Riccardo Pampuri

Riccardo Pampuri

(1897-1930)

Beatificazione:

- 04 ottobre 1981

- Papa  Giovanni Paolo II

Canonizzazione:

- 01 novembre 1989

- Papa  Giovanni Paolo II

- Basilica Vaticana

Ricorrenza:

- 1 maggio

Religioso italiano, che dapprima esercitò con generosità nel mondo la professione di medico e, entrato poi nell’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio, dopo circa due anni riposò in pace nel Signore

  • Biografia
  • Omelia
  • i miracoli e la santità
  • omelia di beatificazione
"Padre, come mi accoglierà Iddio?... Io l’ho amato tanto, e tanto lo amo"

 

Erminio Filippo Pampuri, in religione Fra Riccardo, decimo di undici figli, nacque il 2 agosto 1897 a Trivolzio (Pavia) da Innocenzo e Angela Campari, e fu battezzato il giorno seguente.
Orfano di madre a tre anni, venne accolto ed educato in casa degli zii materni a Torrino, frazione di Trivolzio. Nel 1907 gli morì a Milano anche il padre.

Compiute le scuole elementari in due paesi vicini, e la prima ginnasiale a Milano, fu alunno interno nel Collegio Sant'Agostino di Pavia. Dopo gli studi liceali, si iscrisse alla facoltà di medicina nell'Università di Pavia.

Durante la prima guerra mondiale, fu sotto le armi negli anni 1915-1920, prestando servizio sanitario in zona di guerra, prima da sergente, poi da ufficiale aspirante medico.

Si laureò in medicina e chirurgia col massimo dei voti il 6 luglio 1921 nella menzionata università.
Dopo un tirocinio presso lo zio medico e una breve supplenza nella Condotta medica di Vernate, fu nominato medico condotto di Morimondo (Milano). Nel 1922 compì lodevolmente un corso di perfezionamento nell'istituto Ostetrico-Ginecologico di Milano, e nel 1923 il corso per l'abilitazione ad ufficiale sanitario nell'Università pavese.

Molto presto cominciò ad aprire la mente e il cuore agli ideali cristiani della santità e dell'apostolato, sì che già da fanciullo avrebbe voluto seguire la vita sacerdotale e missionaria, ma ne fu sempre dissuaso per la gracilità della sua salute.

Fin dall'adolescenza fu sempre e dovunque fulgido esempio del cristiano che, pur vivendo in mezzo al mondo, professa apertamente e con coerenza il messaggio evangelico e pratica con generosa dedizione le opere di misericordia. Amava la preghiera e si teneva costantemente in intima unione con Dio anche durante l'attività esterna.

Assiduo alla mensa eucaristica, si intratteneva lungamente dinanzi al santo tabernacolo in profonda adorazione.

Devotissimo della beata Vergine Maria, recitava il Rosario anche più volte al giorno.

Fu socio, attivo ed operoso, del Circolo Universitario Severino Boezio di Pavia ed anche della Conferenza di San Vincenzo de' Paoli e terziario francescano.

Appartenente all'Azione Cattolica fin da ragazzo, giunto nella Condotta medica di Morimondo, fu prezioso collaboratore del parroco, confondatore del Circolo della Gioventù di Azione Cattolica, di cui fu il primo presidente, e del corpo musicale: l'uno e l'altro intitolati a San Pio X. Fu pure segretario della commissione missionaria della parrocchia.

Organizzava turni di esercizi spirituali presso la " Villa del Sacro Cuore " dei Padri Gesuiti in Triuggio, per i giovani del Circolo e per i lavoratori della campagna ed operai, sostenendone generalmente anche le spese, e vi invitava pure colleghi ed amici.

Nell'esercizio della professione, oltre ad essere molto studioso e competente, era ammirevolmente sollecito, generoso e caritatevole. Visitava gli infermi senza mai risparmiarsi né di giorno né di notte in qualunque parte della Condotta medica, allora assai impervia. Essendo i malati in gran parte poveri, dava loro medicine, danaro, alimenti, indumenti, coperte, ed estendeva la sua carità anche ai lavoratori e ai bisognosi sia di Morimondo e delle cascine vicine, che di altri paesi e località.
Quando perciò, dopo circa sei anni, lasciò la Condotta medica per farsi religioso, il rimpianto di aver perduto il " dottorino santo " fu vivissimo e generale, fino a farsene eco anche la stampa quotidiana.

Il dott. Pampuri abbracciò la vita religiosa ospedaliera nell'Ordine di San Giovanni di Dio (" Fatebenefratelli ") per potere così conseguire più speditamente la perfezione evangelica e nello stesso tempo continuare l'esercizio della professione medica a sollievo del prossimo sofferente. Entrato nell'Ordine a Milano il 22 giugno 1927, dopo l'anno di noviziato, compiuto a Brescia, il 24 ottobre 1928 emise i voti religiosi.

Nominato direttore del Gabinetto dentistico annesso all'Ospedale dei Fatebenefratelli di Brescia, frequentato prevalentemente da poveri e da operai, fra Riccardo si prodigò instancabilmente a loro sollievo con meravigliosa carità, attirandosi la stima e la venerazione di tutta la popolazione.

Durante la sua vita religiosa fra Riccardo, com'era sempre stato nel secolo, fu a tutti modello di perfezione e di carità: ai confratelli, ai medici, agli infermi, al personale paramedico e ausiliare e a quant'altri lo avvicinavano. Da tutti era tenuto in concetto di santità.

