Teresa de Jesús “de los Andes”
(1900-1920)
- 12 aprile
Vergine, che, fattasi novizia nell’Ordine delle Carmelitane Scalze, consacrò, come ella stessa diceva, la propria vita a Dio per il mondo peccatore e morì all’età di venti anni colpita dal tifo
Juana Enriqueta Josefina de los Sagragos Corazones Fernández Solar nacque a Santiago del Cile il 13 luglio 1900. Al fonte battesimale venne chiamata Juana Enriqueta Josefina de los Sagrados Corazones Fernandez Solar. Familiarmente era chiamata, e ancora oggi è conosciuta con il nome di Juanita.
Visse la sua infanzia nella normalità in seno alla famiglia: i genitori, Michele Fernández e Lucia Solar; tre fratelli e due sorelle; il nonno materno, zii, zie e cugini.
La famiglia godeva una buona posizione economica e conservava autenticamente la fede cristiana, vivendola con sincerità e perseveranza.
Juana ricevette la sua formazione scolastica nel collegio delle Suore del Sacro Cuore. La sua breve ma intensa storia si svolse tra la vita collegiale e quella familiare. A 14 anni, ispirata da Dio, decise di consacrarsi a Lui come religiosa, e precisamente, come carmelitana scalza.
Il suo desiderio si realizzò il 7 maggio 1919, quando entrò nel piccolo monastero dello Spirito Santo, a Los Andes, a circa 90 km. da Santiago.
Il 14 ottobre dello stesso anno vestì l'abito di carmelitana, iniziando il suo noviziato con il nome di Teresa di Gesù. Da molto tempo sapeva che sarebbe morta giovane: il Signore glielo aveva rivelato. Ella stessa lo disse al suo confessore un mese prima di morire.
Accolse questa realtà con gioia, serenità e confidenza, sicura che nell'eternità avrebbe continuato la sua missione: far conoscere ed amare Dio.
Dopo molte sofferenze interiori ed indicibili patimenti fisici, causati da un violento attacco di tifo che consumò la sua vita, passò da questo mondo al Padre, la sera del 12 aprile 1920. Aveva ricevuto con grande fervore i sacramenti ed il 7 aprile aveva emesso la professione religiosa " in articulo mortis ". Le mancavano ancora 3 mesi per compiere 20 anni e 6 mesi per terminare il suo noviziato canonico e poter pronunciare la professione religiosa. Morì come novizia carmelitana scalza.
Ecco la parabola esterna di questa giovane cilena. Ci sconcerta e nasce in noi l'interrogazione: che cosa ha fatto? Per questa domanda c'è una risposta ugualmente sconcertante: Vivere, credere, amare.
Quando i discepoli chiesero a Gesù che cosa avrebbero dovuto fare per vivere come Dio vuole, Egli rispose: " L'opera di Dio è che crediate in Colui che Egli ha inviato " (Gv 6, 28-29). Pertanto, per comprendere il valore della vita di Juanita, è necessario guardare al di dentro, dove sta il Regno di Dio.
Ella fin da piccola venne chiamata alla vita della grazia. Afferma che a sei anni attratta da Dio cominciò a riversare il suo affetto totalmente in Lui. " Gesù cominciò a prendere il mio cuore per Sé, poco dopo il terremoto nell'anno 1906 " (Diario, n. 3, p. 25), Juanita possedeva un'enorme capacità di amare e di essere amata insieme ad una straordinaria intelligenza. Dio le fece sperimentare la sua presenza, la imprigionò con la sua conoscenza e la fece sua attraverso le esigenze della croce. Conoscendolo, lo amò; amandolo, si abbandonò perdutamente in Lui.
Ancora bambina comprese che l'amore si dimostra con i fatti più che con le parole, per questo lo tradusse in ogni azione della sua vita, cominciando dalla radice. Si guardò con occhi sinceri e saggi e capì che per essere di Dio era necessario morire a se stessa e a tutto quello che non fosse Lui.
La sua natura era totalmente contraria all'esigenza evangelica: orgogliosa, egoista, ostinata, con tutti i difetti che ciò suppone. Come succede a tutti. Ma quello che ella fece, a differenza di noi, fu dichiarare accanita battaglia contro qualsiasi impulso che non nascesse dall'amore.
A 10 anni era una creatura nuova. Il motivo immediato era stata la preparazione alla prima Comunione che stava per ricevere. Sapendo che proprio Dio andava ad abitare in lei, s'impegnò per acquistare tutte le virtù che l'avrebbero fatta meno indegna di questa grazia, giungendo in brevissimo tempo a trasformare completamente il suo carattere.
Nel ricevere il sacramento dell'Eucaristia ebbe da Dio grazie mistiche di locuzioni interiori che poi si mantennero durante la sua vita. L'inclinazione naturale verso Dio, da questo giorno si trasformò in amicizia, in vita di orazione.
Quattro anni dopo, ebbe l'intima rivelazione che determinò l'orientamento della sua vita: Gesù le disse che la voleva carmelitana e che la sua meta doveva essere la santità.
Con l'abbondante grazia di Dio e con la generosità di giovane innamorata si dette all'orazione, all'acquisto delle virtù e alla pratica della vita evangelica, in modo tale che in pochi anni raggiunse un alto grado di unione con Dio.
Cristo fu il suo ideale, il suo unico ideale. Si innamorò di Lui e fu coerente fino a crocifiggersi ogni minuto per Lui. L'amore sponsale la invase e, di conseguenza, il desiderio di unirsi pienamente a Colui che l'aveva catturata. Così, a 15 anni fece voto di verginità per 9 giorni, e lo rinnovò poi di continuo.
La santità della sua vita brillò negli atti di ogni giorno negli ambienti dove visse: la famiglia, il collegio, le amiche, i contadini con i quali divideva le sue vacanze e quanti con zelo apostolico catechizzò ed aiutò.
