Gaetana (v.d. Nuccia) Tolomeo

Gaetana (v.d. Nuccia) Tolomeo

(1936 - 1997)

Venerabilità:

- 29 settembre 2020

- Papa  Francesco

Beatificazione:

- 03 ottobre 2021

- Papa  Francesco

Ricorrenza:

- 19 aprile

Nuccia fu un modello eccezionale di evangelizzazione della sofferenza con la sofferenza. 

  • Biografia
  • Omelia di Beatificazione
  • Decreto sulle Virtù
Ringrazio l’Amore di avermi crocifissa per amore

 

    Gaetana (chiamata “Nuccia”) Tolomeo nacque a Catanzaro il 10 aprile 1936. All’età di due anni, le fu diagnosticata una malformazione degli arti con paralisi progressiva. L’infermità le impedì il normale sviluppo corporeo, per cui dovette vivere tra la sedia ed il letto di casa per tutta la vita. Per il suo stato, entrò sempre di più nella sua particolare chiamata alla sequela di Cristo sofferente. Nel 1952 partecipò ad un pellegrinaggio a Lourdes dove si offrì vittima per i peccatori, offerta che rinnovò in seguito soprattutto per i sacerdoti. La sua casa divenne un luogo di incontro, di preghiera e di formazione cristiana.

    Morì il 24 gennaio 1997 a Catanzaro (Italia).

    Il decreto sull’eroicità delle virtù venne promulgato l’8 aprile 2019.

    Per la beatificazione di Gaetana Tolomeo, la Postulazione della Causa ha presentato all’esame della Congregazione l’asserito evento miracoloso, attribuito alla sua intercessione, della prosecuzione della gravidanza di una signora di Catanzaro (Italia), nel 2014, alla quale un’ecografia aveva evidenziato un embrione annidato nel canale cervicale dell’utero e che, nonostante i molteplici inviti ad abortire, pur consapevole dei rischi, decise di portare avanti la gravidanza. Una successiva ecografia evidenziò che il feto si trovava in sede intrauterina e in normale evoluzione per cui si ebbe una prosecuzione fisiologica della gravidanza fino alla nascita, con taglio cesareo, di un bambino perfettamente sano.

    L’iniziativa di invocare la Beata fu presa dal cappellano dell’Ospedale al quale si unì la signora, altre mamme ricoverate e il marito.

 

La debolezza umana incontra la forza della grazia

 

Omelia nella beatificazione di Maria Antonia Samà e Gaetana (Nuccia) Tolomeo

 

    Considerando la figura delle due beate – Maria Antonia Samà e Nuccia Tolomeo – non ci è difficile riconoscere, nel cuore della loro imitatio Christi, un elemento comune, che ha un nome difficile, terribile: sofferenza. Vi sono entrate in modo diverso –in forme addirittura inquietanti, la beata Maria Antonia, e con un doloroso sviluppo naturale l’altra – ma ambedue in forma progressiva, in continua crescita sì da diventare, l’una e l’altra, somiglianti a Cristo, vir dolorum et sciens infirmitatem (cf. Is 53,3). Di lui – nel brano che abbiamo insieme ascoltato dalla lettera agli Ebrei – si dice che fu reso perfetto per mezzo delle sofferenze. Riflettiamo, allora, su questa espressione, giacché pure questa non ci è di facile e immediata intelligenza. Perché questo paradossale rapporto?

    Di Gesù l’Autore ci dice anzitutto che è un «capo che guida alla salvezza»; aggiunge, quindi, che egli è «colui che santifica» e conclude che lo stesso non si vergogna di chiamarci «fratelli»! C’è un crescendo in questi tre titoli sicché l’uno approfondisce e spiega l’altro. Gesù è per noi una guida, ma non di quelle che ci danno semplicemente delle indicazioni, bensì uno che ci prende per mano e ci accompagna nel cammino e questo lo fa perché ci vuole bene, ci ama.

