«È un "pastore con l'odore delle pecore" ma rassicura anche per competenza teologica e diritto canonico»

«È un "pastore con l'odore delle pecore" ma rassicura anche per competenza teologica e diritto canonico»

 

Intervista del Cardinale Prefetto al quotidiano La Stampa

 

«Sa governare ed è stato scelto perché è sì un "pastore con l'odore delle pecore" ma ci rassicura anche per la competenza nella teologia e nel diritto canonico. Se, come dice Ionesco, "Dio è morto" per Leone la sfida epocale sarà occuparsi dell'uomo», spiega il cardinale elettore Marcello Semeraro. Il ministro vaticano delle Cause dei Santi usa tre aggettivi per descrivere il suo «vicino di casa e di ufficio» Robert Francis Prevost: «rassicurante, pragmatico, analitico». E aggiunge: «Affronta le questioni con metodo e spirito di collaborazione. Ha una vasta esperienza del centro e delle periferie della Chiesa: gli servirà per sistemare situazioni complicate».

Che tipo di collega-capodicastero è stato Prevost?

«Siamo giunti quasi insieme alla guida di un dicastero della Curia dopo aver guidato una diocesi. A facilitare reciproca conoscenza e stima è stata la cooperazione con Francesco nelle riunioni inter-dicasteriali. Fino all'elezione al Soglio di Pietro siamo stati vicini di casa e di ufficio: ciò comporta incontrarsi quotidianamente almeno per salutarsi e scambiare qualche idea. Ho scoperto così una persona mite e buona, intelligente e capace, di profonda spiritualità, con ottime doti di governo e di guida. Nella relazione mostra subito attenzione all'altro e accoglienza incoraggiando al dialogo, all'incontro. Caratteristiche preziose per chi si trova a gestire una pluralità di problemi».

Dove nasce lo stile-Leone?

«Dalla scelta di vita religiosa in fraternità e dall'esperienza missionaria. Averlo come Successore di Pietro colma il mio animo di serenità e fiducia profonde. Un po' come quando da bambino vidi in tv il volto e i gesti di Giovanni XXIII. In Leone riecheggiano Sant'Agostino ("sia impegno di amore pascere il gregge del Signore") e San Gregorio Magno («le persone corrispondono all'amore di chi le ama»). Robert Francis Prevost è consapevole che tutto, nei vari ambiti della vita umana, deve, se vuole fruttificare, nascere dall'amore; diversamente è sterilità».

Che Pontefice sarà?

«Francesco gli affidò il delicato dicastero dei vescovi sia per il suo talento pastorale sia per la saggezza nel gestire i suoi confratelli. Il suo profilo si è forgiato nel ministero episcopale svolto nella diocesi di Chiclayo in Perù e nei prolungati uffici di governo della sua famiglia religiosa agostiniana. Si è ovunque dimostrato all'altezza dei compiti. Un pastore competente anche in teologia e diritto canonico».

A chi si ispira nel Magistero?

«I primi interventi in questi giorni iniziali ci dicono con sufficiente chiarezza che egli si pone in una "successione", che se alle origini risale alla fede di Pietro, immediatamente si collega alla persona di Francesco per l'attenzione agli ultimi, raggiungendo nella proiezione geopolitica Paolo VI già più volte citato ("mai più la guerra"). Parafrasando una frase del beato Carlo Acutis: nel progetto di Dio nessuno di noi è una "fotocopia"».

Non sarà un Francesco bis?

«No. Leone XIV entra nella successione petrina con le sue doti personali e con le esperienze maturate fino a oggi. Da qui il nostro sguardo e la nostra preghiera per lui e pure l'accoglienza delle sue direttive e delle sue indicazioni di viaggio. Non sarà una fotocopia del predecessore e anche per noi cardinali italiani il suo pontificato costituirà una forte sollecitazione ad allargare lo sguardo verso una dimensione autenticamente globale della fede».

Leone verrà amato dalla gente quanto Francesco?

«La reazione e la risposta di tanti e tanti fedeli (e pure di gran parte dell'opinione pubblica) hanno dimostrato intensa gratitudine per Francesco e vigorose speranze per Leone XIV. Si pensava che un conclave mai così numeroso e internazionale avrebbe avuto difficoltà a trovare una sintesi e invece in quattro votazioni siamo arrivati alla fumata bianca. È il segno di una Chiesa unita. Giovanni XXIII insegna che occorre l'unità nelle cose necessarie, la libertà in quelle dubbie e la carità in tutte. La sua enciclica Ad Petri cathedram ci orienta ancora all'unità attorno al "legittimo successore di quel Pietro, che Cristo Signore ha posto come pietra e fondamento della sua Chiesa"».

Quarto papato non italiano, la Chiesa è sempre più internazionale? Se lo aspettava?

«Avendo io vissuto nella mia prima giovinezza l'esperienza del Concilio Vaticano II non potevo attendermi diversamente. La Chiesa è "cattolica" e questa sua proprietà è abitualmente tradotta in italiano con "universale". Oggi, ad ogni modo, è anche letteralmente vera l'affermazione di san Giovanni Crisostomo riportata al numero 13 della costituzione dogmatica Lumen gentium: "Chi sta in Roma sa che gli Indi sono sue membra"».

Quali sfide per il pontificato?

«Ci sono alcune "sfide" che, per quanto con volti e intensità diverse, sono sempre presenti nella storia dell'umanità. Ma ce ne sono delle nuove e drammatiche. La scelta del nome di Leone lo ha detto lo stesso Papa rimanda alla figura di Leone XIII e alla Rerum novarum che nel 1891 inaugurò di fatto la dottrina sociale della Chiesa. Quanto al mondo di oggi, le "novità" ci sono al punto da far dire a Francesco, in una allocuzione di sei anni fa, che "quella che stiamo vivendo non è semplicemente un'epoca di cambiamenti, ma è un cambiamento di epoca". È davvero così».

Quali risposte darà Leone?

«La sfida di oggi non riguarda Dio, ma l'uomo stesso. Mi tornano alla mente due frasi: la prima è di Eugène Ionesco: "Dio è morto, Marx pure, e anche io non mi sento molto bene". La seconda di Hetty Hillesum che nel suo diario, sotto forma di preghiera a Dio, scrive: "tu non puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare te, difendere fino all'ultimo la tua casa in noi". Vale anche per Leone».

 

La Stampa, mercoledì 14 maggio, pag. 13

 

Giacomo Galeazzi