In seguito alla recrudescenza di una pleurite contratta durante il servizio militare, degenerata in broncopolmonite specifica, il 18 aprile 1930 fu trasportato da Brescia a Milano, dove morì santamente il 1° maggio a 33 anni di età, " lasciando il ricordo di un medico che seppe trasformare la propria professione in missione di carità, e di un religioso che riprodusse in sé la figura del vero figlio di S. Giovanni di Dio " (Decreto di eroicità delle virtù, 12 giugno 1978).

CANONIZZAZIONE DI GASPARE BERTONI E RICCARDO PAMPURI

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Solennità di Tutti i Santi - Mercoledì, 1° novembre 1989

 

1. “Apparve una moltitudine immensa” (Ap 7, 9).

Oggi e il giorno in cui la Chiesa con occhi di fede, di speranza e di carità, guarda la “moltitudine immensa”: la solennità di Tutti i Santi.

Questa moltitudine è una comunità: “communio sanctorum”. Coloro che la Chiesa venera oggi provengono da “ogni nazione, razza, popolo e lingua” (Ap 7, 9).

L’apostolo Giovanni li ode nell’Apocalisse, mentre esclamano con voce risonante: “La salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all’Agnello” (Ap 7, 10).

Il grande giorno della definitiva unione degli uomini in Cristo. La solennità dell’eterna salvezza in Dio uno e trino.

“Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli. Amen” (Ap 7, 12).

2. Tra queste moltitudini la Chiesa desidera chiamare oggi per nome due nuovi santi: Gaspare Bertoni e Riccardo Pampuri.

Anche loro si trovano tra coloro che “sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col Sangue dell’Agnello” (Ap 7, 14).

Portano su di sé il sigillo salvifico della Redenzione di Cristo.

La Chiesa, iscrivendo i loro nomi nel libro dei salvati, desidera rendere il supremo omaggio al Redentore dell’uomo. In Cristo desidera adorare il Dio vivo: poiché la gloria di Dio è l’uomo che da lui ha la pienezza di vita.

3. “Prendendo la parola, (Gesù) li ammaestrava dicendo: “Beati” (Mt 5, 2). Gesù sembra proporre, mediante le beatitudini, mete che superano le capacità umane; sembra esprimere per i suoi discepoli esigenze quasi illimitate.

La sua proposta si spinge fino alle radice dell’esperienza che l’uomo fa del proprio limite: la povertà, l’umiliazione, il pianto, la persecuzione.

In realtà le parole di Gesù ci dicono con viva chiarezza che Dio ha dato il suo Figlio al mondo per liberare l’uomo da un destino di sofferenza e per ricondurre l’umanità ad una vita nuova, mediante la Croce. L’amore infinito del Figlio unigenito, con la sua obbedienza fino alla morte, raggiunge la sofferenza umana nella sua dimensione temporale e storica, e riconduce ogni uomo alla speranza della vita e della santità eterne.

È proprio questo il linguaggio delle beatitudini, che, a prima vista, sembra sconcertante ed iperbolico, ma che, in realtà, raccoglie tutta l’esperienza del dolore per affermare con forza che Dio ha riconciliato a sé l’uomo e, santificandolo, lo ha ricondotto alla piena partecipazione della vita divina. Ciò avviene proprio mediante la Croce, poiché nel Crocifisso Dio si è definitivamente avvicinato all’umanità e l’uomo ha acquistato piena coscienza della sua dignità ed elevazione.

La comunità cristiana delle origini, sempre sul punto di sentirsi travolta dalle persecuzioni, era invitata a gioire, alla luce di queste parole, riconoscendo di dover soffrire “a causa della giustizia” (Mt 5, 10), cioè a causa del Vangelo.

Anche oggi lo Spirito di Gesù continua a suscitare tra quanti ne accolgono il messaggio la gioia delle beatitudini mediante la testimonianza dei suoi amici, i santi. Per mezzo di essi continua ad operare meraviglie nel cuore dell’uomo, e ad attestare la propria vicinanza al povero e all’afflitto, per consolare, sostenere e saziare di giustizia tutti coloro che “sono chiamati figli di Dio e lo sono realmente” (cf. 1 Gv 3, 1).

4. Anche noi oggi, contemplando Gaspare Bertoni e Riccardo Pampuri, siamo invitati a rallegrarci ed esultare, perché in essi vediamo risplendere il mistero dell’eterna santità di Dio uno e trino, che a noi viene riproposta in una nuova attualizzazione del contenuto delle beatitudini evangeliche.

Si tratta di due persone che sono state amanti della povertà, sensibili verso la sofferenza, premurose con gli abbandonati, partecipi dell’angoscia e dell’afflizione dei loro fratelli. Due testimoni dell’amore di Cristo, sia pure in tempi e in forme diverse di vita.

Il primo, san Gaspare Bertoni, nel periodo successivo alla rivoluzione francese, tra le miserie economiche e morali di una Verona provata dai conflitti napoleonici; il secondo, san Riccardo Pampuri, agli inizi di questo secolo, quale testimone di carità nella vita ordinaria di medico, nel servizio ai feriti sul fronte della prima guerra mondiale, nelle corsie di un ospedale come fratello laico dell’ordine ospedaliero di san Giovanni di Dio.