Pur essendo una giovane uguale alle sue amiche, queste la ritenevano differente. La presero per modello, appoggio e consigliera. Juanita soffrì e godé intensamente, in Dio, tutte le pene e le gioie che l'uomo incontra.
Gioviale, allegra, simpatica, attraente, sportiva, comunicativa. Negli anni della sua adolescenza raggiunse il perfetto equilibrio psichico e spirituale, frutto della sua ascesi e della sua orazione. La serenità del suo volto era il riflesso di Colui che viveva in lei.
La sua vita di monaca dal 7 maggio 1919 fino alla morte fu l'ultimo gradino della sua ascesa alla vetta della santità. Soltanto 11 mesi furono sufficienti per consumare la sua vita divenuta interamente di Cristo.
CANONIZZAZIONE DI CLAUDINE THÉVENET E
DI TERESA DE JESÚS DE LOS ANDES
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
Domenica, 21 marzo 1993
1. “Io sono la luce del mondo” (Gv 8, 12). L’odierna domenica, la IV di Quaresima, potrebbe essere chiamata a giusto titolo il giorno della luce. Nel cammino, infatti, che preparava i catecumeni al battesimo, nei primi secoli del Cristianesimo, essi pregustavano, nella liturgia di questo giorno permeata di molteplici richiami al tema biblico della luce, il momento in cui gli occhi della loro anima si sarebbero aperti mediante il lavacro battesimale alla luce della fede, entrando così a far parte della comunità della Chiesa. Il sacramento del Battesimo segna il passaggio dalla morte alla vita, grazie alla partecipazione al mistero di Cristo crocifisso e risorto. Cristo è la vita; e la vita “è la luce del mondo”. Il Verbo che è venuto nel mondo, il Figlio consustanziale al Padre, è lui stesso “Luce da Luce”. Coloro che l’accolgono, accolgono la luce. Si aprono i loro occhi; si apre la vista interiore dell’anima per vedere “le grandi opere di Dio” (magnalia Dei) (At 2, 11). Narrando la guarigione dell’uomo cieco, il Vangelo della IV domenica di Quaresima mostra la via non facile che conduce alla scoperta di questa Luce: alla scoperta di Cristo. In quanti e diversi modi l’avvenimento, narrato dall’evangelista Giovanni si rinnova nell’esistenza degli esseri umani di ogni epoca! I modi sono diversi, ma la conclusione è la stessa: la luce risplende nelle tenebre interiori ed esteriori. L’uomo vede. Di più: l’uomo diventa testimone della Verità che viene da Dio.
2. “Io sono la luce del mondo; chi segue me... avrà la luce della vita” (Gv 8, 12). L’Apostolo scrive: “... siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce” (Ef 5, 8). Oggi la Chiesa desidera pronunciare le parole di san Paolo, riferendole in modo particolare a due sue figlie, diventate “luce nel Signore”: Maria di sant’Ignazio (Claudine Thévenet) e Teresa “de los Andes” (Giovanna Fernandez Solar). Queste “figlie della luce” si sono distinte come testimoni di Cristo nel mondo. Nella “vecchia” Europa la Thévenet, nel “Nuovo Mondo” la Fernandez Solar. Mentre ancora celebriamo il cinquecentesimo anniversario dell’evangelizzazione del grande continente americano, noi raccogliamo uno splendido fiore suscitato dalla Buona Novella e dalla grazia del santo Battesimo fra le popolazioni di quella “nuova Terra”.
3. Ce baptême, elles l’ont reçu l’une et l’autre dans l’Eglise qui les a fait naître à la vie de Dieu. Par son enfance chrétienne, Claudine Thévenet a été préparée à surmonter la grande épreuve de sa jeunesse, l’exécution de ses deux frères guillotinés. Dans la traversée de ce “ ravin de ténèbres ”, elle a su se remettre entièrement à Dieu. Sa vocation tire son origine de cette blessure. Le pardon héroïque, inspiré par ses propres frères, l’a pour une part poussée à se tourner avec foi et amour vers ceux qu’elle voyait autour d’elle blessés par la vie. Face aux misères nées des bouleversements et des guerres de son époque, elle n’a voulu donner que la réponse de l’amour. Qui avait besoin d’être entouré, soutenu, aidé en ces temps troublés, sinon ceux que leur faiblesse risquait de priver de tout, les enfants abandonnés, indigents, livrés à toute forme d’exploitation?
Nous avons entendu la parole adressée au prophète Samuel: “ L’homme regarde l’apparence, Dieu regarde le cœur ”. Dans la faiblesse d’un enfant, Claudine Thévenet discernait la force de Dieu Créateur; dans sa misère, la gloire du Tout–Puissant qui ne cesse d’appeler et de nous appeler à partager la vie qu’il possède en plénitude; dans son abandon, le Christ crucifié et ressuscité qui demeure à jamais présent à ses frères les hommes dans les plus petits. Voilà pourquoi la sainte de Lyon a voulu consacrer sa vie à réintégrer des enfants et des jeunes au cœur de la vie sociale dans des conditions saines et dignes.
Donner une éducation chrétienne à des jeunes filles de toutes conditions, telle fut sa mission, tel est son message.
Sa conception de l’éducation allie le sens des réalités humaines et celui des réalités divines. Les maisons qu’elle fonde pour les plus pauvres ne sont–elles pas nommées “ Providences ”? Il faut, en effet, apprendre aux jeunes à savoir organiser la bonne gestion d’un foyer, en faisant les plus petites choses avec autant de soin et d’amour que les grandes. Une charité ardente se met au service des jeunes avec respect et affection pour permettre à chacun de donner le meilleur de lui–même. Elle livre ainsi l’un des secrets de son action. “ Le meilleur chef, dit–elle, est non celui qui inflige le plus de châtiments, mais celui qui a le talent de faire éviter le plus de fautes ”. Elle invoquait sans cesse la bonté de Dieu.
