Claudine Thévenet
(1774-1837)
- 3 febbraio
Vergine, mossa da carità e da forza d’animo fondò la Congregazione delle Suore dei Sacri Cuori di Gesù e Maria per la formazione cristiana delle giovani, soprattutto povere
Seconda di una famiglia di sette figli, Claudine Thévenet nasce a Lione il 30 marzo 1774. "Glady", come viene chiamata affettuosamente, esercita molto presto una felice influenza sui suoi fratelli e sorelle con la bontà, con la dolcezza, con la dimenticanza di sé per fare piacere agli altri.
Quando scoppia la Rivoluzione francese ella ha quindici anni. Nel 1793, ella vive le tragiche ore di Lione assediata dalle forze governative ed assiste, impotente ed inorridita, all'esecuzione dei suoi due fratelli uccisi per rappresaglia, dopo la caduta della città, nel gennaio 1794. Le loro ultime parole, che ella raccoglie nel suo cuore e fa sue "Glady, perdona, come noi perdoniamo" la segnano profondamente e danno un altro senso alla sua vita. Da allora in poi ella si consacra a portare soccorso alle innumerevoli miserie provocate dalla Rivoluzione; per lei l'ignoranza di Dio è la causa principale della sofferenza del popolo e si desta in lei il grande desiderio di farlo conoscere a tutti; le bambine, le giovani soprattutto attirano il suo zelo ed ella desidera ardentemente far loro conoscere ed amare Gesù e Maria.
L'incontro con un santo prete, l'abbé André Coindre, l'aiuterà a discernere la volontà di Dio su di Lei e sarà decisivo per l'orientamento della sua vita. Avendo trovato due bambinette abbandonate e tremanti per il freddo sul pavimento della Chiesa St-Nizier, il Padre Coindre le aveva condotte da Claudine, che non aveva esitato ad occuparsene.
La compassione e l'amore per le bambine abbandonate è dunque all'origine della "Providence" di St-Bruno, a Lione (1815). Alcune compagne si uniscono a Claudine; costituiscono un'associazione, l' "Association du Sacrè-Cceur" di cui Claudine viene immediatamente eletta presidente. Il 31 luglio 1818, la chiamata del Signore si fa sentire mediante la voce di Padre Coindre: formare senza esitazioni una comunità. "Dio vi ha scelto", egli dice a Claudine. E il 6 ottobre 1818, a Pierres-Plantées sulla collina della Croce Rossa avviene la fondazione della Congregazione delle Religiose di Gesù-Maria. Nel 1820 la giovane Congregazione si stabilirà a Fourvière (di fronte al celebre Santuario) su un terreno comperato dalla famiglia Jaricot. Essa riceverà l'approvazione canonica delle diocesi di Puy nel 1823 e di Lione nel 1825.
Il primo scopo del giovane Istituto era stato di raccogliere le bambine povere e di aver cura di loro fino all'età di 20 anni, insegnando loro, oltre le conoscenze della scuola elementare, un mestiere, ed assicurando pure una solida formazione religiosa e morale. Ma volendo fare di più, Claudina e le sue Suore aprono i loro cuori e le loro braccia alle giovani della classe agiata e fondano per queste un pensionato. Lo scopo apostolico della Congregazione sarà dunque l'educazione cristiana di tutte le classi sociali con una preferenza per le bambine e le giovani e, fra queste, per le più povere.
Le due opere si sviluppano simultaneamente malgrado le prove, che accompagnano la Fondatrice durante gli ultimi 12 anni del suo pellegrinaggio terreno: la morte dolorosamente avvertita di Padre Coindre (1826) e delle prime Suore (1828); la lotta per impedire la fusione della sua Congregazione con un'altra; i moti rivoluzionari di Lione nel 1831 e nel 1834 con tutte le conseguenze per gli abitanti di Fourvière, che si trovavano in un punto strategico tra le due parti antagoniste.
Il coraggio distinto della Fondatrice non si lascia mai intimidire dalle avversità; ella arditamente intraprende nuove costruzioni, tra cui quella della Cappella della Casa Madre; al tempo stesso ella si dedica con grandissima cura alla redazione delle Costituzioni della sua Congregazione. Ne stava redigendo l'ultima stesura, quando la morte la colpì: era il 3 febbraio 1837, nel 63 anno di età.
CANONIZZAZIONE DI CLAUDINE THÉVENET E
DI TERESA DE JESÚS DE LOS ANDES
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
Domenica, 21 marzo 1993
1. “Io sono la luce del mondo” (Gv 8, 12). L’odierna domenica, la IV di Quaresima, potrebbe essere chiamata a giusto titolo il giorno della luce. Nel cammino, infatti, che preparava i catecumeni al battesimo, nei primi secoli del Cristianesimo, essi pregustavano, nella liturgia di questo giorno permeata di molteplici richiami al tema biblico della luce, il momento in cui gli occhi della loro anima si sarebbero aperti mediante il lavacro battesimale alla luce della fede, entrando così a far parte della comunità della Chiesa. Il sacramento del Battesimo segna il passaggio dalla morte alla vita, grazie alla partecipazione al mistero di Cristo crocifisso e risorto. Cristo è la vita; e la vita “è la luce del mondo”. Il Verbo che è venuto nel mondo, il Figlio consustanziale al Padre, è lui stesso “Luce da Luce”. Coloro che l’accolgono, accolgono la luce. Si aprono i loro occhi; si apre la vista interiore dell’anima per vedere “le grandi opere di Dio” (magnalia Dei) (At 2, 11). Narrando la guarigione dell’uomo cieco, il Vangelo della IV domenica di Quaresima mostra la via non facile che conduce alla scoperta di questa Luce: alla scoperta di Cristo. In quanti e diversi modi l’avvenimento, narrato dall’evangelista Giovanni si rinnova nell’esistenza degli esseri umani di ogni epoca! I modi sono diversi, ma la conclusione è la stessa: la luce risplende nelle tenebre interiori ed esteriori. L’uomo vede. Di più: l’uomo diventa testimone della Verità che viene da Dio.