Ambedue “sono passati attraverso la grande tribolazione ed hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello” (Ap 7, 14). Ambedue si sono rivestiti di Cristo per essere “simili a lui” (1 Gv 3, 2). Come veri figli di Dio hanno imitato l’amore grande del Padre, hanno accettato di non essere conosciuti dal mondo, che non conosce Cristo. Ma proprio per questo sono stati “conosciuti da lui” e da lui sono stati portati a conoscerlo in un modo nuovo, nella carità, con cuore puro, nella misericordia. Essi hanno maturato, mediante la loro fede, una eccezionale speranza, accettando la purificazione della sofferenza e del sacrificio per essere davvero “puri di cuore” (Mt 5, 8) “come egli è puro” (1 Gv 3, 3).

5. Per condurre a Dio “una generazione che lo cerca, che cerca il volto del Dio di Giacobbe” (cf. Psalmus responsorius), san Gaspare Bertoni ottenne una speciale grazia, una “benedizione del Signore” (cf. Psalmus responsorius).

Egli appartiene a quella schiera di santi, di beati, di servi di Dio, che prodigiosamente si sviluppò in terra veneta all’inizio del secolo scorso, in mezzo a gravissime vicende di guerre, devastazioni e povertà. Consapevole, come altre anime elette di quell’epoca, che si stava scrivendo una nuova pagina di storia e che era in formazione una nuova cultura, si prodigò per una rinnovata evangelizzazione tra il popolo.

Egli era convinto che la predicazione è chiamata ad affrontare contesti storici sempre diversi ed esige, in situazioni di conflittualità e di contrasto, sempre nuove riflessioni. San Gaspare, dotato per questo di speciali doni di sapienza e di discernimento, impegnò le sue forze, nonostante la fragile salute, nella predicazione assidua. Per incarico del suo Vescovo operò per la formazione e la direzione spirituale dei seminaristi, del clero e dei religiosi.

Consapevole, poi, che il futuro della Chiesa risiedeva nella formazione dei giovani, per condizione più esposti agli influssi dello spirito del tempo e maggiormente toccati dalla miseria e dal depauperamento sociale, san Gaspare intuì che essi dovevano venir preparati, da una parte, ad affrontare le nuove battaglie per la fede e, dall’altra, ad inserirsi nelle nuove professioni dell’insorgente era tecnica. Per questo egli si orientò verso la loro educazione, prima dando vita agli oratori giovanili, posti sotto la protezione della Vergine, poi coinvolgendo nella medesima opera altri amici sacerdoti, che si ritrovarono così a formare la nuova congregazione degli stimmatini.

È significativo notare che san Gaspare Bertoni delineò un progetto di vita cristiana, nel quale era prevista per tutti, qualunque fosse lo stato di vita, la chiamata alla santità di vita: non solo per i sacerdoti, ma per i coniugi, sull’esempio dei santi sposi di Nazaret, per i giovani, per i lavoratori e per ogni altra categoria di persone. I suoi amici, i “Missionari apostolici”, in comunione di vita pastorale con i Vescovi, questo dovevano predicare: la vocazione universale alla santità, con la consapevolezza che dal sacrificio di Cristo, dal suo Cuore misericordioso, dalle sue piaghe scaturisce per tutti la speranza.

San Gaspare seppe così condurre tante anime a far parte di quella “moltitudine immensa”, che noi oggi contempliamo con cuore esultante e grato.

6. “Beati i misericordiosi . . . Beati i puri di cuore” (Mt 5, 7-8). In appena trentatré anni, quali quelli del Cristo da lui amato sopra ogni cosa, la vita di san Riccardo Pampuri fu tutta un dono, a Dio e ai fratelli: come giovane apostolo tra gli studenti universitari, tra i militari in trincea durante gli orrori della guerra, tra i fedeli della parrocchia dove fu medico condotto. Seguendo poi la sua vocazione personale, egli entrò nell’ordine dei fatebenefratelli, perché attratto dallo specifico ministero di questa famiglia religiosa di natura laicale, sorta per un servizio di carità anche eroica verso gli infermi, e verso i sofferenti più poveri.

In una comunità che doveva fare della misericordia il motto principale del proprio ministero, san Riccardo sentì di dover rispondere con un nuovo segno ed una nuova disponibilità a Cristo, “con una corrispondenza sempre più pronta e generosa, con un abbandono sempre più completo, sempre più perfetto nel Cuore Sacratissimo di Gesù” (Lettera alla sorella, 6 set. 1923).

Occorre però ricordare che san Riccardo iniziò il suo cammino di santificazione nel contesto dell’intensa spiritualità dei laici, proposta dall’Azione Cattolica. Per questo, sia come adolescente che come giovane studente e professionista, s’impegnò nel lavoro di formazione con l’aiuto di una attenta direzione spirituale, facendo degli esercizi spirituali un suo impegno forte e attingendo alla pietà eucaristica l’energia necessaria per proseguire nonostante le difficoltà.

Soprattutto egli penetrò il messaggio della carità evangelica alla luce della meditazione e della preghiera, trascorrendo intensi tempi di contemplazione accanto all’Eucaristia, e dedicandosi poi, con una sensibilità particolarmente acuta, ai sofferenti in ogni circostanza.