    Lui, che è santo e santificatore, non si vergogna della nostra debolezza e nemmeno del nostro essere peccatori. Questa nostra condizione non lo spinge ad abbandonarci. Così, nel caso, ci comportiamo noi! Quando qualcuno ci dispiace, o ci delude, o ci offende allora prendiamo le distanze, interrompiamo i contatti, lo cancelliamo dalla nostra agenda … Gesù, al contrario, prende su di sé la sofferenza e giunge a dare la vita per noi. «Mi ha amato e ha consegnato se stesso per me», scriverà, colmo di stupore e gratitudine, san Paolo (cf. Gal 2,20).

 

    L’Autore della Lettera agli Ebrei dice: non si vergogna. La «vergogna» nel racconto della creazione dell’uomo nasce col peccato, ma Gesù è l’Innocente, perciò non si vergogna; anzi salva e santifica. Sant’Agostino spiega: «Non si vergogna di chiamarli fratelli. Queste parole cos’altro significano se non che egli si è reso partecipe della loro stessa sorte? Difatti noi non saremmo mai diventati partecipi della sua divinità se egli non si fosse reso partecipe della nostra mortalità. E proprio perché si è reso partecipe della sorte dei propri fratelli, egli poté parlare di quel grano caduto per terra, che messo a morte portò frutto abbondante» (Esposizione sul salmo 118, Disc. 16, 6: PL 37, 1546-1547).

    Gesù fu reso perfetto per mezzo delle sofferenze. Lo fu certamente perché la via dolorosa è conseguente al mistero della sua incarnazione: si fece uomo nel grembo della Vergine, diciamo nel simbolo di fede. Qui però il testo sacro non si limita a dirci che il Figlio di Dio si è fatto uomo; si afferma, anzi, che si fatto fratello e questo sottolinea la presenza di un valore aggiunto, l’amore di Cristo per noi. «Mi ha amato e ha consegnato se stesso per me»: tra la sofferenza e la perfezione c’è l’amore. È l’amore che congiunge la sofferenza alla perfezione.

    Spiegando il nostro testo Benedetto XVI una volta disse: «il Figlio ha assunto la nostra umanità e per noi si è lasciato “educare” nel crogiuolo della sofferenza, si è lasciato trasformare da essa, come il chicco di grano che per portare frutto deve morire nella terra. Attraverso questo processo Gesù è stato “reso perfetto”, [termine che] indica il compimento di un cammino, cioè proprio il cammino di educazione e trasformazione del Figlio di Dio mediante la sofferenza, mediante la passione dolorosa» (Omelia nella solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, 3 giugno 2010). Nella medesima prospettiva di un cammino di educazione e trasformazione possiamo guardare pure alle nostre due Beate.

    Maria Antonia Samà, conosciuta come la monachella di san Bruno. Conformandosi in tutto alla divina volontà, ella amava ripetere: «Tutto per amore di Dio». E accadde che proprio la sua sofferenza offerta per amore produsse in quanti la conoscevano un potente impulso di carità sicché attorno a lei esplose l’amore. Lei accoglieva con gioia e umiltà chiunque volesse entrare nella sua casa e d’altra parte l’intero paese si mobilitava per soccorrerla e accudirla. Ci fu così un meraviglioso scambio di doni e questo perché l’amore fa nascere amore. Un antico assioma dice che la caratteristica propria del bene è di farsi conoscere e di essere comunicato ad altri, gratuitamente, come sua ragion d’essere, senza altro scopo che questo. Bonum est diffusivum et communicativum sui diceva anche san Tommaso d’Aquino e una volta aggiunse: «ed è per questo che il bene moltiplica la bontà» (Super Mt. [rep. Leodegarii Bissuntini], cap. 25 l. 2). È quanto si è verificato con la nostra Beata che ebbe da Dio la grazia di vivere tutto come dono, divenendo essa stessa dono per gli altri.