Ecco le parole del Papa in una nostra traduzione in italiano.
3. Questo battesimo, esse l’hanno ricevuto l’una e l’altra nella chiesa che le ha fatte nascere alla vita di Dio. Attraverso la sua infanzia cristiana, Claudine Thévenet è stata preparata a superare la grande prova della sua giovinezza, l’esecuzione dei suoi due fratelli ghigliottinati. Nell’attraversare questa “valle oscura” (Sal 23, 4) essa ha saputo rimettersi interamente a Dio. La sua vocazione trae la propria origine da questa ferita. Il perdono eroico, ispirato dai suoi stessi fratelli, l’ha in un certo senso spinta a volgersi con fede e amore verso coloro che vedeva intorno a lei feriti dalla vita. Dinanzi alle miserie sorte dagli sconvolgimenti della propria epoca essa ha voluto dare solo la risposta dell’amore. Chi aveva bisogno di essere protetto, sostenuto, aiutato in quei tempi travagliati se non coloro la cui debolezza rischiava di privare di tutto, i bambini abbandonati, indigenti esposti a ogni forma di sfruttamento? Abbiamo ascoltato la parola rivolta al profeta Samuele: “L’uomo guarda l’apparenza, il Signore guarda il cuore” (1 Sam 16, 7). Nella debolezza di un bambino, Claudine Thévenet scorgeva la forza di Dio Creatore; nella sua miseria, la gloria dell’Onnipotente che non smette di chiamare e di chiamarci a condividere la vita che Egli possiede in abbondanza; nel suo abbandono, è il Cristo crocifisso e risorto che rimane per sempre presente ai suoi fratelli uomini nei più piccoli. Ecco perché la Santa di Lione ha voluto consacrare la propria vita a reinserire i bambini e i giovani nel cuore della vita sociale in condizioni sane e degne. Dare un’educazione cristiana alle giovani di qualsiasi condizione, questa fu la sua missione, questo è il suo messaggio. La sua concezione dell’educazione si unisce al senso delle realtà umane e a quello delle realtà divine. Le case che essa fonda per i più poveri non si chiamano forse: “Provvidenze”? Bisogna infatti, insegnare ai giovani a saper organizzare la buona gestione di una casa facendo le cose più piccole con la stessa cura e lo stesso amore con cui si fanno quelle più grandi. Una carità ardente si mette al servizio dei giovani con rispetto e affetto per permettere a ognuno di dare il meglio di sé. Essa rivela così uno dei segreti della sua azione: “Il miglior capo – dice – non è colui che infligge il maggior numero di punizioni, ma colui che ha la capacità di far evitare il maggior numero di errori”. Essa invocava costantemente la bontà di Dio.
4. Pour mener à bien sa mission, Claudine Thévenet anime tout un groupe de jeunes filles remplies d’ardeur qui, comme elle, puisent leurs énergies à la source du Cœur du Christ et du Cœur de sa Mère. Grâce à une très forte unité entre l’attention constante à Dieu, l’amour de Jésus et de Marie ainsi que la fidélité obéissante à l’Église, Mère Marie de Saint–Ignace fonde la Congrégation de Jésus–Marie qui lui permet de donner à son œuvre une ampleur croissante. Par l’action généreuse de ses compagnes, sont “ manifestées les œuvres de Dieu ”, comme le Seigneur lui–même le veut lorsqu’il guérit l’aveugle–né. La sainteté de Claudine sera féconde dans la vie de ses Sœurs et dans le dynamisme missionnaire de la congrégation. Notre joie est grande d’avoir pu glorifier hier l’une d’entre elles, la bienheureuse Dina Bélanger.
Or, en chaque personne vit ou peut vivre un aveugle guéri de sa cécité et appelé à recevoir la lumière du Sauveur. Il faut des guides, il faut des médecins, il faut des éducateurs pour aider les jeunes du monde entier à recevoir cette lumière. Sainte Claudine Thévenet montre comment un enfant mérite d’être aimé. Elle répétait à ses Sœurs: “ Que la charité soit comme la prunelle de vos yeux ”. Oui, le regard porté sur l’enfant doit voir en lui une promesse, une attente, une épiphanie de la présence divine, un geste de Dieu dont l’homme vivant demeure la “ gloire ”.
Ecco le parole del Papa in una nostra traduzione in italiano.
4. Per portare a buon fine la sua missione, Claudine Thévenet anima un gruppo di giovani colme di ardore che, come lei, attingono le loro energie alla fonte del Cuore di Cristo e del Cuore di sua Madre. Grazie a una fortissima unità nell’attenzione costante a Dio, l’amore di Gesù e di Maria così come la fedeltà obbediente alla Chiesa, Madre Maria di sant’Ignazio fonda la Congregazione di Gesù Maria che le permette di dare alla sua opera dimensioni sempre maggiori. Attraverso l’azione generosa delle sue compagne, vengono manifestate “le opere di Dio” (Gv 9, 3), come vuole il Signore stesso quando guarisce colui che è cieco dalla nascita. La santità di Claudine sarà feconda nella vita delle sue Sorelle e nel dinamismo missionario della Congregazione. Grande è la nostra gioia per aver potuto glorificare ieri una di esse, la Beata Dina Bélanger. Ora, in ogni persona vive o può vivere un cieco guarito dalla propria cecità e chiamato a ricevere la luce del Salvatore. C’è bisogno di guide, c’è bisogno di medici, c’è bisogno di educatori per aiutare i giovani del mondo intero a ricevere questa luce. Santa Claudine Thévenet ci mostra come un bambino merita di essere amato. Essa ripeteva alle sue Sorelle: “Che la carità sia come la pupilla dei vostri occhi”. Sì, lo sguardo rivolto al bambino deve vedere in lui una promessa, una speranza, un’epifania della presenza divina, un gesto di Dio di cui l’uomo vivente è la “gloria”.