Come non essere toccati dalle parole con cui san Riccardo si rivolgeva, in un ultimo colloquio, al suo direttore spirituale: “Padre, come mi accoglierà Iddio? . . . Io l’ho amato tanto, e tanto lo amo”. In questo intenso amore sta il supremo valore del carisma di un vero fratello dell’ordine di san Giovanni di Dio, la cui vocazione consiste proprio nel riproporre l’immagine di Cristo per ogni uomo incontrato nel proprio cammino, in un rapporto fatto di amore disinteressato e alimentato alla sorgente di un cuore puro.

7. “Chi salirà il monte del Signore / chi starà nel suo luogo santo?” (Sal 24, 3) - domanda la Chiesa con le parole del salmista nell’odierna solennità. E risponde:

“Chi ha mani innocenti e cuore puro, / chi non pronuncia menzogna” (Sal 24, 4).

Un tale uomo fu san Gaspare Bertoni. Un tale uomo fu Riccardo Pampuri. Così furono e sono tutti i santi, che ricordiamo oggi.

Insieme ad essi anche noi tutti viviamo quel “salire il monte del Signore”, monte spirituale.

Grazie a loro viene espressa e confermata in modo particolare la verità che: “Del Signore è la terra e quanto contiene, / l’universo e i suoi abitanti” (Sal 24, 1).

Sono del Signore!

Davvero: “beata la generazione che cerca il Signore, che cerca il volto del Dio di Giacobbe” (cf. Sal 24, 6).

Beati coloro che “dopo essere diventati simili a lui, lo vedono così come egli è (cf. 1 Gv 3, 2). Amen.

Dopo la morte, la fama di santità, che riscuoteva in vita, si diffuse largamente in Italia, in Europa e negli altri continenti. Molti fedeli ottenevano da Dio grazie segnalate, anche miracolose, per sua intercessione.

Approvati i due miracoli presentati, venne beatificato da sua Santità Giovanni Paolo II il 4 ottobre 1981.

Poi, riconosciuta miracolosa la guarigione avvenuta il 5 gennaio 1982 ad Àlcadozo (Àlbacede, Spagna) per l'intercessione del Beato Riccardo Pampuri, venne approvato il miracolo. Nella festività di Tutti i Santi, 1° novembre 1989, è solennemente canonizzato.

La vita breve, ma intensa, di Fra Riccardo Pampuri è uno sprone per tutto il popolo di Dio, ma specialmente per i giovani, per i medici, per i religiosi.

Ai giovani contemporanei egli rivolge l'invito a vivere gioiosamente e coraggiosamente la fede cristiana; in continuo ascolto della parola di Dio, in generosa coerenza con le esigenze del messaggio di Cristo, nella donazione verso i fratelli.

Ai medici, suoi colleghi, egli rivolge l'appello che svolgano con impegno la loro delicata arte, animandola con gli ideali cristiani, umani, professionali, perché sia un'autentica missione di servizio sociale, di carità fraterna, di vera promozione umana.

Ai religiosi ed alle religiose, specialmente a quelli e quelle che, nell'umiltà e nel nascondimento, realizzano la loro consacrazione fra le corsie degli ospedali e nelle case di cura, Fra Riccardo raccomanda di vivere lo spirito originario del loro Istituto, nell'amore di Dio e dei fratelli bisognosi " (Omelia, 4 ottobre 1981).

Il corpo di San Riccardo Pampuri è conservato e venerato nella Chiesa parrocchiale di Trivolzio (Pavia) e la sua festa si celebra il 1° maggio.

SANTA MESSA PER LA PROCLAMAZIONE DI CINQUE NUOVI BEATI

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 4 ottobre 1981

 

Fratelli e sorelle carissimi!

1. Oggi è un giorno di sincera esultanza e di fervida letizia per il Popolo di Dio! La Chiesa tutta si inginocchia per venerare tre suoi figli e due sue figlie, che nella loro esistenza terrena in maniera eroica hanno realizzato, giorno dopo giorno, le esigenze del messaggio del Vangelo. La Chiesa, santificata dal sangue del suo Sposo, il Cristo, è diventata Madre di santi e di sante! E in questo giorno ha l’intima fierezza di presentare al mondo contemporaneo cinque nuovi beati, testimoni della sua perenne, inesauribile, giovanile vitalità, e portatori di quel messaggio di gioia, che e tipico dell’annuncio del Vangelo.

E nel segno di questa gioia cristiana noi ascolteremo il messaggio, che i nuovi cinque beati oggi ci consegnano, perché lo sappiamo fare nostro, realizzandolo nella nostra vita, e lo trasmettiamo, così, nella sua genuinità alla odierna società, che é in continua ricerca dell’Assoluto.


2. Alain de Solminihac, nato da un’antica famiglia di Perigord, il cui motto era “Fede e Coraggio”, aveva da principio pensato di unirsi ai Cavalieri di Malta. Ma nel 1613, all’età di vent’anni, decide di entrare nell’Abbazia di Chancelade, nei dintorni di Perigueux, tenuta dai Canonici regolari di sant’Agostino. Dopo la sua ordinazione, si dedica agli studi di teologia e di spiritualità a Parigi. Nel giorno dell’Epifania del 1623, riceve la benedizione abbaziale ed intraprende coraggiosamente la restaurazione materiale e spirituale della sua Abbazia. È l’epoca della applicazione del Concilio di Trento. Questo esempio ha una vasta eco nella regione e anche ben oltre. Ora, vorrei sottolineare come una simile personalità capace di spronare alla vita evangelica possa illuminare singolarmente gli Istituti religiosi dei nostri tempi. Inevitabilmente condizionati dai mutamenti socio-culturali attuali, essi devono raccogliere la sfida del venir meno, al fine di un rinnovamento, della fedeltà alla “via stretta” insegnata da Gesù stesso e sempre caratterizzata dalla scelta cosciente e permanente della povertà, della castità e dell’obbedienza consacrate. L’esperienza di Alain di Solminihac ricorda opportunamente a tutti i religiosi il valore e la fecondità della loro radicale oblazione, sostenuta dall’osservanza della Regola dalla mortificazione, dalla vita comunitaria. Prego il nuovo beato di comunicare loro il suo fervore ascetico.

