Francesco Cástor Sojo López e 3 Compagni

Francesco Cástor Sojo López e 3 Compagni

(† 1936).

Venerabilità:

- 29 settembre 2020

- Papa  Francesco

Beatificazione:

- 30 ottobre 2021

- Papa  Francesco

Francisco Cástor Sojo López, Millán Garde Serrano, Manuel Galcerá Videllet, Aquilino Pastor Cambero furono arrestati perché sacerdoti. Erano coscienti della possibilità di subire una morte violenta. Sebbene si fossero nascosti, rimasero fedeli al ministero anche a costo di mettere a repentaglio la loro incolumità.

  • Biografia
  • Omelia nella Beatificazione
"Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua". (cf. Lc 9,23)

 

    La situazione politico-sociale, esistente in Spagna nel periodo della guerra civile (1936–1939), è storicamente nota, come pure il clima di persecuzione che i miliziani repubblicani instaurarono nei confronti di tutti coloro che si professavano membri della Chiesa cattolica, fossero essi consacrati o laici.

    La Causa in parola tratta del martirio di quattro Servi di Dio, appartenenti alla Fraternità Sacerdotale Operarios Diocesanos, uccisi fra il 1936 e il 1938. Essi sono:

    1. Francisco Cástor Sojo López. Nato a Madrigalejo (Spagna) il 28 marzo 1881, entrò nel Seminario di Plasencia e fu ordinato sacerdote il 19 dicembre 1903. Durante gli studi conobbe la Fraternità Sacerdotale Operarios Diocesanos; ne fece parte ufficialmente dall’11 ottobre 1903. Svolse il suo servizio sacerdotale soprattutto nell’ambito di vari seminari e collegi a Toledo, Plasencia, Badajoz, Segovia, Astorga e, dal 1933, a Ciudad Real. Il 23 luglio 1936 i miliziani irruppero nel seminario di Ciudad Real. Il 12 settembre 1936 il Servo di Dio fu arrestato e tenuto prigioniero per il resto della giornata. La notte tra il 12 e 13 settembre 1936 fu ucciso poco fuori Ciudad Real.

    2. Millán Garde Serrano. Nato il 21 dicembre 1876 a Vara del Rey (Spagna), entrò nel seminario di Cuenca e fu ordinato sacerdote il 21 dicembre 1901. Fece parte della Fraternità Sacerdotale Operarios Diocesanos a partire dal 12 agosto 1903. Svolse il servizio sacerdotale soprattutto nei seminari di Badajoz, dove rimase nove anni, Valladolid, Salamanca, Astorga e Plasencia e Leon. Il 7 luglio 1936 il Servo di Dio si recò nel suo paese natale. Dopo l’uccisione di un altro sacerdote, il Servo di Dio si ritirò in clandestinità, esercitando il ministero nel modo che era possibile. Il 10 aprile 1938 fu scoperto e denunciato. Venne incarcerato a Cuenca dove subì feroci torture. Nel giugno 1938, fu trasferito nel monastero delle Carmelitane Scalze, trasformato in carcere, dove morì nella notte del 7 luglio 1938, stremato dalle torture subite.

    3. Manuel Galcerá Videllet. Nato a Caseras (Spagna) il 6 luglio 1877, frequentò il seminario di Zaragoza. Il 1° giugno 1901 ricevette l’ordinazione sacerdotale. Entrò a far parte della Fraternità Sacerdotale Operarios Diocesanos nell’agosto del 1906. Svolse il servizio ministeriale a Zaragoza, Tarragona, Cuernavaca (Messico), Badajoz, Ciudad Real, Roma, Valladolid e Baeza. All’inizio della fase acuta della persecuzione religiosa, il Servo di Dio, con il Servo di Dio Aquilino (n. 4), suo confratello, cercarono di nascondersi in un domicilio, ma furono arrestati il 20 luglio 1936 e tenuti prigionieri con altri nel comune di Baeza. Il 3 settembre 1936, il Servo di Dio fu ucciso.

    4. Aquilino Pastor Cambero. Nato il 4 gennaio 1911 a Zarza de Granadilla (Spagna), studiò nel seminario di Coria e di Toledo e fu ordinato sacerdote il 25 agosto 1935. L’anno prima, era divenuto membro della Fraternità Sacerdotale Operarios Diocesanos. Esercitò il ministero a Baeza come prefetto degli alunni. Durante la persecuzione si nascose, insieme al Servo di Dio Manuel Galcerá Videllet, in un domicilio di Baeza. Entrambi furono arrestati il 20 luglio 1936 e portati nella prigione della città. Il 28 agosto 1936, il Servo di Dio e altri prigionieri furono portati fuori della città e uccisi.

    Il martirio materiale di tutti i Servi di Dio è sufficientemente provato. Si tratta di tre distinti episodi: il Servo di Dio Francisco Cástor Sojo López fu arrestato e ucciso a Ciudad Real; il Servo di Dio Millán Garde Serrano morì ex aerumnis carceris nel Monastero delle Carmelitane Scalze di Cuenca, trasformato in prigione; i Servi di Dio Manuel Galcerá Videllet e Aquilino Pastor Cambero furono uccisi a Baeza. Le tre Diocesi in cui si verificarono i fatti furono tra quelle maggiormente colpite dalla persecuzione della Spagna.

    L’odium fidei è provato dal fatto che tutti i Servi di Dio furono arrestati perché sacerdoti. La crudeltà delle torture inflitte in carcere al Servo di Dio Millán Garde Serrano, che ne cagionarono la morte, confermano l’odio dei carnefici verso la Chiesa e i suoi rappresentanti.

