Ignazio Maloyan

Ignazio Maloyan

(1869-1915)

Beatificazione:

- 07 ottobre 2001

- Papa  Giovanni Paolo II

Ricorrenza:

- 11 giugno

Vescovo di Mardin degli Armeni e martire durante il genocidio dei cristiani perpetrato in questa regione dai persecutori della fede; essendosi rifiutato di abbracciare un’altra religione, consacrò in carcere il pane per il ristoro spirituale dei compagni di prigionia; fucilato poi insieme a molti altri cristiani, versando il suo sangue ottenne il premio della pace eterna

  • Biografia
  • omelia di beatificazione
"Non siamo mai stati infedeli verso lo Stato... ma se ci chiedete di essere infedeli verso la nostra religione, questo mai, mai e poi mai"

 

Choukrallah Maloyan, figlio di Melkon e Faridé, nacque a Mardine, in Turchia, il 19 aprile 1869. Il padre Joseph Tchérian, scorgendo in lui i segni della vocazione, lo inviò all'età di 14 anni nel convento di Bzommar, in Libano. Lì, terminò gli studi superiori e nella festa del Sacro Cuore del 1896 fu ordinato sacerdote Bzommarista con il nome di Ignazio, in ricordo del grande Santo Martire di Antiochia.

Nel 1897, padre Ignazio è inviato in missione ad Alessandria, poi al Cairo, dove si acquistò la fama di sacerdote esemplare. Nelle sue ore libere, studiava il francese, l'inglese e l'ebraico per comprendere meglio la Sacra Scrittura. Nel 1904 Sua Beatitudine il Patriarca Boghos Bedros XII Sabbaghian, notando le sue qualità eccezionali, lo nominò suo segretario privato.

Frattanto, la diocesi di Mardine aveva bisogno di un buon organizzatore per assistere l'anziano Arcivescovo Houssig Gulia. Sua Beatitudine Sabbaghian non trovò scelta migliore che il padre Maloyan. Il 22 ottobre 1911, durante il Sinodo dei Vescovi armeni riunito a Roma, fu eletto Arcivescovo di Mardine e consacrato da Sua Beatitudine Boghos Bedros XIII Terzian. A Mardine, si interessò da vicino ai problemi del suo gregge sul piano materiale, sociale e spirituale. Diffuse in tutte le parrocchie la devozione al Sacro Cuore e alla Madre di Dio.

Mons. Maloyan intratteneva buone relazioni con gli alti dignitari del paese. Stimato e apprezzato, fu decorato con un decreto del Sultano. Purtroppo allo scoppio della prima guerra mondiale, gli Armeni residenti in Turchia (allora alleata con la Germania), cominciarono a subire prove indicibili. Il 24 aprile 1915, infatti, segnava l'inizio di una vera operazione di sterminio. Il 30 aprile 1915, i soldati turchi circondarono la chiesa armena e l'arcivescovado di Mardine, con il pretesto che vi fossero nascosti depositi di armi. Non avendovi trovato alcunché, si accanirono a distruggere gli archivi e i documenti.

All'inizio di maggio, lo zelante Pastore riunì i suoi sacerdoti e, alla luce delle tristi notizie, li mise al corrente delle minacce fomentate contro gli armeni. Li esortò a pregare e a restare saldi nella fede. Poi lesse loro il suo testamento, in cui li incoraggiava, considerando un grande onore mescolare il proprio sangue a quello dei martiri. Li affidò alla sollecitudine di mons. Ignazio Tapouni, Arcivescovo dei siriani cattolici.

Il 13 giugno 1915, ufficiali turchi trascinarono mons. Maloyan davanti al tribunale con 27 componenti della comunità. Lì, Mamdouh Bey, capo della polizia, chiese al Vescovo di consegnargli le armi nascoste nelle sua casa. Il Presule gli rispose che era sempre stato un cittadino fedele al governo e che il Sultano, in segno di merito, gli aveva conferito un alto riconoscimento onorifico. Mamdouh Bey gli propose allora di abbracciare l'Islam, per avere salva la vita. Il Presule replicò con vigore che mai avrebbe rinnegato Gesù né tradito la Chiesa e che era una gioia per lui subire per Cristo qualunque supplizio, anche la morte. Allora, un soldato lo schiaffeggiò brutalmente. Mamdouh Bey lo colpì violentemente alla testa più volte con il calcio della pistola. Ad ogni colpo, lui diceva: «Signore, pietà di me; Signore, dammi forza». Credendo che la sua morte fosse imminente, gridò a gran voce: «Chi di voi, miei cari padri, mi ascolta, mi dia l'assoluzione». Poi i soldati gli strapparono le unghie dei piedi e lo costrinsero a camminare.

A Chikhane, Mamdouh Bey lesse ad alta voce la seguente sentenza: «Lo Stato vi ha concesso molti favori...; in cambio, voi avete tradito il paese. Per questo siete condannati a morte. Tuttavia, se qualcuno diventa musulmano sarà liberato e ritornerà a Mardine. In caso contrario, la sentenza sarà eseguita. Preparatevi ad esprimere la vostra ultima volontà».