Nel 1636, la fama dello zelo e della santità dell’Abate di Chancelade fece sì che egli fosse nominato Vescovo di Cahors da Papa Urbano VIII. Fervente ammiratore della pastorale conciliare del santo Arcivescovo di Milano, Carlo Borromeo, Monsignor di Solminihac prese anch’egli la decisione di conferire alla sua diocesi le caratteristiche e la vitalità tanto raccomandate dal Concilio di Trento. I suoi ventidue anni di servizio episcopale nella regione di Quercy furono densi di una incessante serie di attività importanti ed efficaci: la convocazione di un Sinodo diocesano, la costituzione di un consiglio episcopale settimanale, la visita sistematica alle ottocento parrocchie della diocesi, che egli rivide nove volte ciascuna, la creazione di un Seminario affidato ai Lazzaristi, la moltiplicazione delle missioni parrocchiali, lo sviluppo del culto eucaristico in un periodo in cui il giansenismo cominciava a riprendersi, la promozione o la fondazione di opere caritative per gli anziani e gli orfani, per i malati e le vittime della peste. Tre anni prima della sua morte, in occasione del Giubileo del 1656, predicò sia perché il suo popolo si convertisse, che perché fosse sensibilizzato alla missione particolare del Vescovo di Roma, garante della comunione tra le Chiese. In breve, un versetto tratto dal Salmo 69 riassume perfettamente la vita pastorale di questo Vescovo del diciassettesimo secolo: “Mi divora lo zelo per la tua casa”. La figura ammirevole di Alain di Solminihac merita pienamente di essere messa in luce dalla Chiesa che egli ha servito tanto ardentemente. Che i Vescovi di Francia e di tutti gli altri Paesi sappiano trovare nella vita del beato Alain di Solminihac il coraggio di compiere senza paura la loro funzione di evangelizzatori nel mondo contemporaneo!

Traduzione

2. Alain de Solminihac, issu d’une vieille famille du Périgord, dont la devise était “ Foi et Vaillance ”, avait d’abord songé aux Chevaliers de Malte. Mais en 1613, à l’âge de vingt ans, il décide d’entrer à l’Abbaye de Chancelade, proche de Périgueux et tenue par les Chanoines réguliers de Saint-Augustin. Après son ordination, il poursuit des études de théologie et de spiritualité à Paris. A l’Epiphanie de 1623, il reçoit la Bénédiction abbatiale et entreprend courageusement la restauration matérielle et spirituelle de son Abbaye. C’était l’époque de la mise en application du Concile de Trente. Cet exemple eut un grand retentissement dans la région et bien au-delà. Ici, je voudrais souligner qu’un tel entraîneur à la vie évangélique peut singulièrement éclairer les Instituts religieux de notre temps. Inévitablement touchés par les mutations socioculturelles actuelles, ils doivent relever le défi de l’affadissement ou même de la dilution par un renouveau de la fidélité à la “ voie étroite ” enseignée par Jésus lui-même et à jamais caractérisée par le choix conscient et permanent de la pauvreté, de la chasteté et de l’obéissance consacrées.

L’expérience d’Alain de Solminihac rappelle opportunément à tous les religieux la valeur et la fécondité de leur oblation radicale, soutenue par l’observance de la Règle, la mortification, la vie en communauté. Je prie le nouveau Bienheureux de leur communiquer sa ferveur ascétique.
En 1636, la réputation de zèle et de sainteté de l’Abbé de Chancelade le fit nommer à l’évêché de Cahors par le Pape Urbain VIII. Fervent admirateur de la pastorale conciliaire du saint Archevêque de Milan, Charles Borromée, Monseigneur de Solminihac prit lui aussi la décision de donner à son diocèse le visage et la vitalité tant souhaités par le Concile de Trente. Ses vingt-deux ans d’épiscopat dans le Quercy furent un déploiement incessant d’activités importantes et efficaces: convocation d’un synode diocésain, mise sur pied d’un conseil épiscopal hebdomadaire, visite systématique des huits cents paroisses du diocèse, qu’il reverra neuf fois chacune, création d’un séminaire confié aux Lazaristes, multiplication des missions paroissiales, développement du culte eucharistique en un temps où le jansénisme commençait à se répandre, promotion ou fondation d’œuvres caritatives pour les vieillards et les orphelins, pour les malades et les victimes de la peste.

Trois ans avant sa mort, il prêche lui-même le Jubilé de 1656, à la fois pour convertir son peuple et pour le sensibiliser à la mission particulière de l’Evêque de Rome, gardien de la communion entre les Eglises. Bref, un mot tiré du psaume 69 résumerait parfaitement la vie pastorale de cet Evêque du dix-septième siècle “ Le zèle de ta Maison me dévore ”. La remarquable figure d’Alain de Solminihac méritait bien d’être mise en lumière par l’Eglise qu’il a si ardemment servie. Puissent les évêques de France et de tous pays trouver dans la vie du Bienheureux Alain de Solminihac le courage d’évangéliser sans peur le monde contemporain!

