
Vocazione universale
«Santità – Cristo vive nel cristiano» è il titolo del libro con cui il cardinale Marcello Semeraro cerca di rispondere alla domanda “Che cos’è la santità?”. Edito da Ancora per la collana “Feritoie teologiche”, il volumetto (2025, pp. 144, euro 15) propone anche testimonianze di esperienze cristiane soffermandosi sulle figure di Francesco d’Assisi, Bonaventura da Bagno- regio, Tommaso d’Aquino, Giovanni d’Avila, Ignazio di Loyola, Teresa di Gesù, Giovanni della Croce, Teresa di Gesù Bambino, Francesco di Sales, Pietro di Bérulle, Madeleine Delbrêl e Pier Giorgio Frassati. Pubblichiamo di seguito l’introduzione scritta dallo stesso prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi.
È tale, un viaggio, se si prefigge una meta; così è pure di questo libro, la cui destinazione è già nel titolo. Il suo tema è la santità, meglio la figura del santo cristiano, a prescindere se poi, una volta conclusa la sua vita terrena, ci sarà o no una beatificazione o una canonizzazione.
La santità è, nella Chiesa, una vocazione; l’unica davvero «universale», come la indica il Concilio Vaticano II:
«Tutti coloro che credono nel Cristo, di qualsiasi stato o rango, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità» leggiamo nella sua costituzione dogmatica sulla Chiesa, dove subito ci si preoccupa di aggiungere che «tale santità promuove nella stessa società terrena un tenore di vita più umano» (Lumen gentium, n. 41). Il che implicitamente vuole dire che nel «santo» si realizza la forma più riuscita e bella di umanità. Mons. Antonio Bello così esortava i giovani cattolici della sua Chiesa di Molfetta:
«Siate soprattutto uomini. Fino in fondo. Anzi, fino in cima. Perché essere uomini fino in cima significa essere santi. Non fermatevi, perciò, a mezza costa: la santità non sopporta misure discrete» (A. BELLO, Scritti mariani, Lettere ai catechisti, Visite pastorali, Preghiere, Mezzina, Molfetta 2005, p. 222 [«Scritti di Mons. Antonio Bello»/3, n. 146]).
Della santità, poi, queste pagine intendono illustrare il contenuto e per far questo prendono spunto da un maestro: Romano Guardi- ni. Egli, per descrivere quella che egli chiama la interiorità cristiana e, ancora più letteralmente, la in-esistenza, la intimità di Cristo nel cristiano, ha tratto ispirazione soprattutto dal testo paolino di Gal 2, 20: santo è chi, come san Paolo, può ripetere: «Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me». Cristo-nel cristiano: questo è la santità.
È ben nota l’espressione agostiniana: Tu autem eras interior intimo meo (Con- fessiones, 111, 6, 11: PL 32, 688).
Intendeva che Dio è a noi più intimo di quanto noi non lo siamo a noi stessi. Vivere di questa intimità e in questa intimità è essere santi. Con Paolo, però, questa intimità non ha soltanto il volto, ma è la vita stessa di Gesù Cristo. Un ignoto commentatore dell’epistolario paolino, vissuto nel IV secolo e noto con il nome di Ambrosiaster, riguardo al battezzato scrive: in interiore homine habitat Christus. Cristo dimora nell’interiorità del cristiano (Commentaria in Epistolam ad Corinthios Secun- dam, V: PL 17, 293). L’espressione, ispirata da Ef 3, 17, ritorna spesso nella pa- trologia latina e Agostino la formula pure così: «nell’in- teriorità dell’uomo abita Cristo, nella tua interiorità tu sei rinnovato secondo l’immagine di Dio» (In Ioannis evangelium tractatus, CVIII, 10: PL 35, 1542); altrove, poi, quasi capovolgendo la formula, scrive: «Interiore è l’uomo in cui Cristo abita per ora mediante la fede; vi abiterà con la presenza della sua divinità quando conosceremo il senso della larghezza, lunghezza, altezza e profondità e conosceremo anche la carità del Cristo che supera ogni conoscenza, affinché ci riempiamo di tutta la pienezza di Dio» (Sermones, 1.111, 14, 15: PL 38, 371).
Il libro si conclude con due capitoli: una serie di testimonianze di santi e sante, anche mistici, per la cui vita spirituale il testo paolino è stato importante, e l’equiparazione tra la presenza di Cristo nel cristiano e la presenza in lui della sua gioia.
Ciò di cui il nostro tempo ha bisogno («epoca delle passioni tristi», qualcuno l’ha chiamata) è, ritengo, pure la testimonianza di una vita cristiana gioiosa. In una delle sue prime omelie in Santa Marta, con il suo linguaggio immediato Papa Francesco disse: «il cristiano è un uomo e una donna di gioia. Questo ci insegna Gesù, ci insegna la Chiesa, in questo tempo in maniera speciale. Che cosa è, questa gioia? È l’allegria? No: non è lo stesso. [...] la gioia è di più, è un’altra cosa. È una cosa che non viene dai motivi congiunturali, dai motivi del momento: è una cosa più profonda. È un dono. L’allegria, se noi vogliamo viverla tutti i momenti, alla fine si trasforma in leggerezza, superficialità, e anche ci porta a quello stato di mancanza di saggezza cristiana, ci fa un po’ scemi, ingenui, no?, tutto è allegria... no. La gioia è un’altra cosa. La gioia è un dono del Signore. Ci riempie da dentro. È come una unzione dello Spirito. E questa gioia è nella sicurezza che Gesù è con noi e con il Padre» (Omelia del 10 maggio 2013).
L'Osservatore Romano, pag.3, 23 agosto 2025
Marcello Card. Semeraro