2. “Io sono la luce del mondo; chi segue me... avrà la luce della vita” (Gv 8, 12). L’Apostolo scrive: “... siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce” (Ef 5, 8). Oggi la Chiesa desidera pronunciare le parole di san Paolo, riferendole in modo particolare a due sue figlie, diventate “luce nel Signore”: Maria di sant’Ignazio (Claudine Thévenet) e Teresa “de los Andes” (Giovanna Fernandez Solar). Queste “figlie della luce” si sono distinte come testimoni di Cristo nel mondo. Nella “vecchia” Europa la Thévenet, nel “Nuovo Mondo” la Fernandez Solar. Mentre ancora celebriamo il cinquecentesimo anniversario dell’evangelizzazione del grande continente americano, noi raccogliamo uno splendido fiore suscitato dalla Buona Novella e dalla grazia del santo Battesimo fra le popolazioni di quella “nuova Terra”.
3. Ce baptême, elles l’ont reçu l’une et l’autre dans l’Eglise qui les a fait naître à la vie de Dieu. Par son enfance chrétienne, Claudine Thévenet a été préparée à surmonter la grande épreuve de sa jeunesse, l’exécution de ses deux frères guillotinés. Dans la traversée de ce “ ravin de ténèbres ”, elle a su se remettre entièrement à Dieu. Sa vocation tire son origine de cette blessure. Le pardon héroïque, inspiré par ses propres frères, l’a pour une part poussée à se tourner avec foi et amour vers ceux qu’elle voyait autour d’elle blessés par la vie. Face aux misères nées des bouleversements et des guerres de son époque, elle n’a voulu donner que la réponse de l’amour. Qui avait besoin d’être entouré, soutenu, aidé en ces temps troublés, sinon ceux que leur faiblesse risquait de priver de tout, les enfants abandonnés, indigents, livrés à toute forme d’exploitation?
Nous avons entendu la parole adressée au prophète Samuel: “ L’homme regarde l’apparence, Dieu regarde le cœur ”. Dans la faiblesse d’un enfant, Claudine Thévenet discernait la force de Dieu Créateur; dans sa misère, la gloire du Tout–Puissant qui ne cesse d’appeler et de nous appeler à partager la vie qu’il possède en plénitude; dans son abandon, le Christ crucifié et ressuscité qui demeure à jamais présent à ses frères les hommes dans les plus petits. Voilà pourquoi la sainte de Lyon a voulu consacrer sa vie à réintégrer des enfants et des jeunes au cœur de la vie sociale dans des conditions saines et dignes.
Donner une éducation chrétienne à des jeunes filles de toutes conditions, telle fut sa mission, tel est son message.
Sa conception de l’éducation allie le sens des réalités humaines et celui des réalités divines. Les maisons qu’elle fonde pour les plus pauvres ne sont–elles pas nommées “ Providences ”? Il faut, en effet, apprendre aux jeunes à savoir organiser la bonne gestion d’un foyer, en faisant les plus petites choses avec autant de soin et d’amour que les grandes. Une charité ardente se met au service des jeunes avec respect et affection pour permettre à chacun de donner le meilleur de lui–même. Elle livre ainsi l’un des secrets de son action. “ Le meilleur chef, dit–elle, est non celui qui inflige le plus de châtiments, mais celui qui a le talent de faire éviter le plus de fautes ”. Elle invoquait sans cesse la bonté de Dieu.
Ecco le parole del Papa in una nostra traduzione in italiano.
3. Questo battesimo, esse l’hanno ricevuto l’una e l’altra nella chiesa che le ha fatte nascere alla vita di Dio. Attraverso la sua infanzia cristiana, Claudine Thévenet è stata preparata a superare la grande prova della sua giovinezza, l’esecuzione dei suoi due fratelli ghigliottinati. Nell’attraversare questa “valle oscura” (Sal 23, 4) essa ha saputo rimettersi interamente a Dio. La sua vocazione trae la propria origine da questa ferita. Il perdono eroico, ispirato dai suoi stessi fratelli, l’ha in un certo senso spinta a volgersi con fede e amore verso coloro che vedeva intorno a lei feriti dalla vita. Dinanzi alle miserie sorte dagli sconvolgimenti della propria epoca essa ha voluto dare solo la risposta dell’amore. Chi aveva bisogno di essere protetto, sostenuto, aiutato in quei tempi travagliati se non coloro la cui debolezza rischiava di privare di tutto, i bambini abbandonati, indigenti esposti a ogni forma di sfruttamento? Abbiamo ascoltato la parola rivolta al profeta Samuele: “L’uomo guarda l’apparenza, il Signore guarda il cuore” (1 Sam 16, 7). Nella debolezza di un bambino, Claudine Thévenet scorgeva la forza di Dio Creatore; nella sua miseria, la gloria dell’Onnipotente che non smette di chiamare e di chiamarci a condividere la vita che Egli possiede in abbondanza; nel suo abbandono, è il Cristo crocifisso e risorto che rimane per sempre presente ai suoi fratelli uomini nei più piccoli. Ecco perché la Santa di Lione ha voluto consacrare la propria vita a reinserire i bambini e i giovani nel cuore della vita sociale in condizioni sane e degne. Dare un’educazione cristiana alle giovani di qualsiasi condizione, questa fu la sua missione, questo è il suo messaggio. La sua concezione dell’educazione si unisce al senso delle realtà umane e a quello delle realtà divine. Le case che essa fonda per i più poveri non si chiamano forse: “Provvidenze”? Bisogna infatti, insegnare ai giovani a saper organizzare la buona gestione di una casa facendo le cose più piccole con la stessa cura e lo stesso amore con cui si fanno quelle più grandi. Una carità ardente si mette al servizio dei giovani con rispetto e affetto per permettere a ognuno di dare il meglio di sé. Essa rivela così uno dei segreti della sua azione: “Il miglior capo – dice – non è colui che infligge il maggior numero di punizioni, ma colui che ha la capacità di far evitare il maggior numero di errori”. Essa invocava costantemente la bontà di Dio.