3. Luigi Scrosoppi, di Udine, ordinato sacerdote nel 1827, si dà ad un instancabile apostolato, animato e spinto dalla carità di Cristo. Istituisce la “Casa delle Derelitte” o “Istituto della Provvidenza”, per la formazione umana e cristiana delle ragazze; apre la “Casa Provvedimento” per le ex alunne rimaste senza lavoro; dà inizio all’Opera per le Sordomute, e fonda le Suore della Provvidenza sotto la protezione di san Gaetano. Padre Luigi entra nella Congregazione dell’Oratorio e ne fa un dinamico centro di irradiazione di vita spirituale.
Nella sua vita, spesa totalmente per le anime, egli ha avuto tre grandi amori: Gesù; la Chiesa e il Papa; i “piccoli”.

Fin da giovanissimo sceglie il Cristo come Maestro e lo ama, contemplandolo povero e umile a Betlemme; lavoratore a Nazaret, sofferente e vittima nel Getsemani e sul Golgota; presente nell’Eucaristia. “Voglio essergli fedele – ha scritto – attaccato perfettamente a lui nel cammino del cielo e riuscire una sua copia”.

Il suo amore alla Chiesa si manifesta nella fedeltà completa alle leggi ecclesiastiche; nel suo apostolato, che non conosce pause o esitazioni; nella docile accettazione del Magistero.

Padre Scrosoppi ha speso letteralmente tutta la sua vita nell’esercizio della carità verso il prossimo, specialmente verso i più piccoli e i più abbandonati. Per i poveri distribuì i suoi notevoli beni patrimoniali. “I poveri e gli infermi sono i nostri padroni e rappresentano la persona stessa di Gesù Cristo”: sono parole sue; ma sono anche, e più, la sua vita.

A fondamento della sua molteplice attività pastorale e caritativa c’è una profonda interiorità; la sua giornata è una continua preghiera: meditazione, visite al Santissimo Sacramento, recita del Breviario, “Via Crucis” giornaliera, Rosario e, infine, lunga orazione notturna; dando in tal modo ai fedeli, ai sacerdoti e ai religiosi un luminoso ed efficace esempio di equilibrata sintesi fra vita contemplativa e vita attiva.

  4. Erminio Filippo Pampuri, decimo di undici figli, a 24 anni è medico condotto e a 30 anni entra nell’Ordine Ospedaliero di san Giovanni di Dio (Fatebenefratelli). Solo tre anni dopo moriva.

È una figura straordinaria, vicina a noi nel tempo, ma più vicina ancora ai nostri problemi ed alla nostra sensibilità. Noi ammiriamo in Erminio Filippo, diventato nell’Ordine Fra Riccardo Pampuri, il giovane laico cristiano, impegnato a rendere testimonianza nell’ambiente studentesco, come membro attivo del Circolo Universitario “Severino Boezio” e socio della Conferenza di san Vincenzo de’ Paoli; il dinamico medico, animato da una intensa e concreta carità verso i malati e i poveri, nei quali scorge il volto del Cristo sofferente. Egli ha realizzato letteralmente le parole, scritte alla sorella suora, quando era medico condotto: “Prega affinché la superbia, l’egoismo e qualsiasi altra mala passione non abbiano ad impedirmi di vedere sempre Gesù sofferente nei miei malati, Lui curare, Lui confortare. Con questo pensiero sempre vivo nella mente, quanto soave e quanto fecondo dovrebbe apparirmi l’esercizio della mia professione!”.

Lo ammiriamo anche come religioso integerrimo di un benemerito Ordine, che, nello spirito del suo Fondatore san Giovanni di Dio, ha fatto della carità verso Dio e verso i fratelli infermi la propria missione specifica e il proprio carisma originario. “Voglio servirti, o mio Dio, per l’avvenire con perseveranza ed amore sommo: nei miei superiori, nei confratelli, nei malati tuoi prediletti: dammi la grazia di servirli come servirei Te”: così scriveva nei propositi in preparazione alla professione religiosa.

La vita breve, ma intensa, di Fra Riccardo Pampuri è uno sprone per tutto il Popolo di Dio, ma specialmente per i giovani, per i medici, per i religiosi.

Ai giovani contemporanei egli rivolge l’invito a vivere gioiosamente e coraggiosamente la fede cristiana; in continuo ascolto della Parola di Dio, in generosa coerenza con le esigenze del messaggio di Cristo, nella donazione verso i fratelli.

Ai medici, suoi colleghi, egli rivolge l’appello che svolgano con impegno la loro delicata arte animandola con gli ideali cristiani, umani, professionali, perché sia una autentica missione di servizio sociale, di carità fraterna, di vera promozione umana.

Ai religiosi ed alle religiose, specialmente a quelli e quelle che, nell’umiltà e nel nascondimento, realizzano la loro consacrazione fra le corsie degli ospedali e nelle case di cura, Fra Riccardo raccomanda di vivere lo spirito originario del loro Istituto, nell’amore di Dio e dei fratelli bisognosi.