Mons. Maloyan, a nome di tutti, rispose: «Non siamo mai stati infedeli verso lo Stato... ma se ci chiedete di essere infedeli verso la nostra religione, questo mai, mai e poi mai». Tutti i presenti confermarono: «Questo mai». «Noi moriremo — aggiunse Maloyan — ma moriremo per il Cristo». Un fedele si avvicinò ai soldati e gridò: «Uccidetemi pure e vedrete come muore un cristiano per la sua fede».

Il Confessore incrollabile si mise in ginocchio, e tutti fecero altrettanto. Pregò il Signore di concedere loro la forza e il coraggio per essere degni della palma del martirio. I sacerdoti impartirono a tutti l'assoluzione. Ciò che provocò lo stupore dei soldati turchi fu la pace e la serenità che risplendeva sui loro volti. Erano felici di morire per Cristo.

Mamdouh si avvicinò a mons. Maloyan e per la seconda volta gli propose l'Islam. Il Presule rispose: «La tua richiesta mi sorprende. Ti ho già detto che io vivo e muoio per la mia vera fede. Mi glorifico nella Croce del mio Signore e mio Dio». Mamdouh infuriato estrasse la pistola e fece fuoco. La pallottola gli trapassò la nuca. Lui crollò a terra e, prima di spirare, esclamò: «Signore, abbi pietà di me; nelle tue mani affido il mio spirito».

 CAPPELLA PAPALE PER LA BEATIFICAZIONE DI 7 SERVI DI DIO

OMELIA DEL SANTO PADRE

Domenica, 7 ottobre 2001

 

1. "Il giusto vivrà per la sua fede" (Ab 2, 4): con queste parole piene di fiducia e di speranza il profeta Abacuc si rivolge al popolo d'Israele in un momento particolarmente travagliato della sua storia. Rilette dall'apostolo Paolo alla luce del mistero di Cristo, queste stesse parole sono utilizzate per esprimere un principio universale: è con la fede che l'uomo si apre alla salvezza che gli viene da Dio.

Oggi abbiamo la gioia di contemplare questo grande mistero di salvezza attualizzato nei nuovi Beati. Sono essi i giusti che per la loro fede vivono accanto a Dio in eterno: Ignazio Maloyan, Vescovo e martire; Nikolaus Gross, padre di famiglia e martire; Alfonso Maria Fusco, presbitero; Tommaso Maria Fusco, presbitero; Émilie Tavernier Gamelin, religiosa; Eugenia Picco, vergine; Maria Euthymia Üffing, vergine.

Questi nostri illustri fratelli, ora elevati alla gloria degli altari, hanno saputo tradurre la loro indomita fede in Cristo in una straordinaria esperienza di amore verso Dio e di servizio verso il prossimo.

 

2. Monsignor Ignace Maloyan, morto martire all'età di 46 anni, ci ricorda la battaglia spirituale di ogni cristiano, la cui fede è esposta agli attacchi del male. È nell'Eucaristia che attingeva, giorno dopo giorno, la forza necessaria per compiere con generosità e passione il suo ministero di sacerdote, dedicando alla predicazione, alla pastorale dei sacramenti e al servizio dei più poveri.

Nel corso della sua esistenza visse pienamente le parole di san Paolo:  "Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza" (2 Tm 7). Di fronte ai pericoli della persecuzione, il Beato Ignace non accettò alcun compromesso, dichiarando a quanti facevano pressione su di lui:  "A Dio non piace che io rinneghi Gesù mio Salvatore. Versare il mio sangue a favore della mia fede è il più vivo desiderio del mio cuore!". Che il suo esempio illumini oggi tutti coloro che vogliono essere testimoni del Vangelo, per la gloria di Dio e per la salvezza dei fratelli!

3. Nella sua vita di madre di famiglia e di religiosa fondatrice delle Suore della Provvidenza, Émilie Tavernier Gamelin è stata il modello di un coraggioso abbandono alla Provvidenza. La sua attenzione per le persone e le situazioni la portò a inventare forme nuove di carità. Aveva un cuore aperto a ogni sofferenza, servendo soprattutto i poveri e i piccoli, che desiderava trattare come re.

Ritenendo di aver ricevuto tutto dal Signore, donava senza limiti. Tale era il segreto della sua gioia profonda, persino nelle avversità. In uno spirito di totale fiducia in Dio e con un senso acuto dell'obbedienza, come il "servo" del Vangelo, compì il suo dovere come un comandamento divino, volendo fare in tutto la volontà del Signore. Che la nuova Beata sia un modello di contemplazione e di azione per le Suore del suo Istituto e per le persone che lavorano con loro!

4. Entrambi i nuovi beati tedeschi ci riportano a un momento buio del XX secolo. Rivolgiamo lo sguardo al beato Nikolaus Gross, giornalista e padre di famiglia. Con acume comprese che l'ideologia nazionalsocialista non poteva accordarsi con la fede cristiana. Coraggiosamente prese la penna per difendere la dignità delle persone. Nikolaus Gross amò molto amato sua moglie e i suoi figli. Tuttavia, nemmeno per un momento il vincolo che lo univa alla famiglia fece sì che abbandonasse Cristo e la sua Chiesa. Egli sapeva bene che "Se oggi non impegniamo la nostra vita, come pretenderemo poi di stare al cospetto di Dio e del nostro popolo?".