4. Pour mener à bien sa mission, Claudine Thévenet anime tout un groupe de jeunes filles remplies d’ardeur qui, comme elle, puisent leurs énergies à la source du Cœur du Christ et du Cœur de sa Mère. Grâce à une très forte unité entre l’attention constante à Dieu, l’amour de Jésus et de Marie ainsi que la fidélité obéissante à l’Église, Mère Marie de Saint–Ignace fonde la Congrégation de Jésus–Marie qui lui permet de donner à son œuvre une ampleur croissante. Par l’action généreuse de ses compagnes, sont “ manifestées les œuvres de Dieu ”, comme le Seigneur lui–même le veut lorsqu’il guérit l’aveugle–né. La sainteté de Claudine sera féconde dans la vie de ses Sœurs et dans le dynamisme missionnaire de la congrégation. Notre joie est grande d’avoir pu glorifier hier l’une d’entre elles, la bienheureuse Dina Bélanger.
Or, en chaque personne vit ou peut vivre un aveugle guéri de sa cécité et appelé à recevoir la lumière du Sauveur. Il faut des guides, il faut des médecins, il faut des éducateurs pour aider les jeunes du monde entier à recevoir cette lumière. Sainte Claudine Thévenet montre comment un enfant mérite d’être aimé. Elle répétait à ses Sœurs: “ Que la charité soit comme la prunelle de vos yeux ”. Oui, le regard porté sur l’enfant doit voir en lui une promesse, une attente, une épiphanie de la présence divine, un geste de Dieu dont l’homme vivant demeure la “ gloire ”.
Ecco le parole del Papa in una nostra traduzione in italiano.
4. Per portare a buon fine la sua missione, Claudine Thévenet anima un gruppo di giovani colme di ardore che, come lei, attingono le loro energie alla fonte del Cuore di Cristo e del Cuore di sua Madre. Grazie a una fortissima unità nell’attenzione costante a Dio, l’amore di Gesù e di Maria così come la fedeltà obbediente alla Chiesa, Madre Maria di sant’Ignazio fonda la Congregazione di Gesù Maria che le permette di dare alla sua opera dimensioni sempre maggiori. Attraverso l’azione generosa delle sue compagne, vengono manifestate “le opere di Dio” (Gv 9, 3), come vuole il Signore stesso quando guarisce colui che è cieco dalla nascita. La santità di Claudine sarà feconda nella vita delle sue Sorelle e nel dinamismo missionario della Congregazione. Grande è la nostra gioia per aver potuto glorificare ieri una di esse, la Beata Dina Bélanger. Ora, in ogni persona vive o può vivere un cieco guarito dalla propria cecità e chiamato a ricevere la luce del Salvatore. C’è bisogno di guide, c’è bisogno di medici, c’è bisogno di educatori per aiutare i giovani del mondo intero a ricevere questa luce. Santa Claudine Thévenet ci mostra come un bambino merita di essere amato. Essa ripeteva alle sue Sorelle: “Che la carità sia come la pupilla dei vostri occhi”. Sì, lo sguardo rivolto al bambino deve vedere in lui una promessa, una speranza, un’epifania della presenza divina, un gesto di Dio di cui l’uomo vivente è la “gloria”.
5. Luz de Cristo para toda la Iglesia chilena es Sor Teresa de los Andes, Teresa de Jesús, carmelita descalza y primicia de santidad del Carmelo Teresiano de América Latina, que hoy es incorporada al número de los Santos de la Iglesia universal.
Al igual que en la primera lectura que hemos escuchado del libro de Samuel, la figura de Teresa sobresale no por “ su apariencia ni su gran estatura ”. “ La mirada de Dios – nos dice el libro sagrado – no es como la mirada del hombre, pues el hombre mira las apariencias, pero el Señor mira el corazón ”. Por eso, en su joven vida de poco más de 19 años, en sus once meses de carmelita, Dios ha hecho brillar en ella de modo admirable la luz de su Hijo Jesucristo, para que sirva de faro y guía a un mundo que parece cegarse con el resplandor de lo divino. A una sociedad secularizada, que vive de espaldas a Dios, esta carmelita chilena, que con vivo gozo presento como modelo de la perenne juventud del Evangelio, ofrece el límpido testimonio de una existencia que proclama a los hombres y mujeres de hoy que en el amar, adorar y servir a Dios están la grandeza y el gozo, la libertad y la realización plena de la criatura humana. La vida de la bienaventurada Teresa grita quedamente desde el claustro: “ ¡Sólo Dios basta! ”.
Y lo grita especialmente a los jóvenes, hambrientos de verdad y en búsqueda de una luz que dé sentido a sus vidas. A una juventud solicitada por los continuos mensajes y estímulos de una cultura erotizada, y a una sociedad que confunde el amor genuino, que es donación, con la utilización hedonista del otro, esta joven virgen de los Andes proclama hoy la belleza y bienaventuranza que emana de los corazones puros.
En su tierno amor a Cristo Teresa encuentra la esencia del mensaje cristiano: amar, sufrir, orar, servir. En el seno de su familia aprendió a amar a Dios sobre todas las cosas. Y al sentirse posesión exclusiva de su Creador, su amor al prójimo se hace aún más intenso y definitivo. Así lo afirma en una de sus cartas: “ Cuando quiero, es para siempre. Una carmelita no olvida jamás. Desde su pequeña celda acompaña a las almas que en el mundo quiso ”.
Ecco le parole del Papa in una nostra traduzione in italiano.
5. Luce di Cristo per tutta la Chiesa cilena è Suor Teresa “de los Andes”, Teresa di Gesù, carmelitana scalza e primizia di santità del Carmelo Teresiano dell’America Latina, che oggi viene annoverata nel numero dei Santi della Chiesa universale. Così come nella prima lettura che abbiamo ascoltato dal libro di Samuele, la figura di Teresa si distacca non per “il suo aspetto né per l’imponenza della sua statura”. Ci dice la Sacra Scrittura “...perché io non guardo ciò che guarda l’uomo. L’uomo guarda l’apparenza, il Signore guarda il cuore” (1 Sam 16, 7). Per questo, nella sua giovane vita di poco più di diciannove anni, nei suoi undici mesi come carmelitana, Dio ha fatto brillare in essa in modo ammirevole la luce di Suo Figlio Gesù Cristo, affinché fosse un faro e una guida per un mondo che sembra accecarsi con lo splendore del divino. A una società secolarizzata, che vive voltando le spalle a Dio, questa carmelitana cilena, che con grande gioia porto come modello della giovinezza del Vangelo, offre la limpida testimonianza di un’esistenza che proclama agli uomini e alle donne di oggi che nell’amare, adorare e servire Dio risiedono la grandezza e la gioia, la libertà e la piena realizzazione della creatura umana. La vita della Beata Teresa grida sommessamente dal chiostro: “Solo Dio basta!”. E lo grida specialmente ai giovani affamati di verità e in cerca di una luce che dia senso alle loro vite. A una gioventù sollecitata dai continui messaggi e stimoli di una cultura erotizzata, e a una società che confonde l’amore autentico, che è donazione, con l’utilizzazione edonistica dell’altro, questa giovane vergine delle Ande proclama la bellezza e la beatitudine che emana dai cuori puri.