    Con lei c’è la beata Gaetana Tolomeo, da tutti conosciuta come Nuccia. Anche la sua fu una vita colma di sofferenza, ma fu pure una vita ricolmata e ricolma d’amore. Segnata come fu sin dai primi anni di vita da una paralisi progressiva e deformante, per amore di Cristo ella trasformò la sua disabilità in apostolato per la redenzione dell’uomo. Ripetendo: Ti ringrazio Gesù di avermi crocifissa per amore, divenne ella stessa un esempio di gratitudine per la vita ricevuta. «Sono Nuccia – diceva – una debole creatura in cui si degna operare ogni giorno la Potenza di Dio». In effetti la sua vita terrena fu ricca non di eventi e opere grandiose, ma di grazia e di adesione totale al volere di Dio nella semplicità quotidiana. Due mesi prima di morire lanciò ai giovani di Sassari questo messaggio: «Ho 60 anni, tutti trascorsi su un letto; il mio corpo è contorto, in tutto devo dipendere dagli altri, ma il mio spirito è rimasto giovane. Il segreto della mia giovinezza e della mia gioia di vivere è Gesù. Alleluia».

    «Conveniva che Dio rendesse perfetto per mezzo delle sofferenze il capo che guida alla salvezza». Quello che Dio ha fatto nel capo lo ha fatto anche nelle membra di Lui. È questa la storia della santità: di queste due beate, ma non di loro soltanto.

    Quella della santità, infatti, è la storia della forza di Dio nella debolezza umana.

    Così è stato per la Vergine Maria: «Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente» (Lc 1,49); così per tutti.

    La santità è, come insegna Papa Francesco, proprio l’incontro della debolezza umana con la forza della grazia (cf. Gaudete et exsultate, n. 34).

 

    Catanzaro, Basilica dell’Immacolata, 3 ottobre 2021

 

Marcello Card. Semeraro

 

CONGREGATIO DE CAUSIS SANCTORUM

 

Catacensis  –  Squillacensis

 

Beatificationis  et  Canonizationis

Servae  Dei

CAIETANAE (v.d. NUCCIAE) TOLOMEO

christifidelis laicae

(1936-1997)

_________________________

DECRETUM  SUPER  VIRTUTIBUS

 

    «Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio» (1 Cor 1, 27-29).

 

    La Serva di Dio Gaetana Tolomeo, comunemente conosciuta con il diminutivo di Nuccia, fu testimone dell’amore misericordioso di Dio, vivendo nella gratitudine per il dono dell’immobilità e per la partecipazione alle sofferenze di Gesù. La sua immobilità fisica fu il mezzo attraverso il quale raggiunse un grande numero di persone e offrì sé stessa quale vittima d’amore.

    La Serva di Dio, primogenita di Salvatore e Carmela Palermo, nacque a Catanzaro, 10 aprile 1936: era il venerdì santo. All’anagrafe la sua nascita fu denunciata solamente il seguente 19 aprile. La bambina venne battezzata il 12 luglio dello stesso anno. Educata cristianamente in famiglia, quando Nuccia mosse i primi passi iniziò a evidenziare una paralisi progressiva e deformante, che ne impedì il normale sviluppo corporeo. Nuccia dovette vivere tra la sedia e il letto di casa praticamente per tutta la vita. Dopo aver consultato molti medici, nel 1941 la Serva di Dio fu inviata per cure presso una zia a Cuneo, dove rimase fino al 1944 per gli eventi della seconda guerra mondiale. Le cure tuttavia risultarono vane e non arrestarono la progressione della paralisi.

    Nel 1945 Nuccia ricevette la Prima Comunione, probabilmente insieme alla cresima. Riuscì a frequentare la scuola primaria fino alla quarta elementare. A causa dell’infermità, era in tutto dipendente dalle persone che stavano attorno a lei: mentre il padre non accettò la malattia della figlia e reagì con atteggiamenti sempre più violenti anche verso gli stessi membri della famiglia, la mamma la seguì con grande amore materno e cristiano e le cugine le furono vicine. In più, non le mancava il sostegno spirituale di alcune Suore Paoline e dell’Istituto Palazzolo e anche di alcuni sacerdoti.