Per questa sua convinzione fu condotto al patibolo, ma gli si spalancarono le porte del cielo. Nel beato martire Nikolaus Gross si realizza ciò che aveva predetto il profeta:  "Il giusto vivrà per la sua fede" (Ab, 2, 4).

5. Suor Euthymia ha recato una testimonianza di tutt'altro tipo. La suora clementina si è dedicata alla cura dei malati, in particolare dei prigionieri di guerra e degli immigrati. Fu detta anche "mamma Euthymia". Dopo la guerra dovette occuparsi di una lavanderia invece che della cura dei malati. Avrebbe certo preferito servire le persone piuttosto che le macchine. Ciononostante rimase una suora piena di empatia che aveva per tutti un sorriso amichevole e una buona parola. Esprimeva così il suo desiderio:  "Il Signore deve usarmi come un raggio di sole che illumina tutti i giorni". Visse secondo il motto:  qualunque cosa facciamo, siamo sempre solo "servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare" (Lc 17, 10). La sua grandezza sta nella fede nelle piccole cose.

6. "Se aveste fede quanto un granellino di senapa...", esclama Gesù conversando con i discepoli (Lc 17,6).

Fu una fede genuina e tenace a guidare la vita e l'opera del beato don Alfonso Maria Fusco, fondatore delle Suore di San Giovanni Battista. Da quando era ragazzo, il Signore gli aveva posto nel cuore il desiderio appassionato di dedicare la vita al servizio dei più poveri, specialmente dei bambini e dei giovani, che incontrava numerosi nella sua città natale di Angri, in Campania. Per questo intraprese il cammino del Sacerdozio e divenne, in un certo senso, "il Don Bosco del Sud".

Fin dall'inizio volle coinvolgere nella sua opera alcune giovani che ne condividevano l'ideale, proponendo loro come motto le parole di san Giovanni Battista: "Parate viam Domini", "Preparate la via del Signore" (Lc 3,4). Confidando nella divina Provvidenza, il beato Alfonso Maria e le Suore Battistine hanno realizzato un'opera ben superiore alle loro stesse aspettative. Da una semplice casa di accoglienza è sorto un Istituto che oggi è presente in sedici Paesi e quattro continenti, accanto ai "piccoli" e agli "ultimi".

7. La singolare vitalità della fede, attestata dal Vangelo odierno, emerge anche nella vita e nell'attività di don Tommaso Maria Fusco, fondatore dell'Istituto delle Figlie della Carità del Preziosissimo Sangue. In virtù della fede egli seppe vivere, nel mondo, la realtà del Regno di Dio in modo del tutto speciale. Tra le sue giaculatorie, una ve n'era a lui particolarmente cara: "Credo in te, mio Dio; aumenta la mia fede". E' proprio questa la domanda che gli Apostoli rivolgono a Gesù nel Vangelo di oggi (cfr Lc 17,6). Il beato Tommaso Maria aveva infatti capito che la fede è prima di tutto un dono, una grazia. Nessuno può conquistarla o guadagnarla da solo. Si può soltanto chiederla, implorarla dall'Alto. Perciò, illuminati dal prezioso insegnamento del nuovo Beato, non stanchiamoci mai di invocare il dono della fede, perché "il giusto vivrà per la sua fede" (Ab 1,4).

8. La sintesi vitale tra contemplazione e azione, assimilata a partire dalla quotidiana partecipazione all'Eucaristia, fu il fondamento dell'esperienza spirituale e dello slancio di carità di Eugenia Picco.

Nella sua vita si sforzò sempre di porsi in ascolto della voce del Signore, secondo l'invito dell'odierna liturgia domenicale (cfr Rit. al Sal. Resp.), mai sottraendosi ai servizi che l'amore verso il prossimo le richiedeva. A Parma ella si fece carico delle povertà della gente, rispondendo ai bisogni dei giovani e delle famiglie indigenti ed assistendo le vittime della guerra che in quel periodo insanguinava l'Europa. Anche di fronte alla sofferenza, con gli inevitabili momenti di difficoltà e di smarrimento che questa comporta, la beata Eugenia Picco seppe trasformare l'esperienza del dolore in occasione di purificazione e di crescita interiore. Dalla nuova Beata impariamo l'arte di ascoltare la voce del Signore, per essere testimoni credibili del Vangelo della carità in questo primo scorcio di millennio.

9. "Mirabilis Deus in sanctis suis!". Con le Comunità nelle quali i nuovi Beati hanno vissuto e per le quali hanno speso le loro migliori energie umane e spirituali, vogliamo ringraziare Dio, "mirabile nei suoi santi". Al tempo stesso, Gli chiediamo, per loro intercessione, di aiutarci a rispondere con rinnovato ardore all'universale vocazione alla santità.

Amen!