6. Su encendido amor lleva a Teresa a desear sufrir con Jesús y como Jesús: “ Sufrir y amar, como el cordero de Dios que lleva sobre sí los pecados del mundo ” – nos dice –. Ella quiere ser hostia inmaculada ofrecida en sacrificio continuo y silencioso por los pecadores. “ Somos corredentoras del mundo – dirá más adelante – y la redención de las almas no se efectúa sin cruz ”.
La joven Santa chilena fue eminentemente un alma contemplativa. Durante largas horas junto al tabernáculo y ante la cruz que presidía su celda, ora y adora, suplica y expía por la redención del mundo, animando con la fuerza del Espíritu el apostolado de los misioneros y, en especial, el de los sacerdotes. “ La carmelita – nos dirá – es hermana del sacerdote ”. Sin embargo, ser contemplativa como María de Betania no exime a Teresa de servir como Marta. En un mundo donde se lucha sin denuedo por sobresalir, por poseer y dominar, ella nos ense$ña que la felicidad está en ser la última y la servidora de todos, siguiendo el ejemplo de Jesús, que no vino a ser servido sino a servir y a dar su vida en redención de muchos.
Ahora, desde la eternidad, Santa Teresa de los Andes continúa intercediendo como abogada de un sin fin de hermanos y hermanas. La que encontró su cielo en la tierra desposando a Jesús, lo contempla ahora sin velos ni sombras, y desde su inmediata cercania intercede por quienes buscan la luz de Cristo.
Ecco le parole del Papa in una nostra traduzione in italiano.
6. Nel suo tenero amore per Cristo Teresa trova l’essenza del messaggio cristiano: amare, soffrire, pregare, servire. Nel focolare della sua famiglia imparò ad amare Dio al di sopra di tutte le cose. E sentendo di appartenere esclusivamente al suo Creatore, il suo amore per il prossimo divenne ancor più intenso e definitivo. Così afferma in una delle sue lettere: “Quando amo, è per sempre. Una carmelitana non dimentica mai. Dalla sua piccola cella accompagna le anima che ha amato nel mondo” (Lettera, agosto 1919). Il suo fervido amore porta Teresa a desiderare di soffrire con Gesù e come Gesù: “Soffrire e amare, come l’agnello di Dio che prende su di sé i peccati del mondo”, ci dice. Essa vuole essere un’ostia immacolata offerta in sacrificio costante e silenzioso per i peccatori. “Siamo corredentrici del mondo – dirà più tardi – e la redenzione delle anime non si compie senza croce” (Lettera, settembre 1919). La giovane Santa cilena fu prevalentemente un’anima contemplativa. Per lunghe ore vicino al tabernacolo e davanti alla croce che sovrastava la sua cella, prega e adora, supplica e espia per la redenzione del mondo, animando con la forza dello Spirito l’apostolato dei missionari e, in particolare, quello dei sacerdoti. “La carmelitana – ci dirà – è sorella del sacerdote” (Lettera del 1919). Tuttavia, essere contemplativa come Maria di Betania non esime Teresa dal servire come Marta. In un mondo in cui si lotta senza coraggio per emergere, per possedere e dominare, essa ci insegna che la felicità è nell’essere l’ultima e la serva di tutti, seguendo l’esempio di Gesù, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita per la redenzione di molti (cf. Mc 10, 45). Ora, dall’eternità Santa Teresa de los Andes continua a intercedere come protettrice di un’infinità di fratelli e sorelle. Colei che trovò il suo cielo sulla terra sposando Gesù, lo contempla ora senza veli né ombre, e dalla sua immediata vicinanza intercede per coloro che cercano la luce di Cristo.
7. “Il Signore è il mio pastore” (Sal 23, 1). Intere generazioni di discepoli, fedeli e seguaci di Cristo nel “vecchio” e nel “nuovo” mondo, dal nord al sud, si rivolgono a Colui che è il Buon Pastore. Il Pastore delle anime. A Colui che ci ha redento per mezzo del sangue della sua croce, a Colui che è “la luce del mondo”. Ecco, a nome di tutte quelle generazioni ci parlano oggi queste due sante: Maria di sant’Ignazio Teresa “de los Andes” Rendono grazie al Padre per “ogni bontà, giustizia e verità” (Ef 5, 9), che sono il frutto della “luce” di Cristo. Sì, rendono grazie. E, al tempo stesso, la loro voce oltrepassa le tenebre, che incessantemente invocano la luce. Proclamano ad ogni uomo minacciato dalle tenebre: “Svegliati... destati dai morti e Cristo ti illuminerà” (Ef 5, 14).
Ecco il messaggio quaresimale dell’odierna canonizzazione: Cristo è la luce del mondo!
Chi lo segue “avrà la luce della vita”.
"Fare tutto per piacere Dio" sembra essere stato il filo conduttore della sua vita. Questa costante ricerca della volontà di Dio per "condurre una vita degna del Signore e che gli piaccia in tutto" tale è la via, che le ha dato una viva sensibilità spirituale per leggere i segni dei tempi e discernervi i disegni di Dio su di lei, per dare una risposta piena e integrale; tale è anche la via che le meritò di "condividere la sorte dei santi nella luce" (Col 1, 10-11).
Il "vedere Dio in tutte le cose e tutte le cose in Dio" è anche il vivere con spirito di lode. Nel mondo in cui la speranza è troppo frequentemente assente, la riscoperta della bontà del Creatore presente nella creazione e nelle persone, ridà senso alla vita ed invita all'azione di grazie. Claudine ha fatto della sua vita religiosa ed apostolica una "lode di gloria" al Signore; le sue ultime parole "Come è buono il buon Dio" sono state un'esclamazione di meraviglia per la bontà di Dio, che ella aveva saputo scoprire anche nei momenti più dolorosi della sua vita.
