.

La sua intensa attività caritativa era sostenuta da una profonda vita spirituale. Frequentava la S. Messa quotidiana, recitava il Rosario tutti i giorni e faceva frequenti visite al SS. Sacramento. Fu di modello per i compagni che attraversavano un periodo di crisi nella fede. Il suo esempio li spronava a servire i bisognosi nella gratuità, senza attendere nulla in cambio.

Nel 1937 fece un viaggio in Brasile, dove conobbe il mondo, a lui ancora sconosciuto, delle favelas, di cui rimase molto colpito fino al punto che, alcuni anni più tardi, lascerà tutto in Italia per dedicarsi ai bisognosi brasiliani.

Dopo aver conseguito la laurea in chimica, affiancò il padre nella direzione dell’azienda Candia. Durante la Seconda Guerra Mondiale, grazie ai suoi studi fu incaricato a svolgere un’attività tecnico-scientifica: doveva controllare la produzione degli esplosivi. In questo periodo conseguì la terza laurea, in scienze biologiche. Nell’immediato dopoguerra aiutò e assistette i reduci di guerra; fu fondato il Villaggio della Madre e del Fanciullo che accoglieva giovani ragazze madri con i loro figli, anch’esse vittime del conflitto bellico. Si prese cura anche dei ragazzi minorenni rinchiusi nel carcere di S. Vit­tore.

Era consapevole che tutto ciò che possedeva era dono di Dio (intelligenza, capacità imprenditoriali, benessere economico e salute) e pertanto lo usava a beneficio di coloro che ne erano privi. Si occupò del mantenimento agli studi di alcuni giovani provenienti dall’Indocina e dal Giappone e li fece trasferire in Italia. A partire dal 1946, anno in cui conobbe il prof. Francesco Canova, medico missionario in Giordania e fondatore del Collegio Universitario Aspiranti Medici Missionari, il movimento del laicato missionario occupò, dopo il lavoro, tutto il suo interesse. Collaborò alla fondazione del gruppo italiano del movimento delle AFI (Ausiliarie Femminili Internazionali). Inoltre fondò un Ambulatorio missionario che accoglieva tutti coloro che non avevano le possibilità economiche per curarsi. Tutto era finanziato e coordinato da Marcello Candia. Egli acquistava grandi stock di medicinali che spediva per le missioni. Tra i volontari dell’ambulatorio vi era P. Alberto Beretta (medico). Tra i due nacque subito un’intensa amicizia. P. Beretta, verso la fine del 1948, partì per il Brasile dove fece costruire un ospedale missionario destinato ai poveri.

Il desiderio di operare per le missioni e nelle missioni crebbe sempre di più nel suo cuore e l’incontro con Mons. Aristide Pirovano lo aiutò a prendere una decisione defi­nitiva. Scelse di andare in missione a Macapà, in Brasile, dove Mons. Pirovano fu nominato Vescovo. Tuttavia, non poté partire subito perché lo scoppio di uno degli stabilimenti di Milano causò la morte di due operai e la distruzione totale dell’impianto e delle costruzioni ad esso annesse. Egli provvide alla ricostruzione dello stabilimento, senza, peraltro tralasciare le opere caritative. Difatti, prima della partenza definitiva per il Brasile, parte­cipò attivamente ad alcune iniziative missionarie. Collaborò alla fondazione del Collegio Internazionale per studenti d’oltremare, il cui scopo era quello di assistere moralmente ed economicamente tali studenti nel compimento dei loro studi. Inoltre collaborò con don Giussani che aveva dato vita al movimento della Gioventù Studentesca. Nel frattempo, aiutò Mons. Pirovano a costruire la missione in Macapà, facendo, spesso, viaggi in Brasile. Nel 1963 il Venerabile Servo di Dio cedette La “Candia e C.” a una multinazionale francese e il 7 giugno 1965 finalmente il suo sogno diventò realtà: partì per il Brasile in qualità di missionario laico (vocazione lungamente sofferta e desiderata). Tuttavia, la sua partenza fu anche segnata da una grande sofferenza: Mons. Pirovano, con il quale aveva condiviso tanti progetti, era stato nominato superiore generale del PIME e quindi fu costretto a trasferirsi a Roma.

Al suo arrivo a Macapà, inizialmente, ci furono non poche tensioni con il Governo locale che riteneva il Candia un industriale europeo trasferitosi in Brasile per fini di lucro. Nonostante questi contrasti, riuscì a costruire l’ospedale S. Camillo e S. Luigi in memoria dei genitori. Inoltre, fece altre opere assistenziali. Egli voleva che i poveri dell’Amazzonia venissero accolti in un ospedale moderno e attrezzato dove sarebbero stati curati come i ricchi di Milano, questo perché vedeva, nella persona sofferente, il Cristo sofferente. Nel 1975 cedette l’ospedale ai religiosi Camilliani, per i quali aveva una grande stima, nonostante le divergenze nei diversi criteri di realizzazione del servizio ai poveri.

Il Venerabile Servo di Dio venne a sapere che vicino a Macapà c’era un lebbrosario di Stato in cui le persone affette da lebbra venivano rinchiuse e dimenticate. Egli visitò il posto e vide circa 1000 persone chiuse in un villaggio che vivevano in condizioni fisiche e morali pietose. Immediatamente comprese che Dio lo chiamava a prestare il proprio aiuto lì. Ristrutturò tutto il complesso e vi costruì la Casa di Nostra Signora della Pace per le suore che si sarebbero prese cura dei malati; costruì un centro dermatologico e centri sociali affinché i malati recuperassero il senso della propria dignità e utilità come persone. Nel 1980 Papa Giovanni Paolo II visitò il lebbrosario. Tutti gli hanseniani rimasero commossi dal discorso del Papa in quanto si sentirono chiamati: “amici miei molto cari”. In quell’occasione il Venerabile Servo di Dio ricevette un bacio sulla fronte da parte del Papa che considerò come “il sigillo della benedizione di Dio”.