5. Claudine Thévenet visse tutta la sua vita a Lione. La sua adolescenza fu sconvolta dalla rivoluzione francese che scosse violentemente la sua città natale. Una mattina, nel gennaio dell’anno 1794, questa giovinetta di 19 anni riconobbe i suoi due fratelli, Louis e François, in un gruppo di condannati a morte. Ella ebbe allora il coraggio di accompagnarli al luogo del loro supplizio e di raccogliere le loro ultime parole: “Glady, perdona loro, come noi perdoniamo!”. Questo avvenimento fu senza dubbio un elemento determinante della vocazione di Claudine, già tanto animata da sentimenti di compassione per le miserie accumulate dalla bufera rivoluzionaria. Ella sognava di divenire una messaggera della misericordia e del perdono di Dio in una società lacerata, e di dedicare la sua vita all’educazione dell’infanzia, soprattutto dei più poveri, il cui stato di abbandono sorpassava ogni immaginazione. Ecco perché, con il sostegno illuminato di Padre Coindre, Claudine fonda nel 1816 una Pia Associazione, che diventerà due anni più tardi la Congregazione di Gesù-Maria. Oggi, con grande gioia della Chiesa, le figlie di Madre Thévenet sono più di duemila, presenti in tutti i continenti e veramente animate del suo spirito. Scuole e collegi, ostelli per le giovani e per persone anziane, pastorale catechistica e familiare, dispensari e case di preghiera non hanno che uno scopo: far conoscere Gesù e Maria, nelle opere per la promozione sociale dei poveri.

A centocinquanta anni di distanza, la vita di questa fondatrice interpella sempre le sue figlie e interpella anche i cristiani. Non viviamo anche noi in una società troppo spesso tentata e sfigurata dalla violenza? Non dobbiamo anche noi lasciarci invadere dall’infinita misericordia di Dio, per portare il nostro coraggioso contributo a quella “civiltà dell’amore” di cui parla Paolo VI, la sola che sia degna dell’uomo? Claudine Thévenet si presenta a noi quale modello d’amore e di perdono: “Che la carità sia come la pupilla dei vostri occhi”, ci dice ancor oggi proprio come ella amava ripetere alle sue suore. “Siate disposte a soffrire tutto per gli altri e a non far soffrire alcuna persona”.

D’altra parte la nuova beata non continua ad essere un modello di vita evangelica e religiosa per coloro che si consacrano all’educazione della gioventù, nella Chiesa e secondo le sue direttive? Le intuizioni ed i metodi pedagogici di Claudine Thévenet sono sempre d’attualità: cioè una educazione piena di attenzioni materne, molto sollecita a preparare le giovani alla vita mediante l’acquisizione di una competenza professionale e l’avviamento progressivo alle loro future responsabilità di mogli e di madri, e soprattutto in modo profondamente cristiano, perché – diceva – “la peggiore sventura è vivere e morire senza conoscere Dio”.

Claudine, che ha fatto della sua vita religiosa un “inno di gloria” al Signore, ad imitazione della Vergine Maria che ella venerava profondamente, ricorda ai cristiani che vale la pena di offrire tutto a Dio. A coloro che il Signore invita a consacrarsi più particolarmente al suo servizio, ella conferma che bisogna saper “perdere la propria vita” (cf. Mt 10,39) perché altri possano amare e conoscere Dio; ella conferma inoltre mediante il suo esempio che la più bella riuscita nella vita è la santità.

Traduzione

5. Claudine Thévenet a vécu toute sa vie à Lyon. Son adolescence fut bouleversée par la révolution française qui secoua si violemment sa ville natale. Un matin de janvier 1794, cette jeune fille de 19 ans reconnaît ses deux frères, Louis et François, dans un cortège de condamnés à mort. Elle a lè courage de les accompagner jusqu’au lieu de leur supplice et dé recueillir leurs dernières paroles: “ Glady, pardonne, comme nous pardonnons! ”. Cet événement fut sans doute un élément déterminant de la vocation de Claudine déjà si compatissante aux misères accumulées par l’orage révolutionnaire. Elle songe à devenir une messagère de la miséricorde et du pardon de Dieu dans une société déchirée, et à donner sa vie à l’éducation des jeunes, surtout des plus pauvres, dont l’état d’abandon dépasse l’imagination. C’est pourquoi, avec le soutien éclairé du Père Coindre, Claudine fonde en 1816 une Pieuse Union, qui deviendra deux ans plus tard la Congrégation de Jésus-Marie. Aujourd’hui, pour la plus grande joie de l’Eglise, les Filles de Mère Thévenet sont plus de deux mille, présentes sur tous les continents et vivant vraiment de son esprit. Ecoles et collèges, foyers pour jeunes filles et pour personnes âgées, pastorale catéchétique et familiale, dispensaires et maisons de prière n’ont qu’un but: faire connaître Jésus et Marie, tout en œuvrant à la promotion sociale des pauvres.

A cent cinquante ans de distance, la vie de cette fondatrice interpelle toujours ses filles et interpelle aussi les chrétiens. Ne sommesnous pas nous-mêmes dans une société trop souvent tentée et défigurée par la violence? N’avons-nous pas à nous laisser envahir par la miséricorde infinie de Dieu, afin d’apporter notre courageuse contribution à cette “ civilisation de l’amour ” dont parlait Paul VI, la seule qui soit digne de l’homme? Claudine Thévenet se présente à nous comme un modèle d’amour et de pardon: “ Que la charité soit comme la prunelle de vos yeux ”, nous dit-elle encore maintenant comme elle aimait à le répéter à ses Sœurs. “ Soyez disposées à tout souffrir des autres et à ne rien faire souffrir à personne ”.