Claudine ha dato alla sua Congregazione l'impronta della sua forte personalità. Dotata di una forza d'animo fuori del comune, donna razionale, organizzatrice perfetta, ella fu soprattutto una donna amorosa e volle che le sue figlie fossero vere madri per le bambine affidate alle loro cure: "Bisogna essere le madri di queste bambine, diceva, sì, vere madri sia dell'anima che del corpo". Nessuna parzialità, nessuna preferenza: "le uniche (preferenze) che vi permetto sono per le più povere, le più miserabili, quelle che hanno i maggiori difetti, quelle, sì, amatele molto".
La solidità di una costruzione si manifesta con la prova del tempo. Appena cinque anni dopo la morte della Madre, le sue figlie si recarono in India (1842), aprirono la loro prima casa in Spagna e, nel 1855, si insediarono nel Nuovo Mondo, in Canada.
Centosettantacinque anni dopo la fondazione della Congregazione, le Religiose di Gesù-Maria sono oggi più di milleottocento, distribuite in 180 case nei 5 continenti. Esse accolgono con gioia e gratitudine la canonizzazione dell'umile e generosa figlia di Francia, che il Signore ha scelto per essere la loro Fondatrice.
SANTA MESSA PER LA PROCLAMAZIONE DI CINQUE NUOVI BEATI
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
Domenica, 4 ottobre 1981
Fratelli e sorelle carissimi!
1. Oggi è un giorno di sincera esultanza e di fervida letizia per il Popolo di Dio! La Chiesa tutta si inginocchia per venerare tre suoi figli e due sue figlie, che nella loro esistenza terrena in maniera eroica hanno realizzato, giorno dopo giorno, le esigenze del messaggio del Vangelo. La Chiesa, santificata dal sangue del suo Sposo, il Cristo, è diventata Madre di santi e di sante! E in questo giorno ha l’intima fierezza di presentare al mondo contemporaneo cinque nuovi beati, testimoni della sua perenne, inesauribile, giovanile vitalità, e portatori di quel messaggio di gioia, che e tipico dell’annuncio del Vangelo.
E nel segno di questa gioia cristiana noi ascolteremo il messaggio, che i nuovi cinque beati oggi ci consegnano, perché lo sappiamo fare nostro, realizzandolo nella nostra vita, e lo trasmettiamo, così, nella sua genuinità alla odierna società, che é in continua ricerca dell’Assoluto.
2. Alain de Solminihac, nato da un’antica famiglia di Perigord, il cui motto era “Fede e Coraggio”, aveva da principio pensato di unirsi ai Cavalieri di Malta. Ma nel 1613, all’età di vent’anni, decide di entrare nell’Abbazia di Chancelade, nei dintorni di Perigueux, tenuta dai Canonici regolari di sant’Agostino. Dopo la sua ordinazione, si dedica agli studi di teologia e di spiritualità a Parigi. Nel giorno dell’Epifania del 1623, riceve la benedizione abbaziale ed intraprende coraggiosamente la restaurazione materiale e spirituale della sua Abbazia. È l’epoca della applicazione del Concilio di Trento. Questo esempio ha una vasta eco nella regione e anche ben oltre. Ora, vorrei sottolineare come una simile personalità capace di spronare alla vita evangelica possa illuminare singolarmente gli Istituti religiosi dei nostri tempi. Inevitabilmente condizionati dai mutamenti socio-culturali attuali, essi devono raccogliere la sfida del venir meno, al fine di un rinnovamento, della fedeltà alla “via stretta” insegnata da Gesù stesso e sempre caratterizzata dalla scelta cosciente e permanente della povertà, della castità e dell’obbedienza consacrate. L’esperienza di Alain di Solminihac ricorda opportunamente a tutti i religiosi il valore e la fecondità della loro radicale oblazione, sostenuta dall’osservanza della Regola dalla mortificazione, dalla vita comunitaria. Prego il nuovo beato di comunicare loro il suo fervore ascetico.
Nel 1636, la fama dello zelo e della santità dell’Abate di Chancelade fece sì che egli fosse nominato Vescovo di Cahors da Papa Urbano VIII. Fervente ammiratore della pastorale conciliare del santo Arcivescovo di Milano, Carlo Borromeo, Monsignor di Solminihac prese anch’egli la decisione di conferire alla sua diocesi le caratteristiche e la vitalità tanto raccomandate dal Concilio di Trento. I suoi ventidue anni di servizio episcopale nella regione di Quercy furono densi di una incessante serie di attività importanti ed efficaci: la convocazione di un Sinodo diocesano, la costituzione di un consiglio episcopale settimanale, la visita sistematica alle ottocento parrocchie della diocesi, che egli rivide nove volte ciascuna, la creazione di un Seminario affidato ai Lazzaristi, la moltiplicazione delle missioni parrocchiali, lo sviluppo del culto eucaristico in un periodo in cui il giansenismo cominciava a riprendersi, la promozione o la fondazione di opere caritative per gli anziani e gli orfani, per i malati e le vittime della peste. Tre anni prima della sua morte, in occasione del Giubileo del 1656, predicò sia perché il suo popolo si convertisse, che perché fosse sensibilizzato alla missione particolare del Vescovo di Roma, garante della comunione tra le Chiese. In breve, un versetto tratto dal Salmo 69 riassume perfettamente la vita pastorale di questo Vescovo del diciassettesimo secolo: “Mi divora lo zelo per la tua casa”. La figura ammirevole di Alain di Solminihac merita pienamente di essere messa in luce dalla Chiesa che egli ha servito tanto ardentemente. Che i Vescovi di Francia e di tutti gli altri Paesi sappiano trovare nella vita del beato Alain di Solminihac il coraggio di compiere senza paura la loro funzione di evangelizzatori nel mondo contemporaneo!