    Nuccia, con grande fede, si immerse sempre più nella sua particolare sequela di Cristo sofferente. La sua crescita spirituale comportò anche forti prove, segnate da angoscia, mestizia, fatica e dolore. Unendosi alle sofferenze di Cristo e sperimentandone la consolazione, visse la trasfigurazione della croce nella forza della consolazione e della speranza. Il suo viso spesso si illuminava di un sorriso contagioso. Era molto devota dell’Angelo Custode, che chiamava amabilmente con il nome di “Sorriso”, e di San Pio di Pietrelcina. Amava il rosario, la meditazione della Parola di Dio, la preghiera dell’Ora santa e la Via Crucis. Nel 1952 poté partecipare ad un pellegrinaggio a Lourdes dove si offrì per la prima volta vittima per i peccatori, offerta che rinnovò in seguito a favore della Chiesa, dei carcerati, dei giovani, dei peccatori e per la santificazione dei sacerdoti. La Serva di Dio diventava, in tal modo, un modello eccezionale di evangelizzazione della sofferenza con la sofferenza. Fino all’età di trenta anni riuscì a partecipare alla Messa domenicale, portata in braccio. Fece parte dell’Azione Cattolica e della Milizia della Anime Riparatrici del Cuore di Gesù.

    Nel 1976 nacque il gruppo folk “Due Mari-Città di Catanzaro” che, anche grazie alla musica popolare, le offrì frequenti occasioni di sollievo spirituale, dando, allo stesso tempo, a molti giovani l’opportunità di confrontarsi con il Vangelo. La casa di Nuccia divenne sempre più un luogo di incontro, di preghiera e anche di formazione cristiana.

    Nel 1980 morì il papà della Serva di Dio, per la cui salvezza aveva pregato e sofferto molto. In quell’anno Nuccia era ormai arrivata alla paralisi completa che le provocò la tentazione della disperazione, superata con l’abbandono totale in Gesù Crocifisso. «Ringrazio l’Amore di avermi crocifissa per amore», amava ripetere. Nel 1993 morì anche la madre della Serva di Dio.

    L’anno seguente Nuccia iniziò un’intensa attività con Radio Maria, in un programma attraverso il quale si rivolgeva a coloro che soffrivano nel corpo e nello spirito, specialmente ai carcerati che chiamava fratelli ristretti senza dimenticare i giovani e le famiglie in difficoltà. Tantissime erano le persone che si rivolgevano a lei telefonicamente o per lettera. Tutti esortava a custodire la comunione con Gesù e Maria quale risposta alle necessità fisiche e spirituali.

    Sorella morte la colse nelle prime ore del venerdì 24 gennaio 1997. Le sue ultime parole furono: «Voglio Gesù».

    Perdurando la sua fama di santità, il 31 luglio 2009 si tenne la prima sessione pubblica dell’Inchiesta diocesana presso la Curia ecclesiastica di Catanzaro. L’Inchiesta si concluse il 24 gennaio 2010. Con decreto del 9 aprile 2011, questa Congregazione delle Cause dei Santi ne ha riconosciuto la validità giuridica. Preparata la Positio, si è discusso, secondo la consueta procedura, se la Serva di Dio abbia esercitato in grado eroico le virtù. Il 6 marzo 2018 ha avuto luogo, con esito positivo, il Congresso Peculiare dei Consultori Teologi. I Padri Cardinali e Vescovi nella Sessione Ordinaria del 26 marzo 2019, presieduta da me Card. Angelo Becciu, hanno riconosciuto che la Serva di Dio ha esercitato in grado eroico le virtù teologali, cardinali e annesse.

    Facta demum de hisce omnibus rebus Summo Pontifici Francisco per subscriptum Cardinalem Praefectum accurata relatione, Sanctitas Sua, vota Congregationis de Causis Sanctorum excipiens rataque habens, hodierno die declaravit: Constare de virtutibus theologalibus Fide, Spe et Caritate tum in Deum tum in proximum, necnon de cardinalibus Prudentia, Iustitia, Temperantia et Fortitudine, iisque adnexis, in gradu eroico, Servae Dei Caietanae (v.d. Nucciae) Tolomeo, Christifidelis Laicae, in casu et ad effectum de quo agitur.

 

    Hoc autem decretum publici iuris fieri et in acta Congre­gationis de Causis Sanctorum Summus Pontifex referri mandavit.

 

    Datum Romae, die 6 mensis Aprilis a. D. 2019.

 

 

 

Angelus Card. Becciu

Praefectus

 

                                                                               + Marcellus Bartolucci

                                                                                Archiep. tit. Mevaniensis

                                                                                    a Secretis