    A causa del clima di persecuzione che si stava diffondendo, i quattro sacerdoti erano coscienti della possibilità di subire una morte violenta. Sebbene si fossero nascosti, rimasero fedeli al ministero anche a costo di mettere a repentaglio la loro incolumità. Il Servo di Dio Millán Garde Serrano sopportò le torture con un atteggiamento di perdono verso i carnefici e con fiducia nel Signore.

    Si sono svolte quattro Inchieste diocesane, una per ciascun Servo di Dio, alle quali sono seguiti i rispettivi Decreti di validità giuridica della Congregazione delle Cause dei Santi.

 

Chi perde la vita per Cristo, la ritrova in lui

Omelia nella beatificazione di Francisco Cástor Sojo López e tre compagni, martiri

 

    «A tutti, diceva: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”». La parola di Gesù, che abbiamo insieme ascoltato è perentoria e chiara, non lascia adito a trucchi. Tra i suoi discepoli, egli si rivolge a tutti, senza eccezioni. Non a chi è più coraggioso, più bravo, più santo … No. A tutti. Sottrarsi a questa parola, oppure mitigarla sarebbe rinnegare il Maestro. Non si tratta, tuttavia, di una imposizione. Se qualcuno vuole, dice. Deve, dunque, trattarsi di una scelta libera. Ma in che modo?

    Rinneghi se stesso, dice Gesù e già questo è una prima, esigente condizione che non vuol dire ripudiare ciò che si è, ma quel che si è divenuti a motivo dell’egoismo, dell’interesse personale. «Non essere tu la tua stessa vita», spiegava sant’Agostino (Sermo 330, 4: PL 38, 1458); san Gregorio magno a sua volta osservava: «Può non essere faticosa all’uomo la rinuncia alle proprietà ma l’impresa ardua è proprio nel rinnegare se stessi. Infatti, è un sacrificio minore lasciare perdere ciò di cui si è in possesso: la difficoltà estrema sta nel distacco totale da ciò che si è» (Homiliae in Evangelia, XXXII, 1: PL 76, 1233).

    Subito dopo Gesù parla di una croce da assumere. Nella nostra memoria credente sorge immediatamente la visione del Golgota ed è davvero questo il luogo dove il cammino del credente giunge al suo traguardo. È stato così per Maria, la Madre che «avanzò nella peregrinazione della fede e serbò fedelmente la sua unione col Figlio sino alla croce, dove, non senza un disegno divino, se ne stette», ricorda il Concilio Vaticano II (Lumen gentium, n. 58). Il fatto, però, di doverla prendere ogni giorno, questa croce, esige un passo in avanti.

    Gesù, infatti, la sua croce l’ha portata una volta soltanto e poiché, sopra quella croce egli ha donato la vita, essa ha assunto un valore eterno. Noi, invece, per completare nella nostra vita la via crucis del Signore, abbiamo bisogno di assumerla ogni giorno e ogni giorno riprendere il nostro cammino di sequela. «La via in Dio è una croce quotidiana. Nessuno sale in cielo nell’agio», diceva Isacco di Ninive (Discorsi ascetici. Prima collezione, LIX. 9).

    Dobbiamo prenderla ogni giorno, la croce, perché, come una domenica disse il Papa, la tentazione di sempre è «quella di voler seguire un Cristo senza croce, anzi, di insegnare a Dio la strada giusta; come Pietro: “No, no Signore, questo no, non accadrà mai”. Ma Gesù ci ricorda che la sua via è la via dell’amore, e non c’è vero amore senza il sacrificio di sé. Siamo chiamati a non lasciarci assorbire dalla visione di questo mondo, ma ad essere sempre più consapevoli della necessità e della fatica per noi cristiani di camminare contro-corrente e in salita» (Angelus del 3 settembre 2017).

    Questo insegnamento di Gesù, i nuovi beati lo hanno accolto a cuore aperto e lo hanno fatto vero nella propria vita. Erano sacerdoti – è giusto ricordarlo – che, per quanto provenienti da tra distinte Diocesi, erano congiunti oltre che nella fraternità sacramentale, anche in quella dei Sacerdoti Operai Diocesani, e per questo si dedicavano specialmente alla promozione e alla formazione delle vocazioni sacerdotali. Non cercarono il martirio, perché il martirio non lo si cerca, ma lo si subisce. Quando, però, giunse il momento di dare col sangue la loro testimonianza a Cristo non si sottrassero e con amore abbracciarono la loro croce. È, dunque, così, che tre di loro, come il capofila il beato Francisco Cástor Sojo López, subirono la morte per uccisione ed uno, il beato Millán Garde Serrano, sopportando le torture con atteggiamento di perdono verso i carnefici e con fiducia verso il Signore.

    Considerando il martirio di questi beati, tornano alla memoria alcune espressioni di san Giovanni Paolo II: «Il martirio è la prova definitiva e radicale, la più grande prova dell’uomo, la prova della dignità dell’uomo al cospetto di Dio stesso. È “la” prova dell’uomo che ha luogo agli occhi di Dio, una prova nella quale l’uomo, aiutato dalla potenza di Dio, riporta la vittoria» (Omelia nella visita pastorale a Otranto. 5 ottobre 1980, n.4).

    «Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà», ci ha detto Gesù. Ed è così. In Cristo la vita non si perde mai; anzi la si trova, perché egli è la Vita. Di più: come disse dialogando con Marta, egli è non è soltanto la vita, ma è pure la risurrezione (cf. Gv 11,25).

 

    Basilica Cattedrale di Santa Maria di Tortosa, 30 ottobre 2021

 

Marcello Card. Semeraro