Traduzione
2. Alain de Solminihac, issu d’une vieille famille du Périgord, dont la devise était “ Foi et Vaillance ”, avait d’abord songé aux Chevaliers de Malte. Mais en 1613, à l’âge de vingt ans, il décide d’entrer à l’Abbaye de Chancelade, proche de Périgueux et tenue par les Chanoines réguliers de Saint-Augustin. Après son ordination, il poursuit des études de théologie et de spiritualité à Paris. A l’Epiphanie de 1623, il reçoit la Bénédiction abbatiale et entreprend courageusement la restauration matérielle et spirituelle de son Abbaye. C’était l’époque de la mise en application du Concile de Trente. Cet exemple eut un grand retentissement dans la région et bien au-delà. Ici, je voudrais souligner qu’un tel entraîneur à la vie évangélique peut singulièrement éclairer les Instituts religieux de notre temps. Inévitablement touchés par les mutations socioculturelles actuelles, ils doivent relever le défi de l’affadissement ou même de la dilution par un renouveau de la fidélité à la “ voie étroite ” enseignée par Jésus lui-même et à jamais caractérisée par le choix conscient et permanent de la pauvreté, de la chasteté et de l’obéissance consacrées.
L’expérience d’Alain de Solminihac rappelle opportunément à tous les religieux la valeur et la fécondité de leur oblation radicale, soutenue par l’observance de la Règle, la mortification, la vie en communauté. Je prie le nouveau Bienheureux de leur communiquer sa ferveur ascétique.
En 1636, la réputation de zèle et de sainteté de l’Abbé de Chancelade le fit nommer à l’évêché de Cahors par le Pape Urbain VIII. Fervent admirateur de la pastorale conciliaire du saint Archevêque de Milan, Charles Borromée, Monseigneur de Solminihac prit lui aussi la décision de donner à son diocèse le visage et la vitalité tant souhaités par le Concile de Trente. Ses vingt-deux ans d’épiscopat dans le Quercy furent un déploiement incessant d’activités importantes et efficaces: convocation d’un synode diocésain, mise sur pied d’un conseil épiscopal hebdomadaire, visite systématique des huits cents paroisses du diocèse, qu’il reverra neuf fois chacune, création d’un séminaire confié aux Lazaristes, multiplication des missions paroissiales, développement du culte eucharistique en un temps où le jansénisme commençait à se répandre, promotion ou fondation d’œuvres caritatives pour les vieillards et les orphelins, pour les malades et les victimes de la peste.
Trois ans avant sa mort, il prêche lui-même le Jubilé de 1656, à la fois pour convertir son peuple et pour le sensibiliser à la mission particulière de l’Evêque de Rome, gardien de la communion entre les Eglises. Bref, un mot tiré du psaume 69 résumerait parfaitement la vie pastorale de cet Evêque du dix-septième siècle “ Le zèle de ta Maison me dévore ”. La remarquable figure d’Alain de Solminihac méritait bien d’être mise en lumière par l’Eglise qu’il a si ardemment servie. Puissent les évêques de France et de tous pays trouver dans la vie du Bienheureux Alain de Solminihac le courage d’évangéliser sans peur le monde contemporain!
3. Luigi Scrosoppi, di Udine, ordinato sacerdote nel 1827, si dà ad un instancabile apostolato, animato e spinto dalla carità di Cristo. Istituisce la “Casa delle Derelitte” o “Istituto della Provvidenza”, per la formazione umana e cristiana delle ragazze; apre la “Casa Provvedimento” per le ex alunne rimaste senza lavoro; dà inizio all’Opera per le Sordomute, e fonda le Suore della Provvidenza sotto la protezione di san Gaetano. Padre Luigi entra nella Congregazione dell’Oratorio e ne fa un dinamico centro di irradiazione di vita spirituale.
Nella sua vita, spesa totalmente per le anime, egli ha avuto tre grandi amori: Gesù; la Chiesa e il Papa; i “piccoli”.
Fin da giovanissimo sceglie il Cristo come Maestro e lo ama, contemplandolo povero e umile a Betlemme; lavoratore a Nazaret, sofferente e vittima nel Getsemani e sul Golgota; presente nell’Eucaristia. “Voglio essergli fedele – ha scritto – attaccato perfettamente a lui nel cammino del cielo e riuscire una sua copia”.
Il suo amore alla Chiesa si manifesta nella fedeltà completa alle leggi ecclesiastiche; nel suo apostolato, che non conosce pause o esitazioni; nella docile accettazione del Magistero.
Padre Scrosoppi ha speso letteralmente tutta la sua vita nell’esercizio della carità verso il prossimo, specialmente verso i più piccoli e i più abbandonati. Per i poveri distribuì i suoi notevoli beni patrimoniali. “I poveri e gli infermi sono i nostri padroni e rappresentano la persona stessa di Gesù Cristo”: sono parole sue; ma sono anche, e più, la sua vita.
A fondamento della sua molteplice attività pastorale e caritativa c’è una profonda interiorità; la sua giornata è una continua preghiera: meditazione, visite al Santissimo Sacramento, recita del Breviario, “Via Crucis” giornaliera, Rosario e, infine, lunga orazione notturna; dando in tal modo ai fedeli, ai sacerdoti e ai religiosi un luminoso ed efficace esempio di equilibrata sintesi fra vita contemplativa e vita attiva.
4. Erminio Filippo Pampuri, decimo di undici figli, a 24 anni è medico condotto e a 30 anni entra nell’Ordine Ospedaliero di san Giovanni di Dio (Fatebenefratelli). Solo tre anni dopo moriva.
È una figura straordinaria, vicina a noi nel tempo, ma più vicina ancora ai nostri problemi ed alla nostra sensibilità. Noi ammiriamo in Erminio Filippo, diventato nell’Ordine Fra Riccardo Pampuri, il giovane laico cristiano, impegnato a rendere testimonianza nell’ambiente studentesco, come membro attivo del Circolo Universitario “Severino Boezio” e socio della Conferenza di san Vincenzo de’ Paoli; il dinamico medico, animato da una intensa e concreta carità verso i malati e i poveri, nei quali scorge il volto del Cristo sofferente. Egli ha realizzato letteralmente le parole, scritte alla sorella suora, quando era medico condotto: “Prega affinché la superbia, l’egoismo e qualsiasi altra mala passione non abbiano ad impedirmi di vedere sempre Gesù sofferente nei miei malati, Lui curare, Lui confortare. Con questo pensiero sempre vivo nella mente, quanto soave e quanto fecondo dovrebbe apparirmi l’esercizio della mia professione!”.