D’autre part, la nouvelle Bienheureuse ne demeure-t-elle pas un modèle de vie évangélique et religieuse pour ceux et celles qui se consacrent à l’éducation de la jeunesse, dans l’Eglise et selon ses directives? Les intuitions et les méthodes pédagogiques de Claudine Thévenet sont toujours d’actualité: à savoir, une éducation pleine d’attentions maternelles, très soucieuse de préparer les jeunes filles à la vie par l’acquisition d’une compétence professionnelle et l’initiation progressive à leurs: futures résponsabilités d’épouses et de mères, et par-dessus tout profondément chrétienne, car – disaitelle – “ il n’est pas de plus gránd malheur que de vivre et de mourir sans connaître Dieu ”.
Claudine, qui a fait de sa vie religieuse une “ hymne de gloire ” au Seigneur, à l’imitation de la Vierge Marie qu’elle vénérait profondément, rappelle aux chrétiens qu’il vaut la peine de tout miser sur Dieu. A ceux et celles que le Seigneur invite à se consacrer plus particulièrement à son service, elle confirme qu’il faut savoir “ perdre sa vie ” pour que d’autres puissent aimer et connaître Dieu; elle confirme aussi par son exemple que la plus belle réussite dans la vie, c’est la sainteté.

6. Maria Repetto, a 22 anni, entra a Genova nella Congregazione delle Suore di Nostra Signora del Rifugio, in Monte Calvario. Nelle numerose e gravi epidemie di colera che si abbattono sulla città, ella corre intrepida al capezzale dei malati. La fama della “monaca santa” cresce ogni giorno, e, quando assume l’ufficio di portinaia, ella continua a donare i tesori della sua alta spiritualità a quanti a lei accorrono per aiuto e consiglio.

Maria Repetto fin dalla giovinezza ha appreso e vissuto una grande verità, che ha trasmesso anche a noi: Gesù deve esser contemplato, amato e servito nei poveri, in tutti i momenti della nostra vita.

Essa dà tutto ciò che ha: i suoi risparmi, le sue cose, la sua parola, il suo tempo, il suo sorriso. “Servire i poveri di Gesù” era il programma del suo Istituto; programma che essa realizzò nei 50 anni di vita religiosa, servendo anzitutto Gesù, crescendo nella perfezione dell’amore, ricordando a sé stessa: “prima di tutto essere religiosa!”; e servendo i poveri, perché Cristo vive nei poveri.

San Francesco da Caporosso, chiamato dai genovesi “il padre santo”, mandava a lei, la “monaca santa” persone di ogni estrazione sociale, bisognose di aiuto e di consigli. L’umile Frate cercatore, canonizzato nel 1962, e l’umile suora portinaia, che oggi sale agli onori degli altari, furono nel secolo scorso, i due poli della vita religiosa di Genova. Maria Repetto era sempre lieta e serena e si rallegrava di tenere il cuore aperto, più della porta del convento, e di dare, dare sempre, dare tutto.

E questa gioia della sua donazione a Dio culminò nella sua morte: col sorriso sulle labbra, la beata pronunciò le sue ultime parole, che sono un inno di giubilo alla Madre di Dio: “Regina coeli, laetare, alleluia!”.

7. Carissimi!

Abbiamo iniziato questa riflessione nel segno della gioia cristiana; e nel segno del gaudio pasquale, frutto della Croce di Gesù, noi continuiamo questa solenne celebrazione, confortati dai mirabili esempi di questi novelli beati, che ci indicano il cammino, che anche noi dobbiamo percorrere nel nostro pellegrinaggio terreno: il cammino dell’amore verso Dio e verso i fratelli, specialmente quelli sofferenti nello spirito e nel corpo.

I novelli beati hanno confidato nel Signore, lo hanno invocato, forti della sua clemenza e misericordia; hanno seguito le sue vie; hanno cercato di piacergli; si sono gettati nelle sue braccia (cf. Sir 2,7s). In cima ai loro pensieri, al di sopra di tutto hanno posto la carità, convinti che essa è “il vincolo della perfezione” (cf. Col 3,14). Facendo proprio l’invito di Cristo, hanno venduto tutto ciò che avevano e lo hanno dato in elemosina; si son fatti delle borse, che non invecchiano, e hanno ottenuto un tesoro inesauribile nei cieli (cf. Lc 12,32s), come dice il brano evangelico, che è stato letto poco fa.

Mentre ci chiniamo riverenti di fronte ad essi, noi ci affidiamo alla loro potente intercessione:
O Beato Alain de Solminihac,
O Beato Luigi Scrosoppi,
O Beato Riccardo Pampuri,
O Beata Claudine Thévenet,
O Beata Maria Repetto,
pregate la Trinità Santissima per le vostre Patrie terrene, perché vivano in serena concordia! Pregate per le vostre Famiglie religiose, perché diano alla società contemporanea una gioiosa testimonianza della loro donazione di Dio! Pregate per la Chiesa, pellegrina sulla terra, perché sia sempre segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano!

Pregate per tutti i popoli del mondo, perché realizzino nei loro rapporti la giustizia e la pace!
O novelli Beati e Beate, pregate per noi! Amen!