Usò tutti i mezzi di comunicazione per far conoscere la realtà dell’Amazzonia brasiliana e le opere che sosteneva. Vinse numerosi premi tra cui l’Antonio Feltrinelli. Nonostante i riconoscimenti rimase umile, ben consapevole che in tutto ciò che faceva il fine ultimo era sempre Dio.

Nell’anno 1982 gli fu diagnosticato un melanoma che dopo un anno circa lo condusse alla morte che avvenne a Milano il 31 agosto 1983. I funerali furono celebrati dal Cardinale di Milano Carlo Maria Martini nella sua parrocchia SS. Angeli Custodi e vi partecipò una folla immensa. Fu sepolto nel cimitero presso l’Abbazia di Chiaravalle.

 

Iter della Causa

L’Inchiesta diocesana si svolse presso la Curia ecclesiastica di Milano (Italia), dal 12 gennaio 1991 all’8 febbraio 1994, con l’escussione di novanta testi, di cui dieci ex officio.

Furono celebrate due Inchieste Rogatoriali:

- a Macapà (Brasile), dal 30 ottobre al 19 novembre 1991, con l’escussione di quattordici testi, di cui uno ex officio;

- a São Paulo (Brasile), dal 9 ottobre 1992 al 13 luglio 1993, con l’escussione di dieci testi, di cui tre ex officio.

La validità giuridica delle Inchieste fu riconosciuta con il Decreto del 15 dicembre 1995.

 

Congresso Peculiare dei Consultori Teologi

Si tenne il 7 marzo 2013, presieduto dal Promotore della Fede, con la presenza dei Consultori prescritti, i quali, delineando il ritratto biografico del Venerabile Servo di Dio, sottolinearono che egli dedicò la vita per i poveri, nei quali vedeva l’immagine del Cristo sofferente. Il suo motto era: “fare bene il bene”. Non fu un semplice operatore sociale, ma anzitutto un uomo di fede e virtù. Tutta la sua attività fu preceduta e affiancata dalla preghiera. La profonda fede lo portò al distacco dai beni materiali e dalle agiatezze della sua condizione sociale, per adattarsi ad uno stile di vita essenziale. Per far pregare e sostenere gli ammalati, chiamò in terra di missione le Suore Carmelitane di Firenze. Consapevole che il possesso dei beni è imprescindibilmente legato ad un’enorme responsabilità verso i fratelli che sono privi dell’indispensabile, fece della condivisione fraterna un perno fondamentale della sua vita.

Un profondo senso di giustizia verso Dio e verso il prossimo lo caratterizzò fin dai tempi in cui era giovane industriale a Milano. Eloquente fu la sua decisione di partire missionario solo dopo aver risolto i problemi umani e giuridici causati dall’esplosione di uno degli stabilimenti Candia di Milano, dove trovarono la morte due operai.

La sua vocazione all’apostolato ebbe origine nel Sacramento del Battesimo e trovò il suo pieno compimento tra i lebbrosi del Brasile.

Pur apprezzando la vita familiare, scelse di rimanere celibe per dedicarsi in modo esclusivo alla carità verso il prossimo.

Visse gli ultimi anni di vita, accettando la malattia con serenità e abbandono completo al volere divino.

Al termine del dibattito, i Consultori si espressero unanimemente con voto affermativo circa il grado eroico delle virtù, la fama di santità e di segni del Venerabile Servo di Dio.

 

Sessione Ordinaria dei Cardinali e Vescovi

Si riunì il 17 giugno 2014. L’Em.mo Ponente, dopo avere tratteggiato la storia della Causa e la figura del Venerabile Servo di Dio, si soffermò sul suo esercizio delle virtù teologali e cardinali, maturato durante un cammino di profonda e straordinaria evoluzione spirituale. Si spese, senza riserve e con impegno generoso, al servizio dei poveri. Pur non essendo un religioso, visse in missione una vita tanto modesta, limpida e semplice, da eccellere anche tra i religiosi. Egli valorizzò al massimo il suo Battesimo, che lo portò a vivere una vita di consacrazione al Signore, incarnando alla lettera la Parola evangelica: “Vendi tutto ciò che hai, dallo ai poveri e poi vieni e seguimi” (Mc 10.21). Il Venerabile Servo di Dio non solo vendette la sua cospicua ricchezza di industriale e andò a vivere con i poveri e i malati più trascurati dalla società ma, per gli stessi bisognosi, si fece egli stesso umile mendicante. Pochi giorni prima della morte, ormai molto sofferente e affaticato dal dolore, disse: “Gesù, oggi, mi ha fatto vivere l’esperienza più bella della mia vita. Mi ha fatto capire che non è sufficiente lavorare per il Signore, non è sufficiente pregare il Signore. Più importante è accettare, con umiltà e disponibilità, il dolore, come e quando Dio lo permette. Questa è l’esperienza più bella”.

Al termine della Relazione dell’Em.mo Ponente, che concluse constare de heroicitate virtutum, gli Em.mi ed Ecc.mi Padri risposero al dubbio con sentenza affermativa