5. Luz de Cristo para toda la Iglesia chilena es Sor Teresa de los Andes, Teresa de Jesús, carmelita descalza y primicia de santidad del Carmelo Teresiano de América Latina, que hoy es incorporada al número de los Santos de la Iglesia universal.
Al igual que en la primera lectura que hemos escuchado del libro de Samuel, la figura de Teresa sobresale no por “ su apariencia ni su gran estatura ”. “ La mirada de Dios – nos dice el libro sagrado – no es como la mirada del hombre, pues el hombre mira las apariencias, pero el Señor mira el corazón ”. Por eso, en su joven vida de poco más de 19 años, en sus once meses de carmelita, Dios ha hecho brillar en ella de modo admirable la luz de su Hijo Jesucristo, para que sirva de faro y guía a un mundo que parece cegarse con el resplandor de lo divino. A una sociedad secularizada, que vive de espaldas a Dios, esta carmelita chilena, que con vivo gozo presento como modelo de la perenne juventud del Evangelio, ofrece el límpido testimonio de una existencia que proclama a los hombres y mujeres de hoy que en el amar, adorar y servir a Dios están la grandeza y el gozo, la libertad y la realización plena de la criatura humana. La vida de la bienaventurada Teresa grita quedamente desde el claustro: “ ¡Sólo Dios basta! ”.
Y lo grita especialmente a los jóvenes, hambrientos de verdad y en búsqueda de una luz que dé sentido a sus vidas. A una juventud solicitada por los continuos mensajes y estímulos de una cultura erotizada, y a una sociedad que confunde el amor genuino, que es donación, con la utilización hedonista del otro, esta joven virgen de los Andes proclama hoy la belleza y bienaventuranza que emana de los corazones puros.
En su tierno amor a Cristo Teresa encuentra la esencia del mensaje cristiano: amar, sufrir, orar, servir. En el seno de su familia aprendió a amar a Dios sobre todas las cosas. Y al sentirse posesión exclusiva de su Creador, su amor al prójimo se hace aún más intenso y definitivo. Así lo afirma en una de sus cartas: “ Cuando quiero, es para siempre. Una carmelita no olvida jamás. Desde su pequeña celda acompaña a las almas que en el mundo quiso ”.
Ecco le parole del Papa in una nostra traduzione in italiano.
5. Luce di Cristo per tutta la Chiesa cilena è Suor Teresa “de los Andes”, Teresa di Gesù, carmelitana scalza e primizia di santità del Carmelo Teresiano dell’America Latina, che oggi viene annoverata nel numero dei Santi della Chiesa universale. Così come nella prima lettura che abbiamo ascoltato dal libro di Samuele, la figura di Teresa si distacca non per “il suo aspetto né per l’imponenza della sua statura”. Ci dice la Sacra Scrittura “...perché io non guardo ciò che guarda l’uomo. L’uomo guarda l’apparenza, il Signore guarda il cuore” (1 Sam 16, 7). Per questo, nella sua giovane vita di poco più di diciannove anni, nei suoi undici mesi come carmelitana, Dio ha fatto brillare in essa in modo ammirevole la luce di Suo Figlio Gesù Cristo, affinché fosse un faro e una guida per un mondo che sembra accecarsi con lo splendore del divino. A una società secolarizzata, che vive voltando le spalle a Dio, questa carmelitana cilena, che con grande gioia porto come modello della giovinezza del Vangelo, offre la limpida testimonianza di un’esistenza che proclama agli uomini e alle donne di oggi che nell’amare, adorare e servire Dio risiedono la grandezza e la gioia, la libertà e la piena realizzazione della creatura umana. La vita della Beata Teresa grida sommessamente dal chiostro: “Solo Dio basta!”. E lo grida specialmente ai giovani affamati di verità e in cerca di una luce che dia senso alle loro vite. A una gioventù sollecitata dai continui messaggi e stimoli di una cultura erotizzata, e a una società che confonde l’amore autentico, che è donazione, con l’utilizzazione edonistica dell’altro, questa giovane vergine delle Ande proclama la bellezza e la beatitudine che emana dai cuori puri.
6. Su encendido amor lleva a Teresa a desear sufrir con Jesús y como Jesús: “ Sufrir y amar, como el cordero de Dios que lleva sobre sí los pecados del mundo ” – nos dice –. Ella quiere ser hostia inmaculada ofrecida en sacrificio continuo y silencioso por los pecadores. “ Somos corredentoras del mundo – dirá más adelante – y la redención de las almas no se efectúa sin cruz ”.
La joven Santa chilena fue eminentemente un alma contemplativa. Durante largas horas junto al tabernáculo y ante la cruz que presidía su celda, ora y adora, suplica y expía por la redención del mundo, animando con la fuerza del Espíritu el apostolado de los misioneros y, en especial, el de los sacerdotes. “ La carmelita – nos dirá – es hermana del sacerdote ”. Sin embargo, ser contemplativa como María de Betania no exime a Teresa de servir como Marta. En un mundo donde se lucha sin denuedo por sobresalir, por poseer y dominar, ella nos ense$ña que la felicidad está en ser la última y la servidora de todos, siguiendo el ejemplo de Jesús, que no vino a ser servido sino a servir y a dar su vida en redención de muchos.
Ahora, desde la eternidad, Santa Teresa de los Andes continúa intercediendo como abogada de un sin fin de hermanos y hermanas. La que encontró su cielo en la tierra desposando a Jesús, lo contempla ahora sin velos ni sombras, y desde su inmediata cercania intercede por quienes buscan la luz de Cristo.
Ecco le parole del Papa in una nostra traduzione in italiano.