Lo ammiriamo anche come religioso integerrimo di un benemerito Ordine, che, nello spirito del suo Fondatore san Giovanni di Dio, ha fatto della carità verso Dio e verso i fratelli infermi la propria missione specifica e il proprio carisma originario. “Voglio servirti, o mio Dio, per l’avvenire con perseveranza ed amore sommo: nei miei superiori, nei confratelli, nei malati tuoi prediletti: dammi la grazia di servirli come servirei Te”: così scriveva nei propositi in preparazione alla professione religiosa.
La vita breve, ma intensa, di Fra Riccardo Pampuri è uno sprone per tutto il Popolo di Dio, ma specialmente per i giovani, per i medici, per i religiosi.
Ai giovani contemporanei egli rivolge l’invito a vivere gioiosamente e coraggiosamente la fede cristiana; in continuo ascolto della Parola di Dio, in generosa coerenza con le esigenze del messaggio di Cristo, nella donazione verso i fratelli.
Ai medici, suoi colleghi, egli rivolge l’appello che svolgano con impegno la loro delicata arte animandola con gli ideali cristiani, umani, professionali, perché sia una autentica missione di servizio sociale, di carità fraterna, di vera promozione umana.
Ai religiosi ed alle religiose, specialmente a quelli e quelle che, nell’umiltà e nel nascondimento, realizzano la loro consacrazione fra le corsie degli ospedali e nelle case di cura, Fra Riccardo raccomanda di vivere lo spirito originario del loro Istituto, nell’amore di Dio e dei fratelli bisognosi.
5. Claudine Thévenet visse tutta la sua vita a Lione. La sua adolescenza fu sconvolta dalla rivoluzione francese che scosse violentemente la sua città natale. Una mattina, nel gennaio dell’anno 1794, questa giovinetta di 19 anni riconobbe i suoi due fratelli, Louis e François, in un gruppo di condannati a morte. Ella ebbe allora il coraggio di accompagnarli al luogo del loro supplizio e di raccogliere le loro ultime parole: “Glady, perdona loro, come noi perdoniamo!”. Questo avvenimento fu senza dubbio un elemento determinante della vocazione di Claudine, già tanto animata da sentimenti di compassione per le miserie accumulate dalla bufera rivoluzionaria. Ella sognava di divenire una messaggera della misericordia e del perdono di Dio in una società lacerata, e di dedicare la sua vita all’educazione dell’infanzia, soprattutto dei più poveri, il cui stato di abbandono sorpassava ogni immaginazione. Ecco perché, con il sostegno illuminato di Padre Coindre, Claudine fonda nel 1816 una Pia Associazione, che diventerà due anni più tardi la Congregazione di Gesù-Maria. Oggi, con grande gioia della Chiesa, le figlie di Madre Thévenet sono più di duemila, presenti in tutti i continenti e veramente animate del suo spirito. Scuole e collegi, ostelli per le giovani e per persone anziane, pastorale catechistica e familiare, dispensari e case di preghiera non hanno che uno scopo: far conoscere Gesù e Maria, nelle opere per la promozione sociale dei poveri.
A centocinquanta anni di distanza, la vita di questa fondatrice interpella sempre le sue figlie e interpella anche i cristiani. Non viviamo anche noi in una società troppo spesso tentata e sfigurata dalla violenza? Non dobbiamo anche noi lasciarci invadere dall’infinita misericordia di Dio, per portare il nostro coraggioso contributo a quella “civiltà dell’amore” di cui parla Paolo VI, la sola che sia degna dell’uomo? Claudine Thévenet si presenta a noi quale modello d’amore e di perdono: “Che la carità sia come la pupilla dei vostri occhi”, ci dice ancor oggi proprio come ella amava ripetere alle sue suore. “Siate disposte a soffrire tutto per gli altri e a non far soffrire alcuna persona”.
D’altra parte la nuova beata non continua ad essere un modello di vita evangelica e religiosa per coloro che si consacrano all’educazione della gioventù, nella Chiesa e secondo le sue direttive? Le intuizioni ed i metodi pedagogici di Claudine Thévenet sono sempre d’attualità: cioè una educazione piena di attenzioni materne, molto sollecita a preparare le giovani alla vita mediante l’acquisizione di una competenza professionale e l’avviamento progressivo alle loro future responsabilità di mogli e di madri, e soprattutto in modo profondamente cristiano, perché – diceva – “la peggiore sventura è vivere e morire senza conoscere Dio”.
Claudine, che ha fatto della sua vita religiosa un “inno di gloria” al Signore, ad imitazione della Vergine Maria che ella venerava profondamente, ricorda ai cristiani che vale la pena di offrire tutto a Dio. A coloro che il Signore invita a consacrarsi più particolarmente al suo servizio, ella conferma che bisogna saper “perdere la propria vita” (cf. Mt 10,39) perché altri possano amare e conoscere Dio; ella conferma inoltre mediante il suo esempio che la più bella riuscita nella vita è la santità.
Traduzione
5. Claudine Thévenet a vécu toute sa vie à Lyon. Son adolescence fut bouleversée par la révolution française qui secoua si violemment sa ville natale. Un matin de janvier 1794, cette jeune fille de 19 ans reconnaît ses deux frères, Louis et François, dans un cortège de condamnés à mort. Elle a lè courage de les accompagner jusqu’au lieu de leur supplice et dé recueillir leurs dernières paroles: “ Glady, pardonne, comme nous pardonnons! ”. Cet événement fut sans doute un élément déterminant de la vocation de Claudine déjà si compatissante aux misères accumulées par l’orage révolutionnaire. Elle songe à devenir une messagère de la miséricorde et du pardon de Dieu dans une société déchirée, et à donner sa vie à l’éducation des jeunes, surtout des plus pauvres, dont l’état d’abandon dépasse l’imagination. C’est pourquoi, avec le soutien éclairé du Père Coindre, Claudine fonde en 1816 une Pieuse Union, qui deviendra deux ans plus tard la Congrégation de Jésus-Marie. Aujourd’hui, pour la plus grande joie de l’Eglise, les Filles de Mère Thévenet sont plus de deux mille, présentes sur tous les continents et vivant vraiment de son esprit. Ecoles et collèges, foyers pour jeunes filles et pour personnes âgées, pastorale catéchétique et familiale, dispensaires et maisons de prière n’ont qu’un but: faire connaître Jésus et Marie, tout en œuvrant à la promotion sociale des pauvres.