6. Nel suo tenero amore per Cristo Teresa trova l’essenza del messaggio cristiano: amare, soffrire, pregare, servire. Nel focolare della sua famiglia imparò ad amare Dio al di sopra di tutte le cose. E sentendo di appartenere esclusivamente al suo Creatore, il suo amore per il prossimo divenne ancor più intenso e definitivo. Così afferma in una delle sue lettere: “Quando amo, è per sempre. Una carmelitana non dimentica mai. Dalla sua piccola cella accompagna le anima che ha amato nel mondo” (Lettera, agosto 1919). Il suo fervido amore porta Teresa a desiderare di soffrire con Gesù e come Gesù: “Soffrire e amare, come l’agnello di Dio che prende su di sé i peccati del mondo”, ci dice. Essa vuole essere un’ostia immacolata offerta in sacrificio costante e silenzioso per i peccatori. “Siamo corredentrici del mondo – dirà più tardi – e la redenzione delle anime non si compie senza croce” (Lettera, settembre 1919). La giovane Santa cilena fu prevalentemente un’anima contemplativa. Per lunghe ore vicino al tabernacolo e davanti alla croce che sovrastava la sua cella, prega e adora, supplica e espia per la redenzione del mondo, animando con la forza dello Spirito l’apostolato dei missionari e, in particolare, quello dei sacerdoti. “La carmelitana – ci dirà – è sorella del sacerdote” (Lettera del 1919). Tuttavia, essere contemplativa come Maria di Betania non esime Teresa dal servire come Marta. In un mondo in cui si lotta senza coraggio per emergere, per possedere e dominare, essa ci insegna che la felicità è nell’essere l’ultima e la serva di tutti, seguendo l’esempio di Gesù, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita per la redenzione di molti (cf. Mc 10, 45). Ora, dall’eternità Santa Teresa de los Andes continua a intercedere come protettrice di un’infinità di fratelli e sorelle. Colei che trovò il suo cielo sulla terra sposando Gesù, lo contempla ora senza veli né ombre, e dalla sua immediata vicinanza intercede per coloro che cercano la luce di Cristo.
7. “Il Signore è il mio pastore” (Sal 23, 1). Intere generazioni di discepoli, fedeli e seguaci di Cristo nel “vecchio” e nel “nuovo” mondo, dal nord al sud, si rivolgono a Colui che è il Buon Pastore. Il Pastore delle anime. A Colui che ci ha redento per mezzo del sangue della sua croce, a Colui che è “la luce del mondo”. Ecco, a nome di tutte quelle generazioni ci parlano oggi queste due sante: Maria di sant’Ignazio Teresa “de los Andes” Rendono grazie al Padre per “ogni bontà, giustizia e verità” (Ef 5, 9), che sono il frutto della “luce” di Cristo. Sì, rendono grazie. E, al tempo stesso, la loro voce oltrepassa le tenebre, che incessantemente invocano la luce. Proclamano ad ogni uomo minacciato dalle tenebre: “Svegliati... destati dai morti e Cristo ti illuminerà” (Ef 5, 14).
Ecco il messaggio quaresimale dell’odierna canonizzazione: Cristo è la luce del mondo!
Chi lo segue “avrà la luce della vita”.
Molto presto la comunità scoprì in lei un passaggio di Dio nella sua storia. Nello stile carmelitano-teresiano di vita la giovane incontrò pienamente il canale per spandere più efficacemente il torrente di vita che desiderava dare alla Chiesa di Cristo. Era lo stile di vita che, a suo modo, aveva vissuto tra i suoi, e per il quale era nata. L'Ordine della Vergine Maria del Monte Carmelo riempì i desideri di Juanita, quando verificò che la Madre di Dio, che fin da piccola aveva tanto amato, l'aveva attirata a farne parte.
È stata beatificata a Santiago del Cile da Sua Santità Giovanni Paolo II, il 3 aprile 1987. 1 suoi resti sono venerati nel Santuario di Auco-Rinconada de Los Andes da migliaia di pellegrini che cercano e trovano in lei consolazione, luce e via sicura verso Dio.
Santa Teresa di Gesù de Los Andes è la prima Santa cilena, la prima Santa carmelitana scalza fuori le frontiere d'Europa e la quarta Santa Teresa del Carmelo dopo le Sante Terese di Avila, di Firenze e di Lisieux.
Ella è per l'umanità una prova indiscutibile di quanto la chiamata di Cristo alla santità sia attuale, possibile e vera. Ella si presenta davanti ai nostri occhi per dimostrare che la radicalità della sequela di Cristo è l'unica cosa per la quale vale la pena di vivere e l'unica che rende felice l'uomo.
Teresa de Los Andes, con il linguaggio della sua intensa vita, ci assicura che Dio esiste, che Dio è amore e gioia, che Dio è il nostro tutto.
MESSA PER LA BEATIFICAZIONE DI SUOR TERESA DE LOS ANDES
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
Parco «O’Higgins» di Santiago del Cile - Venerdì, 3 aprile 1987
1. “Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità” (1 Cor 13, 13).
Queste parole di san Paolo, con le quali termina il suo “inno alla carità”, risuonano con nuovi accenti in questa celebrazione eucaristica.
Sì, “più grande è la carità”.
Sono parole che si fecero vita nella persona di suor Teresa de los Andes, che oggi ho avuto la grazia e la gioia di proclamare beata.
Oggi, amatissimi fratelli e sorelle di Santiago e del Cile, è un grande giorno nella vita della vostra Chiesa e della vostra nazione.
Figlia prediletta della Chiesa cilena, suor Teresa è elevata agli onori degli altari nella patria che la vide nascere. Il Popolo di Dio pellegrino trova in lei una guida nel suo cammino verso la meta della Gerusalemme celeste.
Desidero rivolgere il mio cordiale saluto ai confratelli nell’episcopato qui presenti, in particolare al Cardinale Arcivescovo di questa cara arcidiocesi. Saluto anche le autorità, il Preposto Generale dei Carmelitani Scalzi e i sacerdoti, i religiosi, le religiose e gli amatissimi fedeli di questa Chiesa pellegrina in Cile che oggi si rallegra intorno ad una giovane, una religiosa carmelitana, modello di virtù.
Mossi dalla fede, dalla speranza e dall’amore, camminando come pellegrini verso Dio che è amore e la nostra anima si riempie di gioia nel riscontrare che questo pellegrinaggio spirituale ha la sua corona nella gloria, alla quale Cristo nostro Signore desidera condurci tutti.
Abbiamo ascoltato all’inizio un breve profilo biografico di suor Teresa de los Andes, una giovane cilena, simbolo della fede e della bontà di questo popolo; una carmelitana scalza chiamata al regno dei cieli nella primavera della sua vita; una primizia di santità del Carmelo Teresiano in America Latina.
Nei suoi brevi scritti autobiografici ci ha lasciato il testamento di una santità semplice e accessibile, incentrata su ciò che è essenziale del Vangelo: amare, soffrire, pregare, servire. Il segreto della sua vita tesa verso la santità è racchiuso nella familiarità con Cristo, presente e amico, e con la Vergine Maria, madre vicina e amorosa.
2. Teresa de los Andes sperimentò fin dai primissimi anni la grazia della comunione con Cristo, che andò sviluppandosi progressivamente in lei con l’incanto della gioventù, piena di vitalità e di giovialità, nella quale non mancò, come figlia del suo tempo, il senso del sano passatempo e dello sport, il contatto con la natura. Era una giovane allegra e dinamica; una giovane aperta a Dio. E Dio fece fiorire in lei l’amore cristiano, aperto e profondamente sensibile ai problemi della sua patria e alle aspirazioni della Chiesa.
Il segreto della sua perfezione, non poteva essere diversamente, è l’amore. Un amore grande a Cristo dal quale si sente attratta e che la conduce a consacrarsi a lui per sempre e a partecipare al mistero della sua passione e della resurrezione. Allo stesso tempo, sente un amore filiale per la Vergine Maria che la spinge a imitare le sue virtù.
Per lei Dio è gioia infinita. È questo il nuovo inno dell’amore cristiano che sgorga spontaneo dall’anima di questa giovane cilena, nel cui volto glorificato scorgiamo la grazia della trasformazione in Cristo, in virtù di quell’amore che è comprensivo, servizievole, umile, paziente. Un amore che non distrugge i valori umani, ma che li eleva e li trasfigura.
Sì. Come dice Teresa de los Andes: “Gesù è la nostra gioia infinita”. Per questo la nuova beata è un modello di vita evangelica per la gioventù del Cile. Lei, che giunse a praticare con eroismo le virtù cristiane, trascorse gli anni della sua adolescenza e della sua giovinezza negli ambienti normali di una giovane del suo tempo: nella sua vita di ogni giorno si esercitò nella pietà e nella collaborazione ecclesiale come catechista, nella scuola, tra i suoi amici e le sue amiche, nelle opere di misericordia, nei momenti di divertimento e di svago. La sua vita esemplare si riveste dell’umanesimo cristiano con il sigillo inconfondibile dell’intelligenza viva, della delicatezza premurosa, della capacità creativa del popolo cileno. In lei si esprime l’anima e il carattere della vostra patria e la perenne gioventù del Vangelo di Cristo, che entusiasmò e attrasse suor Teresa de los Andes.
3. La Chiesa proclama oggi beata suor Teresa de los Andes e, a partire da questo giorno, la venera e la invoca con questo titolo.
Beata, gioiosa, felice, è la persona che ha fatto delle beatitudini evangeliche il centro della sua vita; che le ha vissute con intensità eroica.
In questo modo, la nostra beata, avendo messo in pratica le beatitudini, incarnò nella sua vita l’esempio più perfetto della santità che è Cristo.
Infatti, Teresa de los Andes irradia la gioia della povertà in spirito, la bontà e la mansuetudine del suo cuore, la sofferenza nascosta con cui Dio purifica e santifica i suoi eletti. Ella ha fame e sete di giustizia, ama Dio intensamente e vuole che Dio sia amato e conosciuto da tutti. Dio la rese misericordiosa nella sua immolazione totale per i sacerdoti e per la conversione dei peccatori; pacifica e conciliatrice, seminando intorno a lei la comprensione e il dialogo. In lei si riflette, soprattutto, la beatitudine della purezza di cuore. Infatti, si donò a Cristo totalmente e Gesù le apri gli occhi alla contemplazione dei suoi misteri.
Dio le concesse, inoltre, di provare la gioia sublime di vivere anticipatamente sulla terra la beatitudine e la gioia della comunione con Dio nel servizio al prossimo.
Questo è il suo messaggio: solo in Dio si trova la felicità; solo Dio è gioia infinita. Giovane cilena, giovane latinoamericana, scopri in suor Teresa la gioia di vivere la fede cristiana fino alle sue ultime conseguenze! Prendila a modello!
4. Nella nostra Messa di oggi, nella quale eleviamo all’onore degli altari una figlia prediletta del Cile, preghiamo in modo particolare per la riconciliazione. Nel salmo responsoriale, abbiamo invocato Dio con queste parole:
“Mostraci, Signore, la tua misericordia e donaci la tua salvezza. / Misericordia e verità si incontreranno, / giustizia e pace si baceranno” (Sal 85, 8-11).
La realizzazione della riconciliazione, che nella santa Messa ha la sua espressione nell’atto penitenziale iniziale e nel rito della pace, continua ad essere come un’invocazione degli uomini e dei popoli al Dio della alleanza, a quel Dio che ha riconciliato a sé tutta l’umanità in Cristo, suo Unigenito, morto sulla croce. Questo Dio ha affidato agli apostoli e alla Chiesa il ministero della riconciliazione (cf. 2 Cor 5, 18s.).