A cent cinquante ans de distance, la vie de cette fondatrice interpelle toujours ses filles et interpelle aussi les chrétiens. Ne sommesnous pas nous-mêmes dans une société trop souvent tentée et défigurée par la violence? N’avons-nous pas à nous laisser envahir par la miséricorde infinie de Dieu, afin d’apporter notre courageuse contribution à cette “ civilisation de l’amour ” dont parlait Paul VI, la seule qui soit digne de l’homme? Claudine Thévenet se présente à nous comme un modèle d’amour et de pardon: “ Que la charité soit comme la prunelle de vos yeux ”, nous dit-elle encore maintenant comme elle aimait à le répéter à ses Sœurs. “ Soyez disposées à tout souffrir des autres et à ne rien faire souffrir à personne ”.
D’autre part, la nouvelle Bienheureuse ne demeure-t-elle pas un modèle de vie évangélique et religieuse pour ceux et celles qui se consacrent à l’éducation de la jeunesse, dans l’Eglise et selon ses directives? Les intuitions et les méthodes pédagogiques de Claudine Thévenet sont toujours d’actualité: à savoir, une éducation pleine d’attentions maternelles, très soucieuse de préparer les jeunes filles à la vie par l’acquisition d’une compétence professionnelle et l’initiation progressive à leurs: futures résponsabilités d’épouses et de mères, et par-dessus tout profondément chrétienne, car – disaitelle – “ il n’est pas de plus gránd malheur que de vivre et de mourir sans connaître Dieu ”.
Claudine, qui a fait de sa vie religieuse une “ hymne de gloire ” au Seigneur, à l’imitation de la Vierge Marie qu’elle vénérait profondément, rappelle aux chrétiens qu’il vaut la peine de tout miser sur Dieu. A ceux et celles que le Seigneur invite à se consacrer plus particulièrement à son service, elle confirme qu’il faut savoir “ perdre sa vie ” pour que d’autres puissent aimer et connaître Dieu; elle confirme aussi par son exemple que la plus belle réussite dans la vie, c’est la sainteté.
6. Maria Repetto, a 22 anni, entra a Genova nella Congregazione delle Suore di Nostra Signora del Rifugio, in Monte Calvario. Nelle numerose e gravi epidemie di colera che si abbattono sulla città, ella corre intrepida al capezzale dei malati. La fama della “monaca santa” cresce ogni giorno, e, quando assume l’ufficio di portinaia, ella continua a donare i tesori della sua alta spiritualità a quanti a lei accorrono per aiuto e consiglio.
Maria Repetto fin dalla giovinezza ha appreso e vissuto una grande verità, che ha trasmesso anche a noi: Gesù deve esser contemplato, amato e servito nei poveri, in tutti i momenti della nostra vita.
Essa dà tutto ciò che ha: i suoi risparmi, le sue cose, la sua parola, il suo tempo, il suo sorriso. “Servire i poveri di Gesù” era il programma del suo Istituto; programma che essa realizzò nei 50 anni di vita religiosa, servendo anzitutto Gesù, crescendo nella perfezione dell’amore, ricordando a sé stessa: “prima di tutto essere religiosa!”; e servendo i poveri, perché Cristo vive nei poveri.
San Francesco da Caporosso, chiamato dai genovesi “il padre santo”, mandava a lei, la “monaca santa” persone di ogni estrazione sociale, bisognose di aiuto e di consigli. L’umile Frate cercatore, canonizzato nel 1962, e l’umile suora portinaia, che oggi sale agli onori degli altari, furono nel secolo scorso, i due poli della vita religiosa di Genova. Maria Repetto era sempre lieta e serena e si rallegrava di tenere il cuore aperto, più della porta del convento, e di dare, dare sempre, dare tutto.
E questa gioia della sua donazione a Dio culminò nella sua morte: col sorriso sulle labbra, la beata pronunciò le sue ultime parole, che sono un inno di giubilo alla Madre di Dio: “Regina coeli, laetare, alleluia!”.
7. Carissimi!
Abbiamo iniziato questa riflessione nel segno della gioia cristiana; e nel segno del gaudio pasquale, frutto della Croce di Gesù, noi continuiamo questa solenne celebrazione, confortati dai mirabili esempi di questi novelli beati, che ci indicano il cammino, che anche noi dobbiamo percorrere nel nostro pellegrinaggio terreno: il cammino dell’amore verso Dio e verso i fratelli, specialmente quelli sofferenti nello spirito e nel corpo.
I novelli beati hanno confidato nel Signore, lo hanno invocato, forti della sua clemenza e misericordia; hanno seguito le sue vie; hanno cercato di piacergli; si sono gettati nelle sue braccia (cf. Sir 2,7s). In cima ai loro pensieri, al di sopra di tutto hanno posto la carità, convinti che essa è “il vincolo della perfezione” (cf. Col 3,14). Facendo proprio l’invito di Cristo, hanno venduto tutto ciò che avevano e lo hanno dato in elemosina; si son fatti delle borse, che non invecchiano, e hanno ottenuto un tesoro inesauribile nei cieli (cf. Lc 12,32s), come dice il brano evangelico, che è stato letto poco fa.
Mentre ci chiniamo riverenti di fronte ad essi, noi ci affidiamo alla loro potente intercessione:
O Beato Alain de Solminihac,
O Beato Luigi Scrosoppi,
O Beato Riccardo Pampuri,
O Beata Claudine Thévenet,
O Beata Maria Repetto,
pregate la Trinità Santissima per le vostre Patrie terrene, perché vivano in serena concordia! Pregate per le vostre Famiglie religiose, perché diano alla società contemporanea una gioiosa testimonianza della loro donazione di Dio! Pregate per la Chiesa, pellegrina sulla terra, perché sia sempre segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano!
Pregate per tutti i popoli del mondo, perché realizzino nei loro rapporti la giustizia e la pace!
O novelli Beati e Beate, pregate per noi! Amen!