Come indicavo nella mia esortazione apostolica Reconciliatio et Paenitentia: “A tutta la comunità dei credenti, all’intera compagine della Chiesa è affidata la parola di riconciliazione, il compito cioè di fare quanto è possibile per testimoniare la riconciliazione e per attuarla nel mondo . . . In intima connessione con la missione di Cristo si può dunque riassumere la missione . . . della Chiesa nel compito per lei centrale della riconciliazione dell’uomo: con Dio, con se stesso, con i fratelli, con tutto il creato” (n. 8). Ma non possiamo dimenticare che la riconciliazione è un dono di Dio, è un frutto della grazia “di Cristo redentore, riconciliatore, liberatore dell’uomo dal peccato sotto tutte le sue forme” (Ioannis Pauli PP. II, Reconciliatio et Paenitentia, 7).
Dal canto suo, la Chiesa vive nella celebrazione dell’Eucaristia la forma più intensa ed espressiva della sua condizione di comunità riconciliata e di sacramento di comunione dell’uomo con Dio e con il genere umano (cf. Lumen Gentium, 1). Infatti, la celebrazione dell’Eucaristia esige la volontà ferma di riconciliazione e di perdono. Pertanto, nella nostra preghiera chiediamo al Padre celeste di perdonare le nostre offese, e testimoniando la sincerità della nostra supplica perdonando, da parte nostra, coloro che ci hanno offeso (cf. Mt 6, 12).
Il nuovo spirito del regno di Dio che Gesù ci rivela, ce lo manifesta anche in questa esortazione che la comunità cristiana dovrebbe sempre meditare in un contesto eucaristico: “Se dunque presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono” (Mt 5, 23-24).
Vediamo, pertanto, amatissimi fratelli, quanto è esigente la chiamata del Signore alla riconciliazione fraterna in un’umanità attraversata da tante divisioni, che hanno la loro causa ultima nel peccato, la riconciliazione è una necessità e anche una condizione di sopravvivenza: se la pace e la concordia non brillano tra gli individui e i popoli, i conflitti possono acquistare le proporzioni di una vera tragedia.
5. In questa cerimonia di beatificazione di suor Teresa de los Andes voglio rendere, con tutta la mia anima, grazie al Signore perché, mediante lo spirito di dialogo e riconciliazione si è mantenuta la pace tra due nazioni sorelle, il Cile e l’Argentina, con la soluzione della controversia sulla zona australe. Sia ringraziato il Padre misericordioso per aver sostenuto il successore di Pietro e i suoi collaboratori nei loro sforzi durante la mediazione. Sia ringraziato il Signore della storia per aver ispirato ai governanti e a questi due popoli fratelli sentimenti di pace e di intesa che evitarono tante sofferenze, tanto spargimento di sangue e alcune conseguenze imprevedibili per tutto il continente americano.
6. E ora mi permetterò di parlarvi - come feci nel mio incontro con l’episcopato cileno - della riconciliazione interna, vale a dire in seno alla vostra patria.
Certamente è presente nell’animo di tutti la convinzione che è imprescindibile una atmosfera di dialogo e di concordia che, d’altro canto, non è estranea alla rinomata tradizione democratica del nobile popolo cileno. Concorda altresì con questa tendenza del vostro paese la convinzione, radicata nelle coscienze, che la riconciliazione si manifesta nella convergenza delle volontà fino al conseguimento del bene comune, fino a quell’alto obiettivo che conferisce significato proprio e la loro ragion d’essere alle funzioni della comunità politica, come ci insegna il Concilio Vaticano II: “Il bene comune si concreta nell’insieme di quelle condizioni della vita sociale con le quali gli uomini, la famiglia e le associazioni possono ottenere il conseguimento più pieno e più spedito della propria perfezione” (Gaudium et Spes, 74).
Bisogna dire dunque che risponde alla condizione sociale e comunitaria dell’uomo il fatto che egli partecipi attivamente alla vita pubblica, allo scopo di promuovere il bene comune e di incoraggiare tutto ciò che garantisca condizioni di giustizia, di pace e di riconciliazione, come indica lo stesso Concilio: “È pienamente conforme alla natura umana che si trovino strutture politico-giuridiche che sempre meglio offrano a tutti i cittadini, senza alcuna discriminazione, la possibilità effettiva di partecipare liberamente e attivamente sia alla elaborazione dei fondamenti giuridici della comunità politica, sia al governo della cosa pubblica, sia alla determinazione del campo d’azione e dei limiti dei differenti organismi, sia alla elezione dei governanti” (Gaudium et Spes, 75).
7. La Chiesa, in conformità con la sua irrinunciabile missione, è stata e continuerà ad essere “segno e salvaguardia del carattere trascendente della persona umana” (Gaudium et Spes, 76), dell’uomo che è immagine di Dio. Secondo quanto afferma la stessa costituzione pastorale Gaudium et Spes: “E la Chiesa, fondata nell’amore del Redentore, contribuisce ad estendere il raggio di azione della giustizia e dell’amore all’interno di ciascuna nazione e tra tutte le nazioni. Predicando la verità evangelica e illuminando tutti i settori della attività umana con la sua dottrina e con la testimonianza resa dai cristiani, rispetta e promuove anche la libertà politica e la responsabilità dei cittadini” (n. 76).
Con questa stessa libertà evangelica e con il cuore rivolto al bene di questa amata nazione, chiedo al Signore che vi conceda questa riconciliazione in abbondanza che implica per tutti una coscienza più viva della dignità umana.
La ricerca del bene comune esige anche il rifiuto di ogni forma di violenza e di terrorismo - da qualunque parte essa venga - che gettano i popoli nel caos. La riconciliazione, così come la propone la Chiesa, è l’autentico cammino della liberazione cristiana, senza ricorso all’odio, alla lotta programmata di classe, alle rappresaglie, alla dialettica disumana che non vede nel prossimo i fratelli, figli dello stesso Padre, ma nemici che bisogna combattere. Non ci stancheremo di ripetere in ogni luogo che la violenza non è cristiana né evangelica, né è cammino per risolvere le difficoltà reali degli individui o dei popoli!
In questo parco, che porta il nome di uno dei più illustri padri della patria, voglio manifestare il mio incoraggiamento e il mio appoggio agli sforzi a favore della concordia da parte dell’episcopato cileno; e in particolare, al pastore di questa arcidiocesi per i suoi pressanti appelli alla pacificazione e all’intesa, e per la sua energica condanna della violenza e del terroristici.
8. Lavorare per la riconciliazione presuppone un amore universale, paziente e generoso, fermo nella proclamazione della verità, e inflessibile nel resistere ad ogni genere di violenza.
Ha come fondamento la missione stessa della Chiesa, che proclama la comunione dei figli di Dio in una stessa famiglia, il rispetto ai fratelli, specialmente più bisognosi, il lavorare per il bene comune.
Dinanzi a questa prospettiva, la Chiesa in Cile non può rinunciare al compito di convincere e di unire tutti i Cileni in un impegno congiunto di solidarietà e di partecipazione per conseguire il bene della patria.
Come hanno proclamato i vostri Vescovi: “il Cile ha una vocazione di intesa e non di conflitto”. Non si può continuare ad acuire le divisioni. È l’ora del perdono e della riconciliazione.
“Lasciatevi riconciliare con Dio” (cf. 2 Cor 5, 20), ci dice san Paolo. Questa ricerca della pace in Dio, su cui insiste l’Apostolo, è un lavoro che non ammette pausa; è un programma di vita che deve radicarsi sempre più nelle coscienze di tutti fino alla fine dei tempi.
Per conseguire tale meta, il nostro cammino è illuminato dallo stile di vita delle beatitudini.
Vi è accordo nella verità, quando professiamo senza timore che il regno di Dio appartiene ai poveri in spirito; quando gli afflitti sono consolati, quando i pacifici reggono le sorti del mondo, quando si esercita la compassione e la misericordia.
Vi è autentica riconciliazione tra i figli di uno stesso popolo, quando con il contributo di un dialogo aperto e sincero scompaiono pregiudizi e timori, quando uomini e donne - puri di cuore - si sforzano di sentire, di parlare e di agire come operatori di pace. Allora Dio li chiama suoi figli e li colma di felicità.
Vi è concordia di menti e di volontà quando, per amore alla giustizia e alla verità, si rispetta la dignità di ogni persona e si impara la saggezza della croce, sperimentando il prezzo e la ragione profonda dell’amore e del perdono, in comunione con Cristo.
Soffrire a causa dell’amore, della verità, della giustizia, è il segno della fedeltà al Dio della vita e della speranza. È la beatitudine di coloro che per Cristo soffrono, cadono in terra come i chicchi di grano e sono promessa di vita e di resurrezione.
Ecco come si costruisce il futuro, mediante un amore paziente e comprensivo che crede e spera sempre perché confida in Dio, che tiene nelle sue mani i fili della storia.
9. Cari fratelli e sorelle, figli e figlie della patria cilena.
In questo giorno elevo la mia preghiera al Signore insieme a tutti voi, chiedendogli il bene inestimabile della riconciliazione, mediante il dono della pace e della giustizia per tutta la vostra società.
“Effetto della giustizia sarà la pace” (Is 32, 17).
Il Vangelo delle beatitudini è la magna carta del regno di Dio. Le parole di Gesù risuonano come un invito e una sfida ad optare per il cammino evangelico della pace, che è frutto della giustizia contro ogni tentazione di violenza, con la pazienza e l’efficacia di chi sa costruire la pace, creando le condizioni necessarie per rinnovare i cuori e riformare le strutture ingiuste. Questo è lo stile e l’atteggiamento dei discepoli del Maestro della pace e dell’amore. “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5, 9).
In questa Eucaristia abbiamo chiesto al Signore la sua luce e la sua grazia “perché possiamo costruire perennemente la pace, fondata sulla giustizia, sull’amore e sulla libertà”.
La pace è un dono di Dio, che il Papa implora con tutti voi, per intercessione di Teresa de los Andes, a colui che è il Signore di tutti, il Dio della vita, il Principe della pace.
10. “Egli è la nostra pace” (Ef 2, 14).
In Cristo, Dio Padre ha riconciliato a sè tutto il genere umano, tutti i figli e le figlie del “primo Adamo”.
“Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3, 16). I santi e le anime elette sono testimoni eccezionali di questo amore del Padre.
E la beata Teresa de los Andes è uno di questi testimoni!
Oggi, mentre rendiamo grazie al Signore perché ispiri desideri di pace e di riconciliazione tra gli uomini e i gruppi sociali imploriamo ardentemente il frutto maturo di questa riconciliazione per la vostra patria. Non dimentichiamo mai che Cristo ci ha riconciliati con Dio nella aspettativa della vita eterna.
Non lo dimentichiamo!
In questo felice giorno per la nazione cilena, poiché suor Teresa è stata elevata agli onori degli altari, sembra che ci ripeta, come messaggio di vita le parole che imparò dal suo padre e maestro san Giovanni della Croce: “Dove non vi è amore, che io porti amore ed otterrò amore”.
Qui sulla terra rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità.
Esse ci conducono all’eternità: alla salvezza eterna in Dio Padre, Figlio e Spirito Santo. All’unione con Dio. Con Dio che è amore.
Per questo: di tutte è più grande la carità.